Trascrizione di Mirto Sardo
1802
2
[gennaro 1802]
Il
general francese Monnier scrive che per i 20 l’ex-Stato Veneto saprà il suo
destino. Tutta l’Uffizialità è in moto per augurarsi il buon capo d’anno,
quanto a noi non ne calcolaremo di tali sennon quelli in cui saremo liberati da
tanti disturbi.
13
[gennaro 1802]
Gran
discordi sul Congresso, ossia sui veri Marionette di Lion: essi scrivono che
sono disperati, che non sanno nulla del loro destino e che attendono il primo
console.
Il
Congresso d’Amiens deciderà qualche cosa, se però la decisione non sia in
questi tempi peggior dell’incertezza.
Si
dice che due squadroni di cavalleria passeranno sulla strada veronese e che ne
sopraverranno due altri, non si sa perché succeda questo aumento di truppa.
Misera Italia, è divenuto ormai obbrobrioso averne il titolo. Devastata, resi
nemici gli uni degli altri i suoi abitatori, usurpata, venduta, lacerata, essa
attende con titubanza vergognosamente il suo destino decisivo, il quale sarà
certamente secondo la norma della sua viltà. Si suol dire che tanto in Francia
come in Germania quando si passa in Italia non si si esprime più sennon andiamo
al pascolo. La nostra situazione è questa, non si deve più dunque sorprendersi
se siamo vittime in tutto nelle provvisorietà di governo, e nelle furure
destinazioni.
In una Accademia privata di ballo venne escluso il militare dando solo
18 viglietti al comandante Beccar. Gli Uffiziali ne sono infuriati, e volevano
una violenza. Il Gen.l Latterman comprese bene che il mondo è stanco assai e
che vi è una fortuna che vi sia ancora alcuni suscettibili di divertimenti in
questi tempi.
21
[gennaro 1802]
Finalmente
l’invasione di Parma è già decisa mercé il Trattato della Spagna.
Qui
il popolo fa delle ciarle e credeva presti i Francesi a venir di nuovo. Ciò non
par ragionevole; ma è curiosa la protrazione della necessaria organizzazione,
l’aumento della truppa, e una certa oscurità e incertezza che fa temer di
nuovo; altri credono che con noi verrà indennizzato il Gran Duca di Toscana col
titolo di re dei Longobardi.
Questo
quadro dell’Italia si va sviluppando e Dio voglia migliorar nell’avvenire un
tristo presentimento che in tante novità si manifesta. Povera Italia!
succhiata, tagliata in pezzi, fatto repubbliche forzate, principi di nuova
creazione, dominata in fondo da delle sanguisughe straniere, e non travvedendo
nemmeno un raggio di prosperità.
30
[gennaro 1802]
Le
lettere di Lione sono comediosissime: pare che Bonaparte si faccia gioco
degl’individui di questa sua vagheggiata creazione. Veramente non si sa cosa
credere di tante espressioni da oracolo. Ma o conviene che un uomo di tanti
talenti che ognuno gli accorda sia un ciarlatano pieno di chimere, ovvero un
uomo di cui i piani sieno tanto vasti, che purché arrivi a metterli in opera,
si servi esso di tutti i vaneggiamenti delle opinioni per far trionfare la sua
propria in ultimo risultato. In mezzo adunque al caos delle cose, e ai giochi
dell’ingegno la misera Europa langue nell’incertezza e gran porzione nella
miseria. Le due preponderanti potenze Francia ed Inghilterra ci preparano ad
Amiens un destino di cui esse stesse non possono conoscere le conseguenze, essi
s’ingrandiscono, ma una non ben calcolata preponderante grandezza potrebbe
forse immergere il mondo in una guerra interminabile. L’Italia teme tutto, e
non vede che ben da lungi la sua futura resurezione
Chi
volesse descrivere come viviamo e siamo governati assolutamente con verità
sarebbe difficile il crederlo. Io non so qual disorganizzazione regni nelle
teste certo è che gli effetti ne dimostrano i più chiari segni. Si parla da
oracoli da legislatori, ma in fatto i grandi stati sono come le più piccole
famiglie di cui il capo di casa non sa cosa fissare, cosa stabilire, né cosa
sistemare. Tutto il mondo e grandi e piccoli vivono alla giornata, né prendono
che dei piani provvisori. Troppe cose ci vorrebbero, e le fortune, e le cose
sono tutte incerte. Conseguentemente a questo principio, ognuno che governa
delegatamente pensa a se, al suo interesse, e alle sue viste, ogni opinione può
divenir la vera, e se non riesce il guadagno è fatto, chi è governato dunque
soffre di tutto: la persecuzione se è debole, l’ingiustizia ne’ Tribunali,
l’esazione da una infinità di sorgenti pubbliche, militari e civili. I ladri
regnano, in fine si vive angustiosamente, e costa più il farsi render
giustizia, che il tollerarne il danno.
