Pro Loco Colpalombo


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TESI DI LAUREA DI VALENTINA DRAGONI

CENNI STORICI







UNIVERSITA' PER STRANIERI DI PERUGIA
FACOLTA' DI LINGUA E CULTURA ITALIANA
CORSO DI LAUREA IN PROMOZIONE DELLA LINGUA
E
DELLA CULTURA ITALIANA NEL MONDO


I "CASTRA" MEDIEVALI:
L'ESEMPIO DI COLPALOMBO


LAUREANDA
Valentina Dragoni
RELATORE
Prof. Franco Mezzanotte

La storia è testimone dei tempi,
luce della verità,
vita della memoria,
maestra della vita,
nunzia dell'antichità.


CICERON


INDICE

INDICE............................................................................... Pag. 1

INTRODUZIONE....................................................................... " 2

Capitolo I:
L'incastellamento nell'Italia centrale e i castelli di Gubbio......." 4

Capitolo II
La data di costruzione del castello di Colpalombo:
un mistero da risolvere ........................................" 8

Capitolo III
La struttura del castello......................................................... " 14

Capitolo IV
La vita nel castello................................................................... " 19
L'arte del comando..................................................................." 19
La cura del castello: ambienti pubblici e privati........................" 25
Vita quotidiana e momenti di storia.........................................." 28

Capitolo V

L'anima e il corpo .
La Chiesa di S.Egidio............................................................. " 36
Gli altri luoghi i culto nel territorio di Colpalombo................... " 39
L'ospedale e la rete assistenziale di Gubbio............................ " 42
CONCLUSIONI.............................................................................. " 47
APPENDICE.............................................................................. " I
TAVOLE .................................................................................. " V
BIBLIOGRAFIA......................................................................... " 59





INTRODUZIONE



Lo scopo di questo elaborato è tracciare la storia di Colpalombo, antico castello ed ora piccolo paese del Comune di Gubbio, durante l'epoca medievale.

Vivendo in questo piccolo borgo, ho sempre desiderato conoscere meglio la sua storia e le vicende che lo hanno visto protagonista: appassionandomi a questo progetto, ho tentato di ricostruire non solo la struttura di quello che una volta era il castello, ma anche la vita che si svolgeva al suo interno. Osservando ogni giorno gli archi, le porte, gli edifici del mio paese ho cercato di immaginare come esso fosse circa sette secoli fa e proprio partendo dalla pietra mi sono addentrata nella sua storia.

Dall'osservare gli edifici all'analizzare le fonti d'archivio il passo è stato breve: pur non avendo precise competenze di ricerca storica, mi sono avventurata nei labirinti del latino medievale alla ricerca di notizie. Nel corso delle mie ricerche ho incontrato molti personaggi, ho letto le loro vicissitudini e per un momento sono tornata indietro nel tempo, cercando di immaginare la loro storia e i loro pensieri.

È stato un viaggio molto emozionante e sono sicura che ognuno di noi dovrebbe, almeno una volta, entrare nella storia del suo paese o della sua città non solo attraverso i libri di storia, ma immergendosi nei monumenti, camminando nelle strade e cercando di immaginarsi protagonisti di un tempo ormai lontano.

Partendo da questi presupposti ho costruito uno scheletro sul quale aggiungere pezzo per pezzo le informazioni che sono riuscita a recuperare.

Il primo passo è stato tentare di individuare la data di costruzione del castello; in seguito, sono passata ad analizzare la struttura e le costruzioni appoggiandomi alle riformanze rintracciate nell'Archivio di Gubbio.

Il passo successivo è stato cercare di ricostruire la vita delle persone che abitavano dentro e fuori dalle mura del castello: è stato molto complesso perché le notizie sono veramente scarse e lacunose ed è stato necessario procedere per ipotesi senza avere delle certezze.

L'elaborato si conclude con due appendici, una contenente alcuni documenti non pubblicati riguardo Colpalombo, trascritti grazie all'aiuto del Prof. Mezzanotte, e l'altra con immagini di alcuni documenti riguardanti il castello e i suoi abitanti, risalenti al tardo Trecento e alla prima metà del Quattrocento.





CAPITOLO I

L'INCASTELLAMENTO NELL'ITALIA CENTRALE E I CASTELLI DI GUBBIO


Pensando ad un castello, viene subito in mente una dimora da favola, con alte torri, misere prigioni e magari un fossato con un ponte levatoio.
In realtà, questa è solo la versione "romantica" del castello, in quanto questa struttura ha una storia più antica e leggermente diversa da come la si immagina di solito.
"Castello" deriva dal latino "castrum", ovvero "accampamento" ed indica una fortificazione con torri a volte accompagnata da un centro abitato; questi edifici, che sostituirono gli insediamenti sparsi, erano inizialmente strutture molto semplici, spartane, destinate alla vita militare e solo durante il Medioevo si modificarono fino a raggiungere la forma che noi oggi conosciamo.[1]
La nascita dei castelli in Italia va fatta risalire al X secolo: la maggior parte di essi sorse dall'accentramento di comunità mentre il castello privato come lo intendiamo oggi, dimora del signore e della sua corte, nasce per rispondere a delle necessità economiche e politiche, conseguenza di un cambiamento causato da un crollo delle istituzioni pubbliche.[2]
Alcuni storici affermano che l'incastellamento nell'Italia centrale durante i secoli X e XI sia dovuto a motivazioni economiche: la necessità di costruire un punto sicuro per i rifornimenti spinse i signori ad accentrare il potere in costruzioni chiuse, riqualificando il territorio, dissodando boschi, lottizzando terreni e creando quello che viene definito "borgo", una sorta di "villaggio residenziale" nel quale i contadini venivano invitati a risiedere con la concessione di privilegi e l'imposizione di condizioni particolari. Questa nuova struttura modificò enormemente la morfologia del territorio, creando dei poli non solo di attrazione demografica, ma soprattutto politica ed economica.
Un'altra teoria storica sostiene soprattutto la motivazione politica, affermando che i signori avevano bisogno di esercitare un forte controllo sul territorio per potersene servire allo scopo di entrare a far parte della gerarchia del potere legato alla ricchezza terriera. Questo mutamento avvenne tra il IX e XI secolo, quando il potere centrale divenne più debole e i signori cominciarono ad accentrarlo nelle loro mani: in questo periodo, il numero dei castelli nel territorio umbro aumentò notevolmente, grazie anche alla proliferazione dei feudi minori durante il X secolo; nonostante questo, non si verificò una generale pianificazione del territorio, in quanto in molte zone i contadini resistettero al potere locale dei signori: per questo motivo, tutto il centro Italia presenta una distribuzione non omogenea dei castelli.
Per quanto riguarda l'Umbria, data la conformazione geografica del territorio, possiamo ben capire come il sorgere di castra e fortificazioni di vario genere sia avvenuto in modo eterogeneo: la regione presenta ancora le caratteristiche di un tempo, le strette valli, le armoniose colline e qualche dolce pendio, oltre ai segni delle battaglie e dei cambiamenti apportati dalle epoche successive.
Sintetizzando le due teorie, posso affermare che l'erezione di un castello può essere dovuta ad entrambe le necessità, sia politica che economica, in quanto queste condizioni concorrono a delineare la costruzione di una particolare struttura che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo storico italiano ed europeo.
In questo capitolo tenterò di definire le caratteristiche dei castelli nel territorio di Gubbio.
Come afferma Piero Luigi Menichetti[3], lo studio dell'architettura fortificata nel territorio eugubino è difficilmente ricostruibile, ma partendo dalle testimonianze, dalle vendite e dalle donazioni possiamo notare l'evidente presenza di nomi nordici, il che giustifica alcuni movimenti avvenuti secondo la "nostra lege Langobardorum", la "nostra lege Salica" e la "lege Romana".
Menichetti individua anche tre punti sui quali riflettere nell'analisi dei castelli nel territorio umbro:

1. La struttura architettonica. Seppur varia, mostra gli elementi più caratteristici del castello: cinta muraria, una o più torri, il palazzo, il cassero, la scuderia e anche la chiesa.

2. La posizione. Di solito i castelli erano edificati su una collina, su un'altura o in ogni caso in un luogo che poteva essere difeso facilmente. Nel caso dei castelli dell'eugubino, essi sono costruiti in modo da poter sorvegliare le strade e i fiumi, ovvero i traffici e gli spostamenti. Si nota anche la particolare caratteristica delle colline spianate per potervi edificare il castello.

3. La proprietà. I castelli dell'eugubino appartenevano a signori, vescovi, monasteri o canoniche; solo quando cominciò ad affermarsi il potere comunale la proprietà divenne di sua giurisdizione. Il Comune mantenne vive queste strutture con contributi e ristrutturazioni fino a quando non divenne parte del Ducato di Urbino e fu costretto a ridimensionare le regole per la costruzione ed il mantenimento dei castelli.
Della grande varietà dei castelli feudali nel territorio umbro oggi rimangono ben pochi esempi: ciò è dovuto soprattutto alle ristrutturazioni e talvolta al vero e proprio "re-design" dei castelli avvenuto in epoca Rinascimentale. I primi castelli erano molto semplici, avevano appena un soggiorno e una grande camera in cui dormivano il castellano e la sua famiglia; le migliori condizioni economiche e un cambiamento di mentalità del XIII secolo portarono a modificare la struttura e il significato che il castello aveva: dagli antichi manieri-fortezze si è passati a dimore signorili o a borghi, dove le case hanno pian piano sostituito le antiche costruzioni.
Questo ultimo è il caso del Castello di Colpalombo, piccolo borgo di circa 250 abitanti a pochi chilometri da Gubbio, secondo per importanza storica solo alla città comunale. Molto si è discusso sul suo nome, la cui origine è incerta: le fonti riportano le forme "Colle Palumbo", "Colle Palombi", "Collepalumbo", "Collispalumbi" e "Colle Alombo" che sono probabilmente legate alla buona posizione per la caccia alle palombe; alcune ipotesi sostengono che "Palombo" o "Alombo" possa essere stato il nome del proprietario del colle. Naturalmente, oggi il castello è molto cambiato, ma a memoria del suo passato rimangono in piedi parti delle antiche costruzioni, sufficienti per poterne ricostruire la storia.


