Senza dubbio il teatro di
Nohant, dipinto, allestito, scolpito, illuminato, composto e recitato dal solo
Maurice, offre uno spettacolo di una totalità e di un’omogeneità che si
realizzerebbe difficilmente altrove e che non ha ancora il suo corrispettivo al
mondo. Detto ciò, la costruzione e l’organizzazione di questa sorta di
spettacoli non è comunque la meno realizzabile delle fantasie d’artista, poiché
ci si può dedicare in molti. A noi interessava testimoniare il fatto verificabile
che abbiamo visto prodursi: cioè che un artista da solo può dare uno spettacolo
completo, perfino quello di una féerie grand spectacle, ancora
più maestoso di quello dei nostri grandi teatri, perché noi possiamo introdurvi
la folla nella sua giusta prospettiva grazie ai personaggi di dimensioni
proporzionate[1]. Limitandosi alla commedia e alle farse, si può ancora,
senza troppa difficoltà, offrire delle belle serate. I burattini di M.
Lemercier de Neville hanno, m’han detto, molta finezza e molto ingegno, e non
spetterebbe che a lui solo di dare più sviluppo ai mezzi materiali che abbiamo
appena descritto e messo alla portata di ogni artista o amatore dotato come lui
di talento e d’invenzione.
La musica può contribuire attivamente al successo degli
spettacoli di marionette. Si ricorda che Haydn scrisse e fece eseguire più
operette per le marionette del principe Esterhazy. Quando si ha un’orchestra o
anche solo uno strumento a proprio servizio, la féerie o il dramma
volano più in alto. Noi abbiamo spesso deliziose improvvisazioni o reminiscenze
perfettamente adattate da un seducente violino dei nostri amici. Quando non ce
l’abbiamo, una scatola di Ginevra, un organetto di Barberia, un flauto armonico
fanno il necessario negli spettacoli buffoneschi. L’ouverture di zufoli con
cembali e tamburi è tanto più spassoso e propedeutico al riso quanto più
ciascuno suona un’aria differente in un guazzabuglio musicale. Certi
spettacoli, pantomime o balletti, non possono fare a meno della musica. Maurice
ha fabbricato una dozzina di personaggi classici che noi chiamiamo la compagnia
italiana (Arlecchino, Pierrot, Cassandra, Scapino, Pulcinella, Colombina, ecc.)
e che funzionano grazie a un sistema di sua invenzione. Sono marionette con
gambe e corpo completi che camminano, muovono le braccia, si siedono, danzano e
assumono qualsivoglia graziosa o comica postura senza fili né molle. Agiscono
come i comuni Guignol per mezzo della mano dell’oprante nascosta sotto i
loro vestiti. Ma il braccio, che sarebbe visibile dal pubblico, è mascherato da
leggere balaustre disposte su differenti piani e raffiguranti le terrazze di un
giardino all’italiana. I personaggi si muovono lungo queste balaustre, le
scavalcano, vi montano a cavallo, vi si sdraiano sopra o le sfiorano danzando,
di modo che questo esile diaframma si trova fra la parte inferiore dei loro
corpi e il braccio che le governa. È uno spettacolo molto bello, applicabile
solo a un genere speciale, il cui spirito è soprattutto nelle gambe e nelle
pose degli attori. Si può servirsene negli intermezzi come si farebbe con
saltimbanchi ed equilibristi a molla mossi dal basso.
Ma il vero spirito dei burattini risiede, come per noi
uomini, nella testa e i loro sistemi di supporto permettono – a quelli
tradizionali che non hanno gambe – di mostrarsi per due terzi e di sfoggiare il
lusso dei loro costumi. Ciò che resta nascosto della loro statura disturba così
poco l’occhio dello spettatore, che egli crede di vederli interi. Alcune
persone poi non s’accorgono nemmeno ch’essi non hanno né piedi né gambe e altre
persone addirittura si alzano per vedere il suolo dove si suppone ch’essi
camminino.
Ed ora che abbiamo esposto minuziosamente come questo
ingegnoso e divertente intrattenimento sia realizzabile, osserviamo un po’ qual
è la morale, la filosofia se si vuole, di quest’arte.
Noi viviamo in un’epoca grigia e triste. All’indomani delle
nostre grandi disgrazie pubbliche, ci agitiamo nella lotta dei partiti, troppo
preoccupati dei nostri interessi privati e delle nostre teorie personali.
