|
Galileo Galilei
Intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovonoSeconda pagina |
È manifesto quant'io dico: perché, detraendo il mezo dalla total gravità de i
solidi tanto, quanto è il peso d'altrettanta mole del medesimo mezo, come Archimede
dimostra nel primo libro Delle cose che stanno su l'acqua, qualunque volta si accrescerà
per distrazion la mole del medesimo solido, più verrà dal mezo detratto della intera sua
gravità, e meno quando per compressione verrà condensato e ridotto sotto minor mole.
Mi fu replicato, ciò nascere non dalla maggior leggerezza, ma dalla figura larga e
piana, che, non potendo fender la resistenza dell'acqua, cagiona che egli non si sommerga.
Risposi, qualunque pezzo di ghiaccio, e di qualunque figura, star sopra l'acqua; segno
espresso, che l'essere piano e largo quanto si voglia, non ha parte alcuna nel suo
galleggiare: e soggiunsi che argomento manifestissimo n'era il vedersi un pezzo di
ghiaccio di figura larghissima, posto in fondo dell'acqua, subito ritornarsene a galla;
ché, s'e' fosse veramente più grave, e 'l suo galleggiare nascesse dalla figura
impotente a fender la resistenza del mezo, ciò del tutto sarebbe impossibile. Conchiusi
per tanto, la figura non esser cagione per modo alcuno di stare a galla o in fondo, ma la
maggiore o minor gravità in rispetto dell'acqua; e per ciò tutti i corpi più gravi di
essa, di qualunque figura si fussero, indifferentemente andavano a fondo, e i più
leggieri, pur di qualunque figura, stavano indifferentemente a galla: e dubitai che quelli
che sentivano in contrario si fossero indotti a credere in quella guisa dal vedere come la
diversità della figura altera grandemente la velocità e tardità del moto, sì che i
corpi di figura larga e sottile discendono assai più lentamente nell'acqua che quelli di
figura più raccolta, faccendosi questi e quelli della medesima materia; dal che alcuno
potrebbe lasciarsi indurre a credere, che la dilatazione della figura potesse ridursi a
tale ampiezza, che non solo ritardasse, ma del tutto impedisse e togliesse, il più
muoversi; il che io stimo esser falso. Sopra questa conclusione nel corso di molti giorni
furon dette molte e molte cose, e diverse esperienze prodotte, delle quali l'A. V. alcune
intese e vide; e in questo Discorso avrà tutto quello che è stato prodotto contro alla
mia asserzione, e ciò che mi è venuto in mente per questo proposito e per confermazione
della mia conclusione. Il che se sarà bastante per rimuover quella che io stimo sin ora
falsa opinione, mi parrà d'avere non inutilmente impiegata la fatica e 'l tempo: e quando
ciò non avvenga, pur debbo sperarne un altro mio utile proprio, cioè di venire in
cognizion della verità, nel sentir riprovare le mie fallacie e introdurre le vere
dimostrazioni da quelli che sentono in contrario.
E per procedere con la maggiore agevolezza e chiarezza che io sappia, parmi esser
necessario, avanti ad ogni altra cosa, dichiarare qual sia la vera, intrinseca e total
cagione dell'ascendere alcuni corpi solidi nell'acqua e in quella galleggiare, o del
discendere al fondo; e tanto più, quanto io non posso interamente quietarmi in quello che
da Aristotile viene in questo proposito scritto.
Dico, dunque, la cagione per la quale alcuni corpi solidi discendono al fondo
nell'acqua, esser l'eccesso della gravità loro sopra la gravità dell'acqua, e,
all'incontro, l'eccesso della gravità dell'acqua sopra la gravità di quelli esser
cagione che altri non discendano, anzi che dal fondo si elevino e sormontino alla
superficie. Ciò fu sottilmente dimostrato da Archimede, ne' libri Delle cose che
stanno sopra l'acqua; ripreso poi da gravissimo Autore, ma, s'io non erro, a torto,
sì come di sotto, per difesa di quello, cercherò di dimostrare.
Io con metodo differente e con altri mezzi procurerò di concludere lo stesso,
riducendo le cagioni di tali effetti a' principii più intrinsechi e immediati, ne' quali
anco si scorgano le cause di qualche accidente ammirando e quasi incredibile, qual sarebbe
che una picciolissima quantità d'acqua potesse col suo lieve peso sollevare e sostenere
un corpo solido, cento e mille volte più grave di lei. E perché così richiede la
progressione dimostrativa, io definirò alcuni termini, e poi esplicherò alcune
proposizioni, delle quali, come di cose vere e note, io possa servirmi a' miei propositi.
