I problemi

È possibile vincere l'avversione per il problemi?

Sembra lapalissiano dire che la matematica si occupa di risolvere problemi, però allora appare almeno curiosa la situazione che di solito si crea nel professionale [e simili]: i ragazzi fino alla terza media si confrontano spesso con problemi, specialmente di geometria, però al biennio superiore li vedono quasi scomparire dalla matematica, pur ritrovandoli in altre materie. È anche vero che gli allievi di questo indirizzo di studi hanno anche nella scuola media solitamente un cattivo rapporto con i problemi, e arrivano alle superiori portandosi una avversione viscerale. In vent'anni di indagine sugli studenti di prima, sempre ho trovato tra gli argomenti più odiati e temuti i problemi e tra quelli più amati le espressioni: è quindi abbastanza naturale che il docente prenda atto di queste preferenze e dedichi le sue attenzioni alle seconde trascurando i primi. Però il risultato rimane che all'uscita dalle superiori gli studenti non sanno ancora affrontare un problema, e quindi non si capisce perché abbiano sudato sull'algebra. Ritengo quindi che sia necessario riportare al centro della didattica il problema, anche contro le preferenze degli studenti, purché si trovi il modo di riconciliarli con l'argomento.

Dall'esperienza fatta in quest'anno sembra che la cosa sia fattibile: arrivando in una classe seconda satura di calcolo letterale, per altro già in gran parte dimenticato e storpiato, ho iniziato da subito un'attività sui problemi; dopo una violenta contestazione iniziale, durata almeno due settimane, qualcuno ha cominciato a riconciliarsi e qualcuno a giudicare l'argomento anche interessante; curiosamente tra i più attivi e proficui ho trovato alcuni di quelli con gravi difficoltà nel calcolo, segno probabile che le due cose toccano abilità diverse.

In effetti nella fase di analisi del problema e nella individuazione della strategia risolutiva il calcolo non c'entra: siamo in un ambito qualitativo, in cui c'entra la capacità di individuare relazioni, di rappresentarsi correttamente situazioni, di immaginare conseguenze, di esaminare strategie alternative. Una volta liberati dal calcolo, alcuni allievi mostrano capacità insospettate, che possono essere coltivate adeguatamente, e che si rischia di non valorizzare fondando un giudizio solo sulla precisione nel calcolo manuale.

Esaminando l'atteggiamento tipico dello studente del mio istituto di fronte ai problemi, si possono capire in parte le radici della generale avversione per l'argomento. Quando il nostro studente, sia di prima che di quinta, deve risolvere un problema, segue un'unica strategia: cerca di trovare una serie di calcoli che sembrino avere senso e che utilizzino i dati a disposizione. Esempio tipico: "se ottengo il 20% di sconto sul prezzo di un vestito e lo pago 300, quanto era il prezzo da scontare ?" provoca invariabilmente la risposta 360 [300+20%], e questo è anche comprensibile, però è stupefacente la convinzione generale che la risposta sia corretta, sulla base di questo ragionamento:"i calcoli sono giusti, guardi, li ho fatti anche con la calcolatrice", da cui si evince che il valore massimo viene attribuito all'abilità nel calcolo. Ciò che ancora stupisce è che questo atteggiamento non risparmia neppure gli allievi più bravi, quelli precisi e veloci nel calcolo, il che fa pensare che qualcosa non abbia funzionato bene nella scuola media. La quale fa bene il suo lavoro, con un unico difetto, secondo me: propone solo problemi per i quali esiste un algoritmo risolutivo diretto, magari a volte un po' difficile da scovare, e così tende ad ingenerare le convinzione che tutti i problemi si possano affrontare in questo modo.

Naturalmente questa distorsione viene corretta nel biennio superiore di certe scuole, ma in quelle in cui non c'è il tempo di dedicarsi ai problemi persiste indisturbata fino alla maturità.

Che cosa potrebbe fare la scuola media o che cosa si può fare nel biennio superiore per evitare questa errata opinione degli allievi?

Direi di attirare l'attenzione anche sui problemi che non ammettono un algoritmo risolutivo diretto, e di favorire la riflessione sulle possibili strategie risolutive. L'opinione che l'allievo dovrebbe formarsi, aiutato dall'insegnante, è più o meno questa:
<< Ci sono problemi che si possono risolvere operando sui dati e arrivando al risultato mediante una catena di operazioni, ma ce ne sono altri in cui non è facile individuare questa catena, però è semplice definire un algoritmo per verificare se una soluzione proposta è valida o no; in questo caso il problema si può risolvere comunque per tentativi.>>
Direi anche di dare un nome alle due strategie: sintesi per la prima, analisi per la seconda.

Un'attività interessante, già provata, per favorire l'interesse degli allievi sulle strategie risolutive, consiste nel trasformare un problema nelle sue varianti che utilizzano le stesse quantità, in cui però il ruolo di incognita viene assegnato ogni volta ad una quantità diversa. Questo consente di mettere bene in chiaro le varie sfaccettature della questione, e si può proporre anche nella scuola media.

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