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Un po' di storia

- Le gesta di Silone -

 

Nel narrare le gesta del grande Capitano della nostra terra seguiremo la ricostruzione che ne fa il generale di Squadra Aerea Domenico Ludovico in Dove Nacque Italia. Iniziate le operazioni militari, il primo scontro fra gli Italici e i Romani si ebbe sulle rive dei Liri, dove i Romani subirono una sconfitta, che per la gravità fu paragonata addirittura alla disfatta di Canne. Nel "settore più a Nord (nella Marsica, presso Albe Fucens) intanto la situazione non era migliore, anzi i Romani subirono di nuovo uno scacco per opera di Poppedio Silone, che in quella circostanza mostrò astuzia e ardimento, più che valore militare, conducendo un'azione di inganno e di finzione" (Ludovico, op.cit..). E legato romano Quinto Cepione si era spinto temerariamente molto avanti sotto il campo nemico, comandato da Silone. li Capitano marso imbastì allora tutta una messa in scena per trarre in inganno i Romani. Travestito da transfuga, con due suoi fidi schiavi si presentò al campo romano e disse di aver subito delle ingiustizie da parte dei suoi compatrioti, per cui aveva disertato insieme con i suoi figli (i due schiavi) e si presentò recando doni per passare fra l'esercito romano. I doni consistevano in pezzi di piombo dorato, che davano l'impressione di lingotti d'oro. L'avventato Cepione cadde nel tranello e, seguendo Silone, penetrò in territorio marso. A un punto convenuto precedentemente l'audace Capo italico si sottrasse alla scorta romana, lanciò il suo grido di guerra e gli fecero eco diecimila soldati italici nascosti in agguato. Fu una strage per i Romani e perdette la vita lo stesso Cepione. A Silone i confederati di Corfinio tributarono un pub- blico trionfo per le sue gesta, tanto che alcune monete, coniate verosimilmente verso la metà dell'anno 90 a.C., recano sul rovescio la scena del giuramento con la scritta Q. SILO (Quintus Silo = Poppedio Silone), evidentemente in onore del condottiero marso, forse a celebrazione della sua vittoria su Cepione. La guerra intanto continuava. Gli Italici riportarono ancora una vittoria sui monti Fiscellus, mentre un fronte importante era ancora quello Marsicano: "Ivi si fronteggiavano Caio Mario e Poppedio Silone, i quali, forse per reciproco rispetto, non decidevano mai di prendere l'iniziativa di attaccare, continuando a sorvegliarsi a vicenda da posizioni ravvicinate" (D. Ludovico, o. c.). Infine, un errore tattico di Silone permise a Caio Mario di riconquistare Alba Fucens e di infliggere ai Marsi una grave sconfitta in un'altra battaglia nella Val Comino. In questo periodo il conflitto fra la Confederazione Italica e Roma era caratterizzato da vicende alterne e, dopo qualche anno di lotta, non si avevano ancora né vinti né vincitori. Però gli Italici avevano inferto allo Stato romano un grave colpo, più che militare, di ordine economico e lesivo per la politica estera dell'Urbe. Difatti, il Senato romano alla fine dell'89 a.C. per risanare il bilancio dovette far ricorso alla svalutazione della moneta, riducendo il peso dell'asse a grammi 11,64; mentre il prestigio politico e militare di Roma scadeva agli occhi degli stranieri, che si sentivano più audaci a ribellarsi all'autorità romana, come fece Mitridate re del Ponto.

Intanto continuava la campagna militare. Durante lo stesso anno 89 a.C., Porcio Catone fu nominato console ed ebbe l'incarico di debellare il fronte marsicano, comandato sempre da Poppedio Silone. E "Catone, più presuntuoso che capace, si dimostrava impaziente di battere Poppedio Silone". Ci fu battaglia e vinse Silone; Catone morì sul campo (autunno dell' 89 a.C.). A questa occasionale vittoria di Silone, però, fecero riscontro le ripetute sconfitte degli altri eserciti italici sugli altri fronti dei teatro bellico, tanto che i Romani occuparono la Capitale della Confederazione, Corfinio, già il 30 aprile dell'89 a.C.. La Lega Italica era praticamente sconfitta. I Romani non dettero tregua agli Italici ed invasero anche il Sannio e le città della Campania, che avevano aderito alla Lega. I Sanniti, nonostante le vittorie romane, non cedevano, e, dopo ogni sconfitta, ritrovavano il coraggio di riorganizzare le fila. I due eserciti avversari si scontrarono ancora a Canne nella Puglia ed il condottiero romano Silla batté sulle rive dell'Ofanto il capitano sannita Mario Egnazio, che lasciò la vita sul campo. Era ormai la fine. Silla penetrò nel cuore del Sannio e conquistò Isenùa e Bovianum, sbaragliando gli avversari. A questo punto la sfortunata e sanguinosa guerra sarebbe dovuta finire, invece gli indomiti superstiti italici riaccendevano focolai di resistenza qua e là nel Sannio, nelle terre dei Lucani ed in quelle dei Piceni. In questi ultimi bagliori della resistenza italica ritroviamo il nostro eroe Quinto Poppedio Silone fra gli organizza- tori più infaticabili. Nonostante le ripetute sconfitte, egli raggiunse i nuclei dei combattenti sanniti fra i monti della regione. Ormai era l'unico capitano superstite della sanguinosa lotta. I Sanniti lo accolsero con tutti gli onori militari, e per rianimare lo spirito battagliero e riaccendere la fiaccola dell'indipendenza e della libertà, pur nel tragico epilogo della lunga lotta, nominarono Poppedio Silone comandante in capo di tutto l'esercito, e gli tributarono un trionfo. Silone cercò di riorganizzare le file, richiamò i drappelli sbandati, riordinò i quadri degli ufficiali, rinquadrò gli uomini della guerriglia. Portata a termine quest'opera di riorganizzazione, si spostò nell'Apulia, dove trovò altri adepti e si preparò ad attaccare i Romani. Ma il pretore Metello lo costrinse ad accettare battaglia nei pressi di Teanum Apulum. Le preponderanti forze romane ebbero ragione dell'ultimo estenuato esercito italico. La battaglia fu perduta e Quinto Poppedio Silone cadde nella mischia. Anche la Guerra Sociale era finiita. I soldati dell'esercito di Silone si arresero ai vincitori. Mentre a Roma infuriava la guerra civile tra Mario e Silla - il partito democratico e il partito conservatore - che, con la vittoria di Silla, conservatore, ritardò ancora la concessione dei diritti di cittadinanza romana agli Italici, i quali per ottenerli avevano versato tanto sangue. Così finisce la gloriosa vicenda, anche se sfortunata, dell'uomo più celebre che ebbe i natali nelle nostre contrade.

 

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