III
Anamnesi del presente restauro

Alla fine del 1996 un nuovo restauro venne affidato alla Piaget. In realtà si trattava solo di una sponsorizzazione, perché Giandomenico Romanelli, direttore dei Musei Civici Veneziani, coinvolse direttamente il fabbro mantovano Alberto Gorla (già restauratore di altri meccanismi antichi) e lo storico dell'orologeria Giuseppe Brusa.
Costui mi rivelò esplicitamente le proprie intenzioni di eliminare lo stato ottocentesco dell'orologio, che lo avrebbe "snaturato", e di caldeggiare un presunto restauro filologico. La netta opposizione a questo modo di concepire l'operazione portò in breve tempo alla mia totale estromissione dalla progettualità del restauro, anche quale fonte di informazione sullo stato e sulle necessità effettive dell'Orologio. Venni a sapere da altre persone coinvolte nella vicenda che i restauratori cominciavano a riunirsi senza che io ne fossi mai avvisato.
Quando si organizzò un incontro a Ginevra, la Piaget avrebbe espresso a Romanelli il desiderio di vedermi presente, ricevendone la risoluta opposizione, tradottasi in "un no secco", come mi fu riferito. Intanto costui mi firmò una convenzione per un anno di "attività" di affiancamento della mia competenza al restauro e in cui erano comprese alcune visite ("su richiesta" della Direzione Musei) all'officina di Gorla, a Cividale Mantovano, visite che non mi furono richieste Mai, cosicché non vidi nulla per tutto il tempo (maggio 1997 - febbraio 1999) in cui il meccanismo rimase fuori Venezia. Questi fatti rimangono ancora oggi inspiegabili e, lungi dal farne una questione personale (vorrei che non si confondessero i due piani), è per me doveroso riferirli in quanto altamente significativi del criterio col quale si è svolta un'operazione che doveva comportare ben altre accortezze. E' evidente, infatti, che - per motivi anche indipendenti da meriti personali o capacità - il sottoscritto conosceva quel meccanismo meglio di chiunque altro, per averlo seguito per più di un decennio e avervi vissuto accanto per più di un trentennio, godendo di un patrimonio di esperienza familiare di 82 anni, e non fu gran fatica dimostrare tale competenza nel libro di recente pubblicato, "L'Orologio della Torre di San Marco in Venezia. Descrizione storica e tecnica e Catalogo completo dei componenti", Venezia, Cafoscarina, 2000.

Brusa e Gorla volevano dapprima sostituire il quadrante settecentesco con una ipotetica - e contestabilissima - ricostruzione del più complesso quadrante astronomico dei Rainieri (ma pare addirittura che i fregi dei segni zodiacali siano quelli originali).

Da questa immagine si può dedurre l'inconsistenza delle affermazioni di Brusa e Romanelli riguardo l'incompatibilità delle 'tàmbure' a pannelli (per la visualizzazione di ore e minuti) col meccanismo di uscita dei Re Magi. La grande ruota su cui vengono montati gli automi non e' stata affatto rimossa. E' dunque evidente che gli apparati rotanti si sovrapposero al meccanismo dei Re Magi senza bisogno di rimuoverlo o eliminarlo. Si può inoltre osservare il sovrastante sistema di leve che permette la periodica rimozione degli apparati stessi, in occasione del ripristino della processione.