CAPITOLO II

LA DATA DI COSTRUZIONE DEL CASTELLO DI COLPALOMBO:

UN MISTERO DA RISOLVERE



L'esistenza del castello di Colpalombo è attestata per la prima volta nel diploma di Federico I Barbarossa, sancito a Lodi e datato 8 novembre 1163, dove l'imperatore concede alla città di Gubbio ampi privilegi ponendola sotto la sua protezione e confermandole tutti i suoi possedimenti tra i quali il castello di Colpalombo:
"In nomine sancte et individue Trinitatis. Fredericus Divina favente clementia Romanorum imperator et semper augustus. […] Ideoque universis sacratissimi Imperii nostri fidelibus presentibus ac futuris cupientes innotescere conventionem Eugubinae civitatis et civium quorum de servitio nostro quam fecerunt Bonactus Ecclesiae Eugubine electus et Benedictus prior eiusdem ecclesie maioris […] Monasterium sancti Petri et Monasterium sancti Donati cum ecclesiis et castellis suisque pertinentiis ad episcopatum predictum et ecclesias prenotatas attinentibus quorum hec sunt nomina. […] Colle Palombi […] "[4]
Pio Cenci riporta anche, pur con qualche dubbio, l'esistenza di un documento nel quale si afferma che durante la guerra tra Gubbio e Assisi, scoppiata tra il 1140 e il 1160, i castelli di Colpalombo e Giomici rimasero agli Assisani.[5] Dobbiamo quindi presumere che il passaggio di potestà su Colpalombo da Assisi a Gubbio sia avvenuto con l'editto di Federico, ma non sappiamo quale sia stata la situazione del castello durante il dominio degli Assisani.
Il potere di Gubbio sul castello di Colpalombo fu riconfermato dall'imperatore Enrico VI con un editto datato 5 giugno 1191 nel quale assolse gli Eugubini dalle offese a lui recate e permise loro di costruire la nuova città sul monte Ingino, riconfermando anche la protezione su alcuni beni.

"In nomine sanctissime et individue Trinitatis. Heinricus sextus divina favente clementia Romanorum Imperator et semper Augustus. […] Noverint itaque omnes amplitudinis nostre fideles tam presentis etatis quam future quod nos cives Eugubinos a banno imperiali absoluentes, omnes offensas quas contra nos vel nostros commisere nuntios eis sincere dimittimus, et nominatim fracturam arcium Eugubinj montis ab ipsis civibus Eugubinis factam, et res ab eis inde ablatas, et concedimus eis montem super civitatem positum undique cum suis appenditiis ad edificandam novam civitatem quam et informare et reformare suo eis liceat arbitrio. […] concedimus eis omnes suas possessiones ubicumque sint costitute […] Colle Palumbo […]" [6]
Allo stesso anno risale un documento di Papa Celestino III datato al 12 novembre nel quale si afferma che il pontefice riceve sotto la protezione della Sede Apostolica il Monastero di San Donato di Pulpiano confermandogli la proprietà di alcuni beni: come si legge nel diploma, non vi è solo il castello di Colpalombo, ma per la prima volta viene accennato all'esistenza di una chiesa:
"Celestinus episcopus servus servorum Dei. […] Preterea quascumque possessiones, quecumque bona idem monasterium inpresentiarum iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principium, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis procurante domino poterit adipissci, firma vobis vestrisque subcessoribus, et illibata permaneant. […] Castrum et ecclesiam sancti Egidii de Collepalumbo.[…]" [7]
Per trovare un altro documento che citi il castello di Colpalombo bisogna andare avanti di venti anni, fino al 1211: con un editto datato 14 novembre l'imperatore Ottone IV conferma i possedimenti di Gubbio, tra i quali vi è Colpalombo, riallacciandosi alla formula del diploma di Federico Barbarossa: .
"In Nomine Sancte et Individue Trinitatis. Otto Quartus Divina favente Clementia Romanorum Imperator et Semper Augustus.
Decet Imperialis Majestatis Celsitudinem fideluim petitiones benigne admittere et eorum justa vota et pia desideria pio favore complere. […] confirmamus Civitati Eugubine privilegia quondam Imperatoris Frederici et Imperatoris Henrici pie memorie predecessorum nostrorum; ut liceat Civibus ejusdem Civitatis augere Civitatem ipsam et informare et reformare suo arbitrio et concedimus et confirmamus eis omnes suas possessiones ubicumque sunt costitute […] Colle Palumbo […] [8]
Prima della riconquista di Ottone IV, la città di Gubbio visse un breve periodo di pace sotto la Chiesa, ma nell'anno del diploma l'imperatore dichiarò guerra a Papa Innocenzo III, che lo aveva incoronato nel 1208: anche il castello di Colpalombo, come tutto il territorio eugubino, passò di potestà sotto l'imperatore. La prima metà del XIII secolo rappresenta un momento travagliato per Gubbio ed il suo territorio, costantemente sotto le mire di Perugia e Città di Castello e in lotta con il Papato, dato che era rimasta fedele agli Svevi. Non ci sono documenti che ci riferiscano di preciso la situazione di Colpalombo alla fine del 1200: sappiamo soltanto che esso seguì le sorti della città e del comune.
Osservando attentamente la disposizione geografica di Colpalombo si può facilmente capire come esso rappresentasse un punto strategico di notevole importanza: il fatto che durante il X secolo lo stato concesse ai signori di costruire castelli a scopo difensivo e il diploma del Barbarossa (il quale potrebbe derivare da una concessione di un precedente imperatore) ci portano a supporre che Colpalombo possa essere stato costruito prima dell'anno 1100. E' molto probabile che concepire la costruzione anteriore al secolo XII possa portare all'ipotesi che Colpalombo non sia il classico castello basso-medievale (tipologia che compare in Umbria durante i secoli X-XI), ma una fortificazione arroccata su un colle a difesa del territorio a sud di Gubbio, probabilmente costruita con legno e graticci che solo successivamente vennero sostituiti da cinte murarie in pietra.
Potremmo anche azzardare una collocazione anteriore al X secolo e ciò ci porterebbe a collocare Colpalombo come punto di difesa lungo il fiume Chiascio contro le incursioni dei Longobardi.
Durante i secoli VI-VIII, i Longobardi imposero il loro dominio anche nell'Italia centrale, costituendo i ducati indipendenti di Spoleto e di Benevento; all'impero bizantino rimasero, oltre alla città di Ravenna, sede dell'Esarcato, la pentapoli marittima (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia ed Ancona) e la pentapoli annonaria (Urbino, Fossombrone, Jesi, Cagli e Gubbio), collegate alla città di Roma con numerose fortezze.
Come scrive Menichetti, i limiti della via fondamentale che collegava Roma a Ravenna, il cosiddetto "corridoio bizantino", erano protetti da città e confini naturali considerati punti di riferimento per la difesa (Città di Castello, Tuoro, Castiglione del Lago, Orvieto e il Tevere ad ovest; e ad est, da sud a nord, Terni, Bastia, Scheggia e il Chiascio). La strada di cui si parla, costellata da venticinque fortificazioni, non era la Flaminia, ma una via militare che legava Amelia a Todi, Bettona, Perugia e Gubbio, passando per Santa Cristina e congiungendosi infine a Pontericcioli.[9]
Dopo il crollo del regno longobardo ad opera di Carlo Magno e alla crisi dell'impero di quest'ultimo, i ceti cittadini delle città umbre si trovarono a possedere un grande potere politico che portò alla nascita del comune.[10] La necessità di proteggere questo potere spinse Gubbio a riallacciare i contatti con i castra e le fortezze sparsi nel suo territorio.
Il neonato comune corse un grave pericolo durante il 1154, quando la coalizione di città guelfe capeggiata da Perugia gli si mosse contro: nonostante la presenza delle fortezze lungo la strada, tra le quali Colpalombo, la città venne assediata e solo l'intervento del Vescovo Ubaldo permise la vittoria di Gubbio.
Il castello di Colpalombo viene anche citato nello Statuto Vecchio di Gubbio: le istituzioni cittadine corrispondevano una somma di denaro a coloro che avessero catturato un insolvente o un fuggitivo in base alla distanza tra il luogo della cattura e la città. Per una cattura avvenuta a Colpalombo il comune pagava due soldi e sei denari.[11]
Per concludere, non siamo in grado di stabilire la data precisa della costruzione del castello di Colpalombo: possiamo fare soltanto un'ipotesi, che esso sia antecedente al 1140 e forse anche al XI secolo, ma nulla ce lo può confermare in via definitiva.

CAPITOLO III

LA STRUTTURA DEL CASTELLO




Si può ipotizzare che l'area occupata da Colpalombo misurasse 5.000 mq, più o meno la grandezza standard di un castello, tenendo presente che, trovandosi in collina, ha una dimensione minore rispetto a quella di un qualsiasi maniero di pianura. Non sappiamo di che materiale fosse all'inizio della sua costruzione, anche perché ciò era determinato dalla formazione geografica del territorio, ma probabilmente venne ricostruito in pietra per migliorare il suo funzionamento.[12]



Per ricostruire la struttura e gli ambienti del castello possiamo cominciare da un documento piuttosto tardo, datato 26 dicembre 1378, nel quale il sindaco del castello di Colpalombo promette, a nome degli uomini del castello, di alzare una "torricella" per fortificazione e difesa di esso:



"Die XXVI mensis predicti. Bartolus Vagnotii de castro Collis Palumbi comitatus Eugubii, sindicus dicti castri […] promisit et convenit […] perficere et murarari facere omnibus expensis comuni set hominum castri prefati et ad optimam defensionem ponere turrioncillum dicti castri pro fortificatione et defensione eiusdem castri."[13]



Come si può leggere, oltre alla torricella, costruita forse per impellenti necessità difensive, sono citate anche le mura, di sicuro costruite in pietra prima del XIV secolo per cintare il perimetro del cuore politico e difensivo del castello. Le torri erano fondamentali, tanto da essere erette per prime nella costruzione di un castello: potevano essere di varie forme e dimensioni e di solito venivano spalmate all'interno con cera o resina per evitare infiltrazioni.



