V
Il risultato complessivo del restauro quale compromesso incoerente e disomogeneo

Nell'articolo appena citato, Brusa ha il coraggio di sostenere che l'intervento è stato effettuato "nell'ambito della normativa e nel rispetto delle esigenze della cultura antiquaria maturata all'epoca del De Lucia ad oggi" (p. 23). Ricordiamo qui che sempre Brusa è presidente di un'associazione (Hora - Associazione Italiana Cultori di Orologeria Antica) il cui codice etico impegna i Soci ad adoperarsi "per rispettare e preservare l'originalità di ogni oggetto di valore significativo per la storia dell'orologeria (orologi e loro parti, macchine utensili, documenti di qualsiasi tipo, fotografie, ecc.)" (cfr. "La Voce di Hora", n. 1, dicembre 1995, p. 77).
Il vagheggiato ripristino dello stato "ferraciniano" dell'Orologio si è in realtà tradotto in uno zuppone di compromessi col risultato della coesistenza di elementi del tutto eterogenei per tipologia, fattura, materiali ed epoca rappresentata. Cominciamo dal pendolo, che vorrebbe riprodurre, almeno nella posizione, l'opera ferraciniana, settecentesca: in realtà, quanto a fattura, presenta elementi di concezione ben più recente, quali il sistema di regolazione della lente, il congegno di inserimento della forchetta mediana di guida e la stessa divaricazione dell'asta di cui si è già parlato. Notiamo che la lente del pendolo, che per fattura e rifinitura non regge il minimo confronto con la ben più elegante lente del pendolo del De Lucia, reca - impresse a punzone - lettere e numeri che formano l'iscrizione "Alberto Gorla / 1998". Lo scappamento, visto l'intento del recupero dello stato ferraciniano, per coerenza doveva essere ricostruito nel sistema a denti di sega, quale appare chiaramente in un disegno del 1856. Rimaniamo, invece, "stupiti" nel vedere un nuovo scappamento ricostruito sempre nel sistema a caviglie, in una forma simile a quella del De Lucia, ma la cui ancora potrebbe trovare degno alloggio - per tipologia e fattura - soltanto in un orologio contemporaneo e le caviglie dello scappamento sono fissate con dadi esagonali ciechi (!). Quanto alle "tàmbure" dei numeri automatici, essendo stata scelta la loro conservazione "in situ" e scartata la loro rimozione tanto caldeggiata dallo zelo filologico di Brusa, doveva cadere del tutto anche il discorso del ripristino filologico nel suo insieme: se non è possibile tornare in tutto e coerentemente allo stato precedente, è quanto mai assurdo farne tornare solo alcune parti. Ecco invece, a riprova del risultato-patchwork ottenuto, la sovrapposizione del castelletto aggiunto di azionamento dei numeri automatici, per giunta sollevato più in alto da una specie di cavalletto interposto di nuova fabbricazione per toglierne l'interferenza con il nuovo asse che trasmette irrazionalmente il moto al nuovo pendolo dalla parte opposta del castello centrale. Se procediamo oltre, troveremo ancora l'inutile sostituzione degli ingranaggi ottocenteschi (perfettamente funzionanti) di trasmissione del moto ai quadranti, costruiti ex novo, e per quanto riguarda il lato Sud in forme stupefacenti e non certo settecentesche; né sarà possibile tacere la "pesantezza" degli apparati frontali che hanno letteralmente sfigurato il lato meridionale del castello e dove sono stati inspiegabilmente riportati i comandi delle leve di azionamento delle sonerie dei Mori, ricostruiti in forme che, spero, neppure Brusa vorrà far passare per settecentesche. Tali comandi esistevano, erano perfettamente funzionanti, come tante altre cose gratuitamente trasformate, erano posizionati sul lato interno del settore di alloggiamento del tempo, presso la ruota motrice dalla quale - com'era più semplice e naturale - prendevano lo scatto grazie alle due caviglie fissate ai raggi della stessa, e non c'è ragione di averli dislocati e ricostruiti sul lato esterno, con l'esito di inutili complicazioni estranee alla linearità ed essenzialità dell'impianto ferraciniano, impianto al quale quei comandi appartenevano! E dopo tutto ciò Romanelli viene a dirci che i "radicali interventi ottocenteschi del De Lucia mutarono in termini molto significativi la macchina settecentesca, la sua filosofia, il suo funzionamento" (lettera al Gazzettino, 25 agosto 2000).

Ci asteniamo, per il momento, in attesa di capire cosa accadrà alle corse dei pesi e al sistema dei rinvii dei cavi, di trattare l'argomento della 'motorizzazione' delle cariche, non deducibile da quanto esposto a Palazzo Ducale. Se fosse vero quanto udimmo all'epoca dello smontaggio sull'idea di una dislocazione dei pesi al di sotto del castello centrale, con la conseguente perdita del significato della verticalità della Torre da cui l'Orologio prendeva maggiore autonomia e la riduzione della caduta dei pesi a poco più di un paio di metri, ci troveremmo ad un'altra colossale incongruenza, ad un'altra perdita di una funzione ferraciniana in componenti quali le pulegge lignee sommitali che rimarrebbero allora inutilizzate, e il tanto decantato ripristino filologico si rivelerebbe fatuo e pretestuoso. Di fronte alle mie perplessità su quest'ultimo punto, Brusa mi rispose telefonicamente il 21 maggio 1997 che la mia idea di restauro strettamente conservativo non avrebbe portato a "scelte coraggiose".

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