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NOTE ALLA DISCOGRAFIA ITALIANA: I MARCHI SIAE - LE DATE SUL RUN-OFF
Analizziamo ora alcuni interessanti aspetti della discografia italiana, utili ai collezionisti per catalogare meglio le edizioni italiane dei dischi dei Floyd: i timbri della SIAE e le date presenti sul run-off del vinile.
1) I Marchi della SIAE.
La S.I.A.E.©, "Società Italiana degli Autori ed Editori", si occupa dei diritti d'autore sulle opere di ingegno dell'uomo; per quel che ci interessa più da vicino, gestisce i copyright per i dischi musicali e gli altri prodotti fonografici. In sostanza, è l'organismo ufficiale competente nel territorio italiano per la tutela dei diritti d'autore e dall'inizio del 1970 la sua sigla appare ufficialmente su tutte le etichette dei dischi prodotti in Italia: un marchio di conformità, che è cambiato nel corso del tempo. Analoghe società che si occupano dei diritti d'autore sulle opere fonografiche sono: la SACEM francese, la SABAM belga, la STEMRA olandese, la GEMA tedesca, la ACUM israeliana, la SGAE spagnola, la ASCAP americana, la SADAIC argentina.
La sigla SIAE si trova sull'etichetta dei dischi e grazie ad un appassionato fan del gruppo, l'amico Augusto Rossi, sappiamo qualche curiosità in più a tal proposito: infatti il relativo design può essere utile per la datazione dei dischi e per il riconoscimento di eventuali ristampe. Prima della apparizione della S.I.A.E. altre due società gestivano i diritti d'autore, i dischi italiani portavano quindi stampata sull'etichetta una differente sigla: BIEM o DR. Prima ancora c'era stata la SEDRIC. Poi è nata la S.I.A.E. vera e propria, nei primi mesi del 1970, con il suo inconfondibile marchio dapprima solamente stampato sulle etichette, poi (dalla primavera del 1970) apposto con un timbro circolare. Analizziamo nel dettaglio i singoli marchi sulle etichette dei dischi dei Floyd.
Curiosità sul logo BIEM e DR.
Il primo (BIEM) lo possiamo trovare, per esempio, nel "More" prima edizione con etichetta nera, mentre il secondo (D.R.) lo troviamo nell'edizione originale di "Zabriskie Point". Entrambi i marchi erano stampati sull'etichetta e non timbrati come avvenne successivamente per la SIAE. La B.I.E.M. (l'internazionale "Bureau International des Sociétés Gérant les Droits d'Enregistrement et de Reproduction Mécanique") era un organismo internazionale con sede in Francia che apponeva la sua sigla durante tutti gli anni '60 fino all'inizio del 1970: tale marchio lo possiamo ritrovare anche sulle edizioni francesi e olandesi; la D.R. ("Diritti Riservati"), invece, compare con la sua sigla dalla fine del 1966 fino all'inizio del 1970 (anche se, sporadicamente, la si può notare ben oltre tale data). Le sigle BIEM e DR compaiono in parallelo dalla fine del 1966 fino all'inizio del 1970.
Benchè la SIAE fosse ufficialmente competente in Italia per la tutela dei diritti d'autore dall'inizio del 1970, era presente sul territorio già dagli anni '50, a tutela dei diritti d'autore in campo locale, quando la competenza nazionale era della SEDRIC; lo possiamo notare su vari biglietti dell'epoca, come, per esempio, i biglietti del Tour italiano del 1965 dei Beatles: in quell'epoca il timbro era molto simile a quello che poi sarebbe stato il logo ufficiale della SIAE dal 1970 (riportava, tra l'altro, al centro la frase "Diritti - Bureau"), ma vi erano chiari anche riferimenti a livello locale (vedi l'esempio della Tessera del Cinema di Rapallo del 1951, con l'indicazione dell'Agenzia di Rapallo).
