segue il  Giornale di Ottavia Negri Velo

 

Trascrizione di Mirto Sardo  

 

 

 

 

1803

 

4 [gennaio 1803

Alle una della notte sotto dirotta pioggia giunge Sua Eminenza Bisinghen. I deputati e il militare si presentarono, ed ebbero le solite graziose espressioni.

Si spera un buon sistema, ma non si osa di figurarselo come converrebbe.

Giunse questa sera la permissione di aprire il Teatro. Gl’impresari fanno il loro mestiere. Il militare dice di accordarsi tutti. I cittadini dicono di non andarvi. Si spera che un governo civile ben diretto farà acquistare un militar indisciplinato

Il conte Burzi fu mandato dall’alta pulizia alla sua campagna, non così i suoi compagni di delitti.

 

8 [gennaio 1803]

Oggi andò in scena l’opera buffa e alcun vicentino che si conosca non vi fu veduto. Il Generale disse non m’aspettavo questo dai Vicentini, e vuole aver in nota i palchi chiusi. Era ben facile che un paese insultato o non amasse di fruire dei spettacoli ridotti tanto pericolosi, e il non essere stato fatto alcun risarcimento dovea giustamente irritare.

Non si capisce la condotta di Bellegarde, mentre le persone già mal educate e discole abbondano sempre in qualunque armata. Noi intanto si ridurremo a quella insipida e inquieta vita che si deve attendere nel total nostro cambiamento di governo. Le pulizie alte basse caminano incerte e la forza domina il mondo.

Il signor Otton Calderari ha ottenuto il posto di primo architetto nell’Accademia di Parigi.

Non si parla che del brillante carnoval di Milano, e del mortorio di quel di Venezia.

Bisinghen è giunto in Venezia consulta molto col governo generale, e pare che le cose si debbano rapidamente sviluppare.

 

11 [gennaio 1803]

Nessun abitante vuol andare a Teatro, e ogni ordine di persone mostra con ciò il proprio sentimento. Somariva si mostra irritato (non che lui ne abbia colpa anzi ciò dispiace al paese) ma la ragion militare ricerca d’insultare ed inquietare, e che tutti piegano ai loro capricci, ma la gente sente altrettanto le proprie ragioni e pare che questa volta non voglia cedere, quando anche i spettaccoli non si rendessero un oggetto di schiavitù. Non si vuol dar qualsisia risarcimento. Il paese senza questo non si vuol muovere. Il generale dice si vuol una division perfetta tra il militar e il civile ebben ciò si farà. Alcuno non è capace di trovar un ripiego. Ier sera venne ordinato dalla pulizia a inchiesta militare di aprire tutti i parapetti dei palchi, già le proprietà e le persone sono venduti al più forte, e anche le debolezze diventano leggi. Qual miseria di essere ridotti questi paesi che avevano la miglior costituzione dell’universo a diventar il ludibrio della stupidezza.

Bisinghen complimenta graziosamente a Venezia, ma niente ancora si vede che possa lusingare.

 

13 [gennaio 1803]

Desideroso Somariva di terminare la scissura tra gli abitanti e il militare ricercò un abboccamento dal delegato di pulizia, il quale disse, se Lei si spoglia d’essere generale, ed io delegato io gli aprirò il libro delle cose, ed avendo ciò accettato, si diffuse il Cisotti sopra l’affar del teatro, e delle progressive insolenze del militare; al che il generale come Somariva altamente disapprovò, ma per venire al fatto è un rappattumamento, si concluse di chiamare tutti gli ordini di persone perché l’insulto fu universale e di proporre la dispiacenza del generale di un tal dissidio, la sua premura d’una perfetta dimenticanza mentr’egli a detto degli ufficiali promette una esatta disciplina e tranquillità, e la prova di questo sarà l’intervenire a una festa al teatro ch’egli darà a tutto il paese. Tutti s’appigliarono al men male, e si comossero delle gentili e cavalleresche espressioni e sentimenti di Somariva il qual merita quel che gli altri demeritano.

 

14 [gennaio 1803]

Oggi con viglietto vennero invitati la nobiltà e la cittadinanza a un ballo in teatro dal general Somariva, il quale gentilmente fece disegnare sul viglietto la Concordia. Tutto il paese è obbligato a Somariva, e scorge sempreppiù che dai capi deriva la disciplina, e la tranquillità.