Una "torre" viene citata in un documento datato 14 dicembre 1384 e si presume che non sia la torricella, in quanto sembra essere più importante, tanto da avere bisogno di un guardiano: viene detto che Iohannes Angelutii detto Morena cessa la funzione di guardiano della torre del castello di Colpalombo e gli subentra il fratello Paulus[14] durante il mandato di capitano di Antonius Monaldutii iniziato il 10 aprile 1384.[15]



A sostegno della teoria che vi fossero due torri (una più grande edificata in precedenza e una più piccola costruita in seguito) oltre alle rovine tuttora visibili, vi è un documento datato 17 agosto 1431 nel quale si registra il pagamento di un certo Bartolomeo Gare di Gubbio per le riparazioni fatte a queste due strutture:



"Bartolomeo Gare de Eugubio merciario pro XII lib. agutorum ad eo empte pro aconcimine et riparatione turris et turrionis castri Collispalumbi anc. XII."[16]



La torricella, ancora visibile per i tre quarti delle pareti, è collocata nella parte ovest del centro storico, postazione dalla quale è possibile vedere la zona sottostante ed il fiume Chiascio attraverso una feritoia; la torre maggiore è poco distante, riempita nel corso degli anni e ben incastonata nel lato sud-ovest della cinta muraria rimanente.



Nella struttura tipica di un castello troviamo anche una costruzione chiamata "cassero" o nella terminologia più antica "cassaro": questo termine deriva dall'arabo "qasr" o dal bizantino "kastron", a sua volta derivante dal latino "castrum" vale a dire "castello, fortezza" (si trova chiamato anche "dongione"[17] o "girone"[18]) e indica la parte più alta e fortificata di una fortezza. Questa struttura nasce dalla necessità di racchiudere il perimetro costituito dal palazzo e dalla torre, simboli di potere e di difesa.

Non sappiamo quando il cassero del castello di Colpalombo fu edificato, ma sappiamo che venne fortificato nel 1411 da un certo Suppolino Masci che riceve un pagamento il 25 agosto dello stesso anno[19].



Altro elemento facente parte della dotazione standard di un castello è la cinta muraria: purtroppo, anche per questa (come per il castello in generale) non vi è una data precisa di costruzione ed è noto soltanto che nel 1438 fu presentata una petizione per restaurarla.[20]



Per definire quali altri edifici fossero presenti all'interno del castello ci viene in aiuto un documento risalente al 1465 ove si annoverano una cisterna, adibita al rifornimento idrico; la piazza centrale, luogo degli scambi commerciali e della vita pubblica; l'ospedale, punto di ricovero per gli abitanti del borgo e per i forestieri e, naturalmente, la chiesa, "anima" del castello.[21]

Questo atto, datato 24 marzo, testimonia la cessione di proprietà interne al castello da parte di Tomas Jacobi Passeri de castro Collis Palombi anche a nome di Johanna Morelli Rucheletti: gli stabili in questione sono vari casalini siti nel castello di Colpalombo, confinanti con la piazza del castello, la cisterna e le mura. Inoltre, lo stesso Tomas vende anche delle terre confinanti in più lati con l'ospedale del castello di Collis Palumbi.[22]

Con la parola "casalino", di origine trecentesca, ci si riferisce ad una piccola unità abitativa, di solito molto modesta: nel caso di Colpalombo, non sappiamo di preciso quando questi furono costruiti e possiamo solamente ipotizzare che fossero confinanti con la fortezza, posti più in basso rispetto agli edifici difensivi, in quanto potevano essere collocati limitrofi alle mura.

A sostegno di questa teoria del castello "a cipolla" possiamo osservare le porte del paese: la prima era forse quella che conduceva ai casalini, la seconda era interna e conduceva al cassero, al torrione, alla chiesa, all'alloggio dei soldati e alle scuderie.

Il nucleo primitivo del castello era costituito da un forte di legno sulla sommità della collina e dalle abitazioni che invece si collocavano ad est e ad ovest del blocco centrale: l'evoluzione in struttura in pietra si ebbe dal secolo XI al XII quando tutte le unità furono ricostruite, partendo dalla chiesa (che era il luogo di Dio, quindi "l'anima" del castello) e poi allargandosi alle case.
Per concludere, non abbiamo altre notizie che ci parlino delle abitazioni interne, delle scuderie o dell'armeria ed è quindi molto difficile farsi un'idea completa di come si presentasse il castello circa sei o sette secoli fa. Molto di quello che vi era una volta è stato sostituito nel corso degli anni e anche se fossero esistiti documenti a riguardo, sarebbe stato molto complesso ricostruire l'aspetto originale del castello. Quindi, si può solo fare uno sforzo di immaginazione osservando come Colpalombo si presenta oggi e porre come fatto che abbia mantenuto almeno in parte il suo aspetto originale.



CAPITOLO IV

LA VITA NEL CASTELLO



In questo capitolo si tratteggeranno i vari ambiti della vita dentro e fuori dal castello, cercando di dare una visione più organica possibile del modus vivendi della popolazione di un maniero medievale nel territorio di Gubbio.


IV. 1
L'ARTE DEL COMANDO


Essendo un centro di difesa e controllo del territorio, Colpalombo aveva al suo interno gli ambienti che permettevano la vita delle persone predisposte al comando e alla gestione delle attività primarie nel castello.
Naturalmente, è necessario fare una distinzione storica per le varie personalità di comando che si avvicendarono al suo interno. Le istituzioni iniziali, ovvero quelle comunali, sopravvissero fino al XIV secolo, ovvero fino agli scontri tra i guelfi e i ghibellini che sconvolsero l'Italia; nella seconda metà di suddetto secolo, nelle principali città umbre cominciò una vera e propria riscossa delle famiglie nobili che portò alla nascita delle signorie: di conseguenza, anche le istituzioni nei castelli cambiarono.
Sfogliando le riformanze del comune di Gubbio, la prima carica in cui ci imbattiamo è quella del capitano del castello.
La parola "capitano" deriva dal latino parlato "capitanum", da "caput" cioè "capo, testa" quindi in senso lato "guida, signore".

Nella terminologia comunale troviamo due tipi di capitano:

1.
Capitano del popolo: era un magistrato di parte popolare, che di fronte al comune dominato dai magnati, aveva la rappresentanza politica del comune espresso dalle Corporazioni.

2.
Capitano generale: nel comune, era un signore della città con poteri sia civili che militari.


Questa figura tipicamente basso-medievale, che ricopriva le funzioni tipiche del podestà, veniva da un'altra città o castello e durava in carica sei mesi. Egli aveva il compito di dirigere e difendere il castello o la città in cui esercitava: come riporta il "Libro delle entrate e delle uscite", risalente ai secoli XVII-XVIII, il capitano doveva far rispettare le leggi emanate prima dal comune e poi dal Duca di Urbino tramite il luogotenente, che viveva a Gubbio. Tra gli altri compiti, il capitano doveva sovrintendere alla manutenzione del castello e informare costantemente il luogotenente di ciò che accadeva al suo interno, facendosi tramite delle richieste e delle necessità degli abitanti, come le domande per gli appalti del mulino o i dazi sulla carne.

Naturalmente, i compiti del capitano e la durata del suo mandato mutarono con le condizioni del comune e le sue necessità: nel XIII e nel XIV secolo, la carica del capitano durava circa due mesi, nel XV secolo circa tre o sei e dopo XVI secolo sembra non ci fosse una data di scadenza al mandato.

Il primo capitano del castello di Colpalombo di cui abbiamo notizia fu tale "Franciscus Manni Francisci" che iniziò il suo mandato il 28 maggio 1376 e ricoprì la stessa carica nei castelli di Giomici e Caresto.[23]

Un capitano che esercitava in più castelli non era una cosa rara: i castelli di Colpalombo, Caresto e Giomici furono retti da Ser Baldus Dini dal 1 dicembre 1376[24], mentre Ser Andrea di Nicolutii di Assisio fu capitano dei castelli di Colpalombo e Caresto dal gennaio all'agosto 1435.[25] L'ultimo capitano fu "Pierus Paulus alias Thoso ser Gaudi de Eugubio". che iniziò il suo mandato il 20 giugno 1520.[26]

Lo stipendio del capitano era circa di tre fiorini d'oro al mese (tenendo presente che venivano calcolati anche i giorni di permanenza extra): come è annotato nel registro del Camerlengo di Gubbio, il 31 gennaio1385 Petrutius Vaggie veniva pagato tre fiorini d'oro il mese, mentre circa cinquanta anni dopo Agustino Mathey riceveva mensilmente due fiorini d'oro a ragione di trentaquattro bolognini a fiorino, quarantasette libbre e dodici soldi.[27] Generalmente, lo stipendio veniva conferito alla fine del mese, ma non era raro che questo slittasse: soprattutto durante il 1300, le finanze di Gubbio versavano in condizioni poco felici e ciò influiva notevolmente sui pagamenti ai dipendenti. È il caso di Jacobo domini Ubaldi de Eugubio, che iniziò il suo mandato di capitano il 23 maggio 1377 e venne pagato per i tre mesi e otto giorni di servizio il 22 agosto dello stesso anno con undici fiorini d'oro e ventisei soldi ravennati[28]. Minore tempo trascorse per Ser Nicolao Mactheii de Eugubio che venne pagato tre fiorini d'oro il 6 giugno 1379 a saldo del mese di maggio.[29]
Può sembrare strano (date le modeste dimensioni del castello), ma anche a Colpalombo vennero scelti capitani per altri castelli, come Passerino di Cola di Colpalombo che esercitò la carica di capitano a Castiglione Aldobrando dal 1431 al 1458: da notare innanzi tutto la durata del suo mandato, eccezionale se confrontata con quella dei capitani che esercitavano a Colpalombo.[30] Passerino esercitò un ottimo controllo sul castello, in quanto si trovò a gestire avvenimenti molto complessi come la campagna di Bernardino degli Ubaldini contro Niccolò Fortebraccio nei territori di Pietralunga e Città di Castello. Ospitò Francesco da Bologna, commissario di Filippo Maria Visconti, alleato dei Montefeltro e inviò messaggeri a Gubbio per informare della rimozione dell'accampamento di Taliano del Friuli.

Non era cosa rara che un capitano che aveva dimostrato di saper governare in modo retto ed adeguato venisse chiamato per esercitare in altri castelli, altre città o che addirittura venisse richiesto nello stesso luogo. Ser Baldus Dini venne eletto capitano di Colpalombo per la prima volta il 1 dicembre 1376, venne rieletto nel luglio-agosto 1390 per poi essere cassato il 25 ottobre dello stesso anno[31]. E' da sottolineare che più un capitano veniva richiesto in città importanti o in caso di eventi particolari, più costui acquistava importanza.

L'altra personalità politica di spicco nel castello era il
sindaco.