Curiosità sul logo SIAE.
Per quanto riguarda l'approfondimento per i timbri della SIAE presenti sui vinili, si conoscono tre tipi di timbro SIAE dal 1970 in poi: la sua posizione nell' etichetta ed il colore erano messi indifferentemente, anche se sembra che se alcuni collezionisti affermano che la cronologia della colorazione possa essere stata blu, rosso e nero (ma non abbiamo conferme).
Il colore rosso era quello più usato, soprattutto negli album dei Pink Floyd, e poteva essere anche di tonalità diverse (più rosso, meno rosso, lillà, porpora, oppure, tendente al viola); poi veniva usato spesso anche il colore blu (blu chiaro, blu scuro, oppure, un blu tendente al viola scuro); ma sicuramente esistono anche altre colorazioni, come verde (come in una prima stampa originale di "Atom Heart Mother"), o addirittura rosso-arancione, oppure, dorato (gold). Quello che differenziava i vari marchi della S.I.A.E. erano sostanzialmente invece due cose: il periodo di utilizzo ed il design.
A) il mitico marchio rosso rotondo (con la scritta SIAE in mezzo) era in origine di diametro di circa 12/13 mm (in vigore dalla primavera del 1970 all'autunno del 1975), era di diverso colore (blu, viola, rosso, verde) e riportava al centro il marchio SIAE e intorno la scritta "SOCIETA' ITALIANA DEGLI AUTORI ED EDITORI - ROMA" in lettere maiuscole. E' quello che vediamo più spesso sui dischi dei Floyd, almeno sino a "Wish you wee here"; un esempio ne è l'etichetta di "Obscured by Clouds".
B) Invece, dalla metà del 1975 sino alla primavera del 1979, il timbro S.I.A.E. era simile al precedente, ma di dimensioni leggermente maggiori (15 mm circa di diametro), la scritta SIAE centrale era identica al timbro precedente, ma in alcuni casi aveva una piccola stella alla sinistra della lettera "S". Inoltre la "S" della parola "Società" è invertita e la "A" della parola "Autori" è minuscola; lo possiamo vedere qui sopra in "Animals"; da notare che i timbri del primo e del secondo tipo compaiono anche in parallelo, da circa la metà del 1975 fino all'autunno dello stesso anno.
C) Infine, dall'autunno del 1978 fino al 1996 appare il terzo tipo, con le stesse caratteristiche del secondo, ma la scritta SIAE era in caratteri più spessi e non occupava più l'intero cerchio centrale, lasciando uno spazio sottostante che spesso conteneva un numero (si conoscono, in generale, timbri con 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12). Da notare che i timbri del secondo e del terzo tipo compaiono in parallelo dall'autunno del 1978 fino alla primavera del 1979.
Non si conosce il motivo del numero posto nel timbro, nè il suo significato, ma c'è spazio per una ulteriore ricerca sui motivi di questo strano numero.
D) Parallelamente, nello stesso periodo (dal 1978 alla fine degli anni '90), esistono anche dei timbri con la sigla "CD01", con la sigla "FA15" e con la sigla "FA17".
Agli inizi, come abbiamo già sottolineato, sulle etichette dei dischi erano riportate le normali scritte S.I.A.E. stampate (qualche volta dentro un riquadro come nella prima edizione di "The Piper at the Gates of Dawn", anche contemporaneamente al logo timbrato; anche qui, la scritta poteva variare di dimensioni.
Nel 1996 circa l'uso dei timbri (che venivano apposti anche sulle copertine posteriori dei CD) è cessato e fu sostituito con degli adesivi in carta bianco/rossa, poi in plastica argento o dorato anti-strappo, con la scritta "SIAE" in olografia (tra parentesi, questi ultimi bollini avevano anche il nome dell'importatore).
