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Galileo Galilei
Intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovonoPrima pagina |
Galileo Galilei
INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L'ACQUA O CHE IN QUELLA SI MUOVONO
A I BENIGNI LETTORI
COSIMO GIUNTI
Per sodisfare a molti, che di Venezia, di Roma, e di altri luoghi mi chiedevono e mi
chieggono con instanza il presente trattato, dopo ch'e' s'erano finiti tutti qui in
Firenze, mi risolvei stamparlo di nuovo, e ne avvisai l'Autore; il quale avendo visto per
esperienza che alcuni luoghi di esso a' men pratichi nelle cose di geometria riuscivan
alquanto oscuri a 'ntendersi, gli è parso di agevolarli con aggiugnervi alcune cose a
maggior chiarezza, senza rimuoverne o mutarne alcuna delle scritte di prima. Però potete
esser certi, cortesi Lettori, di aver in questa seconda impressione l'istesso che aveste
nella prima, e più le suddette dichiarazioni, le quali si sono stampate di diverso
carattere, perché si possan conoscer prontamente da tutti. Vivete felici.
DISCORSO
AL SERENISSIMO DON COSIMO II,
GRAN DUCA DI TOSCANA,
INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L'ACQUA O CHE IN
QUELLA SI MUOVONO,
DI
GALILEO GALILEI,
FILOSOFO E MATEMATICO
DELLA MEDESIMA ALTEZZA SERENISSIMA.
Perch'io so, Principe Serenissimo, che il lasciar vedere in pubblico il presente
trattato, d'argomento tanto diverso da quello che molti aspettano e che, secondo
l'intenzione che ne diedi nel mio Avviso Astronomico, già dovrei aver mandato fuori,
potrebbe per avventura destar concetto, o che io avessi del tutto messo da banda
l'occuparmi intorno alle nuove osservazioni celesti, o che almeno con troppo lento studio
le trattassi; ho giudicato esser bene render ragione sì del differir quello, come dello
scrivere e del pubblicare questo trattato.
Quanto al primo, non tanto gli ultimi scoprimenti di Saturno tricorporeo e delle
mutazioni di figure in Venere, simili a quelle che si veggono nella Luna, insieme con le
conseguenze che da quelle dependono, hanno cagionato tal dilazione, quanto l'investigazion
de' tempi delle conversioni di ciaschedun de' quattro Pianeti Medicei intorno a Giove, la
quale mi succedette l'aprile dell'anno passato 1611, mentre era in Roma; dove finalmente
m'accertai, che 'l primo, e più vicino a Giove, passa del suo cerchio gradi 8 e m. 29 in
circa per ora, faccendo la 'ntera conversione in giorni naturali 1 e ore 18 e quasi meza.
Il secondo fa nell'orbe suo g. 4, m. 13 prossimamente per ora, e l'intera revoluzione in
giorni 3, or. 13 e un terzo incirca. Il terzo passa in un'ora gr. 2, m. 6 in circa del suo
cerchio, e lo misura tutto in giorni 7, ore 4 prossimamente. Il quarto, e più lontano
degli altri, passa in ciaschedun'ora gr. 0, m. 54 e quasi mezo, del suo cerchio, e lo
finisce tutto in giorni 16, or. 18 prossimamente. Ma perché la somma velocità delle loro
restituzioni richiede una precisione scrupolosissima per li calcoli de' luoghi loro ne'
tempi passati e futuri, e massimamente se i tempi saranno di molti mesi o anni, però mi
è forza con altre osservazioni, e più esatte delle passate, e tra di loro più distanti
di tempo, corregger le tavole di tali movimenti, e limitargli sino a brevissimi stanti.