La parola deriva dal latino tardo "syndicum" cioè "rappresentante della comunità", adattato dal greco "syndikos", termine formato da "s??", insieme, e "d???", giustizia: egli era il capo dell'amministrazione comunale, veniva eletto ogni mese di ottobre e confermato a novembre dal podestà di Gubbio. I requisiti per ricoprire tale carica erano, oltre all'essere residenti nel castello, una buona indole, capacità ed un'età non inferiore a venticinque anni.
I nomi dei pretendenti alla carica di sindaco, scelti durante una riunione degli uomini nella sala del castello, venivano inseriti in un bussolotto; quindi, si procedeva all'estrazione durante una cerimonia alla presenza del sindaco uscente, tenendo presente che se veniva estratto il nome di qualcuno che aveva ricoperto la carica negli ultimi tre anni, l'operazione veniva ripetuta. Una volta eletto il nuovo sindaco, egli prendeva in custodia il bussolotto e lo conservava nel suo ufficio. La carica non poteva essere rifiutata: l'eletto rispondeva al podestà di Gubbio e a tutti gli altri ufficiali per ogni decisione sui delitti, le infrazioni punite e le ordinanze emanate nel castello; inoltre, era suo compito pagare il salario a tutti gli ufficiali del comune che lavoravano nel castello e riscuotere i dazi e le gabelle.
Ci sono pervenuti solo due nomi di sindaci del castello: quello di Bartolus Vagnotii, che esercitò nel 1378 (ma non si conosce la data di elezione) e quello di Silvester Mantie, eletto il 29 ottobre 1398.[32]
Capitano e sindaco erano quindi i detentori del comando, in altre parole coloro che si occupavano della burocrazia nel castello: essi ricoprivano i ruoli che permettevano di decidere e guidare la vita del castello e dei suoi abitanti, amministrando le attività della comunità e gestendo le relazioni con gli altri manieri o le città. L'attività del capitano e del sindaco era assistita dal Consiglio degli uomini, al cui interno quattro massari eleggevano un capo massaro: dal latino medievale "massarium", il termine massaro si riferisce a "massa", nel senso di insieme di fondi agricoli.
Poiché i massari avevano il compito di gestire al meglio la vita dei castellani e nel borgo, ci si poteva rivolgere a loro per risolvere ogni tipo di questione, poiché costoro erano gli amministratori dei beni del castello.
La presenza dei massari a Colpalombo è scarsamente documentata nei secoli XIV-XV: nell'unico documento che li cita, risalente al 29 luglio 1376, si dice che i massari di Villa Sant'Andrea de Represaglis e di Santa Maria di Valle della città di Gubbio facciano custodia in castro Colispalumbi.[33]
Possiamo affermare che il capitano, il sindaco e i massari fossero di sicuro le principali istituzioni nel castello, ma l'apparato burocratico funzionava anche grazie ad altre personalità con mansioni ben precise:

1.
Il balio. Il termine è una variante di "balivo" o del desueto "baglivo", derivante dal francese "baillif": nell'ordinamento feudale, designava un funzionario di nomina regia a capo di una circoscrizione territoriale.

2.
L'esattore. Come ci spiega l'etimologia, dal latino "exactore", "colui che tira fuori", era l'impiegato preposto a riscuotere le imposte e le gabelle del comune.

3.
Il depositario. Dal latino tardo "depositarium", era il tesoriere, cioè l'incaricato al controllo delle finanze del comune.

4.
Il notaio. E' un'istituzione di origine longobarda risalente allo VIII secolo d.C. che ottenne in seguito la "fides publica"; solo fra i secoli XI-XII gli atti notarili non ebbero più bisogno di essere sottoscritti da un magistrato.


IV. 2
LA CURA DEL CASTELLO:


AMBIENTI PUBBLICI E PRIVATI




Non bastava prendersi cura solamente della burocrazia: il castello aveva bisogno anche di un personale che si occupasse della sua manutenzione e del controllo delle sue strutture.
Tra le costruzioni del castello, quelle che ricoprivano un ruolo di primaria importanza erano le torri, fondamentali per la difesa, che avevano bisogno di uno o più custodi (a seconda della loro grandezza) che le mantenessero efficienti e in buono stato.

Nel dicembre 1384, il custode della torre Iohannes Angelutii alias Morena viene sostituito da suo fratello Paulus[34]. Naturalmente, i torregiani dovevano essere pagati: in un documento datato 29 giugno 1385 si riporta che il capitano del castello Petrutius Bartolelli e i custodi della torre ricevono il salario, anche se non viene detto a quanto ammontasse la paga di un custode.[35]

Anche il documento datato 16 ottobre del 1385 parla di un pagamento: Gilio de Fracta e Vico de Mercatello ricevono la paga di quattro fiorini da custodi di Colpalombo[36]: non sappiamo di preciso quale fosse stato il loro compito preciso, ma probabilmente si occupavano delle torri.

I documenti ci riportano nomi anche di altri turregiani del castello: Capeline Nuccioli e Nereus de Urbino custodiscono le torri di Colpalombo nel settembre 1390[37]; lo stesso impiego viene ricoperto nel febbraio del 1396 da Cecchus Petri e Dominicus Johannis de Urbino.[38]
Custodire le torri era soltanto una parte delle attività necessarie per mandare avanti il castello ed è quindi logico ipotizzare l'esistenza di vari responsabili per ogni ambito di attività, ricordando che l'entità del personale dipendeva dalla grandezza e dall'importanza del maniero. Vi saranno state delle scuderie e quindi sicuramente degli addetti alla cura e alla pulizia dei cavalli; vi sarà stata un'armeria, luogo in cui conservare e fare manutenzione delle armi e naturalmente vi sarà stato del personale adibito a questo compito.
Possiamo immaginarci anche come si svolgesse la vita di coloro che lavoravano dentro le stanze del capitano e in generale nei luoghi privati del castello: c'era del personale con il compito di rassettare le stanze e provvedere al loro riscaldamento ( l'unica fonte di calore era il fuoco dei camini, che doveva essere mantenuto costante per evitare il raffreddamento) e addetti ad accendere le candele quando si faceva buio; possiamo sforzarci anche per immaginare il lavoro in cucina, con i cuochi e gli addetti ai rifornimenti.
Non possiamo sapere quanto lusso vi fosse nel castello: non era molto grande, ma il capitano aveva "diritto" ad una sistemazione quanto più comoda possibile e doveva essere in grado di garantire lo stesso agli ospiti che arrivavano in visita.
La stanza principale era il salone, con un tavolo in legno e scranni per potersi sedere: in questo luogo avvenivano i pranzi e le occasioni conviviali. L'arredo doveva essere ricercato, con arazzi alle pareti, e anche le suppellettili rispondevano al rango dell'inquilino.[39]
Se il capitano e le personalità importanti potevano contare su sistemazioni che potremmo definire buone, gli abitanti del castello e del borgo non vivevano altrettanto comodamente.
Le abitazioni del borgo erano molto simili a celle di una prigione, piccole e illuminate male da piccole finestre e candele fatte con il sego, che rilasciavano un fumo nero e acre; i camini le riscaldavano poco e male e la situazione migliorò solo con l'introduzione delle vetrate, che evitavano la dispersione di calore. Il mobilio era ridotto e modesto: nella stanza principale (spesso l'unica) vi era un tavolo circondato da panche e una madia per conservare il pane e gli altri generi alimentari; le stoviglie erano poche e poco rifinite. Un mobile fondamentale era il letto: fatto d'assi, veniva coperto da un "materasso" fatto di penne o di paglia (le foglie di granturco furono usate solo dopo il XVI secolo) e di solito era corto e largo, in quanto vi dormivano più persone.
Purtroppo, è difficile descrivere precisamente gli ambienti del borgo perché mancano reperti dell'epoca medievale, quindi ci si deve basare solo sulle somiglianze del castello di Colpalombo con altri manieri dello stesso periodo, ma meglio conservati.

IV. 3
VITA QUOTIDIANA E MOMENTI DI STORIA



In ogni modo la vita era dura per tutti, sia dentro che fuori dal castello, ma in particolare per chi viveva nel borgo e nella campagna circostante: la popolazione si occupava principalmente delle attività necessarie alla sopravvivenza, come il raccolto o la caccia, sotto la guida del sindaco o dei massari, conducendo una vita semplice e modesta.
Il compito principale degli uomini era quello di coltivare i campi intorno al castello, in quanto l'agricoltura era la fonte principale di sostentamento; un'altra attività importante era la caccia: veniva svolta non per sport, ma per procacciarsi della carne saporita per i giorni di festa e per ridurre di numero quelle specie che distruggevano i raccolti come cinghiali e caprioli.

L'attività agricola era concentrata sui terrazzamenti che circondavano il castello, in quanto la collina non permetteva di avere a disposizione vasti appezzamenti per le coltivazioni; possiamo ipotizzare che i prodotti coltivati fossero l'ulivo e la vite, oltre ai vari cereali che si presume fossero alla base della dieta dei contadini.

Dai documenti dell'epoca, sembra che il contratto più frequente fosse l'enfiteusi: dal greco "emfitéuo", "migliorare la terra", prevedeva la concessione di un fondo, in perpetuo o a tempo determinato, con l'obbligo di migliorarlo. Di solito il contratto veniva stipulato tra il contadino e il signore, me nel caso di Colpalombo si pensa che fosse il capitano a gestire le enfiteusi. Durante i secoli XI-XV, quando le tecniche agricole si perfezionarono, nacquero le signorie fondiarie: si coltivarono aree più grandi in minor tempo e le condizioni di vita dei contadini e anche dei signori migliorarono sensibilmente.

In quanto alle donne, le loro mansioni principali erano la gestione della casa, la cura dei figli e la tessitura della lana, svolte per la maggior parte del tempo entro le mura domestiche o in stanze a loro destinate; le donne più capaci e coraggiose venivano reclutate per formare il personale sanitario della Villa e del Castello, attivo soprattutto durante gli assedi o le epidemie che spesso si scatenavano per la scarsa igiene.

La vita delle donne era particolarmente dura: in genere, le fanciulle venivano allevate con lo scopo di diventare buone mogli quindi il capofamiglia doveva fare buona guardia alle figlie femmine. La situazione cambia poco se si parla delle donne ricche: spesso sono istruite, anche se non è un requisito fondamentale se non si ha come destino la vita monastica.

