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Un po' di storia

- Poppedio Silone -

 

Dopo la distruzione di Milionia i Sanniti si ritirarono nelle loro regioni, soprattutto nell'attuale Molise, e furono in poco tempo definitivamente sottomessi dai Romani. Questi nella Marsica già avevano fondato la città di Alba Fucens, presso l'odierna Avezzano, ed acquartierarono la loro guarnigione militare in essa. I nativi della sfortunata Milionía si sparsero nella valle del fiume Giovenco, dando origine alle località che oggi ancora conosciamo, ma con nomi più recenti, che possiamo far risalire al massimo al Medio Evo. Certamente nella Valle del Giovenco la vita continuò, poiché, dopo un paio di secoli, e cioè circa cento anni prima di Cristo, ritroviamo proprio in questi posti una famiglia, che ha lasciato il suo nome alla storia, in uno dei momenti più drammatici della storia di Roma: la rivolta dei popoli italici contro l'Urbe per ottenere la cittadinanza romana, con tutti i diritti e i privilegi a questa connessi. Questa famiglia è la famiglia Poppedia, dalla quale è nato il personaggio storico Quinto Poppedio Silone.

La famiglia Poppedia era imparentata con la famiglia Vezia di Marruvium, uno dei centri più importanti della Marsica in quell'epoca, che sorgeva sulle rive del Fucino, dove attualmente c'è San Benedetto dei Marsi. La stessa famiglia Poppedia aveva molti contatti con Roma, specialmente con il partito favorevole alla concessione della cittadinanza agli Italici, e svolgeva un'azione diplomatica per risolvere la vertenza pacificamente. Plutarco, uno dei grandi scrittori dell'antichità romana, nelle Vite Parallele, al capitolo 111 della vita di Catone, così scrive: " Essendo Catone ancora fanciullo, i Soci dei Romani [i popoli italici] si adoperavano per ottenere la partecipazione dei diritti politici di Roma ed un certo Poppedio Silone, uomo bellicoso e che godeva una grandissima stima, amico di Druso, passò presso di lui alcuni giorni, nei quali, divenuto familiare ai due ragazzi, disse: "Orsù, fate in modo che in favore nostro preghiate lo zio ad adoperarsi per i nostri diritti". Cepione, annuendo, faceva di sì; ma Catone non rispondeva nulla e guardava gli ospiti fissamente; Poppedio soggiunse: "Non sei capace di aiutare gli ospiti presso lo zio, come tuo fratello?". Catone non rispose, sembrando anzi col silenzio e con l'espressione respingere la preghiera. Silone, dopo averlo sollevato al di sopra della finestra come per lasciarlo cadere giù e facendo nello stesso tempo la voce grossa, gli imponeva di dire sì o lo avrebbe gettato giù, e con le mani scuoteva il corpo proteso al di là della finestra. Poiché Catone per molto tempo così perseverava, inflessibile ed inesorabile, Poppedio lo lasciò perdere, dicendo tranquillamente agli amici: "Quale fortuna per l'Italia che questi è un fanciullo; poiché se fosse stato adulto credo che neppure un voto ci sarebbe stato per noi nell'assemblea popolare" ". Druso era un grande amico di Poppedio Silone e capeggiava a Roma il partito che favoriva l'estensione della cittadinanza anche agli Italici. Anzi fece in seguito anche delle proposte concrete al Senato per risolvere la questione, ma tale atteggiamento gli procurò l'uccisione ai piedi della statua del padre.

Questo evento delittuoso fece perdere al Marsicano qualsiasi fiducia e speranza in una soluzione pacifica della controversia. Si arrivò così alla rivolta armata dei popoli Italici, che comprendevano gran parte dell'Abruzzo, delle Marche e del Sannio. Questi si costituirono in federazione, elessero a capitale Corfinio, batterono moneta propria (un pezzo portava la scritta in latino e in lingua osca Italia), formarono un senato e un esercito come quelli dei Romani e diedero inizio alla guerra detta poi dagli scrittori " Guerra Italica " o " Guerra Marsa ". I due consoli che conducevano gli eserciti italici furono Caio Papilio Mutilo, a Sud del Sannio, e Quinto Poppedio Silone, sotto il cui comando militavano le forze dei Marsi, dei Peligni, dei Vestini, dei Marrucini, dei Frentani.

Dei fatti riguardanti in particolare le azioni di Poppedio Silone, poco sappiamo, ma certamente le sue imprese dovettero fare non poca impressione alla gente di allora, se i Confederati di Corfinio, intorno alla metà dell'anno 90 a. C., dopo una strepitosa vittoria di Silone sui Romani condotti da Quinto Cepione, gli dedicarono un trionfo, coniando perfino delle monete, che recavano la scena del giuramento degli Italici con la scritta " Q. SILO " (Quintus Silo = Quinto Poppedio Silone). L'anno seguente, 89 a. C., si trovò di fronte Caio Mario, che sconfisse il condottiero marsicano in due battaglie, una ad Alba Fucens e un'altra nella Val Comino. Successivamente Silone, riorganizzato il suo esercito, ebbe ragione di Porcio Catone, il quale lasciò la vita sul campo. I Romani, intanto, aggirando i Marsicani, sconfiggevano le altre forze italiche e occupavano la capitale Corfinio. Successivamente il generale romano Silla inseguì gli Italici fin nel Sannio e nell'Apulia. Poppedio Silone, riunitosi anch'egli con i resti dell'esercito italico in quest'ultima regione condotto da Mario Ignazio, fu costretto ad accettare battaglia dal pretore Metello, fu sconfitto e cadde combattendo.

Il grande storico di Roma Tito Livio deve aver parlato diffusamente di Poppedio Silone nella sua monumentale opera sulla storia di Roma, ma la narrazione si trova proprio in quei libri, che sono andati perduti e dei quali ci restano solo gli " indici ", detti epitomi. Nell'epitome al libro 76 si leggono queste parole. " Silo Pompaedius dux Marsorum auctor eius rei in proelio cecídit (Silone Poppedio condottiero dei Marsi primo responsabile dell'avvenimento cadde in battaglia) ".

Nel 1814 in contrada " Le Rosce ", sulla riva destra del fiume Giovenco, a Sud di Ortona, fu ritrovato un cippo sepolcrale su cui c'era la scritta:

POPPEDIA. P. F. SECUNDA

FILIAE. OSSA. SITA. FITAE.

M. F. MATRI. OSSA. SITA.

da cui si evince che colà erano state sepolte la moglie e la figlia di Poppedio Silone, come gli studiosi hanno interpretato (es. A. Di Pietro; C. Rossi in Memorie Ercolanesi vol. III, pag. 244, Napoli, 1843). Questa pietra tombale è stata custodita prima dalla Famiglia Buccella di Ortona e poi donata al Museo Civico di Avezzano, dove tuttora si trova. Essa è importante anche perché nella tomba furono trovati oggetti della toilette femminile: ombrello, pettine, pantofole, boccette di profumo.

 

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