Passiamo tre quarti della nostra vita a cercar di sapere come vivremo il giorno
appresso, sotto quale regime e in quali condizioni. La politica ci rende
veramente tediosi, soprattutto in provincia, dove più si parla quanto più la
sfera d’azione è ridotta. Parole al vento, previsioni inutili, timori
chimerici, speranze vane, teorie incomplete o false, problemi insolubili e
sempre mal posti, sciocca presunzione della maggior parte di coloro che
parlano, funesta credulità della più parte di coloro che ascoltano, tempo
sprecato senza esito: ecco la vita intellettuale di questi tempi torbidi da cui
la saggezza dell’avvenire si libererà comunque, speriamo! E tanto più lo
speriamo oggi! Ma quanto cammineremmo più velocemente verso la soluzione se ci
occupassimo dieci volte di meno di definirla ciascuno dal proprio punto di
vista! Senza dubbio, a suo tempo e luogo, la discussione è interessante e
proficua. Si capisce un certo dispendio di tempo per informarsi e commentare
gli avvenimenti che succedono, per comprenderli quanto possibile. Ma come
sarebbe bene d’essere sobri di discussione e avari di dispute! Quante
affermazioni false e quante predizioni assurde, quanto vano orgoglio e quante
oziose futilità si risparmierebbero! Quante buone letture e sagge riflessioni
si porterebbero a profitto della propria causa! In questo mondo, niente si
sistemerà più se non attraverso la ragione, l’equità, la pazienza, il sapere,
lo zelo e la modestia. Si dice che una volta lo spirito francese era leggiadro
e ci si domanda perché la conversazione sia diventata da noi un pugilato. Lo
spirito d’un tempo era senza dubbio troppo leggero, poiché l’arte del
conversatore era di sfiorare senza approfondire, ma lo spirito d’oggigiorno è
caduto nell’eccesso contrario. È pesante come il passo dell’elefante e
minaccioso come quello del cavallo da battaglia. Tutto quello che prima si
evitava per mantenere una buona armonia, ora ce lo si butta in faccia con
un’asprezza volgare. È che siamo della razza degli artisti e quando il nostro
cervello non è occupato dalla ricerca di un ideale, bello o grazioso, allegro o
drammatico, s’arrabatta nel cupo, nell’incongruo, nello sciocco e nel laido.
Ecco perché predico il piacere fra le genti della mia razza. Sì, il piacere:
tutti gli uomini vi hanno diritto e tutti gli uomini ne hanno bisogno. Il
piacere onesto, disinteressato nel senso che deve essere una comunione
d’intelligenze, il piacere vero col suo senso di ingenuità e simpatia, il suo
modesto insegnamento nascosto dietro il riso o la fantasia. Tutte le altre
occupazioni utili dello spirito sono più serie e si chiamano studio, ricerca,
lavoro, produzione. I grandi divertimenti pubblici sono emozionanti e faticosi.
Il divertimento propriamente detto è per ciascuno di noi un bel piccolo ideale
da cercare e da realizzare in un angolo del focolare, al posto del gioco in cui
ci si intristisce e delle chiacchiere in cui si litiga, quando non si dice male
di tutti gli amici. Troviamo altro per i nostri bambini, qualsiasi cosa, delle
commedie, dei racconti, tutto ciò che volete, ma qualche cosa che ci distragga
dalle nostre passioni, dai nostri interessi materiali, dai nostri rancori, da
questi tristi odi di famiglia che si chiamano questioni politiche, religiose o
filosofiche, che non dovrebbero mai essere affrontate con leggerezza, né
trattate senza sufficiente competenza.
Finiremo quest’articolo con un’estesa citazione[2], vale a dire una delle commediole del teatro di
burattini di Nohant, che servirà da specimen del genere. L’autore ha
messo in scena un’allucinazione contemporaneamente graziosa e comica che
proviene naturalmente da una situazione reale. Perfino senza gli ornamenti
dell’improvvisazione e il prestigio della scena, questa corta fantasia ci
sembra affascinante, e adatta a darci un assaggio di una maniera di scrittura
condensata che ha senza dubbio il suo interesse e il suo merito letterario.
[1] Ovviamente, all’Opéra e nei teatri di féerie, ci si preoccupa della profondità di campo, poiché si collocano come figuranti al secondo e terzo piano delle grandi scenografie le donne e i bambini. È comunque raro che l’effetto di tali quadri sia felice. I personaggi vivi, per quanto piccoli li si scelga, son sempre troppo grandi per la distanza a cui si è obbligati a metterli. Essi schiacciano la scenografia e distruggono l’idea di profondità e di trasparenza (nota al testo della stessa Gorge Sand).
[2] Si tratta di Jouets et mystères, commedia per burattini poi raccolta in M. Sand, Le
théâtre des marionettes, Paris, Lévy, 1890.