La famiglia medievale è solida, si mantengono stretti legami e si cerca di vivere vicini anche in rispetto della morale cristiana; il nucleo famigliare è spesso numeroso, anche se la mortalità infantile è piuttosto alta. E' molto forte il sentimento del privato, anche se si estende a tutta la parentela.[40]

Sembra che la vita nel castello scorresse piuttosto monotona, scandita dai ritmi del lavoro e dalle feste cristiane: il divertimento era infatti relegato alle occasioni particolari, come matrimoni, battesimi o celebrazioni religiose in cui si riuniva tutta la comunità. Ogni tanto, l'arrivo di giocolieri e saltimbanchi (a volte anche di ladri) costituiva una piacevole novità che movimentava lo scorrere sempre uguale della vita nel borgo.

Altre volte, furono avvenimenti non proprio divertenti a scuotere la monotonia: gli uomini di Colpalombo furono protagonisti di una sortita al castello della Biscina nell'anno 1360, durante la guerra tra Perugia e la Chiesa. Per raccontare questo fatto ci viene in aiuto Ser Guerriero, uno dei maggiori cronisti della storia di Gubbio:

"In quisto anno essendo la Biscina de mes. Giovanni da Siena, commo de sopra è dicto, havendo lassato per castellano uno d'Asciano, contà de Siena, fu 'namorato de una sorella de uno cenciaio, a la quale spesso de notte ve ne andava et lassava lo sportello del cassaro aperto.

Una nocte, certi che de ciò haveno notizia, de fine che el castellano steva con la vaga, loro intraro in lo cassaro et tolsero el cassaro et el castello et fecero gran guerra a Ugubio.

Et uno dì cavalcando quelli fanti, che erano lì a Colpalonbo, foro presi; el perché quelli de Colpalonbo ebbero la Biscina, la quale fo messa in le mani del governatore de Ugubio et fo preso el castello per la G"hiesia.[41]

Questo è l'unico evento di guerra in cui si parla di Colpalombo, in quanto non vi sono cenni al ruolo del castello nelle battaglie che videro protagonista la città e il territorio eugubino.

Nel registro del Camerlengo di Gubbio vi sono però registrati dei pagamenti a messi giunti a Colpalombo durante il periodo in cui la città divenne meta del passaggio di numerose compagnie di ventura che, disoccupate, giunsero in Italia: la città non aveva i mezzi né per assoldarle né per ingaggiare battaglie contro di loro, quindi si limitava a tenerle buone, ma d'altro canto provvedeva ad informare del loro arrivo tutte le fortezze del suo territorio.[42]

Il 3 settembre 1377, il messo Angelo Cagni, giunto a Colpalombo, Giomici ed altri castelli, viene pagato cinque anconetani[43]; Donado, arrivato a Colpalombo, Caresto e Giomici, viene pagato il 18 ottobre dello stesso anno due anconetani.[44]
Il passaggio delle compagnie di ventura fu solo uno dei tanti problemi che Gubbio dovette affrontare durante la seconda metà del XIV secolo: lo scontro tra la fazione dei ghibellini e quella dei guelfi assunse toni sempre più accesi e iniziarono le ascese di molte famiglie nobili.

Per quanto riguarda Gubbio, si deve accennare all'ascesa al potere dei Gabrielli, che da famiglia signorile divennero una stirpe principesca che impose il proprio dominio sul territorio comunale. Una particolare congiunzione di fatti portò questa famiglia, sostenitrice della fazione guelfa, a mantenere a lungo il potere su Gubbio, ma quando la città si trovò schiacciata dalle pressioni di Perugia a sud e di Città di Castello a nord il potere dei Gabrielli non poté nulla: abbattuta la signoria, vennero rase al suolo le torri cittadine in modo da evitare ogni tipo di resistenza interna e Gubbio si dette ai Montefeltro.

Il passaggio effettivo della città avvenne nel 1384, ma per quanto riguarda il suo territorio (quindi anche per il castello di Colpalombo) non c'è una data precisa, anche se probabilmente avvenne poco dopo. Da questo momento in poi, Colpalombo segue le sorti del Ducato di Urbino fino al 1861, quando Gubbio viene riannessa all'Umbria.

Abbiamo poche notizie risalenti ai primi anni del XV secolo, la maggior parte delle quali è desumibile dai registri del Camerlengo di Gubbio e riguarda pagamenti a funzionari della città o ad artigiani richiesti dal castello: un esempio è quello di Suppolinus Masci, mandato come messo per riparare il cassero del castello il 25 agosto 1411[45].

E' curioso che nel registro si annotassero anche ricompense per aver catturato un cavallo: succede il 5 settembre 1412 quando Angelo Dominici de castro Collispalumbi riceve quattro anconetani per aver riportato a Gubbio un cavallo sottratto alla compagnia degli Sforza.[46]

Intanto, continuarono ad essere mandati messi che annunciavano l'arrivo di eserciti: il 16 ottobre 1412, Ricardutio de Lamolis per Nannem de Ubaldinis fu mandato a Colpalombo dal Commissario del Duca con "licteris bone custodie", lettere ben custodite, quando gli Sforza erano accampati a Colmollaro e venne pagato tre anconetani[47]. Martino de castro Collispalumbi arriva nella notte del 7 novembre 1412 con lettere che notificavano l'arrivo della Societatis Tartalgle.[48] Tre giorni dopo, Angelus Dominici et Johachinus Vagnoççi de castro Collispalumbi arrivarono con lettere annunciando l'arrivo degli Sforza nella città di Gubbio e vennero pagati sei anconetani.[49]

Si registrano arrivi a Colpalombo anche nell'anno 1433: Baldo Mey ser Petri giunge con lettere riservate per i Castelli di Biscina, Petroia e Colpalombo e viene pagato cinque anconetani.[50] Il 16 luglio Marino Chiocci de Eugubino viene pagato diciotto anconetani per il periodo che ha trascorso presso il capitano di Colpalombo durante la guerra con Niccolò Fortebraccio.[51]

L'anno successivo si ha invece notizia di una partenza da Colpalombo: tale Mondutio Bectoli viene pagato per aver accompagnato in carrozza la duchessa Caterina Colonna, seconda moglie di Guidantonio da Montefeltro, a ricevere l'indulgenza ad Assisi; il registro non riporta la data precisa di questo spostamento, ma la cerimonia dell'indulgenza si svolse il 2 agosto di quell'anno, quindi è lecito supporre che la duchessa abbia risieduto a Colpalombo nei giorni precedenti e abbia lasciato il castello alla fine di luglio.[52]

Il registro del Camerlengo ci aiuta a definire anche le relazioni che il castello di Colpalombo intratteneva con i manieri vicini: il 12 ottobre 1443, il capitano Ser Agustino Matheii venne pagato due fiorini al mese a ragione di trentaquattro bolognini per fiorino, quarantasette libbre e dodici soldi, non solo per aver ricoperto la carica, ma anche per aver avuto cura di Magrano.[53]

Per avere un altro documento che ci permetta di tratteggiare la vita all'interno del castello bisogna arrivare al 1451: il 20 ottobre, Pieranthonius Casparis de Petrolis di Perugia, abitante a Gubbio, cedette i crediti che la città gli doveva per il periodo in cui aveva esercitato il suo mandato a Colpalombo a tale Angelus Nicolai alias "de le scarpecte", anche lui residente a Gubbio.[54]
Sembra però che Colpalombo non fosse solo un punto importante per la difesa del territorio eugubino e che gli abitanti del suo borgo vedessero anche personaggi che sono entrati a far parte della "Storia": un evento da ricordare fu il soggiorno del Duca Federico di Montefeltro il 16 luglio 1464, raccontato da Ser Guerriero nelle sua cronache:

"A dì 16 de luglio, dicto anno, el signore conte partì da Ugubio et andò per darse piacere in la riva del Chiascio, et lì desinò la sera.

Andò ancora a Colpalonbo, et l'altro dì, cacciando, fine a Caresto, a desinare a Colpalonbo, et la sera a Ugubio"[55]

E' un episodio che testimonia come Colpalombo fosse più noto a quel tempo di quanto non lo sia oggi e che rappresentasse un luogo non solo importante politicamente e militarmente, ma anche dal punto di vista dello svago: non era certo una delle mete più frequentate, ma il fatto che Federico lo abbia scelto per un suo soggiorno venatorio è indicativo almeno della fama e del buon nome del luogo.
Per concludere questo capitolo sulla vita a Colpalombo e sugli eventi che lo hanno avuto come sfondo, cito gli ultimi documenti risalenti all'epoca medievale che aggiungono un altro tassello alla sua storia: il 28 febbraio 1477 viene saldato un contratto fatto dal capitano del castello[56], mentre il 3 dicembre dello stesso anno, Augustinum et Antonimi de Castro Collispalumbi, Iohannes Angelutii e altri personaggi registrano una pacificazione di fronte ad un giudice.[57]

Purtroppo non sappiamo altro su come sia stata la vita a Colpalombo durante l'era medievale e quali altri eventi siano accaduti; poco è noto anche dell'epoca successiva dato che trascorrono circa trent'anni tra la pacificazione e il documento successivo (datato 1504) e ciò costringe solo a fare delle ipotesi, senza avere delle basi certe.


CAPITOLO V


L'ANIMA E IL CORPO


V. 1
LA CHIESA DI S. EGIDIO


Un centro di aggregazione della vita del castello era la chiesa, luogo non solo di culto, ma soprattutto di incontro e comunicazione tra gli abitanti: popolani e capitani, soldati e contadini si ritrovavano insieme mentre il suono della campana scandiva la vita del castello e del borgo. Nelle messe domenicali si rendevano partecipi i castellani di quello che succedeva: si rendevano pubbliche le disposizioni generali circa le attività del castello e si informava sulle notizie che provenivano dall'esterno, come stipulazioni di alleanze, accordi di pace o dichiarazioni di guerra; inoltre, in chiesa il popolo incontrava gli ospiti illustri del castello.

La chiesa era anche il punto in cui informarsi sulle altre famiglie, sulle nascite, sulle morti e i matrimoni.