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2
[febraro 1802]
Oggi
arriva lo stampato a tutti i cantoni di Verona dell’essersi nominato per
presidente della Republica Italiana il primo console Bonaparte, e gli eletti per
sostenere il governo. Si vociferò che Napoleone cede ad Artois la Francia
volendo esso ritirarsi in Italia. Io non so come credere questo
Io
non so come creder questo, ma di certo è che l’Italia va incontro a delle
novità che potrebbero far vedere che l’italico valor non è ancor spento o a
delle sciagure interminabili
25
[febraro1802]
Gran
discorsi e sulla Republica Italiana e sulle viste di Bonaparte. Ma più di tutto
gran oppressioni per noi. Roner è andato al diavolo. I Mailhat fanno bagaglio.
Bellegarde parte da Padova o alla testa dell’armata verso il cordone della
Turchia, o ministro dell’imperatore a Parigi: a me sembra che l’orizzonte
sia molto oscuro. In Italia non vi sono ancora né il re di Sardegna, né quel
di Napoli: non v’è che il re Etrusco di nuova creazione. Pare che il Turco
supplirà alle indennizzazioni. Faccia la Provvidenza!
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3
[marzo 1802]
Il
carnevale fu clamorosissimo mercé la concesione delle maschere. Simil gioia
popolare non si attribuì che all’essere strata repressa da vari anni, e forse
a un’abbondanza quasi inesausta di questa provincia.
Noi
siam qui guardandoci attorno: noi vediamo l’atteggiamento grandioso della
Francia, i maneggi di tutte le altre potenze a Amiens: lo stabilimento della
Republica Italiana. E non sappiamo più né, cosa credere, né cosa sperare. Qui
siamo in un caos di disordine. Non v’è più né governo, né moneta, né
fiducia. Tutte le ciarle sono che ai 15 verrà l’organizzatore. Vedremo: certo
è che o chimericamente o in lontananza tutti vedono un destino, ma noi veniamo
o destramente o stoltamente attribuiti a segno di non scorgerne alcuno.
27
[marzo 1802]
Sempre
doveva giungere l’organizzatore, ma finora nulla si vede sennon un torpor
micidiale e rovinoso nel dettaglio degli affari, la di cui risorsa non è
previsibile se restiamo dominati da una simile costellazione.
Gran
imbroglio nelle notizie generali pare che partecipino del divino tanto
l’impenetrabilità e la grandezza tiene sospesi tutti gli spiriti. La Francia
è grande, l’Inghilterra è somma, ma finalmente convien concluder se l’una
e l’altra voglion fruire dei beni della vittoria e delle ricchezze. Certo è
che l’Europa non sospira che la calma, e che quello che l’assoderà sarà
applaudito.
Chi
ci vuol imperiali, chi Toscani, chi Italiani, e chi qualche altro imbroglio, noi
saremo di chi saremo. Tal è il nostro destino, certo è che l’inclinazione
nostra non sapressimo più chi sciegliere se ci venisse data la scelta.
I
Tedeschi sono qui immobili generali, soldati, e regimenti tutto pare un mosso
irremovibile. Gran peso enorme senza costrutto e senza garbo. Possibile che
nazioni tanto grandi abbisognino per saziarsi di questa misera Italia, la
disprezzano mentre la divorano la temano finché la conculcano e formi essa ad
un tratto l’invidia altrui e la propria disperazione?
Persona
giunta di Francia raccontò che Bonaparte a Parigi non è né amato né stimato,
ma temuto, che la forza sola gl’incatena la Francia; ch’egli ha il talento
di conoscere i Francesi, di mostrar loro un audace disprezzo unico mezzo di
assogettarli, ch’egli terrà le redini sino a qualche accidente in cui il
desiderato Moreau potrà rimpiazzarlo. Il
ministro Talayrand è uno dei soggetti che
brillano maggiormente e per i talenti e per il posto. Il lusso è grande, ma il
clima è così incomodo che toglie la maggior parte dei piaceri di quei immensi
divertimenti.
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3
[aprile 1802]
Questa
mattina per stafette, e lettere di Milano ci vien portata la fausta nuova della
pace della Francia, coll’Inghilterra: niente si sà degli articoli. Si
vocifera però che Republica Italiana verrà ingrandita sino alla Dora, e che
l’Imperatore resterà all’Adige. Per me la pace mi sembra buona in qualunque
caso.
