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S. Generoso

Patrono di Ortona dei Marsi

 

 

 

 

L'onore che toccò al mio quadrisavolo ed ad altri Pochi privilegiati ortonesi di scortare fino ad Ortona, dalle catacombe dell'Appia, le gloriose spoglie del martire Generoso mi ha spinto a rievocare episodi della memorabile traslazione e a ricordare brevemente la vita del Santo, miracoloso protettore della mia diletta città.

IN una cronaca manoscritta di Casa Buccella a partire dal 1590 e fino al 1910, erano stati, via via, annotati gli eventi e le date più memorabili, riguardanti la nostra città, nelle pagine, dedicate all'anno 1756 si leggeva: " Filippo Buccella, Petroni Luigi, Maggi G. Battista, Silvagni Filippo, per incarico loro conferito con unanime voto della cittadinanza, si, sono recati dal Papa per implorare Sua Santità di concedere ad Ortona dei Marsi un Santo protettore così come è stato di recente fatto per Gioia dei Marsi e Scanno. Il Pontefice, con paterna sollecitudine, autorizzava i detti delegati a scegliere nei cimiteri cristiani dell'Appia le ossa di un martire, che Egli avrebbe elevato alla dignità di Santo protettore. Nelle catacombe di San Sebastiano, dove subito essi si recarono, la loro attenzione si posò su di un loculo recante il nome di Generoso ed il ricordo della sua gloriosa fine. Parve loro che un Santo di tal nome ben si addicesse ad una generosa città qual' è Ortona la cui popolazione ha nutrito sempre sentimenti caritatevoli ed ha sempre dimostrato il suo attaccamento alla fede dei nostri padri ".

GRANDE fu l'esultanza degli Ortonesi nell'apprendere il felice esito della missione, e grande fu l'ansia onde furono pervasi in attesa del ritorno di essa. Eran difficili, a quel tempo, le comunicazione e lente, che solo da Avezzano, con diligenze, si svolgeva il servizio di raccordo con Roma. Alle strade malagevoli si aggiungevano pericoli di ogni sorta perché, non dissimilmente da quanto oggi avviene, molte zone intorno all'agro romano erano infestate da sconsiderati di null'altro solleciti che di alleggerire i viaggiatori dei valori che recavano indosso, spesso malmenandoli a sangue. Contrariamente alle previsioni, la sacra spoglia, scortata da quattro staffette che si erano spinte fino a Scurgola per incontrarla, non giunse ad Ortona che a notte fonda. Vive erano le apprensioni di tutti per l'inatteso ed impressionante ritardo, che poi si seppe dovuto alla furia di un temporale per sottrarsi al quale fu necessario riparare in un cascinale ed attendervi che cessasse: si paventava un possibile cattivo incontro con malintenzionati o con miscredenti. Non un ortonese restò in casa: tutti si portarono lungo la strada che da Ortona mena a Pescina: giovani, vecchi, bambini. Gli infermi, in modo particolare, non vollero privarsi della gioia di salutare il Santo al suo primo giungere, parendo ad ognuno di essi di propiziar bene così, fin dall'arrivo, la protezione ed il favore, di potere, per sua intercessione, riacquistare più presto e sicuramente la salute. Ogni persona recava una fiaccola, una lampada, un cero per fugare le tenebre e quale segno di omaggio; e dai monti intorno si vedeva quel fiammeggiare così strano ed insolito che pareva un vasto incendio (la cronaca diceva che " da Pescina ad Ortona pareva fusse giorno ") ma in quel guizzare di luci si esprimeva la commozione di tutti, cui erano cari quell'ardore, quella trepidazione per amor del celeste patrono.