Io, dunque, chiamo egualmente gravi in ispecie quelle materie, delle quali eguali moli
pesano egualmente: come se, per esemplo, due palle, una di cera e l'altra d'alcun legno,
eguali di mole, fussero ancora eguali in peso, diremmo quel tal legno e la cera essere in
ispecie egualmente gravi.
Ma egualmente gravi di gravità assoluta chiamerò io due solidi li quali pesino
egualmente, benché di mole fussero diseguali: come, per esemplo, una mole di piombo e una
di legno, che pesino ciascheduna dieci libre, dirò essere in gravità assoluta eguali,
ancorché la mole del legno sia molto maggior di quella del piombo, ed, in conseguenza,
men grave in specie.
Più grave in specie chiamerò una materia che un'altra, della quale una mole eguale a
una mole dell'altra peserà più: e così dirò, il piombo esser più grave in ispecie
dello stagno, perché, prese di loro due moli eguali, quella di piombo pesa più. Ma più
grave assolutamente chiamerò io quel corpo di questo, se quello peserà più di questo,
senza aver rispetto alcuno di mole: e così un gran legno si dirà pesare assolutamente
più d'una piccola mole di piombo, benché il piombo in ispecie sia più grave del legno.
E lo stesso intendasi del men grave in ispecie e men grave assolutamente.
Definiti questi termini, io piglio dalla scienza meccanica due principii. Il primo è,
che pesi assolutamente eguali, mossi con eguali velocità, sono di forze e di momenti
eguali nel loro operare.
Momento, appresso i meccanici, significa quella virtù, quella forza, quella
efficacia, con la quale il motor muove e 'l mobile resiste; la qual virtù depende non
solo dalla semplice gravità, ma dalla velocità del moto, dalle diverse inclinazioni
degli spazii sopra i quali si fa il moto, perché più fa impeto un grave descendente in
uno spazio molto declive che in un meno. Ed in somma, qualunque si sia la cagione di tal
virtù, ella tuttavia ritien nome di momento. Né mi pareva che questo senso dovesse
giugner nuovo nella nostra favella; perché, s'io non erro, mi par che noi assai
frequentemente diciamo "Questo è ben negozio grave, ma l'altro è di poco
momento", e "Noi consideriamo le cose leggiere, e trapassiamo quelle che son di
momento": metafore, stimer'io, tolte dalla meccanica.
Come, per esemplo, due pesi d'assoluta gravità eguali, posti in bilancia di braccia
eguali, restano in equilibrio, né s'inclina l'uno alzando l'altro; perché l'egualità
delle distanze di ambedue dal centro, sopra il quale la bilancia vien sostenuta e circa il
quale ella si muove, fa che tali pesi, movendosi essa bilancia, passerebbono nello stesso
tempo spazii eguali, cioè si moverieno con eguali velocità, onde non è ragione alcuna,
per la quale questo peso più di quello, o quello più di questo, si debba abbassare; e
per ciò si fa l'equilibrio, e restano i momenti loro di virtù simili ed eguali.
Il secondo principio è, che il momento e la forza della gravità venga accresciuto
dalla velocità del moto; sì che pesi assolutamente eguali, ma congiunti con velocità
diseguali, sieno di forza, momento e virtù diseguale, e più potente il più veloce,
secondo la proporzione della velocità sua alla velocità dell'altro. Di questo abbiamo
accomodatissimo esemplo nella libra o stadera di braccia diseguali, nelle quali posti pesi
assolutamente eguali, non premono e fanno forza egualmente, ma quello che è nella maggior
distanza dal centro, circa il quale la libra si muove, s'abbassa sollevando l'altro, ed è
il moto di questo, che ascende, lento, e l'altro veloce: e tale è la forza e virtù che
dalla velocità del moto vien conferita al mobile che la riceve, che ella può
esquisitamente compensare altrettanto peso che all'altro mobile più tardo fosse
accresciuto; sì che, se delle braccia della libra uno fosse dieci volte più lungo
dell'altro, onde, nel muoversi la libra circa il suo centro, l'estremità di quello
passasse dieci volte maggiore spazio che l'estremità di questo, un peso posto nella
maggior distanza potrà sostenerne ed equilibrarne un altro dieci volte assolutamente più
grave che non è egli; e ciò perché, movendosi la stadera, il minor peso si moveria
dieci volte più velocemente che l'altro maggiore. Debbesi però sempre 'ntendere che i
movimenti si faccino secondo le medesime inclinazioni, cioè che, se l'uno de' mobili si
muove per la perpendicolare all'orizzonte, che l'altro parimente faccia 'l suo moto per
simil perpendicolare; e se 'l moto dell'uno dovesse farsi nell'orizzontale, che anche
l'altro sia fatto per lo stesso piano; e, in somma, sempre amendue in simili inclinazioni.