7
[aprile 1802]
La
partenza del padre e figlio Mailath daVenezia con tutte le carte della pretesa
organizzazione, e l’intrusione dell’infame moneta denominata Kreutzer fa si
che noi temiamo che il nostro destino non sia per anco fissato. La pace fra la
Francia e l’Inghilterra non riguarda che il mare per il Continente non si fa
parola. La sola Malta sembra aver avuto i maggiori riflessi. L’integrità del
Turco è osservabile, come anche l’indennizzazione che dovrà farsi al
principe d’Orange, pare che l’imperatore abbia il maggior peso delle
indennizzazioni, dunque noi trascurati e negletti possiam temere di venir ceduti
a qualche misera potenza, mentre il confine all’Adige della Republica Italiana
sembra stabilitissimo. Se però questa tal pace generale avrà un certo tal qual
equilibrio, il qual non si discerne finora, noi potremo sperare almeno in una
lunga pace, se questo non è formato poveri noi, la località nostra è delle più
fatali. Più si considera le strane metamorfosi che succedono ai nostri tempi
maggiormente s’imbrogliano le idee, e non si discerne se ciò succeda per un
fatalismo o per una progressione di lumi. Conviene dunque sperare e temere a un
tempo stesso. Il general degli uomini ascolta stordito ogni avvenimento, e si
dissipa alla meglio per non ricadere in un caos di riflessioni opprimenti, e
certamente fantastiche. Succede sempre quel che non si pensa, e che non si ha
mai nemmen immaginato.
30
[aprile 1802]
Ho
veduta Venezia in una decadenza deplorabile, la miseria il malcontento sembrano
all’apice, e più quasi non si spera risorsa. I signori dominati
dall’egoismo se la passano in una indifferenza fondata sulle proprie richezze,
e se la divertono ponendo in non cale la patria, e le glorie antiche. Gli uomini
di core e di talento stupiscono di tanta calamità e fanno piangere i buoni. Non
si ama l’ordine attuale, si vede impossibile un risorgimento, che non sarebbe
nemmen più fattibile a comporsi ragionevolmente. In fine si cerca un principe né
si si ferma su di alcuno attese le vecchie idee. A me sembra che nemmeno gli
angioli li accontenterebbero. Ci sarebbe la Republica Italiana che gli spiriti
inquieti mostrano di bramare. Ma il tumulto delle idee non permettono a nessuno
di parlare con qualche regolarità.
Venezia
sembra un vero paese flagellato da Dio: la sua singolarità, la pompa dei suoi
edifizi, la grandezza delle idee generali, e vederla oppressa, negletta piena di
militari che non combinano col suo locale, governata da chi non sa o vuole o può
assisterla, in una lingua e in un metodo del tutto nuovi, pare propriamente un
gastigo di nuovo genere. Il comerzio un po’ vivvificato dalla cessazione della
guerra viene incagliato da una moneta falsa, che ne rovina le radici, e li
decreti che la perpetuano non si rendono migliori che un nuovo imbellettamento.
Dio provedi a tante disgrazie.
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4
[maggio 1802]
Vi
sono le Missioni del Canonico Muzzi, e De Vecchi. Si vede il popolo ad
accorrervi con gran edificazione.
Si
parla delle monete e si dice che siamo arrivati a un tempo in cui il soldo è
divenuto la moneta nobile. C’è un certo giro di monopolio in tutto che non si
sa più in che mondo si sia. Faccia il Cielo il nostro bene, certo da noi non si
sa a cosa appigliarsi di desideri e di speranze.
16
[maggio 1802]
Oggi
si sono terminate le missioni che nel popolo mostrano di aver fatto una
rivoluzione spirituale.
I
Tedeschi disertano in gran quantità ai confini. Bellegarde si mosse per
intendersela con i generali francesi.
Qui
non si organizza; resta la moneta falsa, e non si sa se il Cielo sia ancora
placato, mentre la costanza di tanti flagelli non può esser umana.
Si
conta mille belle cose della Repubblica Italiana. L’organizzazione si forma. I
prefetti vanno a risiedere in ogni capo-luogo. La moneta è di valore. Il
comercio fiorisce, e le speranze sono vivissime, e si vede ai confini la
differenza palmare dei due diversi governi, sicché da un canto vi è anima e
gioia, dall’altro abbattimento e miseria.