Per quanto riguarda la datazione dei dischi bisogna tenere presenti le seguenti nozioni:
- la presenza di un timbro della SIAE non indica necessariamente che il disco sia "ufficiale": molte ristampe "bootleg" prodotte in Italia hanno il timbro o soprattutto il bollino SIAE (ad esempio i tanti LP e CD live usciti solo in Italia);
- l'assenza del timbro non indica necessariamente che si tratti di una ristampa bootleg: probabilmente non tutte le copie stampate venivano timbrate;
- su alcuni tipi di etichetta il timbro è quasi invisibile, e bisogna cercarlo sotto una luce molto forte per identificarne le caratteristiche; inoltre su alcuni tipi di carta plastificata (come le etichette RiFi) l'inchiostro aderiva poco; sulle etichette nere o scure il timbro è visibile controluce e spesso ha un caratteristico riflesso dorato.
- generalmente il timbro SIAE non compare sui dischi promozionali con etichette bianche.
2) Le Date sul Run-Off del Vinile.
Forse non tutti sanno che i dischi dei Pink Floyd di pressaggio italiano (e i vinili della EMI italiana in generale) hanno una peculiarità, oltre al numero di catalogo e all'etichetta, che li distingue rispetto a parecchie edizioni estere: riportano infatti delle date impresse nel bordo interno del vinile, "stampate" su quella parte del disco che non contiene musica ed in cui di solito ci sono i numeri di catalogo marchiati con la pressa. Le date sono inoltre accompagnate da un numero romano.
Prima di tutto, diamo qualche definizione: secondo
la "I.A.S.A."© e le relative "IASA Cataloguing Rules", l'etichetta ("Label") è
quella parte centrale del vinile di materiale cartaceo, non incisa, che contiene
alcune o tutte le notizie rilevanti per identificare il disco (come nome della
casa discografica, numero di catalogo, marchi e loghi, frasi di copyright,
titolo e scaletta delle canzoni etc). Al di fuori dell'etichetta c'è la "Label
Area", cioè l'area fisica (la chiameremo da adesso in poi "run-off" o
"trail-off" o "dead-wax") che normalmente si trova tra i solchi
incisi e l'etichetta stessa. Nel run-off sono riportati normalmente i numeri di
matrice, e altre informazioni che identificano la stampa (date, identificazione
della fabbrica in cui è stato stampato il disco, il metodo di stampa, ...).
Queste informazioni vengono impresse a caldo sul vinile o scritte a mano con una
penna grafica (a seconda dell'industria discografica).
La pratica di scrivere sulla parte non incisa del vinile non era nuova,
essendovi sempre riportati i dettagli che corrispondevano al catalogo del disco.
Riguardo al contenuto, ogni nazione aveva la sua logica che prevalentemente era
legata alla reale numerazione ufficiale. Per esempio: per "Revolver" dei Beatles
nelle edizioni inglesi, se vi era riportato "XEX 606 - 1" la sigla 'XEX'
significava che si trattava di una versione mono ('YEX' invece identificava una
versione stereo); il numero successivo ('606') era il codice che denotava quel
titolo nel catalogo della casa discografica e quel lato del disco, e il numerino
successivo ('1') era il progressivo della matrice (in realtà il termine tecnico
appropriato è "father"); ci potevano essere anche delle lettere e
numeri a destra ed a sinistra rispetto alla label centrata e diritta (a ore 3 e
ore 9), che corrispondevano rispettivamente al numero di stamper
(in realtà il termine tecnico appropriato è "child") e di
"madre" (ma ogni casa aveva un suo metodo). Uno stamper poteva pressare
solo un numero limitato di copie (solitamente un migliaio), poi veniva
sostituito: così le ultime copie pressate dal medesimo stamper suonavano peggio
a causa del progressivo deterioramento dello stesso, le prime ovviamente meglio.
Abbiamo comunque approfondito il discorso nelle due pagine delle note relative
alle discografie inglesi e americane, limitandoci in questa sede ad evidenziare
il fatto che le stampe italiane dei Pink Floyd, a differenza di quelle inglesi,
non riportavano nè il numero della madre, nè quello dello stamper.
