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Ortonesi veraci

- Concetto Eramo -

 

 

Concetto Eramo è nato ad Ortona dei Marsi il 15 novembre 1913

 

 

Se gli si domanda che cosa ha fatto da giovane, prima di tutto, nonno Concetto, come viene solitamente chiamato, risponde: "Ho fatto l'Alpino!". È questa una risposta che nasce dal cuore, è piena di orgoglio e di dolore, perché è data da chi l'Alpino non l'ha fatto solo come servizio militare di leva, ma al fronte, in prima linea. "Ho fatto parte del Battaglione L'Aquila, 'Brigata Julia'. Insieme agli altri Alpini sono salpato dal porto di Bari e sono sbarcato a Patrasso; abbiamo combattuto la seconda guerra mondiale sul fronte greco. In trincea, quando sulle nostre teste passavano i colpi lanciati dal nemico io, che fino ad allora non avevo mai toccato una sigaretta, ne fumavo una dietro l'altra per la paura e la tensione. Però sono stato fortunato, ho visto morire tanti miei compagni, io invece mi sono salvato, anche perché non mi hanno mandato a combattere in Russia, da lì sicuramente non sarei uscito vivo".

Gli abbiamo chiesto se ricorda qualche episodio in particolare e allora ci parla del 26 luglio 1943, giorno in cui è scivolato lungo una scarpata insieme al mulo (inseparabile compagno dell'Alpino) che conduceva ed è stato così pronto di riflessi da spostarsi in tempo e non essere travolto dal mulo stesso, e commenta: "Quel giorno si festeggia S. Anna e io l'ho ringraziata per avermi aiutato"; ancora, racconta di quella volta in cui lui e i suoi compagni erano costretti ad attraversare in fila indiana, ciascuno con il proprio mulo, un passaggio molto stretto, diventando un facile bersaglio del nemico: il suo mulo veniva colpito, lui si gettava a terra e chiamato dall'ufficiale per sapere se ancora era vivo riceveva ordini di restare sdraiato e fingersi morto.

Concetto si emoziona mentre racconta questi episodi, ma il suo ricordo va oltre e ci dice che, catturato dai tedeschi è stato due anni prigioniero in Germania: "Sono stato ancora una volta fortunato perché da prigioniero ho lavorato nelle fabbriche solo per poco tempo, altrimenti sarei sicuramente morto per la fame e la fatica come è successo a molti miei amici; invece ho lavorato in una delle famiglie dei "contadini", lì mi facevano mangiare e il "Padrone" (così Concetto chiamava il capo famiglia) mi ha voluto bene, dopo la prigionia ci siamo sempre scritti delle lettere fino a quando i suoi figli mi hanno fatto sapere che era morto".

Nonno Concetto non ricorda solo l'esperienza dolorosa della guerra  che a lui come a tanti altri suoi coetanei ha profondamente segnato la vita e ha indurito il carattere; egli parla di Ortona e il suo racconto fa ripercorrere all'ascoltatore la dura vita che si conduceva in passato ad Ortona, come in tutti i paesi della vallata: realtà contadina, povera, dove le persone erano dedite prevalentemente al lavoro dei campi su terreni di montagna impervi ed avari, difficili da raggiungere e da coltivare, perché: "Ai mie tempi - dice Concetto - non c'erano i trattori per trasportare  gli attrezzi da lavoro e quello che raccoglievamo nei campi e per portare giù dalla montagna i pezzi di legna per il fuoco: noi avevamo solo l'asino o il mulo". Ricorda che non c'erano neppure le automobili e che era del tutto  normale andare a piedi da Ortona  a Pescina (nove chilometri di strada) con l'asino carico di quel poco che si era raccolto dalla terra, per poterlo vendere alla fiera.

Gli chiediamo se ricorda quando nelle abitazioni è arrivata l'acqua e l'elettricità e allora ci dice che l'elettricità è arrivata ad Ortona agli inizi del 1900. C'era una centrale elettrica sul fiume Giovenco e due signori facevano la guardia, uno durante il giorno e uno durante la notte, ma in autunno, se si distraevano e non toglievano le foglie che si depositavano a mucchi sul canale, questo si otturava, la turbina non girava e nelle case non arrivava più la corrente; Concetto precisa che la luce era molto debole, perché le lampadine erano solo di "cinque candele" e che tali lampadine erano chiamate "commutabili", perché non potevano essere accese contemporaneamente in più stanze, per cui ne funzionava sempre una sola.