14
[giugno 1802]
Partita
ai 24 dello scorso per Parma passai da Verona, dove il mal umore e la scarsezza
di gente per le vie era riflessibile. Verona ripartita in due, l’Arena al
Bravo [i Francesi], e il Campofior al Bue [gli Austriaci]. Passai da Mantova, e
dapertutto pochi Francesi, molta truppa italiana, e somma malcontentezza. A
Parma trovai la solita miseria e diserzione di società, la sua località è
penosa, e vi si vive alla giornata. Mi fu detto da persona rispettabile: una
republica col timor di Dio è una cosa formidabile; il contegno però che si
osserva nell’Italica fa credere ch’essa sia un vino di riserva per rasar le
botti. Andai a Reggio dove l’entusiasmo nazionale si sfogava ad esaltare la
cantatrice Silva Reggiana.
Trovai
il popolo brioso, e i possidenti maggiori a calcolar molto sul non essere per
anche assegnati i confini dell’italica, non ancor spediti ambasciatori dalle
corti, sul mistero e oscurità delle cose, sui gravosi pesi fondiari. Accordando
unanimemente tutti la somma tranquillità personale. Reggio è contento di aver
un prefetto, ma non ama di averlo da un abitante di Casal Maggiore. Passai a
Modena dove la tristezza è più rimarcabile. Vi son molti rifuggiati i quali
fermentano le teste. Si stava allestindo il Palazzo del Duca per il prefetto che
si aspetta con qualche buona prevenzione. Andai a Bologna e quella magnifica
città che io vidi avanti i deliri dell’Italia e che tanto mi dilettava, la
trovai in un deciso cangiamento. I superbi palazzi che l’adornano sembrano
divenuti tante caserme, socchiuse le porte, e nascoste le insigni gallerie.
Dettrate quelle del Sampieri, e dell’Aldrovandi, le quali per prodigio si
salvarono dalle trufferie dei commissari francesi. Tutti i conventi soppressi e
come questi erano abbondantissimi: sicché conventi e chiese che denotano la
distruzione. Vidi San Francesco, il di cui gotico supera San Petronio, e trovai
tanto la chiesa come il sontuoso convento ridotto a uso di dogana. È curioso il
contrasto di vedere i magnifici mausolei delle primarie famiglie fra i sacchi,
le casse e le botti di Oglio.
Andai
dal prefetto Carlotti, e non è descrivibile la situazione politica di esso e
della città che governa. Sembra che il Po’ dividi l’Italia in due
popolazioni differenti. Le teste certo sono più elastiche e più sistemate a
Bologna, sicché non si nomina Milano come se non ci fosse, si vorrebbe esser
centro dell’Italia, e in fondo non si vorrebbe né imperatore, né legato, né
leggi straniere. L’aristocrazia negli aristocrati è somma, il popolaccio
vorrebbe l’antico governo.
Il
Democratico giudizioso vorrebbe un sistema repubblicano quasi ideale perché gli
uomini e le cose non possono andar mai come l’onestà lo ricercherebbe. Il Democratico
furioso vorrebbe al solito inselvatichire il mondo. Fra simili contrasti il
prefetto vive nella sua rocca immensa, adobata superbamente dalla nazione. Sa di
non aggradire che al minor numero dei buoni: affatica dalle 5 della mattina sino
alle 4 pomeridiane. Fa mostra di una moderazione di contegno e di esteriorità
quasi eccessiva, e dice non mancherà tempo di sfoggiare, se le cose si potranno
sistemare con fondamento. Tutto dipende da Melzi, e Melzi è ambiguo. Melzi
dipende da Bonaparte e Bonaparte vuol tener la briglia sul collo alla in fondo
troppo temuta Italia. In fatto pare, che dopo tante devastazioni e rovine lo
spirito si sia sviluppato nella maggior parte degl’Italiani, e si vede a colpo
d’occhio che se il governo italico dipendesse dagl’Italiani in poco tempo si
vedrebbero dei prodigi in ogni genere, e forse delle idee e delle esecuzioni che
poche altre nazioni sarebbero capaci. Ma le cose sono in un caos da cui sembra
che la felicità non potrà mai sorgere.
Il
lusso si fa vedere, ma i mercanti si lagnano dei dazi dei loro propri
dipartimenti. La Republica è fondata su delle spese tanto eccessive che
l’edificio in tal guisa non può che crollare. Il brio in una classe di
giovinotti e femine è sommo, e le strade formicolano assai. Il male è che non
si conosce più nessuno né all’abito né al volto, né al carattere. Passai a
Ferrara dove è arrivato il Prefetto accolto con gran funzioni, si pretende che
questa fosse la prima messa che sentisse. Il paese è scarso di popolazione e
pare che quei pochi che si vedono non denotino qualsisia carattere. A Rovigo
trovai più fermento d’opinioni, e si volle assicurarci che in breve ancor noi
saremo uniti all’Italica attese le turbolenze per la perpetuità del consolato
di Bonaparte. La moneta buona circola in tutta la Cisalpina, la sicurezza
personale è somma, detratto ai confini, l’incertezza di ogni cosa è
all’ordine del giorno, e noi l’abbiamo lasciata, passando a Padova dove le
lagnanze d’un altro colore mi fece riflettere alla condizione miserabile degli
uomini, e particolarmente all’infelicità decisa della troppo bella Italia.