Tal ragguagliamento tra la gravità e la velocità si ritrova in tutti gli strumenti
meccanici, e fu considerato da Aristotile come principio nelle sue Questioni meccaniche:
onde noi ancora possiamo prender per verissimo assunto che pesi assolutamente diseguali,
alternatamente si contrappesano e si rendono di momenti eguali, ogni volta che le loro
gravità con proporzione contraria rispondono alle velocità de' lor moti, cioè che
quanto l'uno è men grave dell'altro, tanto sia in constituzione di muoversi più
velocemente di quello.
Esplicate queste cose, già potremo cominciare ad investigare quali sieno que' corpi
solidi che possono totalmente sommergersi nell'acqua e andare al fondo, e quali per
necessità soprannuotano, sì che, spinti per forza sott'acqua, ritornano a galla con una
parte della lor mole eminente sopra la superficie dell'acqua: e ciò faremo noi con lo
speculare la scambievole operazione di essi solidi e dell'acqua, la quale operazione
conséguita alla immersione; e questa è che, nel sommergersi che fa il solido, tirato al
basso dalla propria sua gravità, viene discacciando l'acqua dal luogo dove egli
successivamente subentra, e l'acqua discacciata si eleva e innalza sopra il primo suo
livello, al quale alzamento essa altresì, come corpo grave, per sua natura resiste. E
perché, immergendosi più e più il solido discendente, maggiore e maggior quantità
d'acqua si solleva, sin che tutto il solido si sia tuffato, bisogna conferire i momenti
della resistenza dell'acqua all'essere alzata, co' momenti della gravità premente del
solido: e se i momenti della resistenza dell'acqua pareggeranno i momenti del solido
avanti la sua totale immersione, allora senza dubbio si farà l'equilibrio, né più oltre
si tufferà il solido; ma se il momento del solido supererà sempre i momenti co' quali
l'acqua scacciata va successivamente faccendo resistenza, quello non solamente si
sommergerà tutto sott'acqua, ma discenderà sino al fondo; ma se, finalmente, nel punto
della total sommersione si farà l'agguagliamento tra i momenti del solido premente e
dell'acqua resistente, allora si farà la quiete, e esso solido, in qualunque luogo
dell'acqua, potrà indifferentemente fermarsi.
È sin qui manifesta la necessità di comparare insieme le gravità dell'acqua e de'
solidi; e tale comparazione potrebbe nel primo aspetto parere sufficiente per poter
concludere e determinare, quali sieno i solidi che sopranuotino, e quali quelli che vanno
in fondo, pronunziando che quelli sopranuotino che saranno men gravi in ispecie
dell'acqua, e quelli vadano al fondo che in ispecie saranno più gravi: imperocché pare
che il solido nel sommergersi vada tuttavia alzando tant'acqua in mole, quanta è la parte
della sua propria mole sommersa; per lo che impossibil sia che un solido men grave in
ispecie dell'acqua si sommerga tutto, come impotente ad alzare un peso maggior del suo
proprio, e tale sarebbe una mole d'acqua eguale alla mole sua propria; e parimente parrà
necessario che il solido più grave vada al fondo, come di forza soprabbondante ad alzare
una mole d'acqua eguale alla propria, ma inferior di peso. Tuttavia il negozio procede
altramente, e benché le conclusioni sien vere, le cagioni però assegnate così, son
difettose; né è vero che 'l solido nel sommergersi sollevi e scacci mole d'acqua eguale
alla sua propria sommersa, anzi l'acqua sollevata è sempre meno che la parte del solido
ch'è sommersa, e tanto più, quanto il vaso, nel quale si contien l'acqua, è più
stretto: di modo che non repugna che un solido possa sommergersi tutto sott'acqua senza
pure alzarne tanta, che in mole pareggi la decima o la ventesima parte della mole sua; sì
come, all'incontro, picciolissima quantità d'acqua potrà sollevare una grandissima mole
solida, ancorché tal solido pesasse assolutamente cento e più volte di essa acqua, tutta
volta che la materia di tal solido sia in ispecie men grave dell'acqua; e così una
grandissima trave, che, v. g., pesi 1000 libbre, potrà essere alzata e sostenuta da acqua
che non ne pesi 50; e questo avverrà quando il momento dell'acqua venga compensato dalla
velocità del suo moto.
Ma perché tali cose, profferite così in astratto, hanno qualche difficultà all'esser
comprese, è bene che vegniamo a dimostrarle con esempli particulari: e, per agevolezza
della dimostrazione, intenderemo, i vasi, ne' quali s'abbia ad infonder l'acqua e situare
i solidi, esser circondati e racchiusi da sponde erette a perpendicolo sopra 'l piano
dell'orizzonte, e 'l solido da porsi in tali vasi essere o cilindrico retto o prisma pur
retto.
|
|
Il che dichiarato e
supposto... |
|
|