L'esistenza della chiesa di Colpalombo è dimostrata dal già citato documento risalente al 1191 in cui Celestino III conferma sotto la sua protezione il monastero di San Donato e le proprietà ad esso appartenenti, tra le quali il castello di Colpalombo e la Chiesa di Sant'Egidio.[58]
Sembra una costante quando si parla di Colpalombo, ma anche su Sant'Egidio abate (Gilles in francese), patrono della Chiesa, sappiamo veramente poco: la sua vita venne composta nel X secolo ed è un susseguirsi di eventi prodigiosi legati ad una cronologia fantastica. Come recita la Bibliotheca Sanctorum "l'episodio più popolare è quello della cerva data a Sant'Egidio da Dio per fornirlo di latte: inseguita in caccia, fu il santo che ricevette la freccia tirata dal re, che divenne allora amico del pio solitario, gli fece alloggio nel territorio e gli costruì un'abbazia".[59]
Non ci sono altri documenti sulla chiesa di Sant'Egidio fino ai decimari del XIV secolo, in cui si registrano i pagamenti delle strutture ecclesiastiche, ed entrambe le note che la riguardano sono datate 1333:

"Item habui a Mucio Deotaiuti syndico Monasterii S. Bartolomei de Pretorio solvente pro ecclesiis SS Martini de Vacharia et Egidii de Colle Alombo pro dicto termino XL sol. cor."[60]

In questa nota viene registrato il pagamento di quaranta soldi cortonesi da parte del sindaco del monastero di San Bartolomeo per le chiese di Vaccheria e Colpalombo; nella nota successiva, il cassiere del monastero di San Donato paga per le chiese suddette quaranta soldi ravennati:

"Item habuit a domno Andrea camerario monasterii S. Donati de Petrorio solvente pro ecclesiis SS Egidii de Colpalumbo et Martini de Vacaria XL sol. reven."[61]
La chiesa di Sant'Egidio, tuttora esistente, si trova nella parte alta del paese. Essa è costituita da una sola navata a tre campate, ma sappiamo che il suo aspetto è cambiato negli ultimi sessanta anni: all'incirca negli anni Trenta, l'entrata era collocata al centro della parete sud e vi si arrivava tramite due rampe di scale, la più breve delle quali, passante sotto il campanile, è tutt'ora in uso. Se la chiesa ha mantenuto almeno in parte la posizione che aveva sette secoli fa, possiamo ipotizzare che non fosse troppo grande, in quanto lo spazio in cima alla collina è piuttosto ridotto.

Fra i tesori appartenenti alla chiesa vi sono una tela ed una statua lignea raffigurante Sant'Antonio abate, di grande valore, attualmente sottoposte a restauro.
Sant'Egidio non era però l'unico oggetto della devozione degli abitanti di Colpalombo: nei documenti risulta una forte devozione per Sant'Urbano Papa, successore di Papa Callisto, che sedette al soglio pontificio dal 222 al 230. Non sappiamo molto della sua vita, a volte documentata in modo contraddittorio. Urbano venne sepolto nel cimitero di San Callisto, ma c'è indecisione sulla data: alcuni sostengono il 19 maggio mentre il martirologio fissa la sua ricorrenza al 25 maggio.[62]

Com'è stato già detto, le notizie sulla vita di Urbano sono poche e vaghe, altre addirittura leggendarie ed è per questo difficile ricostruirne le gesta e capire come mai fu scelto come patrono del castello di Colpalombo.
E' molto improbabile che Urbano sia stato scelto come patrono perché martire o protettore dei vignaioli: gli storici e gli agiografi hanno dimostrato che non fu né l'uno né l'altro osservando la diversa iconografia del santo in Italia e in Germania.
In Germania, e anche in alcune rappresentazioni del nord della Francia, il santo è raffigurato con un grappolo d'uva in mano, mentre nell'iconografia italiana ha le sembianze di un pontefice canuto, con un'ampia tonsura e poca barba. Questa differenza di rappresentazione è dovuta alla confusione tra la figura di Sant'Urbano Papa e Urbano vescovo di Langres, patrono dei vignaioli.[63] Le raffigurazioni del santo si trovano nelle catacombe di San Callisto (VI secolo), nell'oratorio di S. Prudenziana a Roma ( XI secolo) e negli affreschi della chiesa di S. Urbano alla Caffarella ( X-XI secolo) che contenevano anche le narrazioni della sua vita, ormai perdute; Sant'Urbano è anche rappresentato nelle varie fasi della sua vita nella Cappella Sistina, nel vestibolo di Santa Cecilia in Roma.
Purtroppo, a Colpalombo non ci sono raffigurazioni del santo che ci aiutino a capire come mai sia stato scelto Urbano come protettore del castello.

V. 2
GLI ALTRI LUOGHI DI CULTO NEL TERRITORIO DI COLPALOMBO




La chiesa di S. Egidio non era (e non lo è tutt'ora) l'unica di Colpalombo. Come si legge nei documenti, esistevano almeno altre tre chiese ed una cappella all'interno del castello: per ottenere delle informazioni su questi luoghi dobbiamo però analizzare le visite pastorali svoltesi nella diocesi di Gubbio durante il XVII secolo.[64]
Dal resoconto della visita svoltasi nel novembre 1635 si legge dell'esistenza di una Cappella detta "del Crocifisso", posta sopra la porta del castello, appartenente alla Confraternita del Santissimo Sacramento. Lunga e larga quindici piedi (circa tre metri) e alta diciotto, conteneva un affresco raffigurante Gesù crocifisso con la Madonna e San Giovanni "dalle bande" (ovvero ai lati della croce), Maria Maddalena ai sui piedi e due angeli in cielo con dei calici in mano. Il relatore la giudica però un'opera mediocre, poco degna di nota.

Lo stesso cronista racconta gli usi dei confratelli e dice che "la loro chiesa è la cappella suddetta del Crocifisso dove fanno la festa loro principale il secondo giorno di Pentecoste e il giorno del Corpus Domini".[65]

La cappella viene citata anche nella relazione della visita pastorale svoltasi il 19 giugno 1693, nel quale si riporta un ordine del vescovo riguardante la sua manutenzione:
"Il Vescovo ordina che si faccia una grata nuova di ferro o legno nella parte anteriore della detta chiesa e finchè le cose predette non saranno fatte la dichiarò sospesa proibendo in essa la celebrazione di messe".[66]
Nello stesso documento, oltre alla suddetta cappella, vengono elencate anche altre chiese esterne al castello.
La più vicina è la Chiesetta del Trebbio, tuttora esistente: si trova a poche centinaia di metri dal centro del paese ed è rinomata per il prezioso affresco di Matteo da Gualdo contenuto al suo interno raffigurante la Madonna in trono tra i santi San Sebastiano e Santo Vescovo: l'opera è datata 1484, quindi la chiesa era di sicuro esistente prima di questa data, ma non abbiamo documenti che ci riferiscano quando venne edificata.

Se non possiamo conoscere la data di costruzione della chiesa, possiamo almeno provare a ricostruirne la storia partendo dal suo nome. Il vocabolo "trebbio" ha diverse etimologie:

1. dal latino "tribulum" cioè "trebbiatrice, strumento per battere (terere) il grano": indica un utensile per sminuzzare e setacciare il grano.

2. dal latino "trivium", "crocicchio, incontro di tre vie"
Osservando la posizione della chiesa e l'uso che se n'è fatto possiamo capire come entrambe le definizioni siano corrette: la chiesetta si trovava proprio all'incrocio di tre vie (ora sono quattro) e fin dal XVIII secolo fu utilizzata come magazzino per riporre attrezzi agricoli e foraggi.
La seconda chiesa è quella di Santa Maria del Ponte: posta nella via pubblica presso il ponte sul fiume Chiascio che porta al castello, apparteneva alla comunità di quel luogo. Il cronista del 1693 ci descrive un unico altare con un'icona dipinta alla parete e ci informa che viene celebrata la festa il 5 agosto, ricorrenza della Madonna della neve.[67]
Le ultime due chiese riportate nel racconto della visita del 1693 sono quella di Sant'Andrea dell'Anatrara, appartenente alla canonica di San Secondo di Gubbio, e quella di San Martino di Vaccheria, nominata anche nei decimari del Sella[68]. La chiesa, tuttora in piedi ma in pessime condizioni, era decorata con affreschi e con una tela bellissima in una cornice lignea.[69]

Dalla presenza di queste chiese ci viene confermata la grande religiosità degli uomini e delle donne di Colpalombo, oltre a confermare la convinzione che l'Umbria sia una terra di santi e di forte devozione; se vogliamo ragionare in termini razionali, potremmo pensare che una così alta densità di luoghi di culto sia dovuta alla sottomissione per lungo tempo del territorio umbro allo Stato della Chiesa, punto di riferimento non solo religioso ma anche politico. È come se questo territorio sia in un certo modo portato a dimostrare la propria religiosità, senza nulla togliere al vero sentimento e alla devozione che sempre accompagnano e scandiscono la vita in campagna.

V. 3
L'OSPEDALE E LA RETE ASSISTENZIALE




Un capitolo veramente importante della vita nel Medioevo riguarda la sanità: durante questo periodo storico le condizioni igieniche delle popolazioni peggiorarono sensibilmente e divenne necessario correre ai ripari attraverso la creazione di strutture adibite alla cura dei malati.

Le prime forme di assistenza ospedaliera nacquero dall'attenzione sollecitata dalla Chiesa attraverso i vari Concili, nei quali si cercava di sensibilizzare il clero circa la cura dei malati e degli indigenti.

Menichetti riporta alcune decisioni prese dai Concili:

1. La regola di Crodenago del 763 d.C. spingeva i vescovi a predisporre un asilo per stranieri e mendicanti vicino alle basiliche.

2. Nel 899 d.C. il Concilio di Nantes intima ai parroci di prendersi cura degli infermi.

3. Il Concilio di Valladolid del 1322 vieta agli ebrei di praticare la medicina e soprattutto la chirurgia sui cristiani e ciò limitò molto la sviluppo dell'attività sanitaria.[70]
Queste entità di recupero e sostegno, dette anche "tetti", sorsero in un momento particolare, l'Alto Medioevo, in cui i popoli sentivano il bisogno di avere un punto d'appoggio, un luogo sicuro che non fosse solo di aiuto per il corpo, ma che rappresentasse anche un appiglio per la fede, un simbolo delle virtù cristiane e della speranza: è per questo che la funzione ospedaliera venne legata all'ambito religioso. Ciò non escludeva l'esistenza di nosocomi laici, ma in genere quelli religiosi erano più puliti e ordinati.