18
[giugno 1802]
Oggi
giornata del Corpus Domini la folla fu grande ma l’antica allegria si scoperse
perduta. La Rua girò le strade, non si fermò che alterando le sue
consuetudini, ma gli spontanei evviva eccitavano quella gioja popolare che rende
cara una tal festa ad ogni anima sensibile. Si volle far sostituire degli evviva
di nuova creazione, ma nemmen il fiato permise di esternare cosa tanto contraria
all’interna persuasione. Il Palio riuscì ancor esso privo del suo antico
lustro. Il Campo Marzo presentò il quadro della di già piratica guerra, non più
né cavalli ne legni in abbondanza, e neppur sedili ma un rotto terreno.
Contuttociò
il brio italico, e un qualche lusso che sembra incredibile colle nostre rovine
attrassero l’attenzione e forse il reflesso della boreal rifflessione. La
festa riuscì magnifica ma senza allegria. Bellegarde, Latterma, Mitrowki e
Vincent furono i generali che vi furono.
Si
parla della lotta che corre in Francia sulla perpetuità del consolato, chi la
vuol decisa per Bonaparte, chi la crede assai dubbiosa.
22
[giugno 1802]
Gran
silenzio sui affari che si decidono in Francia riguardo a Bonaparte. L’esito
di questi deve finire la rivoluzione ovvero inco-minciare un nuovo caos di
avvenimenti. Il partito democratico sparge delle dicerie che non si confermano.
Ma tra poco si deve trapellar qualche cosa. La Repubblica Italiana cammina con
gran mistero, ed incertezza. Il Piemonte come dipartimento francese non gli
venne proposto di votare sulla perpetuità del consolato. Genova continua a
governarsi provisoriamente. Tutto sembra in una stalia [=stallo] riflessibile.
Da noi non si parla nemmeno di organizzazione e né di organizzatori. Il
Kreutzer imbarazza il commercio e i particolari. Il Militare pare impiombato.
26
[giugno 1802]
Gran
incaglio per l’istallazione dei giudici, il governo si spiega con un non osta
all’elezioni fatte, ma i deputati guardinghi resero disperati e piangenti i
dottori, l’avidità di quest’ultimi li renderà almeno grati al governo
attuale, mentre ne sono dei pochi che ne godono il vantaggio.
Niente
si dice di Bonaparte, e con ciò si crede sia giunto al suo intento di essere
console in perpetuo.
La
nostra provisorietà di governo, condotta anche con gran negligenza ci fa
materialmente supporre che non resteremo imperiali. Le gazzette e le ciarle ci
fanno oggi per esser del Gran Duca di Toscana. Io non so dove la vendita che si
è fatta di noi, e il bersaglio ci condurrà alla perfine. Certo è che tutto si
brama fuori dello stato rovinoso in cui siamo.
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13
[luglio 1802]
Continuano
le voci del Gran Duca di Toscana. Si vuole che Melzi abbia detto per me lo credo
(le indennizzazioni vanno avanti in Germania, il Salisburghese verrà occupato
dall’imperatore). Altri vogliono che no, che si continui a coniar monete
coll’Imperatore Dux Venetiarum, e ch’esso dia degli ordini che denotano
permanenza. Ma tutto è oscuro in questo secolo e tutto è possibile. Intanto
noi viviamo sull’aria, tutto è senza ordine, soldati che pesano, monete che
impazientano, scioccherie di ogni genere. Per altro, avviliti e senza guerra ci
vien mantenuta la calma. Ladri di giorno, gondole assalite, ma una speranza
infinita e quasi stomacchevole per l’avvenire.
L’arciprete
con alcuni preti di Torreselle [=frazione di Isola Vicentina] fecero delle
monete false cioè dei soldoni, vennero scoperti e fu detto arciprete non vi
secolarizzate, ma andate a Vienna a fare il confessore a Sua Maestà
l’imperatore.
Si
dice che la Republica stia peggio di noi ma chi stà peggio di noi stà male a
perire.
20
[luglio 1802]
Si
parla di organizazione di Paravicini a Padova di Terevoli a Vicenza, ma tutte
ciarle, e solo i fatti continuano ad esser pesanti. Tutti gli uffiziali erano
disperati sulla nuova che veniva il Gran Duca di Toscana. Oh, l’Italia è
bella e piace anche agli automi.