 

16 [gennaio 1803]

Questa sera si fece la festa, la pioggia non permise di cominciarla per tempo. Contuttociò tutto andò bene. Il generale correva le file, pieno di diligenza per il buon ordine e felice del risultato delle sue premure. Si vociferò ch’era venuta una lettera di Kray, il quale spiegava il suo dispiacere, che il proprio regimento avesse agito tanto male, in un paese ch’egli stimava, e di cui si preggiava di esser concittadino. Diede il castigo d’arresto ai 14 caporioni e avrebbe fatto di più se il paese avesse reclamato.

Il solo Latour si vide alla festa ben tardi, perché ebbe molta scaltrezza nel diffendersi. Si vide però la confusione a regnar sopra dei stupidi volti nel vedere un’unione così gentile d’un paese così a torto insultato. Dio faccia che una pace più decorosa di quella di Luneville sia per esser permanente. Somariva guadagnò di cuore tutta Vicenza.

 

19 [gennaio 1803]

Sono arrivati i nostri deputati da Venezia presso Bisinghen. Essi raccontano delle parole, ma la sostanza è che se questo plenipotenziario avesse un piano stabilito da eseguire la cosa sarebbe facile, ma come esso ha molti arbitri così si trova imbarazzatissimo, e di già due o tre ordini emanati ha convenuto rivocarli. I Veneziani fremono, la miseria è somma, la lusinga pochissima. Si vuole però che Bisinghen sia per certo il miglior talento che si abbia avuto da Vienna e perciò sempreppiù si rende imbarazzante la sua destinazione. Qui si vive tra un ballo e l’altro, e almeno la danza ha preso un significato deciso di pace, di sicurezza, e di concordia.

 

20 [gennaio 1803]

Ai 12 del venturo colla festeggiata nascita dell’Imperatore si partorirà la nostra organizzazione.

 

23 [gennaio 1803]

Niente si sente di Bisinghen se non ch’esso è il quinto maestro di Capella, ma che la musica è sempre quella.

Si sente dei dibattimenti per la guerra nel parlamento inglese, ma la Francia è grande in pace e non sarà minore in guerra. Quando le cose prendono un certo turno non si sa come soffrirle né come attaccarle; certo l’Europa si trova in una violenza convulsiva. Se una guerra portasse un nuovo incendio credo che alcuno non potrebbe calcolarne le conseguenze. Stando così la Francia è grande ciò è vero, ma la spossatezza generale, la noia d’ogni sistema potrebbe far risultare un equilibrio di nuovo genere.

 

27 [gennaio 1803]

Questa sera giunse madame Bisinghen. Illuminazione al teatro. Dama la marchesa Sale. Somariva incombenzato da Bellegarde.

Gli Uffiziali con viglietti invitano esuberantemente alla loro festa il giorno 31.

 

31 [gennaio]

Gli Uffiziali diedero una bellissima festa con cerimonie somme e lasciando il campo ai cittadini di ballare. Il mot[t]o trasparente era in unione salus.

Si aspetta i 12 o 14 del venturo per sapere quel che si proclamerà in Venezia. Si dice che i Veneziani ancora si lusinghino di risorgere, ma i più dicono che i borghesi forestieri s’ingoieranno appieno le nostre sostanze e ci faranno un governo tedesco-lombardo per cui non si saprà più come vivere.

 

 

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10 [febbraio 1803]

Ai 7 terminarono le 4 feste di ballo della riconciliazione. Una neve immensa soffocò questa carità. Ora non si parla che di Bisinghen di cui si dice che ricercando cos’egli fà, i Veneziani rispondono: egli si veste.

Frattanto nissuna lusinga si può coltivare. La nostra città in continua guerra col territorio, cose note tutte al Bisinghen questo pover’uomo ordinò che alla nascita imperiale il territorio cerimonializzi colla città. I Tedeschi e i Francesi sono andati a gara di stomacar i propri partiti. Il mondo è pacifico, ma l’interno degli stati soffre una convulsione indicibile. I risultati si vedranno col tempo.

 

13 [febbraio 1803]

Ieri si lesse la lista dei nominati veneti magistrati. Si trovò che il ministero antico della nostra insigne Republica di sempre grata memoria fu prescielto per providenza nel regolamento futuro di queste provincie, per la terraferma attenderemo quei mesi che si vogliono a rissolvere ora le cose: a Venezia non si parla che degl’impiegati che vanno per pane, e della sussiegatezza della Bisinghen.

 

19 [febbraio 1803]

Gran casini, gran tempi, e vociferazioni di Avogaro di Treviso a Vicenza. Il venerdì gnocolaro di Verona fu a norma delle circostanze, e la linea dell’Adige fa discerner appieno da una parte e dall’altra l’infortunio in fondo comune della misera Italia.