Durante il Medioevo, con la nascita degli ordini religiosi nel periodo delle Crociate, gli ospedali divennero i centri più importanti di diffusione e consolidamento della morale cristiana: di fatto fino al Rinascimento, la maggior parte delle strutture ospedaliere fu gestita da ordini religiosi, fra i quali vanno ricordati gli "Ospedalieri di San Giovanni", più noti col nome tardo di "Cavalieri di Malta".
Durante il Medioevo, le strutture ospedaliere si modificarono con il passare degli anni, adattandosi alle esigenze della popolazione e anche ai mutamenti culturali e sociali; Menichetti ne elenca le varie tipologie[71]:

1. HOSPITALES: la voce "ospedale" proviene dal latino "hospitalium", aggettivo di "hospes", cioè "ospite". Le forme più antiche di assistenza di tipo ospedaliero risalgono al III secolo, quando le chiese avevano un ospizio denominato "xenodochio" (dal greco xenodokeion "luogo per accogliere gli ospiti"), gratuito per i forestieri.

Queste strutture offrivano un alloggio certo in cambio dei loro miseri averi e magari del loro contributo alla comunità. Monasteri, Confraternite, Ordini Monastici e Chiese erano i principali conduttori di ospedali ed erano in grado di mantenere efficienti queste strutture grazie ai contributi della comunità e ai lasciti di famiglie ricche, senza contare un'oculata gestione delle rendite.

2. INFERMARIE: voce desueta per "infermerie", dal latino infirmus, "infermo, malato". Indica una zona adiacente un convento o un monastero dove i monaci esperti di botanica offrivano cure e preparati medici ai confratelli o a chi ne aveva bisogno.

3. LAZZARETTI e LEBBROSARI: sono luoghi in cui avremmo potuto vedere gli effetti di un male che ha segnato profondamente il periodo medievale. La lebbra non era solo una gravissima malattia, ma un segno, una condizione che modificava la comunità.

I malati erano isolati, non avevano più contatti con gli altri, non avevano diritti in quanto fonte di contagio: l'unica cos che potevano, anzi dovevano fare era portare dei segni di riconoscimento, come una tunica bianca o un campanello al collo che suonasse al loro arrivo.

I lazzaretti si trovavano fuori della città, proprio per evitare il contagio ed erano gestiti da religiosi, come l'Ordine dei Lazzaristi fondato durante le crociate.

4. SALE: si intendono dei luoghi ad un solo piano, ad una o più navate, non divisi internamente. Possiamo affermare che questa struttura è molto vicina all'ospedale moderno, ove sono curati tutti i disturbi.
A Gubbio esistevano sessantatre hospitales, guidati o da ordini religiosi, o dal Comune o dalle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri; non conosciamo il motivo di tanta abbondanza (ricordando che a volte si chiama ospedale una struttura con un solo letto), ma possiamo dedurre che l'ospedale fosse un punto di riferimento molto importante, come la chiesa, dove non si ricevevano solo cure per il corpo ma anche conforto per lo spirito: in un'epoca di incertezza e di ignoranza, la fede era l'unico appiglio e la preoccupazione per ciò che sarebbe venuto dopo la morte invitava i ricchi, ma anche i meno abbienti, ad assicurarsi almeno il Purgatorio con donazioni e lasciti alle chiese e agli ospedali. Con il passare degli anni, la mancanza di fondi causò una veloce decadenza delle strutture ospedaliere: gli ospedali che non avevano abbastanza denaro per sopravvivere o erano sotto la guida di Corporazioni cadute in disgrazia o cedettero tutti i loro averi a strutture più grandi, come lo Spedal Grande di Gubbio, creato nel XIV secolo, o cessarono di esistere.
Nella lista dei sessantatre ospedali presenti nel territorio eugubino è citato anche quello di Colpalombo: purtroppo, le notizie a riguardo sono quasi inesistenti, sappiamo solo che esisteva già nel 1464, ma non ne conosciamo la giurisdizione (ovvero, sotto quale Ordine o Confraternita fosse), né la grandezza o il funzionamento; e poco possiamo supporre riguardo alla sua collocazione all'interno delle mura.
Sappiamo che il territorio di Colpalombo era legato ad un altro ospedale, quello di San Pietro in Vigneto o Castro Pilli: questo fu edificato nel 1336 come riporta una copia autentica di riformanza del comune di Gubbio datata 23 agosto 1336 riportata da Menichetti[72].
In un documento datato 13 aprile 1350, tale Petrutius Andruccioli Angeli de Eugubio lascia, per la sua anima, all'ospedale di Castro Pilli un terreno posto al Vocabolo Vaccaria di Colpalombo[73]; lo stesso Petrutius, con un atto datato 16 agosto 1363, fa un altro lascito di terre site in Colpalombo a Castro Pilli:
"sito iuxta Castrum Pilli, comitatus Eugubii, pro reparatione et rehedificatione tecti ipsius, unam petiam terre sita in Curia Castri Collis Palumbi in plano Vaccherie…"[74]
Anche se sappiamo poco dell'ospedale sito nel castello di Colpalombo, possiamo supporre che esso facesse parte della rete assistenziale che legava tutti i nosocomi e le strutture ospedaliere presenti nel territorio di Gubbio: questa era fondamentale perché permetteva lo scambio di informazioni e di cure e garantiva un'assistenza sicura. Quando gran parte degli ospedali cadde in disuso per la costruzione dello Spedal Grande, anche la rete assistenziale cessò le sua attività.



CONCLUSIONI

Dalla mia ricerca è emerso che il castello di Colpalombo ha una storia frastagliata: non si conosce la data di costruzione, poco si sa dei suoi abitanti e ancora meno della loro vita. Il mio è comunque un tentativo di riscoprire una storia dimenticata partendo da fatti storici: il percorso intrapreso ha portato a risultati insperati e ad una maggiore consapevolezza del luogo in cui vivo.
In questi tre anni ho frequentato un corso che si propone di formare operatori nel campo della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo: penso che per promuovere veramente un prodotto, un'idea o un progetto bisogna conoscerlo davvero, in ogni minimo dettaglio. È quindi impensabile per me esportare e promuovere la cultura italiana senza conoscerne un aspetto così importante come la storia.
La storia, non quella fatta dai grandi nomi, ma dalle persone comuni, che hanno lavorato, riso, sudato tra le mura del mio paese è stato il mio obiettivo in questo lavoro: ricostruire come si lavorava, come si combatteva o si viveva quotidianamente in un piccolo centro come Colpalombo e cosa è ancora utilizzabile di allora, quali condizioni e sistemi sono ancora applicabili alla nostra epoca.
Perché concentrarsi su un piccolo paese a non su una grande realtà? Perché la storia d'Italia è fatta di piccole realtà: gli italiani sono spesso tacciati di campanilismo, si critica l'essere attaccati alla propria città prima che allo stato, ma questa è una conseguenza della nostra storia, del fatto che l'Italia è stata per lungo tempo un puzzle di cittadine, ducati e regni indipendenti gli uni dagli altri. Per questo ho tentato di analizzare un centro piccolissimo, per capire come abbia fatto a sopravvivere così a lungo, quali siano state le sue peculiarità e le strategie. Forse mi si può fare un'accusa di campanilismo, ma sono convinta che conoscere il mio paese mi aiuti a formare un'idea dell'Italia che posso promuovere all'estero.
Abbiamo un passato che tutti c'invidiano e che costituisce un patrimonio inestimabile: però non dobbiamo incorrere nell'errore di fossilizzarci qui senza andare oltre, senza applicare nella vita attuale cosa ci ha insegnato la storia, sperando di vivere di rendita.
Sta a noi sfruttare le opportunità che la storia ci offre, costruendo sulle sue solide basi un'immagine dell'Italia vincente.
Sono convinta che i piccoli centri possano offrire molto non solo agli stranieri, per conoscerci, ma anche agli italiani: partendo dalla storia e anche dalle leggende, ho cercato di individuare i punti di forza delle piccole realtà come Colpalombo, dimostrando come possano rappresentare un'immagine dell'Italia.
Da questo mio lavoro spero possa partire un progetto di rivalutazione della mia zona, tramite una maggiore conoscenza del territorio e della sua storia, iniziando da una domanda: perché si dovrebbe conoscere Colpalombo?
Perché è un paese che è sopravvissuto nei secoli, che si è adattato ai cambiamenti, ma ha saputo mantenere il suo nucleo originale, l'orgoglio di fare parte di una terra speciale e la volontà di rendere partecipi gli altri della propria ricchezza.




APPENDICE



1


22 Agosto 1377, Gubbio

Jacobo domini Ubaldi de Eugubio, capitano di Colpalombo, viene pagato per tre mesi e otto giorni di servizio, iniziato il 23 maggio dello stesso anno.

In primis Jacobo domini Ubaldi de Eugubio capitaneo castri Collispalumbi pro suo salario trium mensium et octo dierum inceptorum die XXIII mensis maii proximi preteriti at finiendorum die ultima presentis mensis augsti ad rationem trium florenorum cum dimidio pro quolibet mense summa in totum florenos undecim auri et solidos vigintisex ravennates.

] florenos XI et solidos XXVI


2


3 Settembre 1377, Gubbio


Il messo Angelo Cagni giunto a Colpalombo e Giomici viene pagato.


Item Angelo Cagni misso Colpalumbum, Glomiscium et alia plura castra anconetanos quinque.

] anconetanos V

3


18 Ottobre 1377, Gubbio


Il messo Donado, giunto a Caresto, Giomici e Colpalombo viene pagato.


Item Donado misso ad Crestum, Glomiscium et Collepalumbum circa disgomorationem anconetanos duos.

] anconetanos II

4


26 dicembre 1378, Gubbio


Bartolo Vagnotii, sindaco del castello di Colpalombo, promette di erigere una torre a difesa del castello. Si cita un pagamento a giugno dello stesso anno di venticinque libbre di denaro.


Die XXVI mensis predicti. Bartolus Vagnotii de castro Collis Palumbi comitatus Eugubini, sindicus dicti castri, vice et nomine comuni set universitatis dicti castri, sponte promisit et convenit dominis confaloneiro et consulibus civitatis Eugubini, absente Andrutio suprascripto, uno ex dictis consulibus, tamen vocem suam habente domino Francisco predicto, presenti, stipulanti et recipienti nomine et vice comunis Eugubini, perficere et murarari facere omnibus expensis comuni set hominum castri prefati et ad optimam defensionem ponere turrioncillum dicti castri pro fortificatione et defensione eiusdem castri hinc ad kalendas mensis iunii proxime venturas sub ypotecha et obligatione bonorum comunis dicti castri et pena vigintiquinque librarum denariorum de bonis comunis eiusdem castri, renuntiantes et cetera et omnia dampna et cetera, sub pena dupli et cetera; quam penam et cetera, qua pena et cetera et dictus sindicus iurae et cetera peo quo sindico et eius presenti et mandato in omnem casum et cetera, Nicolettus Vagnotii de castro predicto sindicus et cetera et renuntians et cetera.