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2
[agosto 1802]
Gran
discorsi della Republica Italiana. Gran turbolenze in Bologna di cui non si
conosce le cause. Diserzionii ai confini per le coscrizioni militari. Rinunzia
di Melzi. Insomma mille ciarle, la di cui verificabilità non è mai propria dei
tempi nostri. Un giorno tutto è a terra, l’altro nell’Olimpo. Di Parigi
niente si sa, si vuol console in vita Bonaparte, ma precisamente ciò non è
pubblicato. Come che sia l’imbroglio il Cielo lo sa. Si vuole una lega
nordica, per togliere l’Italia ai Francesi e ai Tedeschi. Ma io credo
piuttosto una lega generale per impoverire, scorticare, e infastidire i popoli.
Ogni giorno c’è una guerra, e una pace possibile. Non so qual piano
stravagante possa cader in mente senza esser suscettibilissimo di verificazione.
Tutto è smosso, tutto è abbozzato e ce n’è per tutti. La Providenza dirigga
tante confusioni in un buon posto, per certo gli uomini da quel che si vede non
ne sono capaci. Si dà, si toglie e si lascia tutto il mondo malcontento. Chi
vuol Republica ha Monarchia, chi vuol Monarchia gli piomba republica, chi ama
una nazione sottostà al giogo di un’altra. Chi vuol star tranquillo non può,
chi vuol confusione deve star quieto. Pare che chi domina serbasse almeno nel
suo centro qualche bene, ma non è nemmeno questo. Infine io non so capire come
si ragiri le cose, mentre neppur gli ambiziosi che dominano sono contenti.
Vedremo cosa si farà per i posteri, certo per noi il buon vivere è finito.
Si
dice per detto di Bellegarde, che si pubblicherà sollennemente in agosto la
pace in Vienna. Non vi è che una publicazione solenne che possa compensare a
tante mortificazioni e rovine che s’ingoiano, ma questa publicazione è futura
e lo strapazzo è attuale e continuo. Bisogna dar carriera alle speranze quando
non vi è realità. Un tal fondo non finisce mentre ancora si vive.
Qui
poi ce ne raccontano di belle. Si vuole che una volta arriveremo ad avere
un’organizzatore, e per burlarci meglio fra due settimane. Venga il bene che
sarà accolto a braccia aperte, ma che non si trovi un nuovo genere di
disorganizzazioni per carità. Si vuole un Rainieri arciduca e futuro Duca di
Venezia.
I
Kreutzer finiranno in agosto, e non vi sarà più proroghe; questo è un
prodigio di cui ogni intelletto si forma una curiosità, ed è come si farà a
fare un cambio così eccessivo, senza una sostituzione non ancora visibile quel
che teme l’uomo andante è che si avrà il danno e la perdita, e che anche
questo bel monopolio otterrà il suo intento.
Per
colmo di gioia gli Uffiziali a Padova fanno discernere il loro valore nel
susurrare nei teatri, nel voler piuttosto un’attrice che un’altra, nel far
mascherar qualche galantuomo sul teatro dicendo che Federico II stesso fu posto
sulle scene, e col bastonare quei abitanti che li alloggiano e prudentemente li
soffrono. Veramente il mondo è stanco. È la prudenza mi pare che divenga
necessaria per tutti nissun eccettuato. Qui da noi la cosa va meglio mercé il
buon Latterman, del resto il genio e l’animosità si scoprono; se la pigliano
però sempre coi deboli, per non smentire il fondo della cosa. Si fa corpo, e
noi siam disciolti.
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26
[settembre 1802]
Gran
discorsi per l’organizzazione. Elezione del Mid. Sale nel governo generale,
sua rinuncia. Elezione del conte Trissino per preside della città, e rinunzia.
Tardanza delle altre cariche, perché nuovamente si ritarda la fissazione d’un
governo stabile. Discorsi ora di Cisalpina, ora di compensi. Ier sera andò in
scena il Cavalier di Spirito di Goldoni. Cento quindici comedie furono proibite.
Il revisor Testa credette che Goldoni non
proibito non dovesse portar cattive conseguenze. Certo fatto allusivo a certo
Latour piemontese fece proromper la platea contro l’ingiusto abuso del potere
in alcuni soldati che non meritano di portar la divisa macchiata da simili
azioni in degli applausi, di cui non c’è che un avilimento brutale che
potesse farne a meno. Questa era una scena da lasciar cadere, mentre la verità
è sempre una. Ma si arrestò il capo comico, s’imprigionò anche in via
civile, e si cercò di renderlo libero e si fece lo spettacolo. Tutta Vicenza
era al teatro attesa l’eccelente compagnia Belloni che recitava. Si alzò il
sipario comparve il capo comico in quel mentre cinque o sei soggetti pomarono
schiamazzarono un abbasso la tela. Conturbato tutto il mondo, si abbassò la
Tela, e l’eccellente popolazione tollerò e partì dal teatro.
