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Dal Pascal a Maastricht, ovvero
l’uomo giusto al momento giusto

di Adriano Trentacarlini

Anno scolastico nuovo, vicepreside nuovo! Dopo anni di incontrastato dominio, l’ottimo Buongrazio ha ceduto il primato all’altrettanto ottimo Di Carlo. Detto così, sembra un normale e fisiologico ricambio, da leggere sotto il luogo comune del “nuovo che avanza” o del “largo ai giovani”. E, in superficie, sarà senz’altro così.
Ma il “ribaltone” nasconde sicuramente un significato ben più profondo, e d’altronde non sarebbe la prima volta che il segno dei tempi che cambiano, lo “spirito del mondo”, si manifesta attraverso piccoli segnali, svolte apparentemente impercettibili, che invece rivelano abissi imperscrutabili e l’impronta della modernità che avanza.
Attenti, qui non si tratta di valutare la competenza, la disponibilità, l’umanità dell’uno e dell’altro, attributi indubbiamente riscontrabili in entrambi i personaggi, anche se ormai non qualificanti nell’ottica moderna dell’uomo vincente. Qui, invece, c’è da riflettere sul cambiamento di “immagine” derivato dalla nuova nomina, e chiedersi se esso riflette un cambiamento anche sostanziale del nostro istituto, la sua essenza attuale, ed inoltre se ciò possa avere una qualche collegamento con la nostra prossima entrata in Europa e con Maastricht.
Ebbene, sono convinto che l’ascesa di Di Carlo al posto di Buongrazio sia una chiara metafora dell’inserimento a pieno titolo del “Pascal” in una società medianica ed europeista quale la nostra. Insomma, la nuova parola d’ordine è: coniugare virtualità ed economia, forma e moneta unica, apparenza e rapporto deficit/pil. Le prove? E’ presto detto. Provatevi a metterli idealmente, o realmente se ci riuscite, l’uno vicino all’altro, e non avrete più dubbi: 97 a 70! Non sono gli anni, naturalmente, né le misure del girocollo. Sono i chili! Di peso e sovrappeso! La manovra restrittiva, da Buongrazio a Di Carlo, è evidente per chiunque. Il primo, grosso, pancioso e pacioso, mostra con malcelato orgoglio il frutto di estenuanti riunioni politiche e sindacali nei migliori agriturismi della provincia di Teramo e zone limitrofe; il secondo, scarno, asciutto, pallidino, dignitoso nel suo esserci in punta di piedi, fa solo pensare a minestrine o tuttalpiù a frittatine di cipolla con acqua minerale non gassata. Insomma: opulenza e austerità, godimento e sacrificio, facondia e riserbo, il signor Pickwick e Alesa Karamazov.
Sicuramente Buongrazio ha potuto meglio rappresentare il nostro istituto, dopo il Capo Supremo ovviamente, nel periodo della massima espansione, del passaggio dalla vecchia alla nuova sede, della crescita delle classi, nella fase dell’opulenza, appunto. Ma ora, con il calo delle iscrizioni, la perdita delle classi, l’uscita di colleghi, la caduta di calcinacci e l’umidità sul soffitto, tutte vicende che portano inevitabilmente ad una riflessione amara sul nostro ruolo e il nostro futuro, a un ripiegarsi su se stessi, chi meglio dell’essenziale Di Carlo può interpretare all’esterno e all’interno il periodo di sacrifici e di recessione scolastica che ci attende al varco? Non solo, ma anche nell’ottica di Mastricht e di parametri al ribasso, che figura ci facciamo con Buongrazio, con le misure che si ritrova? Meglio Di Carlo, con cui anche i parametri più austeri sono rispettati, e non c’è pericolo di sforarli per il futuro, con il vantaggio non trascurabile di essere già in piena armonia con quelli della Preside, da parecchio tempo in “linea”, sotto questo punto di vista, per entrare trionfalmente in Europa (a proposito: a quando una riduzione dei “parametri” per la Preside Micacchioni Zuccarini?). Aggiungete, a favore di Di Carlo, la cravatta d’ordinanza e la pettinatura impeccabile, di contro alla camicia strabordante e al numero limitato di capelli di Buongrazio, ed ecco che per quest’ultimo non c’è scampo, che ripassi quando torneranno le “vacche grasse” (sic!).
Adesso però che il più è fatto, non possiamo assolutamente mancare gli ultimi improrogabili appuntamenti: la “riduzione dei parametri” per Gabriele Rosini e Romantino Mantini, anche se non ci nascondiamo che sarà veramente dura, soprattutto con quest’ultimo.
Potremo dire così di aver compiuto anche noi la nostra piccola riforma del Welfare. Potremo dirci anche noi, nel nostro piccolo, liberisti. E saremo una vera scuola al passo con i tempi, essenziale, severa, selettiva, che promette solo lacrime e sangue in vista del glorioso traguardo finale. E con buona pace di chi rema contro, e pensa a problemi secondari, quali: come impostare una didattica appena dignitosa con 28 alunni per classe, cosa significhi veramente insegnare, il numero delle bocciature, i corsi di recupero impossibili, i corsi di aggiornamento impresentabili, gli esami di maturità, pardon, di Stato. A noi duri e puri, a noi liberisti ed europeisti, queste cose non toccano, noi abbiamo Di Carlo e Buongrazio, intercambiabili a seconda della congiuntura scolastica ed economica, purchè ovviamente l’uno non dimagrisca troppo e l’altro non ingrassi eccessivamente. E a entrambi diciamo, con il cuore in mano e la speranza di avere un buon orario e permessi facili: buon lavoro ma, soprattutto, grazie di esistere!

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