 

27 [febbraio1803]

Si dice che Bisinghen non sa come mandar in esecuzione l’organizzazione, e perciò ha scritto a Vienna: intanto qui l’affar è raffreddato, e molti rinnunziano.

Si dicono delle novità anche nella Republica Italiana, e che possa accendersi una guerra fra l’Inghilterra e la Francia. Se ciò succede guai all’Europa.

 

 

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9 [marzo 1803]

Io non saprei che scrivere. Non si parla che di una organizzazione appoggiata a dei Bernabotti. Tutto tende ad avvilire una popolazione ch’era elettrizzata da delle leggi e una abbondanza quasi uniche al mondo. Qui si attende il signor Avogaro di Treviso per Governatore.

Non si parla più di guerra. Ma il fermento delle cose fa tremare in questi tempi.

 

17 [marzo1803]

Dopo di avere fatti i consueti pubblici consigli, venne ordine ieri di esser sospeso il delegato di pulizia Cisotti, e il delegato territoriale Grandis, e che i deputati preparino tutte le loro carte per deponerle nelle mani del Governatore Avvogaro. Questo decapitamento che sempre ai buoni cittadini giunge impensato, ha fatto tramortire quella poca di anima libera succhiata dal sangue, e mantenuta per tanti secoli. Questo travolgimento di cose, e il dover retrogradare, mette in una malcontentezza decisa, e fa travvedere che a mala pena si piomberà almeno nell’avvilimento, e nella stupidità.

 

19 [marzo 1803]

Ieri arrivò il cavalier Avogaro. Questi venne incontrato dal birro Vanni, e fu accompagnato sempre da esso ai palazzi pubblici: mentre questo regio capitano non ha alloggio, e v’è gara tra il militare e il civile per la cessione d’un’abitazione.

 

20 [marzo 1803]

Il cavalier Avogaro promette mille belle cose, e la conservazione in parte dei nostri andamenti civici. Cosa che dal pien della gente veniva attesa altrimenti. Il vice capitano Leder Fiamingo si mostra un uomo molto accorto e dal quale dipenderà tutto.

 

22 [marzo 1803]

Avogaro cerca casa, facilita tutto, e non si sa cosa sarà.

Il nunzio della città Belloni ha rinnunziato.

A Venezia sui cantoni è stata posta questa carta: chi avesse ritrovato una scatola di metallo di Kreutzer, col ritratto di Sua Maestà l’imperatore, re d’Ungheria e di Boemia ec. ec. ec., contornato di grossissimi birbanti, lo porti alla casa Bisinghen, che le verrà usata la più generosa scortesia.

 

27 [marzo 1803]

Ieri arrivò il conte della Torre Vallisassina, ma per il solito delirio dei tempi i deputati fallarono di fargli incontro a Lisiera, mentre Vanni si procurò tal fortuna verso la strada di Padova. Questo signore s’arrabbiò col locandiere per il disordine, e se fece un argomento per trattar malamente i deputati, volendo con ciò occultare la vera dispiacenza che al Capitanio e vice Capitanio non si era allestito un alloggio. Il Volpe deputato rispose a meraviglia non avendone avuto l’ordine. Al che soggiunse il La Torre: il suddito deve cedere al Sovrano e che l’Imperatore potrebbe cacciar la gente fuori della loro casa al che il Volpe rispose, che conosce troppo i principi di Sua Maestà, e la protezione che dà alle proprietà ec. I Tedeschi in cinq’anni non hanno ancora saputo che vi sieno dei luoghi publici a ciò destinati.

 

28 [marzo 1803]

Questa mattina si fece l’ingresso del Capitanio provinciale. I Corpi si presentarono. Vi fu rinfresco in Capitaniato, ma né un evviva né un soldato vi si sentì, né si vide. Il La Torre disse dieci parole che andarono bene. Avogaro ne disse alcune che non si udirono. Vennero in Duomo alla Messa solenne, dove vi fu un immenso popolo, ma un vero mortorio di fisonomie, e di sentimenti. Il La Torre non voleva il Samis, ma senza ordine preciso i nostri nobili non vollero diventar camerieri. In proposito di privilegi non si vuol sentirli, infine la Provvidenza regolerà un cambiamento tanto funesto.