TRA due ali di popolo genuflesso e salmodiante passò, sotto la volta celeste carica di stelle, nella solennità della notte settembrina satura dell'aroma dei fieni e delle frutta, l'urna con le ossa del Santo presa in consegna dal Parroco e dai Priori delle Confraternite, e subito la folla si riversò, si pigiò nella Chiesa parrocchiale dove assistette alla sacra funzione. Ma non potendo questa accogliere tutti ed essendo i più restati all'aperto, fu necessario dalla soglia impartire la duplice benedizione: quella apostolica, concessa con l'apposito - breve - pontificio, e quella con le ossa di Generoso che, da quel momento, uscito dalla folla dei martiri del cristianesimo, assurgeva gli onori dell'altare quale protettore di 0rtona.

ORTONA si svegliò all'indomani nella letizia di una vita nuova. La fede nell'anima è come la lampada nella casa: serve a far luce. Ma come nella casa occorre la presenza vigilante e provvida di un padre, di uno sposo, che tutto regola, a tutto provvede, così ad ogni anima occorre un celeste patrono cui potersi rivolgere nei momenti di scoramento o di colore per ritrarne conforto, sprone, speranza; per riceverne assistenza, di fesa. Gli ortonesi da allora non si sentirono più soli. Lo spirito del Santo aleggiava nel paese, era presente nei domestici focolari, dava pace ai cuori, armonia alle famiglie, favoriva la collaborazione di tutte le classi a vantaggio del benessere collettivo. Pareva davvero che ognuno sentisse istintivamente il dovere di essere migliore, di amare più il prossimo, di essere più conciliante, più generoso in tutto. Fu questa il primo miracolo di Generoso. Fu un miracolo non visibile esteriormente, ma che ogni anima percepì, comprese, valutò. Seguirono poi i miracoli innanzi ai quali la scienza deve inchinarsi e, non potendo discutere, ammettere che l'evento esorbita dalle umane possibilità. E furono fanciulli che una tabe destinava al sepolcro, senza indugio, e che ecco, appena la scienza, si era dichiarata impotente ad apprestare il benché minimo aiuto, invocato il Santo dai loro familiari, balzavano dal fondo del letto ove erano inchiodati, guariti in un istante. E furono drammi angosciosi di anime, cui era solo riservato un epilogo tragico e che per intercessione del Santo poterono risolversi come una minacciosa notturna tenebra al levarsi dell'aurora; e furono voti di mamme e di spose, pienamente esauditi, perché esse poterono riabbracciare figli e mariti dichiarati dispersi o relegati in campo di concentramento da cui non si usciva che cadaveri. Il terremoto dei 1915, che si abbatté sulla Marsica con una furia selvaggia, demoniaca, mutando ridenti paesi del Fucino, città floride, popolazioni laboriose in un informe cumulo di calcinacci e di sanguinanti ammassi, non risparmiò nessun paese della zona, che tutti più o meno riportarono danni alle abitazioni ed alle persone: Ortona fu il solo paese che non ebbe a subire il benché minimo danno. E più di un fedele, la mattina del 13 gennaio, trovandosi in quell'ora fatale in chiesa a pregare, levando gli occhi al Santo appena percepì il sussulto, implorando aiuto, vide il braccio di Generoso stendersi in alto come a protezione e poi tornare nella sua ordinaria posizione pur, continuando però la palma, che egli stringe nella mano, ad agitarsi per lungo lasso di tempo. E per intercessione del Santo durante la seconda guerra mondiale, di cui ancora durano fremiti di orrore, segni di miseria, di sconvolgimento sociale e morale, Ortona non solo non patì le rovine ed i lutti, ma neppure le razzie e le feroci rappresaglie, le penose deportazioni tedesche. In ogni grave frangente Generoso ha dimostrato ad Ortona la sua benevolenza, il suo amore, la sua provvidenziale assistenza.