Il problema delle date sul vinile è stato affrontato qualche volta solo in
quanto utile a riconoscere i falsi (purtroppo ormai presenti in maniera
considerevole) dagli originali; infatti alcune case produttrici assumevano come
regola, per certi titoli (o anche tutti) del loro catalogo, l'incisione del
dead-wax mediante pressa (in gergo "printed" o "stamped" dead-wax),
mentre le relative versioni "bootleg" mostravano il trail-off segnato con penna
ottica (in gergo "written" o "hand-etched").
Come già accennato, in Italia si possono notare anche dei numeri romani, ma non tutte le case discografiche li apponevano.
La tesi più verosimile per dare una spiegazione alle date e ai numeri romani è che stiano ad indicare rispettivamente la data di "cutting" cioè di scrittura dell'acetato (che poteva anche non coincidere con la data di effettivo stampaggio del disco, potendo quest'ultima avvenire a brevissima distanza di tempo o anche dopo anni) e il numero progressivo dell'acetato stesso (o lacca o lacquer come viene anche chiamato), similmente a quanto accadeva per le stampe inglesi (A1/A2/A3, B1/B2/B3 e così via). Da qui si poteva risalire quindi alla tiratura; un concetto da tenere presente, è che il numero dell'acetato corrispondeva di fatto al numero della matrice, potendosi per questioni tecniche ricavare una sola matrice per lato di acetato (una per il lato A e una per il lato B); inoltre, al contrario del lacquer che era costituito da materiale velocemente e facilmente deperibile e che una volta estrattevi le matrici era inutilizzabile, le matrici stesse alla pari delle madri e degli stamper essendo composte di materiale metallico potevano essere utilizzate anche a distanza di anni a meno che non fossero già precedentemente arrivate al limite di progressivo deterioramento. Và inoltre specificato che le date e i numeri romani sui due lati potevano anche non coincidere: per esempio un vinile con "13-11-80 II" sul lato A e "19-10-83 IV" sul lato B, indicava che l'incisione del primo lato derivava dal contenuto del secondo acetato mentre quella del secondo lato derivava dal quarto.
Solo eccezionalmente alcune stampe italiane dei Pink
Floyd sono prive del numero romano, personalmente ne conosco tre o quattro, ma
la convinzione è che il numero romano sia stato impresso male o col tempo sia
scomparso, tale da far ritenere che non fosse mai stato impresso.
Da quanto detto, si deduce che il numero romano non è il numero ordinale delle
stampe: ci sono stati casi (e qui lo testimoniano alcuni fans o collezionisti,
tra cui lo stesso scrivente e Nino Gatti) in cui nello stesso breve periodo
(differenze di pochissimi giorni) sono stati acquistati due album uguali (appena
usciti), ma con date e numeri romani diversi: il motivo più plausibile quindi,
in base a quanto sopra esposto, è che per sopperire alla richiesta la stessa EMI
Italiana abbia fatto stampare moltissime copie in successione, partendo da
diversi lacquer ricavati ovviamente in date diverse (a partire da un medesimo
acetato, si riuscivano a stampare mediamente un massimo che và tra i 50.000 e
gli 80.000 dischi).
Un esempio classico è "The Final Cut": "2-3-83 I" e "2-3-83 I" in un disco, e
"2-3-83 I" e "7-3-83 III" in un altro, usciti a distanza di pochi giorni: nel
primo caso, è come se ci trovassimo in presenza di una stampa inglese A1//B1,
mentre nel secondo si tratterebbe di una A1//B3, ma rimaniamo pur sempre
nell'ambito della prima stampa; questa differenza del numero ordinale dei
lacquer tra i due lati, poteva essere causata da diversi fattori: alcune
matrici, madri o stamper potevano presentare dei difetti "di default" e quindi
venivano scartate in partenza, oppure la scrittura dell'acetato stesso non era
andata a buon fine: di conseguenza o il numero di copie che potevano essere
stampate a partire da quel determinato acetato era inferiore alla media oppure
si rendeva fin da subito necessaria la scrittura dell'acetato successivo.
