A sPASSO per PASSO

Notizie
attualità
archivi
altri servizi
da voi
speciali

Servizi
almanacco
mailing list
meteo
spazio vuoto
scambio banner
richiedi giornalino
siti amici
pubblicità

About us
la storia
chi siamo
crediti
awards & co.

Fast links
~ home ~ da voi ~
Da voi
inviateci il vostro contributo (articoli di giornale vostri o che volete segnalare) al nostro indirizzo passo@lycosmail.com, indicando se volete che il vostro indirizzo sia omesso dal testo.

La libertà di rispondere a chi ci chiama
di Giuseppe Savagnone (Avvenire), inviato da P. Saverio Hernandez - 1999

Quello delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata non è un problema che riguardi solo la Chiesa, ma coinvolge, in qualche modo, la visione che gli uomini e le donne di oggi hanno della propria esistenza. Lo ha notato il cardinale Ruini, aprendo [il 17 maggio scorso] la 46ª assemblea generale dei vescovi italiani, che al tema dedica i propri lavori. Da questo punto di vista, ciò che deve preoccupare, ha sottolineato il presidente della Cei, non è tanto la scarsità di vocazioni, quanto piuttosto un clima culturale - in cui tutti viviamo - che mette in crisi il concetto stesso di «vocazione».

Alla base di questa crisi vi è, in realtà, una visione della persona e del suo destino, che da un lato riduce l'una e l'altro al gioco dei «condizionamenti biologici e sociologici», dall'altro li affida interamente alle scelte e ai progetti personali di ciascuno. Nell'oscillazione tra queste due prospettive, in parte contraddittorie, ma di fatto coesistenti nella mentalità diffusa, ciò che in ogni caso resta esclusa è l'idea di dono. L'individuo ritiene di non poter accogliere nulla da un «Altro» che gratuitamente, imprevedibilmente, lo chiami per nome e lo sospinga su vie nuove: o perché chiuso nel meccanismo inesorabile delle abitudini, delle pulsioni, delle nevrosi, che lo esonerano da ogni vera scelta, oppure perché interamente assorbito nella ricerca di un'autorealizzazione che egli fa dipendere esclusivamente dalle sue forze.

In entrambi i casi, il venir meno del confronto con Qualcuno che ci stia di fronte e che intervenga nella nostra storia, determina l'annullamento o almeno l'impoverimento del senso autentico della nostra libertà. Nel primo caso, perché l'esclusione della chiamata nasce dalla convinzione della nostra impossibilità di uscire dalla morsa dei limiti psicologici o delle situazioni sociali in cui ci troviamo immersi; nel secondo, perché non si vuole che questa chiamata ci venga rivolta, sentendoci incapaci di far posto alle sue esigenze e di rinunziare ad avere noi stessi, il nostro successo e il nostro benessere come unico riferimento. In entrambi i casi, insomma, quella che manca è la libertà di rispondere a chi ci chiama.

Paradossalmente, in una società dove la lotta per la conquista delle varie forme di libertà ha fatto progressi indiscutibili, è venuta meno quella più necessaria e più decisiva, la sola che ci consentirebbe di assumere la responsabilità della nostra esistenza e di darle un orientamento originale, al di là delle mode, dei luoghi comuni, dei processi massificanti che ci dominano. 

Con il senso della vocazione si è inevitabilmente offuscato anche quello della missione. Non ci sentiamo più chiamati ad un compito che ci superi e che abbia, come oggetto, un servizio ad altri. La vita dell'individuo si avvita su se stessa e si isterilisce. Per questo, ha osservato il cardinale, «quando in una nostra comunità fiorisce una vocazione di speciale consacrazione, si ha (...) il richiamo più diretto e persuasivo a superare un orizzonte di vita ripiegato soltanto su noi stessi». 

Se la vocazione e la missione sono un dono, la loro perdita comporta anche il venir meno del senso della gratitudine. Ormai tutto è necessario, oppure è dovuto a noi stessi. Non è solo la libertà che si spegne: è anche la gioia di sentirsi amati. Al recupero di questa certezza - importante per l'uomo come tale, non solo per il cristiano - è volta la celebrazione del grande Giubileo che, al di là dei suoi aspetti più vistosi e più reclamizzati, è l'occasione perché «ciascuno si senta personalmente interpellato e coinvolto» in una esperienza di misericordia e in un cammino di conversione e possa così ritrovare gli «atteggiamenti della gratitudine e della gioia», che alla vocazione sono strettamente connessi. 

Solo da un profondo rinnovamento in questa direzione può venire alla nostra società l'autentica realizzazione della pace. Parlando della guerra in corso, il presidente dei vescovi italiani ha vigorosamente ribadito l'appello perché la sopraffazione etnica e i bombardamenti si fermino («contestualmente e in maniera chiara»); ma ha anche osservato che questo conflitto è solo la punta di un iceberg: vi sono, in ogni parte del mondo, le tante «guerre dimenticate»; vi sono le grandi questioni del sottosviluppo e del debito internazionale, che segnano tragicamente il destino di centinaia di milioni di esseri umani.

Di fronte a questo quadro, non ci si può limitare a chiedere la fine dei combattimenti: «È anche necessario costruire, con pazienza, tenacia, creatività e lungimiranza, quelle strutture istituzionali e politiche, a livello internazionale e spesso anche all'interno delle singole nazioni, che possano rappresentare l'indispensabile supporto normativo e decisionale, dotato di poteri e forze adeguate, di una tale coscienza e volontà di pace». Su questa strada, capace di portare la pace dal terreno della retorica a quello delle realizzazioni concrete, l'Italia e l'Europa dovranno procedere sempre più decisamente. 

Anche per quanto riguarda i problemi interni del nostro Paese, è necessario arrestare il dilagare dell'individualismo, senza cadere nello statalismo, riattivando processi di innovazione alla luce dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Non si può pensare - ha detto il cardinale Ruini - di risolvere i problemi solo con «l'imposizione di ulteriori sacrifici alle categorie sociali meno favorite», anche perché questo «finisce spesso con l'aggravare quei problemi che vorrebbe risolvere». 

Ritorna qui qualcosa che era stato detto a proposito della vocazione. Ancora una volta, si tratta di uscire dal cerchio chiuso dei meccanismi apparentemente necessari e dalla logica degli egoismi. Ma forse bisogna che gli uomini e le donne della nostra società imparino ad accogliere il dono che viene da un Altro, per diventare capaci di ascoltare la voce degli altri, soprattutto dei più deboli, che in modo privilegiato riproducono la Sua immagine sulla terra.


immagine by Ansa

segnalazioni
hai delle segnalazioni da farci? Commenti su qualche articolo?
email


ricerca su A sPxP
cerca articoli nel sito...

nel sito nel web

ricerca cattolica
cerca siti cattolici...

 
 
 
 
1999 - { A sPASSO per PASSO }