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La pena di morte al bivio
di Cristina V. - maggio2000

Il “Miglio verde“, un film forse come tanti altri sulla pena di morte. Questa volta però non si parte dal punto di vista di un detenuto o dell’opinione pubblica, ma da quello di un carceriere. Una storia che fonde il fantastico meraviglioso dei fenomeni soprannaturali al macabro repellente della pena di morte.

Il miglio verde, il corridoio che separa la prigione dalla sedia elettrica, un “miglio” che prima o poi tutti percorreremo, il miglio che congiunge la vita alla morte. Forse qualcuno potrebbe pensare a cosa serve parlare della pena di morte, una realtà che non ci tocca da vicino? Questa però è una realtà che ci ha toccati nel passato e che è ancora presente in altri stati.

La storia è stata segnata da condanne a morte di cui la società stessa è stata il “boia”: il rogo dell’inquisizione, la ghigliottina francese, l’impiccagione inglese, la sedia elettrica negli Stati Uniti… Dio ci ha detto: “non uccidere, ama il prossimo tuo come te stesso”.

Ma anche al di là della concezione religiosa la pena di morte non può essere, a mio avviso, accettabile da un punto di vista etico-sociale. La condanna a morte si ha in seguito a un procedimento legale, non è omicidio per legittima difesa, ma è sempre un omicidio, omicidio legale, premeditato.

Un omicidio richiede degli esecutori: lo stato autorizza delle persone a uccidere, ma se uccidere è reato, perché lo stato deve macchiarsi dello stesso crimine che condanna? Uccidere chi ha ucciso è una colpa senza dubbio maggiore del delitto stesso.

L’argomentazione più frequente a favore della pena di morte è che il timore della condanna dissuaderebbe altre persone dal commettere lo stesso reato, ma gli omicidi spesso avvengono senza premeditazione, in momenti particolari, sotto l’effetto di droghe o alcool… per cui il “futuro assassino” non riflette sulle possibili conseguenze.

La pena di morte può essere definita, inoltre, come una pratica fortemente discriminatoria e arbitraria nei riguardi di minoranze razziali. Il film si sofferma in modo particolare su quest’aspetto: un uomo gigante nero viene condannato a morire perché accusato di aver ucciso due bambine bianche, in realtà si può parlare di un gigante buono, innocente, che ha paura del buio come un bambino. Spesso per risolvere il “caso” ci si ferma all’apparenza.

Ma perché l’opinione pubblica resta così indifferente? Come fa a concepire la condanna a morte come necessaria per proteggere la società? Perché non ci si rende conto che ci troviamo in un vicolo cieco e che ci sono altre strade da seguire? Con quale coraggio si può accettare la pena di morte come mezzo utile e necessario per ridurre la criminalità? Come si fa a rispondere alla violenza con la violenza?

“Se la bestia che dorme nell’uomo potesse essere trattenuta da minacce allora il più alto emblema dell’umanità sarebbe il domatore di leoni nel circo con la frusta, non il profeta che si è sacrificato”. (Boris Pasternak – Il dottor Zivago).


immagine by Ansa

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