Se un tal cangiamento si fosse fatto nel 1798 forse sarebbe stato meglio tranguggiato, ma ora eccita una tal comozione il vero rovesciamento dell’antico sistema, che senza perdersi in odiosi confronti, non si può a meno di dar delle lagrime alla memoria di un Governo il più dolce, il più umano, il più felice, il più grandioso, il più libero nel suo vero significato il quale ha felicitato, e ingrandito e l’esterno, e l’interno dei cuori, e dei paesi, e che non si può bramar altro esempio ai sovrani quanto la Republica Veneta, e San Marco.

Nella sera vi fu casino con rinfresco della città. Molti vi concorsero. Le autorità si fecero desiderare. Per colmo di felicità capitò la nuova che ai 2 d’aprile sarà trasportato immantinente l’appello a Venezia, e il revisorio a Vienna.

La sgraziata alterigia tedesca, la leggierezza trevisana, e la grossa baldanza furlana, fecero veramente la loro comparsa.

Il conte della Torre parte domani per felicitar la poca porzione di Verona, al suo ritorno si feliciterà l’estesa Padova.

L’Avogaro cerca casa, la moglie va, e non ritorna che appartamentata. Il Leder par fatto per far la festa.

La sospensione di tutti è sorprendente. Il popolo tace, guarda, e par che non conosca un tal teatro di Pulcinella. La gente capace è ammutolita e colla morte nel cuore nel veder il disastro della propria patria. I ex partiti formano un quadro curioso. Il republicano sorride e sospira, e non si consola nemmeno per aver indovinato l’estesa della cosa. Il realista, va accattando gli sguardi per vedere se non combinandosi i fatti egli possa pascersi nelle sue chimere, ma non discernendo nel mare delle contradizioni e delle confusioni un albero dove appiccarsi fa l’Arlecchino insulso, e combina coll’ultimo che gli parla. Se gli avvenimenti di questo decennio fossero stati posti da Goldoni nel suo vero lustro, io credo che i posteri avrebbero un compenso alle distrutte fortune, e forse una scuola onde non rendersi neghittosi, e codardi quanto i loro antecessori.

 

 

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2 [aprile 1803]

Ora il proverbio è cangiato che nel novello tutto è bello. Diventa un affar comico la presentazione ad un uomo il qual ora è una cosa ora un’altra, e che in fondo non comprende nulla. Il vice Capitanio sta lì come il cacciatore per predar il totale. Tutti si lagnano e tutti si disperano. Oggi si attende il Bazzetta a prender le carte dell’Appello, così si fulmina i colleggiati, i dottori, e il paese. Lascio al benigno lettore il sentimento che ne ha l’universale.

 

3 [aprile 1803]

L’Avogaro fa l’uomo divoto, si preggia di andare incognito senza esser conosciuto, rende tutto facile, capisce poco, e non si sa capire come anderà la cosa. Leder gli va accomodando i falli. Il Codice Giudiziario verrà, e non so se sia da desiderarsi, come fu dell’organizzazione. Si sentì dei ladronecci, e non si sa qual impianto prenderà la polizia.

 

7 [aprile 1803]

Ora cammina la destruzione della nostra città. L’Avogaro con poca testa ha un’albagia che lo rende anche ridicolo. Non v’è che strapazzi, abolizioni di privilegi, infine una rovina di tutto. Non si vuol creder ai galantuomini sperimentati, e si fa per capriccio mille scene d’una autorità ridicola. L’affar dei calamieri è significantissimo. Si potrebbe toglier gli abusi, ma la sussistenza non mai. Casolini e Beccari sono in ballo. I deputati strapazzati, tutti gridano tirannia tirannia, al che si risponde che questo è un paese di conquista. Bella conquista! Degna dei conquistatori. Non si dà passaporti per Vienna, e si piange il nostro danno, e il nostro delirio. Faccia la Providenza.

Avogaro esigge, comanda, e non capisce nulla. Non si fece da esso invito ai militari per le funzioni attuali, sicché non v’è né sistema religioso, né politico. Mandò per altro a far preparar strato e poltrona ai 33 sepolcri per comparirvi in aria di Maestà.

 

10 [aprile 1803

Vi fu scena per il cerimoniale della Messa solenne, ma Somariva ebbe il primo posto, e l’Avogaro mal di capo. Si seppe questa sera che il Regimento Kray passerà a Venezia li 21 del corrente. Questo corpo sempre memorabile per la sua rozzezza, per la sua contrarietà, per la commedia del Cavalier di spirito, per le feste da ballo che li fece rientrar in se stessi darà luogo al regimento Bellegarde.