BEN si confaceva ad una città quale Ortona, che in ogni occasione dimostrò la sua fierezza ed il suo amore per l'indipendenza e la libertà, un Santo generoso, di nome e di fatto, e guerriero. Quando i delegati ortonesi ritornarono da Benedetto XIV - il buon Papa Lambertini, nel quale così vivo era il senso dell'umorismo, ma così schietto il sentimento umano e la pietà cristiana - Egli approvò la scelta dicendo: " Foste ispirati dal cielo, miei cari: Generoso ben s'addice ad un popolo animoso quale il marso perchè egli fu guerriero. Egli terrà sempre lontano dalla vostra città la guerra e tutti i mali che sono il suo inevitabile corteo! ". Apparteneva Generoso al corpo dei miliziani di Diocleziano. Perseguitare i cristiani, utilizzarli negli stadi per i combattimenti con le fiere, farli sottoporre ai supplizi più orrendi, trasformarli in torce per rischiarare l'Appia: ecco la preoccupazione di questo figlio di liberto che, acclamato imperatore dagli ufficiali dell'esercito di Calcedonia, dopo la morte di Caro e dei figlio Numeziano, regnò per ventuno anni e con una serie di editti infierì sempre più crudelmente contro i seguaci del Vangelo, soprattutto per istigazione di Cesare Galerio. Gli editti trovavano poi nei miliziani degli esecutori implacabili nei quali agiva non la preoccupazione dell'ossequio alla legge, ma la soddisfazione della loro sadica malvagità.

Generoso militava nelle file dell'esercito da giovane, ma da poco era rientrato dalla colonia a Roma: più di una volta aveva trovato modo di sottrarsi dal prender parte alle feroci repressioni dei cristiani ripugnando a lui il sorprenderli durante le loro segrete adunanze ed inveire contro inermi. Generoso era audace, aveva animo coraggioso, ma non era incline al male. A lui pareva che, dopotutto, non ci dovesse essere conflitto tra l'impero, che si preoccupava solo degli ingrandimenti del territorio e dell'imposizione dei tributi e quel movimento religioso che si preoccupava di conquiste soltanto morali e di una felicità, di una ricchezza ultraterrena. A lui pareva che un mondo in cui tutti si amassero ed andassero d'accordo fosse più desiderabile di un mondo in cui uomini sgozzavano uomini sol perché seguaci di una religione diversa dalla loro.

Certo in lui fermentava un buon lievito: inavvertitamente, inconsciamente ma tenacemente.

Intimamente riprovava egli quel fatto di braccare i cristiani nelle vecchie cave di pozzolana, nelle grotte di tufo dove si radunavano per pregare intorno ad un simbolo, per ascoltare la parola di chi tra loro era più profondo nella conoscenza del Vangelo, per dare sepoltura ai loro morti, per onorarne la memoria. Allevato nel culto delle deità pagane non conosceva a pieno l'etica del nuovo ideale di vita, basato sul disprezzo dei beni terreni e nell'aspirazione delle beatitudini di una vita futura.

FU la conversione di Rufo ad opera di Crisogono - l'uno e l'altra oggi glorificati dalla Chiesa nel suo martirologio - che influì in modo decisivo sul corso della sua esistenza. Amico della famiglia di Rufo, Generoso si trovò nell'atmosfera ardente dei neofiti: comprese allora la bellezza dei loro ideali, la purezza della loro fede, la grandezza del loro sacrificio. Rufo divenne ben presto uno degli apostoli più ferventi e zelanti: alla conversione di tutti i membri della famiglia seguì quella degli amici e tra questi Generoso, il quale abbandonò l'esercito per diventare milite di Cristo: pur sostituendo al gladio la croce restò guerriero perché pochi come lui furono così zelanti propagatori della nuova fede.

Nell' ultima persecuzione di Diocleziano Rufo ed il gruppo dei suoi fidi, furono arrestati e cacciati in carcere: suppliziati tutti, in modo particolare si infierì contro Generoso inquantoché reo di avere abbandonato l'imperatore per darsi al culto dei Rabbi di Galilea.