27
[settembre 1802]
La
continuazione d’una scena tanto inaudita si scoperse ancora maggiore nella sua
estensione. Prima di tutto né Generale, né Colonello vennero a teatro in
quella sera, e il Latour degnamente fu prescelto dai capi a guardia del teatro
per rappresentarli. Là indisciplinata [truppa] non era contenta del
risarcimento avuto dai comici se non scagliava la sua bestialità sul pubblico
che avea battuto alle più sane massime della morale e che niente era astretto a
scordar l’esoso fatto del Latour. Mentre la verità è sempre una. Dunque al
pubblico fu diretto l’insulto, se si può ricevere insulti da simil gente. Il
pericolo fu quello ch’è stato rimarcabile. Se il sangue freddo fosse mancato
quali orrori! Tutta la truppa era allestita, si voleva e pomar [=gettar mele]
palchi e abbrugiar teatro.
Vuol
forse dire in frasi ragionevoli non esser altro questo che un esser ribelli al
proprio Sovrano, e ricevendo mercede per il quieto vivere, quando questo è
alterato, il delitto si sublima ancora più. Niente fa castigata
l’insubordinazione, e tutto fa credere l’accordo. Lascio al benigno lettore
l’esame del sentimento generale, e l’infausta situazione in cui si troviamo.
_________________________________
P.mo
[ottobre 1802]
Il
paese è irritato generalmente. Niuna soddisfazione vien data. Il Latterman e
Beccar parlano di pulizia [= polizia] e dicono agli uffiziali qualche cosa più per se
stessi, che per gli altri. La città nelle persone Losco e Volpe che
bonariamente andarono dal Latterman ebbero in risposta: la tavola fu preparata
sabato, fu mangiata domenica e digerita il lunedì. Ora succede il nomastico, e
il General che solennizza per la prima volta forse per un pretesto invita le
cariche della città. Un solo pretestò un’andata in campagna, gli altri
abbassarono il capo alle miserabili circostanze de’ tempi.
I
teatri sono proibiti dalla pulizia per il quieto vivere, e ciò dovrebbe essere
sempre se si avesse carattere.
4
[ottobre 1802]
Si
fece il pranzo e l’invito fu di Uffiziali di rango. Tutto andò bene. Ma il
brindisi all’Imperatore fu curioso. Si alzò il Latterman e disse: la Francia
conobbe di non poter star senza un capo, noi che l’abbiamo facciamo un evviva
a Sua Maestà.
24
[ottobre 1802]
Tutti
i giorni arriva Besinghen e si organizza, ma tutti i giorni Bisinghen ritarda, e
la confusione si fa maggiore. È arrivato Lottinger e i giudiziosi pronosticano
che organizzare la finanza sia organizzato tutto.
Si
parla dei tumulti della Svizzera. Del viaggio inopinato del Re d’Etruria colla
sua famiglia a Barcellona, e della morte istantanea del Duca di Parma.
Qui
si vive molto male. L’uffizialità e il paese sono realmente in un vero
conflitto. I disordini paiono protetti, certo non v’è sicurezza, e tutti
temono. Il Latterman va a casa. Si dice il principe di Rosemberg che lo
rimpiazzerà. Tutti vanno in campagna più per non vedere soldati che per
divertirsi.
I
Kreutzer sono cambiati in provinciali. Il secco di 6 mesi fa esser in rovina per
i fieni. Tutto pronostica rovina e noia. Le nuove del mondo sono oscure, la pace
però par certa, e si diminuisce la compagnie. Noi siamo come statue, dominati,
e presidiati in un genere che ha del stravagante.
Qual
debba esser il risultato d’una posizione tanto nuova e nauseante il Cielo lo
sa.
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16
[dicembre 1802]
Latterman
è partito per Gratz e molti vogliono che questa sia stata una misura per dar un
compenso ai disordini succeduti in teatro, esso però diceva di ritornare, ma
ora verrà o Somariva o Mitrowski.
Ladri
sommi e però un ordine per le Pignatelle, tutto a profitto dei militari. Hanno
essi fermata anche una carrozza cuchier in corpo di guardia.