Per simili precisioni non mi bastano le prime osservazioni, non solo per li brevi
intervalli di tempi, ma perché, non avendo io allora ritrovato modo di misurar con
istrumento alcuno le distanze di luogo tra essi pianeti, notai tali interstizi con le
semplici relazioni al diametro del corpo di Giove, prese, come diciamo, a occhio, le
quali, benché non ammettano errore d'un minuto primo, non bastano però per la
determinazione dell'esquisite grandezze delle sfere di esse stelle. Ma ora che ho trovato
modo di prender tali misure senza errore anche di pochissimi secondi, continuerò
l'osservazioni sino all'occultazion di Giove; le quali dovranno essere a bastanza per
l'intera cognizione de' movimenti e delle grandezze de gli orbi di essi Pianeti, e di
alcune altre conseguenze. Aggiungo a queste cose l'osservazione d'alcune macchiette
oscure, che si scorgono nel corpo solare: le quali, mutando positura in quello, porgono
grand'argomento, o che 'l Sole si rivolga in sé stesso, o che forse altre stelle, nella
guisa di Venere e di Mercurio, se gli volgano intorno, invisibili in altri tempi per le
piccole digressioni e minori di quella di Mercurio, e solo visibili quando s'interpongono
tra 'l Sole e l'occhio nostro, o pur danno segno che sia vero e questo e quello; la
certezza delle quali cose non debbe disprezzarsi o trascurarsi.
Ânnomi finalmente le continuate osservazioni accertato, tali macchie esser materie
contigue alla superficie del corpo solare, e quivi continuamente prodursene molte, e poi
dissolversi, altre in più brevi ed altre in più lunghi tempi, ed esser dalla conversione
del Sole in sé stesso, che in un mese lunare in circa finisce il suo periodo, portate in
giro; accidente per sé grandissimo, e maggiore per le sue conseguenze.
Quanto poi all'altro particulare, molte cagioni m'hanno mosso a scrivere il presente
trattato, soggetto del quale è la disputa che a' giorni addietro io ebbi con alcuni
letterati della città, intorno alla quale, come sa V. A., son seguiti molti ragionamenti.
La principale è stato il cenno dell'A. V., avendomi lodato lo scrivere come singolar
mezzo per far conoscere il vero dal falso, le reali dall'apparenti ragioni, assai migliore
che 'l disputare in voce, dove o l'uno o l'altro, e bene spesso amendue che disputano,
riscaldandosi di soverchio o di soverchio alzando la voce, o non si lasciano intendere, o
traportati dall'ostinazione di non si ceder l'un l'altro lontani dal primo proponimento,
con la novità delle varie proposte confondono lor medesimi e gli uditori insieme. Mi è
paruto, oltre a ciò, convenevole, che l'A. V. resti informata da me ancora di tutto 'l
seguito circa la contesa di cui ragiono, sì come n'è stata ragguagliata molto prima da
altri. E perché la dottrina che io séguito nel proposito di che si tratta è diversa da
quella d'Aristotile e da' suoi principii, ho considerato che contro l'autorità di
quell'uomo grandissimo, la quale appresso di molti mette in sospetto di falso ciò che non
esce dalle scuole peripatetiche, si possa molto meglio dir sua ragione con la penna che
con la lingua, e per ciò mi son risoluto scriverne il presente Discorso: nel quale spero
ancor di mostrare che, non per capriccio, o per non aver letto o inteso Aristotile, alcuna
volta mi parto dall'opinion sua, ma perché le ragioni me lo persuadono, e lo stesso
Aristotile mi ha insegnato quietar l'intelletto a quello che m'è persuaso dalla ragione,
e non dalla sola autorità del maestro; ed è verissima la sentenza d'Alcinoo, che 'l
filosofare vuol esser libero. Né fia, per mio credere, senza qualch'utile dell'universale
la resoluzione della quistion nostra; perciò che trattandosi, se la figura de' solidi
operi o no nell'andare essi, o non andare, a fondo nell'acqua, in occorrenze di fabbricar
ponti o altre macchine sopra l'acqua, che avvengono per lo più in affari di molto
rilievo, può esser di giovamento saperne la verità.
Dico dunque che, trovandomi la state passata in conversazione di letterati, fu detto
nel ragionamento, il condensare esser proprietà del freddo, e fu addotto l'esemplo del
ghiaccio. Allora io dissi che avrei creduto più tosto il ghiaccio esser acqua rarefatta,
che condensata; poi che la condensazione partorisce diminuzion di mole e augumento di
gravità, e la rarefazione maggior leggerezza e augumento di mole, e l'acqua nel
ghiacciarsi cresce di mole, e 'l ghiaccio già fatto è più leggier dell'acqua, standovi
a galla.
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È manifesto quant'io
dico... |
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