 

14 [aprile 1803]

Il Dalla Torre ha fatto soffrire colla sua caparbietà mille dispiaceri alla deputazione. Questa famiglia proscritta capitalmente dal governo ex Veneto è parvenuta a figuracchiare in questo, non è meraviglia se tutto debba esser trattato furlanamente. Si tratta ora dell’incontro del Strato e del Samis, come se le somme cose esenziali potessero dar luogo a queste inezie. La fatalità dei tempi ci fa rinnunziare a qualunque sorte di amor patrio e amor proprio.

 

17 [aprile 1803

Pare che noi siamo nel caos della stupidezza. Si vede un governo civile ad agir pazzamente, scioccamente, e senza l’ombra del decoro se si passa a quello di Venezia altro impianto bizzarro, e se si volesse rivolgersi a Vienna non vi è né passaporti, né ascolto, sicché vivva l’ampiezza degl’imperi.

 

22 [aprile1803]

Si cerca casa per l’Avogaro, egli è pagato per averla, ma egli vuol averla per nulla e questa miserabile questione fa scorgere che la genia bernabottica è universale.

Il Leder ciarla e fà il Francesino, Dio ci guardi da un giacobino tedesco.

Si va allestindo la partenza e la venuta del cambio di regimento. Gran diserzione dal canto tedesco.

Pare che tutto cammini senza l’idea di guerra, e pare che l’uguaglianza civile e le massime moderne s’insinuino più profondamente nelle teste per varie strade differenti, ma che però tutte combinano a questo fine.

 

26 [aprile 1803]

Oggi è partito il regimento Kray per Venezia. Gli ufficiali stentano a distaccarsi da noi, e non è che la solecita venuta degli altri che li mandino al loro destino. Gran scene per gli alloggi. Questa truppa ha mille uomini di più, ma si spera nella immensa diserzione. Si parla di due o tre fregate che si fanno vedere a Venezia. Queste sono Inglesi, e non si capisce se le voci di guerra venghino dal malcontento universale o dalla realtà certo è che par che frà la Francia e l’Inghilterra le cose sieno in fermento. I Francesi fanno coscrizioni per l’America. Noi siamo qui coi nostri Bissingen. L’Avogaro fa mille cose per aver una casa gratis. Va alla dottrina e fa mille sciocchezze. Lederer si diverte a far il spiritoso moderno, e a imbrogliar le cose a suo vantaggio. Tutto si strapazza, tutto si conculca, non vi è di reale che la noia, il malcontento, e una vera disperazione per l’avvenire.

 

 

 

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P.mo [maggio 1803]

È arrivata l’Avogara, scene per il Capitaniato non all’ordine. Lederer andato a Venezia, miserie immense di teste, e di modi.

 

 

2 [maggio 1803]

Domani verrà Bellegarde e il suo Regimento da Venezia. Sono partiti i soldati del regimento Kray disperati di lasciar la bontà vicentina. Sempre spasimi per amor di Vicenza, ma mai dimostrazioni reali.

Gran diserzione di soldati, può darsi che la pace ne frenerà l’impulso. Chi vuol che la guerra colla Francia e l’Inghilterra sia certa. Vi è però un certo mistero in tutte le cose, che non si potrebbe fondar su di nulla.

 

3 [maggio 1803]

È giunto Bellegarde. Questo Regimento è composto di Uffizialità di tutti i colori, e par educata. La soldatesca ha l’aria di assassini di strada. Si spera che questi diserteranno. Ora si vede evidentemente gastigato il regimento Kray, e Latermann in un posto secondario a Venezia. L’insubordinazione dovea esser gastigata, se esiste più ordine nelle cose umane. Il militare è ridotto tanto necessario che si dissimula, ma convien alle volte non lasciarlo soverchiare soverchiamente.

Io vedo pertanto questi miseri paesi conculcati in tutte le guise. Un governo civile compassionevole, non rappresentanza decorosa, non uomini di garbo, non sistema addattato, non speranza né conforto imaginabile per l’avvenire. Una turba di militari eccedente senza motivo, a che mai dico tra me questa scena multiforme di disgrazie! L’Europa presenta un quadro indifinibile. Credo che l’occhio il più politico non vi discerna che una confusione incalcolabile. Tutto è probabile, dettrato la quiete e la sistemazione delle cose. Le preponderanze maritime e terrestri fissano lo sguardo, ma non determinano le vere suste che potranno farla muovere. Pare che i piccoli interessi sieno troppo facili a sciogliersi fra di loro senza guerra per non credere che questi servirebbero non ad altro che per pretesto in una dichiarazione. Gli uomini e le cose sono talmente rovesciati, che una guerra potrebbe decidere l’inselvaticamento del mondo. Si vede un certo sistema costante e misterioso a influire in tutte le teste che perciò diventano influenti ch’io credo che siamo raggirati e condotti da tutt’altro che da quel che vediamo.