Generoso affrontò il martirio con una serenità sublime, egli riteneva che solo una morte virile potesse degnamente coronare l'ardore della sua fede, che egli aveva abbracciato con tutta sincerità, lo zelo della sua missione che egli aveva svolto senza badare ai rischi, ai disagi, alle difficoltà, animato solo dall'ambizione di far sì che le legioni dei seguaci di Cristo fossero più folte di quelle dell'imperatore.

Si era nell'anno 304. I cristiani che poterono sfuggire al massacro ricuperarono le salme dei martiri e dettero loro sepoltura nelle catacombe di San Sebastiano. Un'epigrafe graffita sul travertino ricordava il nome ed il martirio di Generoso: " Ruphi discipulus, miles fidei ".

PER millequattrocento anni riposarono le ossa del martire nella gelida ombra delle catacombe, tra i solenni silenzi della " regina. viarum ". Dinanzi alla sua tomba, come dinanzi a tutti i loculi dei cimiteri cristiani, piegarono commossi il ginocchio folle e folle di pellegrini che si recavano a venerare la memoria di quegli eroi dello spirito in virtù del cui sacrificio il nuovo Verbo dilagò, s'affermò nel mondo, si consolidò, assicurando il trionfo della Chiesa di Cristo.

Duecento anni fa quattro ortonesi, per delega di tutta la cittadinanza, si accostarono anch'essi a quella pietosa necropoli.

Perché essi si fermarono proprio in quella cella, perché furono colpiti proprio da quel nome? Essi riferirono che concordemente, senza scambiarsi una parola, senza fare un cenno, per un moto imperioso del cuore, riflesso certo di una celeste ispirazione, appena letto il nome di Generoso, s'inginocchiarono a pregare e a chi li accompagnava, per incarico del Papa, dissero che la scelta era fatta: tra quello il martire che Ortona sarebbe stata onorata di avere a suo Santo protettore:  Generoso, discepolo di Rufo, soldato della fede.

Una particolare gratitudine dobbiamo noi Ortenesi al Reverendissimo Parroco don Paolo Frezzini il quale, superando difficoltà di ogni genere e animato da un filiale amore per Ortona e per la nostra Chiesa, si è adoperato perché fossero decisi e sollecitamente, attuati tutti i restauri, ed in occasione del secondo centenario della, traslazione da Roma a Ortona delle gloriosa ossa di S. Generoso fosse approntata anche la speciale cappella dedicata al Santo.

* * *

Va ricordato anche per il sollecito zelo onde fu mosso nel rendere più solenni le celebrazioni bicentenarie di S. Generoso il Comitato ortonese di cui è anima Cuniberto Eramo, coadiuvato dai sigg.: Asci Filippo di Biagio, Di Cieco Francesco fu Franco. Dei Gizzi Giovanni fu Antonio, Di Croce Concetto fu Paolo, Eramo Pietro fu Paolo, Eramo Luigi fu Tommaso, Grossi Timoteo di Gaetano, Maggi Daniele fu Giuseppe, Persico Paolo di Gaetano, Rosati Luigi fu Pasquale, Rosati Giovanni fu Alfonso, Silvagni Luigi di Giovanni, Taglieri Alessandro di Luigi, Taglieri Amato di Domenico, Venti Armando fu Adriano, Venti Birdo fu Biagio, Venti Ulderico fu Adriano.

Ricordiamo infine, con grato animo, il Comitato costituitosi per l'occasione tra gli ortonesi residenti negli S. U. A. e composto dai sigg.: Taglieri Dusolina fu Battista, Venti Giulio fu Andrea, Venti Rosario fu Giovanni, Eramo Ernesto fu Angelo, Asci Angelo fu Pasquale, Silvagni Alessandro fu Ascenso, Eramo Besi di Pietro. Costoro, animati da un amore vivo ed operante hanno risposto con entusiasmo all'appello loro rivolto dal Comitato ortonese.

 

 g. b.

 

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