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“VISITE GUIDATE”

di Adriano Trentacarlini

Giorno di gita scolastica con le mie classi quarta e quinta. Destinazione Musei Vaticani, ...forse. Dico forse, perché in questi casi è buona regola di prudenza mantenere un giusto grado di dubbio. Già con le parole non ci siamo. Il Ministero, con perfida e consapevole ipocrisia, non le chiama gite, ma “visite guidate”. Sarà, ma ad ogni ritorno a casa, dopo queste “visite guidate”, a notte inoltrata, con il vestito irriconoscibile, lo sguardo da belva, la bava alla bocca e la caduta dei capelli che ha subito una brusca accelerata, le domande diventano semplici ma lapidarie: c’è stata una visita? cosa abbiamo visitato? ma soprattutto, chi ha guidato chi? Comunque, ormai ci siamo. Ho passato la vigilia a prepararmi bene per rispondere alle inevitabili domande dei ragazzi. Già li vedo, rapiti e pieni di ammirazione per le mie spiegazioni sulla Scuola di Atene di Raffaello, o sul movimento dei corpi nel Giudizio Universale di Michelangelo. Spero così, nella mia bassezza morale e culturale, di rifarmi delle indegne figure accumulate in classe in questi anni, e poter lasciare il finora meritato ultimo posto negli indici di gradimento tra gli insegnanti del corso. Appuntamento alle 5.30 del mattino in piazza. Alle 5.45, 8 gradi sottozero, è presente solo il sottoscritto. Durante l’ora successiva arrivano alunni e colleghi, tutti con uno sguardo significativo che vorrebbe dire “quanto sei fesso!”. I genitori dispensano le ultime raccomandazioni mentre ci scrutano con occhiate miste di odio e preoccupazione: odio per la levataccia a cui li abbiamo costretti; preoccupazione perché, dopo averci osservati bene, non sono più tanto sicuri di volerci affidare il sangue del loro sangue. Stanno sicuramente pensando: “se mia figlia subisce uno scippo, cosa puoi fare tu, alto 1,62, senza collo, gambette da gallina e pancetta incipiente, la difendi brandendo gli appunti su Michelangelo?”. Va beh, ormai è fatta, si parte. La situazione sul pullman si presenta subito drammatica: 54 ragazzi ammucchiati nelle ultime tre file, chi per poter fumare, chi per fare gesti osceni agli automobilisti, chi per incontri ravvicinati del terzo tipo con la Samantha o il Manuel di turno (le Marie o i Giovanni non esistono più, probabilmente sono in altre scuole); nelle prime due file noi insegnanti; nel mezzo il vuoto più significativo. Musica di “sottofondo”: un rumore assordante e ripetitivo misto di batteria e strumenti elettronici. Dopo 45 minuti penso seriamente di chiamare il Telefono Azzurro. Dopo quattro ore di viaggio e due fermate in autogrill, ufficialmente per bisogni corporali, in realtà per permettere ai ragazzi di acquistare 94 buste di patatine fritte e altri cibi da colesterolo fulminante, siamo a Roma. L’entrata ai Musei Vaticani si svolge senza apparenti problemi, a parte per la preoccupante circostanza dell’alunno Paolantoni di quarta che, con l’aria più tranquilla del mondo, passa davanti alla biglietteria con in mano una damigiana di vino rosso da 5 litri. Intenti come sono a scoprire eventuali pistole, fucili o bazooka, i sorveglianti non se ne accorgono, e mentre lui mi ammicca con fare da complice, io già mi vedo su tutti i giornali di domani. Mi consola sapere che ci siamo tutti e che nessuno si è perso. Cominciamo a girare per il museo. Già alla sezione egizia mancano metà degli alunni e due insegnanti. Dopo un po’ ritroviamo uno dei colleghi. Sta profondamente dormendo su una poltroncina, con la testa reclinata all’indietro e la bocca spalancata tipo “Il grido” di Munch. E in effetti un qualche valore artistico deve pur averlo, se è vero che viene attentamente osservato da un gruppo di giapponesi, tutti accalorati in una accesa discussione, mentre la loro accompagnatrice cerca disperatamente nella guida tascabile una qualche notizia su quella strana opera che sta tra l’arte realista russa e il periodo blu di Picasso. Facciamo finta di non conoscerlo e lo lasciamo lì. Quando finalmente arriviamo alle Stanze di Raffaello, sono rimasto l’unico insegnante, ma in compenso sono riuscito, con minacce di punizioni corporali, a trattenere 10 alunni. Davanti alla Scuola di Atene comincio lo spettacolo. Ed è un fuoco pirotecnico di alta cultura da Bignami, parlo ininterrottamente per ben 20 minuti, riuscendo a mischiare rinascimento, impressionismo e persino pop-art. Quando finisco mi accorgo di essere rimasto solo. Da un angolo un vecchio sorvegliante mi guarda con compassione mentre pensa alla fortuna del figlio, probabilmente della mia stessa età, che ha messo su un bel negozio di ortofrutta. Imbestialito corro alla Cappella Sistina e avvisto cinque dei fuggitivi, attenti e interessati al Giudizio Universale. Va beh, in fondo ci sono anche dei bravi ragazzi. Sto per investirli con il mio eloquio quando mi accorgo che in realtà quei vigliacchi si sono uniti ad un altro gruppo scolastico, la cui insegnante è la sosia esatta di Claudia Schiffer, con minigonna annessa. Traditori! Voglio guardarvi bene negli occhi quando riavrò in mano il segno del comando, il mio registro dei voti. Li recupero e usciamo nel cortile interno, quello del bar. Mi si presenta una scena degna del miglior picnic di pasquetta. Il resto della truppa, compresi i miei colleghi, è intento ad occuparsi con la dovuta professionalità di salsicce, prosciutto, mortadella, pennette all’arrabbiata, mazzarelle, dolci, il tutto spuntato come per incanto da chissà dove. Al centro del baccanale, la famigerata damigiana di vino, ormai agli sgoccioli. Paonazzo, e in evidente condizione da preinfarto, tento di far valere la mia autorità, rimprovero aspramente i ragazzi, richiamo i colleghi alla loro alta funzione educativa, ma, quando vedo che nessuno mi prende sul serio, mi butto sulle ultime salsicce rimaste, e arrivo persino a promettere il 6 politico all’alunno Giovannini di quinta se mi cede il suo formaggio. Si ritorna a casa. Ora il viaggio è diverso da quello dell’andata. I ragazzi sono seduti un po’ più ordinatamente, sono silenziosi o parlottano tra loro. Noi insegnanti ci guardiamo in cagnesco. La musica naturalmente è la stessa. Dopo altre 94 buste di patatine fritte, siamo finalmente a Teramo. I genitori riabbracciano i loro cari, innocenti figlioli, quasi increduli di averli lì sani e salvi, chiedono notizie rassicuranti della giornata, e quando qualcuno si informa premuroso se hanno mangiato abbastanza, lancio un urlo e me ne vado senza salutare nessuno. Il giorno dopo a rapporto dalla Preside. Come si fa sempre in questi casi, alle sue domande sulla gita, pardon visita, mento spudoratamente: tutto perfetto, Preside, i ragazzi hanno socializzato tantissimo con noi insegnanti, sono stati sempre disciplinati, attenti e interessatissimi, pensi che non volevano lasciare la Cappella Sistina e abbiamo dovuto trascinarli via a forza. Benissimo professore, sono contenta, perché avevo pensato a lei per accompagnare la terza a Firenze la settimana prossima. Sono scoppiato a piangere. Mi sono calmato solo quando è venuta mia madre a prendermi.

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