Actum in civitate Eugubini in logia superiori palatii populi comunis Eugubini presentibus Petrutio Andruccioli Rustichelli et ser Paulelli de Eugubino testibus ad predicta abiti set vocatis.


5

6 Giugno 1379, Gubbio


Ser Nicolao Mactheii, capitano di Colpalombo, riceve il suo salario di maggio.

Ser Nicolao Mactheii de Eugubio capitaneo castri Collispalumbi pro suo salario mensis maii proximi preteriti florenos tre auri.

] florenos III

6

28 Ottobre 1384, Gubbio

Il capitano del castello di Colpalombo Petruccio Vaggie riceve una lettera.

Die predicta dominus comes mandavit mihi ut fierent lictere capitaneatus castri Collis Palumbi in persona Petrutii Vaggie ad suum beneplacitum et cetera, quarum quidem licterarum tenor talis est, videlicet:

7

10 Dicembre 1384, Gubbio

Si impone al capitano di Caresto e Colpalombo di pagare le tasse e le gabelle entro i dodici giorni successivi, pena la privazione della carica.

1Die predicta capitaneus Caresti et Colpalumbi fuerunt confessi executionis malpagum dativarum et gabellarum predictarum cum integra exigendorum consignatiorum quam facere tenentur infra XII dies proximos pena privationis dicti officii et cetera.

1 Concessio esactiorum factorum in comitatus…



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[1] Per la definizione di castello si veda l'introduzione di FRANCO MEZZANOTTE in "San Pietro, Casalina e Sant'Apollinare da Monasteri a Fortezze", Fondazione per l'istruzione Agraria, ed. Ali&no, Perugia 2007.

[2] Per il problema generale dell'incastellamento si veda PIERRE TOUBERT "Les structures du Latium Médiéval", vol I e II, ed. Ecole Française De Rome, 1973 e dello stesso autore "Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell'Italia medievale", Torino, Editrice Einaudi, 1995.

[3] P.L. MENICHETTI, "Castelli, palazzi fortificati, fortilizi, torri di Gubbio dal secolo XI al XIV", Città di Castello, Tipolito - Rubini e Petruzzi, 1979.

[4] PIO CENCI "Carte e diplomi di Gubbio dal 900 al 1200", Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1915, perg. 273 doc. 4.

[5] PIO CENCI "Le relazioni tra Gubbio e Perugia nel periodo comunale", Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1908. Pag. 15

[6] PIO CENCI "Carte …", cit. perg. 410 doc. 9

[7] PIO CENCI "Carte … ", cit. perg. 412 doc. 10

[8] RINALDO REPOSATI "Della zecca di Gubbio, delle geste dè conti e duchi di Urbino", Bologna, per Lelio della Volpe, 1772, vol. I pagg. 398-399 doc. III

[9] P.L. MENICHETTI "Storia di Gubbio dalle origini all'Unità d'Italia", Città di Castello, Petruzzi Editore, 1987. vol. I, pag. 31

[10] Per le dinamiche sulla nascita dei comuni, sul loro funzionamento e sulle istituzioni si veda GIULIANO MILANI "I comuni italiani. Secoli XII-XIV", Bari, Laterza, 2005 e per l'Umbria JEAN-CLAUDE MARIE VIGUEUR "Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio", Torino, Utet Libreria, 1987.

[11] ANTONIO MENICHETTI "Lo Statuto vecchio del Comune di Gubbio", Città di Castello, Petruzzi Editore, 2002. c. 20 r. v. 45.

[12] Per le questioni riguardanti funzioni, strutture, utilità di un castello si veda RICCARDO LUISI "Scudi di Pietra", ed. Laterza, 1996.

[13] P. L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 8, c. 82 v.

[14] P. L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 11, c. 105 r.

[15] P. L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 10, v. 139 r.

[16] P. L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 16, c. 31.

[17] e 18 Queste tipologie costruttive furono importate dai Normanni: non sono adibite a residenza, ma destinate ad uso militare.

[19] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 9, c. 29 r.

[20] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 22, c. 67 v.

[21] P.L. MENICHETTI "Castelli … ", cit. ASG Fondo Not. Prot. 85, c. 7

[22] Ibidem.

[23] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 6, c. 64 r.

[24] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 6, c. 130 v.

[25] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 21, c. 3 r.

[26] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 41, c. 120 r. Per tutti i nominativi dei capitani di Colpalombo si veda ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 7, c. 40 r. ; ivi, Rif. Reg. 8, cc. 13 r. e 177 r; ivi, Camerl. Reg. 1, cc. 51 r., 54 v e 56 r.; ivi, Rif. Reg, 10, cc. 13 r., 60 v. e 139 r; ivi, Camerl. Reg. 2, c. 19 r; ivi, Camerl. Reg. 3, c. 26 r; ivi, Camerl. Reg. 8, c. 25 r; ivi, Camerl. Reg. 12, cc. 14 v. e 15 v; ivi, Camerl. Reg. 13, c. 28 r; ivi, Camerl. Reg. 14, c. 20 v; ivi, Camerl. Reg. 16, cc. 10-16; ivi, Camerl. Reg. 17, c. 58 v; ivi, Camerl. Reg. 19, cc. 18 r. e 29 v; ivi, Camerl. Reg. 20, c. 16 r; ivi, Camerl. Reg. 24, c. 12 r.

27 P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 24, c. 36 v.

[28] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 1, c. 2 r.

[29] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG Fondo Com. Camerl. Reg. 1, c. 66 v.

[30] ANNA MARIA TREPAOLI "Castiglione Aldobrando. Una memoria millenaria", Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2005, pag. 70.

[31] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 6, c. 130 v; ivi, Camerl. Reg. 3, c. 26 r.; ivi, Rif. Reg. 14, c. 99 r.

[32] P. L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Not. Prot. 81, cc. Non num. Per Bartolus Vagnotii, ci si riferisce al documento ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 8, c. 82 v: si deduce che nell'anno della riparazione alla torre, il 1378, costui era il capitano del castello di Colpalombo.

[33] P.L. MENICHETTI "Castelli…", ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 6, c. 88 r.

[34] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 11, c. 105 r.

[35] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 12, c. 45 v.

[36] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Rif. Reg. 12, c. 77 r.

[37] P.L. MENICHETTI "Castelli …" cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 3, c. 15 v.

[38] P.L. MENICHETTI "Castelli …", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 5, c. 8 v.

[39] Per un approfondimento sulle abitazioni e la loro cura durante il Medioevo si veda LUDOVICO GATTO "Vita quotidiana nel Medioevo", Roma, Editori Riuniti, 1997.

[40] Per un approfondimento sulla società medievale si rimanda a MARC BLOCH "La società feudale" , Torino, Einaudi, 1999 e PAOLO BREZZI "La civiltà del Medioevo europeo", Roma, Eurodes, 1978.

[41] GIUSEPPE MAZZATINTI, "Cronaca di Ser Guerriero da Gubbio dall'anno 1350 all'anno 1472" in "Rerum Italicarum Scriptores" a cura di L.A. Muratori, Città di Castello, S. Lapi, 1902, tomo I, pag. 17, 1-8.

[42] Riguardo ai costi sostenuti da Gubbio per le compagnie di ventura si veda FRANCO MEZZANOTTE, "Costi per le compagnie di ventura in territorio eugubino" in "La rocca posteriore sul Monte Ingino di Gubbio", Firenze, "La Nuova Italia" Editrice, 1978, pagg. 221-231.

[43] ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 1, c. 6 v.

[44] Ibidem, c. 9 v.

[45] P. L. MENICHETTI"Castelli …" cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 9, c. 29 r.

[46] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 10, c. 31 r.

[47] P.L. MENICHETTI "Castelli …" cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 11, c. 31 r.

[48] P.L. MENICHETTI "Castelli …" cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 11, c. 32 r.

[49] Ibidem c. 32 r.

[50] P.L. MENICHETTI "Castelli …" cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 19, c. 19 r.

[51] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 19, c. 24 r.

[52] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 20, c. 25 v.

[53] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Com. Camerl. Reg. 24, c. 36 v.

[54] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG. Fondo Not. Prot. 68, c. 3 r.

[55] G.MAZZATINTI "Cronaca di Ser Guerriero da Gubbio…", cit. tomo I, pag. 78, 27-29.

[56] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG Fondo Not. Prot. 170, c. 84 r.

[57] P.L. MENICHETTI "Castelli…", cit. ASG Fondo Not. Prot. 94, c. 29 v.

[58] PIO CENCI, "Carte …", cit. perg.412 doc. 10

[59] BIBLIOTHECA SANCTORUM, vol IV, colonna 958.

[60] PIETRO SELLA "Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Umbria", Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1952, n. 2711.

[61] Ibidem n. 2877

[62] BIBLIOTHECA SANCTORUM, cit. vol. VIII, colonna 837.

[63] BIBLIOTHECA SANCTORUM, cit. vol. VIII, colonna 835

[64] Si tenga presente che le strutture elencate di seguito sono state inserite nel corpo della tesi pur risultando da visite pastorali successive al periodo di pertinenza dell'elaborato; ho ritenuto opportuno citarle comunque ipotizzando che siano esistite anche in epoca medievale.

[65] ARCHIVIO VESCOVILE DI GUBBIO (d'ora in avanti AVG), "Visitatio localis Vicarie Serre Brunamontis", 19/4 C, c. 28 v.

[66] AVG 19/6, c. 373 v.

[67] Ibidem carta 19/6.

[68] P. SELLA, "Rationes..", cit. n. 2711 e 2877.

[69] Cit. AVG. 19/6.

[70] P.L. MENICHETTI "Storia di Gubbio", cit. vol. II, pag. 290.

[71] P.L. MENICHETTI "Storia di Gubbio", cit. vol. II, pag. 290-291.

[72] ASG Fondo Armanni, II-C-2, fascic. 6, c. 4 v.

[73] ASG Fondo Not. Prot. 6, c. 251 r.

[74] ASG Fondo Not. Prot. 3, cc. 117 e 118


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