Riguardo all'acqua, ci dice che cominciò ad arrivare nelle abitazioni soltanto intorno al 1965. Prima di allora le donne ortonesi tutti i giorni e più volte si recavano con la conca a prendere l'acqua dalla fontana che si trova in Piazza S. Giovanni Battista: Concetto sottolinea come non fosse certo un divertimento tornare a casa con la conca pesante sulla testa, soprattutto per chi abitava nella parte alta del paese e specialmente d'inverno quando, a causa della neve, le strade erano sempre ricoperte di ghiaccio. Infine con una frase che fa sorridere, ma di un sorriso amaro, commenta: "All'inizio, quando cominciò ad arrivare l'acqua nelle case, non  tutti erano d'accordo a 'metterla', perché eravamo così abituati a non averla che molti si chiedevano a cosa  serviva l'acqua dentro casa!". Come dire: "Si era talmente abituati a soffrire da arrivare a considerare come normale una condizione che di normale aveva ben poco!".

Nei suoi racconti Concetto parla spesso della povertà in cui è vissuto da bambino: "In quei tempi non c'era niente, non avevamo soldi, c'era solo tanta fame. Oggi che la tavola è sempre piena di tante cose buone da mangiare per me è tutti i giorni festa!". Racconta che nelle sere d'inverno, per non consumare la legna per il fuoco (c'era solo il camino), si andava tutti a "i mont": ci si riuniva nella stalla di qualche vicino di casa (le stalle erano calde perché riscaldate dagli animali), si accendeva il lume a petrolio, le donne facevano la "calzetta" o dicevano il rosario, gli uomini chiacchieravano e i bambini giocavano. Sorride mentre parla di queste "riunioni" e dice: "Non avevamo niente e ci bastava poco per essere contenti! Io però sono andato a scuola fino alla quarta elementare, la quinta non c'era e ho imparato a leggere e a scrivere: allora, sapete, l'analfabetismo era tanto. Quando facevo il servizio militare a Tolmino scrivevo sempre le lettere agli altri soldati e una volta uno di loro mi ha chiesto se gli insegnavo a scrivere".

All'età di dodici-tredici anni Concetto ha fatto l'apprendista sarto e l'apprendista calzolaio e, ci tiene a sottolinearlo, si è sempre riparato da solo le proprie scarpe fino a qualche anno fa.

Tra la guerra e i due anni di prigionia, è stato lontano da casa per otto anni; tornato ad Ortona ha ricominciato a fare il contadino. Per riuscire a guadagnare qualcosa  per mantenere la propria famiglia, come molti altri ortonesi, terminata la vendemmia ad Ortona, verso la fine di ottobre partiva  ed andava a lavorare a Frascati: qui c'erano molti vigneti e i proprietari cercavano sempre tanta manodopera; tornava a casa a Natale oppure direttamente alla fine di marzo, perché iniziava la stagione della semina e doveva provvedere a coltivare i propri terreni. Nonno Concetto parla della terra con amore, perché la terra, anche se spesso tanto avara, è stata comunque la sua vita: si è recato nei campi a lavorare fino all'età di ottantatre anni!

Sembra di vederlo zappare la terra, grondante di sudore, sotto il sole che scotta oppure su una tradotta che lo porta in terre lontane a combattere, o nel mezzo di tragiche ritirate disseminate di morti. Mentre parla l'uomo e l'Alpino si confondono ed egli conclude: "Non bisogna mai perdersi di coraggio, bisogna sempre avere la speranza!".

All'età di ottantasei anni la sua mente è lucida, ma il suo corpo è stanco: questa condizione contrasta con la sua indole dinamica e battagliera, ma Concetto la vive con un'accettazione silenziosa e serena ed anche in questo è un maestro di vita.

 

Ortona dei Marsi, 19 novembre 2000

 

nonno Concetto è stato intervistato da Letizia Del Capraro

 

 


nonno Concetto ha lasciato i suoi cari e noi tutti il 14 giugno 2003

 

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