 

7 [maggio 1803]

Oggi il general Bellegarde e le lettere di Vienna danno per certa la guerra fra l’Inghilterra, e la Francia. Questo nuovo quadro che si apre in Europa mi fa stordire. Io credo che Malta, il re Sardo, ed altre bazzecole non possano servire che di frivoli pretesti a una rottura tanto importante. La grandezza di queste due potenze assorbe l’Europa tutta, e il pensiero. Ma quali disastri, e quali disorganizzazioni deriverà mai sullo sconcertato ordine sociale, e sull’umanità. Chi ha ideato la rivoluzion Francese ha anche imaginato questa rottura. Io non so appoggiarmi ad altro. Grande l’Inghilterra e il suo commercio infinito, la guerra non può che portarvi del pregiudizio, e forse un anichilamento. La Francia grande, fortunata, e comandata da Bonaparte pareva al caso di goder i frutti delle fastose sue gesta. Ma chi ha mai definito a dovere il carattere di Napoleone? Il mondo l’ha veduto guerriero fortunato, e tutto a un tratto il padrone, e l’arbitro assoluto della Francia; come è accaduto tutto questo? Gli uomini abagliati dalla meraviglia di un tal successo, occupati dei propri disastri, e dei fatti di questo uomo, non hanno approfondato giammai le vere suste d’una tal macchina. Così noi vediamo, che invece di gustare i frutti d’un’ambizione sodisfatta, questo fenomeno non s’occupa che a rapacificare il mondo fraudolentemente più per sconettere le cose, e ridurle a un punto di scioglimento che per consolidarle. Sul momento che apparentemente si crede sedate le cose, e forse ridotte una volta a prender un qualche sistema, ecco che dei frivoli pretesti fanno ricadere le cose nel caos di prima, e forse con dei germi più fatali. Che non mi si dica che questa è una guerra ordinaria, che l’Europa è illuminata dall’esperienza. Il mondo tutto non sa più dov’abbia la testa.

I popoli sono educati a qualunque vicenda, il sentimento è spento per ogni cosa; sicché o la Francia resta superiore ed ecco a verificarsi i piani nascosti; ovvero s’incendia l’Europa tutta e per un’altra strada si andrà per la stessa meta. Faccia la Provvidenza uno de’ suoi amirabili tratti per ritirar l’umanità da un bersaglio tanto funesto.

 

9 [maggio 1803]

I fogli dicono la pace conclusa ai 18 del passato fra la Francia e l’Inghilterra. Non v’è che Dio che possa scongiurare il disastro che minaccia l’Europa.

Avogaro va divertendosi, e seccando.

Gli alloggi militari son quasi divenuti intollerabili.

 

10 [maggio 1803]

Oggi è venuto il decreto di sospensione del Samis, parrucche no, ma spade. Tutti godono questo ornamento perduto, perché questi tali non vedono che oggi si perde una cosa domani un’altra, e che a forza di battezzar tutto per frivolo si va in un abisso di cui non si discerne alcuna buona sostituzione.

 

21 [maggio 1803]

Scene continue dell’Avogaro. Non è deffinibile il suo bizzarro personaggio.

Gran diserzione militare, guardate tutte le uscite per impedirla. Noia e imbarazzo per gli alloggi. I palazzi i conventi e le città intere non bastano a queste truppe boreali.

Di Bisinghen si dice a Venezia:

                     È venuto dall’Istro

                        Di Cesare un ministro.

                     Si dice onnipotente,

                        Ma con l’autorità di non far niente.

Ora si vuol la pace, e ciò par ragionevole: le cose son poste in maniera che non si può dar né lunga pace, né lunga guerra.

Fu per morire il Patriarca di Venezia Flangini, e gli venne fatto questo epitaffio:

                        Giace il Flangini qui.

                        Si taccia il resto:

                        Il solo ben ch’ei fé

                        Fu il morir presto.

Gl’Italiani si sfogano in versi liberi, fin che i stranieri li spolpano e li conculcano in maniera da lasciar loro libero il varco di poetare, non essendo lo spirito degno della loro cupidigia.

 

 

 

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