VI
Sintesi conclusiva per punti
a) Il restauro doveva
essere un restauro conservativo. Così è generalmente per tutti
i beni culturali, storici, artistici, ecc. Così non è stato, e
la cosa sembra incredibile perché ultimamente le Soprintendenze
si sono dimostrate al limite dell'ossessivo nel salvare anche i
brandelli più insignificanti: si pensi solo al campo edilizio o
agli oggetti del cosiddetto "arredo urbano".
b) Questa trasformazione poteva essere avanzata come necessità,
ma in senso forte, però: o si cambiano i connotati all'Orologio,
o non funzionerà più. Ma ciò è insostenibile, in quanto tutti
sanno che funzionava, e pure bene, fino allo smontaggio.
c) Si potrebbe parlare più sensatamente di miglioramento tecnico,
per conferire maggior precisione, ma (ammesso che di
miglioramento si tratti) una cosa di tal genere dovrebbe passare
in secondo piano di fronte alla conservazione di un orologio
antico che documenta una fase importante della storia della
meccanica: di fronte alla salvaguardia di un bene dei secoli
passati non è sostenibile la sua perfettibilità.
d) Resterebbe l'invocazione di un'operazione 'filologica', che
consisterebbe nel recupero di uno stato precedente, in questo
caso, all'intervento del De Lucia del 1858. Questa era in realtà
l'intenzione: cancellare le tracce del restauro ottocentesco, per
sovrapporne un altro, arbitrario, e comunque di nuova
fabbricazione. Il 'filologico' consisterebbe nella presunzione di
aver stabilito che il pendolo precedente (B. Ferracina, 1757-59)
era dalla parte opposta (lato N) rispetto a quello realizzato da
De Lucia (1858, lato S), e più corto: almeno la metà ! (del
resto, in quel posto, di 4 metri non ci sarebbe stato). Ma
d1) N. Erizzo, appena 2 anni dopo (1860), parla di un cambio di
1800 oscillazioni / h contro le 1828 del pendolo precedente. Ne
risulta un periodo di oscillazione di 2 secondi esatti contro 1,969365429
secondi del pendolo precedente. Quindi la differenza di lunghezza
era veramente minima, valutabile in pochi centimetri, e il
pendolo era comunque intorno ai 4 metri [cfr. il mio libro, pag.
37].
d2) Il pendolo, nell'ipotesi di Brusa (e di fatto, come è stato
ricostruito) si sarebbe trovato in asse con il perno dell'ancora,
quindi senza necessità di essere mosso da un braccio trasversale
come quello che lo 'spingeva' di lato nell'ultima configurazione.
E invece eccoti bel bello un rapporto tecnico di G. Doria e A.
Marini, steso due anni prima del restauro di De Lucia, con tanto
di disegno del pendolo col suo braccio trasversale (Archivio alla
Celestia). E' naturale concludere, con la massima evidenza, che
il pendolo è sempre stato lì. [cfr. il mio libro, pag. 38, e
tavola IV a pag. 39]
d3) Ancora l'Erizzo, parlando dei lavori del 1858, afferma che De
Lucia aggiunse un congegno "al" braccio trasversale, ma
se si aggiunge qualcosa "a" un determinato organo
meccanico, vuol dire che quell'organo esiste già. [cfr. pag. 38
del mio libro]
d4) Esiste il sostegno della sospensione del pendolo, pezzo che non si trovava più in opera dal 1952, ma è riconoscibilissimo nella sua funzione e, cosa più importante, collima esattamente con la posizione in cui il pendolo si è sempre trovato. Il pezzo, per fattura, è assimilabile al resto delle parti statiche dell'Orologio, e quindi è ferraciniano. [cfr. pag. 37, in basso, del mio libro] | Il sostegno ferraciniano della sospensione del pendolo. |
d5) Sebastiano Cadel, responsabile dei lavori per la parte edilizia, stende a conclusione di tutto un dettagliatissimo rapporto su quanto eseguito. Nessuna menzione ad una perforazione del solaio (il 'buco' nel soffitto della saletta sottostante, per intenderci), che si sarebbe resa necessaria se il pendolo avesse in quell'epoca assunto dimensioni così ragguardevoli. Non è pensabile neppure una dimenticanza, dato il dettaglio minutissimo di quel rapporto. [cfr. pag. 41 del libro]
La lente del
Pendolo protetta dalla vetrina nell'ambiente al I piano
della Torre nella posizione precedente all'intervento di
metà Novecento. |
d6) Si confronti questo stato con la fotografia che vede il pendolo oscillare nel locale sottostante [da me riprodotta a pag. 40, tav. V, cfr. pagg. 41-42]. |
e) L'operazione effettuata, al di là delle velleità "filologiche", lungi dal recuperare in modo coerente un livello storico determinato si è tradotta in un coacervo di ridicoli compromessi che hanno portato alla coesistenza di elementi del tutto eterogenei, quali un castello del '700, un pendolo del '900 in una impossibile forma e posizione del '700, uno scappamento del '900 ricostruito ancora sulla forma di quello dell'800 che pure si è voluto eliminare, tre impianti di soneria del '700, un sistema di segnalazione ore-minuti dell'800, il comando dei suoi scatti del '900, ecc., addirittura la soppressione di un apparato settecentesco come quello delle leve di azionamento delle sonerie dei Mori. Verrebbe da pensare che la recente moda di identificazione di Venezia col Carnevale, nei suoi effetti totalizzanti abbia proiettato anche sull'Orologio una sorta di effetto-Arlecchino, di cui Romanelli, Brusa e Gorla sono riusciti a rendersi singolari interpreti in una quanto meno interessante realizzazione-puzzle post-modena.
E' quasi superfluo far notare, infine, che, prefissatosi il ripristino dell'assetto ferraciniano, il lavoro eseguito, nel miscuglio ottenuto col portare il pendolo dal lato opposto e renderlo più corto della metà, ha cancellato anche la stratificazione settecentesca che voleva recuperare, insieme a quella ottocentesca che si era determinato a sopprimere.
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