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L'ATTIMO FUGGENTE, OSSIA, ERA
MEGLIO SE FACEVO IL MACELLAIO

Fantasie e realtà nei pensieri di un insegnante alla ricerca di improbabili certezze

(L'articolo seguente è tratto dal giornalino scolastico "tam tam '90" edito dall'Itc C. Rosa di Nereto nel 1992)

di Adriano Trentacarlini

Se, come disse qualcuno, il cuore è un muscoletto molto elastico, perché sono costantemente afflitto da quella famosa patologia chiamata "angoscia dell'insegnante"? Sempre lì, insistente, acuta come una puntura di spillone. Provare per credere: con lo spillone, naturalmente. Peggio di Cossiga che almeno due o tre volte al mese riprende fiato. Certo che, a proposito del nostro Presidente, con la resistenza fisica che si ritrova, altro che Gianni Bugno: Giro d'Italia e Tour de France in apnea, sarebbe capace di farsi. Roba che a Eltsin gli viene un colpo per l'invidia. E poi vaglielo a spiegare ai ragazzi di terza che il Capo dello Stato è il garante del funzionamento democratico delle istituzioni, e non si occupa, invece, della pubblicità della Golia. La realtà, la famosa realtà concreta, ci sta sfuggendo di mano. Dovrebbe essere un nostro costante punto di riferimento, ed invece si allontana, ci smentisce, ci scavalca, qualche volta ci fa addirittura le boccacce. Sì, anche le boccacce. Come chiamarle, altrimenti, per esempio, le cifre delle voci "netto da pagare" e "totale ritenute", riportate nel cedolino del mio stipendio? Ma un buon insegnante dev'essere un utopista? Dobbiamo stimolare i ragazzi ad essere utopisti? L'Utopia è compresa nei programmi ministeriali? L'Utopia è un valido strumento didattico? Ebbene, anche se dopo un'accurata ricerca ho verificato che nei programmi ministeriali non si fa menzione di quest'oscuro e forse ormai dimenticato oggetto del desiderio, io sono ancora convinto che a tali domande vada risposto comunque in modo positivo. L'Utopia come ancora di salvezza, come un invisibile Grande Fratello buono, da cui essere guidati e nel cui seno rifugiarsi. Ma diciamoci la verità: l'impressione è di essere votati alla sconfitta. Gli ormai mitici Programmi ministeriali ci trasmettono una realtà immaginaria, partorita probabilmente da una mente contorta di un qualche esperto affetto da gravi problemi familiari. I modelli sociali offerti dalla vera realtà sono contradditori e per certi versi scoraggianti.
Sembra che per essere una persona appena decente bisogna possedere un'auto veloce e super accessoriata, farsi lo shampoo almeno una volta al giorno, essere esperto di qualche superalcolico o comunque bere necessariamente un amaro se si vuole prendere la laurea in veterinaria. inoltre bisogna essere, pena l'esclusione dalla comunità civile, alti, belli, sicuri di sè, possibilmente opportunisti e raccomandati. I politici, si sa, parlano una lingua tutta loro e probabilmente fra qualche secolo ci sarà qualcuno che si preoccuperà di decifrarla.
E non mi rifrisco solamente ai discorsi. Provate a leggere a casaccio una qualche norma legislativa: roba che al confronto la Pietra di Rosetta sembra un album di Topolino. Insomma, il modello è quello di Geoge Duroy, il Bel-Ami di Maupassant, mentre invece io continuo a specchiarmi in qualche personaggio di Dostoevskij. Ma se la base di partenza è questa, penso, in classe ci sarà da lavorare.
Gli Ideali, i Valori, l'Autenticità. Ma, a parte un vago senso di incompetenza, mi rendo subito conto che le forze in campo sono sproporzionate: io contro tutto ciò che è fuori dalla scuola.
Vorrei aiutare i ragazzi ad essere "vivi" ed autentici, magari con la presunzione di proporre me steso come modello, ma dopo un po' mi accorgo che loro, con una punta di commiserazione, stanno pensando che sono io a non aver capito nulla della vita. Il mio già scarso prestigio in classe cade così ad abissali livelli negativi, pari solamente al deficit del bilancio dello Stato italiano.
Disagio, senso di impotenza, solitudine: ho tutti gli elementi per poter chiedere al Ministero della Pubblica Istruzione di organizzare un Progetto Trentacarlini '93. Maledetto "L'attimo fuggente".
Dopo aver visto il film, ho immaginato di poter essere come il prof. Keating, il protagonista. Poter anch'io salire in piedi sulla cattedra, portare i ragazzi al di fuori dei soliti schemi.
Poterli ipnotizzare, lì in alto, affascinante ed eroico. In realtà, data la mia statura non proprio altissima, già da seduto non riesco a vedere oltre la terza fila dei banchi. Ed inoltre, data la mia sfortuna, se mi fossi messo anch'io in piedi sulla cattedra, scommetto che sarei sicuramente caduto con fratture multiple e tra le risate di tutti. Oppure sarebbe improvvisamente entrata la Preside e, mentre lei mi ricordava della Settimana Ecologica, io forse avrei prima pensato di difendermi com..."...ma il prof. Keating, l'attimo fuggente, la Cultura...", e poi avrei probabilmente detto che stavo tentando di avvitare la lampadina sul soffitto. Insomma, la confusione è tanta ed è difficile rimanere lucidi e sereni. Mi viene un dubbio: va a finire che il Grande Fratello, quello cattivo, di Orwell per intenderci, è veramente tra noi e non mi hanno mai detto niente.
Buona Utopia a tutti.

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