È
venuta una commissione per esaminar i processi criminali tutta composta di
lombardi che a forza di riverenze carpirono le carte. Questo imbroglio è ben
doloroso per quei galantuomini che senza profitto servono il loro paese, e
azzardano di passar in prigione. Il caos delle cose, e il ministero non pagato
potrebbe far risultar dei disordini.
Ora
e lettere e gazzette e discorsi, ci rendono Toscani, questo gioco di ballone non
è ancora finito, Dio faccia che la balla vadi in una buona posizione. Gli
uomini non sono più in istato di desiderar nulla in tali propositi. I mali
propri e i mali altrui fanno una viva impressione, e nella scielta de’ mali
non vi può essere smania. Quel che conforta l’osservatore si è che la pace
è solidamente stabilita, che la Francia dà la legge, ma che il suo interesse
esige la pace, perciò ella combina colle maggiori potenze, le quali unite ad
essa in un pasticcio di riparti, si raffigura però una qualche spezie
d’equilibrio. Questa grand’opera è però condotta da Bonaparte, e Bonaparte
è un uomo, sicché si potrebbe vedere questa base a vacillare. Ma pare che il
sistema sia diffuso nelle teste più influenti della Francia e per ciò si
spera. Il mondo ha provato in un decenio tutti i sistemi verificabili, e in
tutti ha conosciuto i suoi esenziali difetti però è sperabile, che da ora
innanzi si si getterà a quei principi che una sana esperienza ha provato che
sono i men diffettibili e dannosi.
27
[decembre1802]
Il
generale Latterman fece cercare dal suo ajutante la pentola scordata al suo
alloggio in casa Thiene, e con ciò si seppe ch’esso più non veniva a queste
parti, anzi solecitava qualche altra destinazione. Ciò riuscì di qualche
compenso alle scene succedute. Ma Beccar e l’uffizialità sostenevano dicendo
verrà egli verrà. Frattanto vennero le genti di teatro e già si facevano le
prove. Tutto il paese a una voce diceva che alcuno non anderebbe al teatro, ma
l’uffizialità in corpo con alla testa i sussurroni assistevano alle prove e
si diedero parola di andarvi tutti nel carnovale. L’impresario che di pochi e
stentati soldi non si appaga fece le sue rimostranze ai presidenti di non poter
sottostare al contratto. I presidenti stettero sodi di farlo sottostare al suo
dovere. Ed egli pose supplica al governo generale dicendo che stante il
dissapore fra i cittadini e il militare, e le molte lettere avute che i
cittadini non andrebbero al certo al teatro, e che il poco soldo e stentato che
riscuoterebbe dal militare formerebbe la sua rovina, egli supplica di venir
esentato dal suo impegno. Il governo generale non diede la risposta che la sera
dei 26 dicendo che resta accolta la di lui supplica per le ragioni anzi dette.
Tutti ebbero piacere di vedersi con ciò esentati da ulteriori scene. Questa
sera giunse Somariva per rimpiazzar Latterman, locché sorprese gli Uffiziali,
ma confortò il paese sperando che un bravo militare e risoluto non
permetterebbe ne le viltà ne l’insubordinazione, e che con ciò i
galantuomini afflitti da tante vicende, e con l’inimico in casa, avranno
almeno la fiducia di non vedersi vessati dalle violenze e dal capriccio. Gli
individui nelle armate son tutti eguali, ma tutto dipende da chi li governa.
29
[decembre 1802]
Oggi
vien notiziato il governo che verrà il conte di Bisinghen in gennajo a
sistemare l’ex Stato Veneto. Il bisogno d’un organizzazione è sommo,
contuttociò questo annunzio che decapita i nostri usi e le nostre costumanze
riesce doloroso. Tanti anni di convulsioni ci tenevano almeno in una chimerica
speranza d’un buon avvenire e di un risorgimento; ora veramente conosciamo che
il Cielo ci gastiga, e che noi soli in Europa perdiamo per sempre una
Costituzione: ch’era la migliore di tutte. Il tempo farà quei prodigi che ora
è impossibile di figurarsi. La vecchia di Siracusa amava Dionigi il Tiranno
perché diceva che sempre nei cangiamenti si trovava di peggio, non vorrei che
fosse così anche nel cambiamento della nostra anarchia. La Providenza faccia
che il civile e il militare prendi una buona piega e che nelle disgrazie si
possa almen goder la pace interna. Il generale Somariva mostra tutte le buone
disposizioni; ma l’impressione è fatta, e l’italiano non cangia così
facilmente. Dio ci doni quella concordia che formava il preggio del governo
veneto, annessa a quella dignità che conviene alla gente ragionevole, e non ci
faccia in tanti prospetti della lanterna magica perdere il sentimento e la
capacità.