Ai fini collezionistici, per stabilire se si è in presenza di una prima stampa
oppure di una ristampa, le incisioni sul dead-wax (anche se le date non si
riferivano direttamente all'effettivo stampaggio) e il tipo di timbro sono
indizi importanti, spesso fondamentali, ma non sempre definitivi: sottolineando
anche il fatto che il lasso di tempo in cui il vecchio e il nuovo timbro
venivano usati in parallelo, prove alla mano risulta essersi protratto per
parecchi mesi e che non è assolutamente comprovato che le fasi di pressaggio del
vinile, della timbratura dell'etichetta e dell'apposizione di quest'ultima sul
vinile stesso fossero concomitanti (è molto più razionale anzi supporre che, per
questioni di praticità, venissero inizialmente timbrate le sole etichette e che
queste venissero poi apposte sul disco solo in un secondo momento). Si è inoltre
a conoscenza di copie di uno stesso album perfettamente identiche in ogni
dettaglio ma con tipi di timbri diversi. Volendo dare una logica da seguire, si
può affermare che non è sicuramente una prima stampa una copia di un disco
immesso sul mercato nel 1975, che mostri una data riferita per esempio al 1977;
lo stesso discorso vale per una copia che abbia data relativa ad esempio al
1971, ma recante timbro del secondo tipo. Soltanto l'esperienza ci può comunque
dare una soluzione definitiva, e non ci sono regole fisse al riguardo.
Da notare che le date sul vinile sono presenti, in alcuni casi, anche in dischi
di altre discografie come nelle edizioni coreane, in quelle colombiane, in
quelle yugoslave, in quelle messicane ed anche in quelle portoghesi ma, a
differenza di quelle italiane, queste date sono scritte a mano (in gergo, "written").
In definitiva, è così stato chiarito il mistero sulle date sul rim-off dei vinili italiani: si riferisce alla data del "lacquer-cutting" e che il numero romano è il numero del lacquer. Come confermato dai ricordi di Francesco Frangipane (settembre 2022), tecnico nello stabilimento di Caronno Pertusella.
Un interessante riscontro delle due ricerche combinate si può vedere in una incredibile ricerca che abbiamo fatto per individuare la data esatta dell'uscita di una compilation come "Relics".
Copyrights & Credits.
La ricerca dei marchi SIAE è stata curata da Augusto Rossi (dicembre 2000), integrata da Stefano Tarquini (marzo 2001). La ricerca delle date sul vinile è cura di Stefano Tarquini e Nino Gatti (2002). Successive ricerche e note a cura di Paolo Montevecchi (2004) e Augusto Croce (2006). Ultimi aggiornamenti su tutte le ricerche a cura di Maurizio Fulvi (http://www.italianprog.com/it/l_siae.htm) (2006), di Augusto Croce (http://www.italianprog.it/) e di Roberto Mento (http://www.rockbottom.it/modx/)(2012), con la supervisione di Stefano Gagliardini (2012). Le etichette fanno parte della collezione privata di Stefano Tarquini.
Grazie ai ricordi di Francesco Frangipane (settembre 2022).
La ricerca sui numeri dei timbri SIAE è a cura di Alberto Ziviani, come sue sono le fotografie delle etichette.
* La presente ricerca è stata approfondita ed inserita nel secondo libro dei Lunatics: "TUTTE LE CANZONI DEI PINK FLOYD. IL FIUME INFINITO" (Giunti Editore, 2014), con l'autorizzazione dei rispettivi autori. Pertanto, ogni loro uso è strettamente vietato dalla legge. www.thelunatics.it
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