Quando la Direzione Musei Civici (G. Romanelli) fece loro capire che ciò non era possibile, allora i due si accanirono contro le due grandi tàmbure a pannelli numerici, giocando sull'equivoco che si erano "sostituite" al meccanismo della processione dei Re Magi, e che ne avevano comportato la "rimozione" (cosa che ancora Romanelli ha avuto - contro ogni evidenza - il coraggio di sostenere sul Gazzettino del 25 agosto 2000) sopprimendolo con la loro ingombrante presenza. In un breve colloquio avuto con me Brusa commentò, il 24 gennaio 1996, "... e poi sono proprio brutte!" Criterio altamente 'scientifico' di valutazione.
Al contrario, ho ampiamente dimostrato nel mio libro come l'interesse dell'intervento del De Lucia consista proprio nell'abilità di aver posto le due funzioni in "dialogo", grazie a ingegnosi accorgimenti che permettevano di attivarle alternativamente. Per anni io stesso potei compiere queste operazioni di dislocazione alternativa delle parti, in occasione delle periodiche uscite dei Re Magi. Per anni le avevano compiute i miei predecessori.
Quando fu deciso che anche la rimozione definitiva delle grandi tàmbure non sarebbe stata accolta, Brusa concentrò il proprio interesse sul pendolo e lo scappamento, nonché sullo spostamento delle corse dei pesi al di sotto del castello del meccanismo centrale, con la conseguente perdita dello sviluppo verticale che sfruttava l'altezza della Torre. Questa volta l'idea passò, forse perché non interessava in nulla le componenti esterne e quindi visibili dell'Orologio, e le istituzioni si sarebbero comodamente rifugiate dietro le apparenze e all'illusione che, salva l'estetica della Torre, il resto erano beghe comprensibili a pochi specialisti e che potevano protrarsi all'infinito senza che alcuno riuscisse ad averne ragione. Nel 1998, mentre la campagna stampa continua a parlare di restauro conservativo, l'Orologio, smontato e trasportato in un laboratorio di Mantova, viene profondamente trasformato: a) il pendolo viene cambiato di posto e portato dal lato opposto del castello centrale (Nord), lontano dal settore del 'Tempo' (Sud), oltre i settori di alloggiamento delle sonerie. b) viene sostituito con uno più corto di circa la metà (da m 4.15 a 1.90), dotato di una sospensione a molla (il precedente era sorretto da una sospensione a lama). c) il nuovo pendolo viene posto in corrispondenza della barra di guida pendente solidale ad un asse che attraversa tutto il castello per portare - come dicevamo - il movimento dal lato opposto, mentre il pendolo precedente era collocato lateralmente e mosso da un braccio orizzontale, snodato nei punti di congiunzione alla barra di guida verticale e al pendolo. d) in conseguenza al mutato periodo di oscillazione (da 2" a 1",36) viene completamente ricostruito lo scappamento (realizzato ex novo, ma sempre nel sistema a caviglie) con la sua demoltiplica. Così il cuore dell'orologio, la parte più vitale e qualificante dell'intero meccanismo con il suo bel pendolo di 4 metri è perduto nella sua funzione.

Visibile qui il nuovo pendolo di m. 1.90, dotato di sospensione a molla e collocato sul lato Nord del castello centrale, lontano dal settore del Tempo, oltre i settori di alloggiamento delle sonerie. Si noti la divaricazione del pendolo in prossimità dell'asse in uscita per la trasmissione del moto al quadrante Nord (verso le Mercerie), che Gorla si è trovato costretto a fare nel costruire il nuovo pendolo.

I ruotismi del sistema del Tempo quali rimasero fino allo smontaggio, ovvero con lo scappamento del De Lucia (1858).

Romanelli, che ritenne questi appena "aggiustamenti" trascurabili, ebbe a dire: "niente sarà perduto: verrà museificato", aggiungendo che queste operazioni erano state concepite nella completa reversibilità, quale condizione richiesta dalla Soprintendenza.
In Soprintendenza esclusero del tutto che si trattasse di un recupero filologico retrospettivo, dicendomi che altrimenti non sarebbe passato. Quelle scelte erano state presentate come "necessità tecniche" e migliorie. Per quanto riguarda la supposta 'necessità', è palese e noto a tutti che l'Orologio funzionava fino al 1997.
Assurdo anche parlare di "miglioramenti tecnici", perché allo stato attuale delle conoscenze qualsiasi tipo di meccanismo antico è passibile di un qualche miglioramento, e di fatto non lo si esegue, perché, se pure di gran lunga superate nella concezione, tutte le meccaniche storiche conservano un valore intrinseco per la storia dell'orologeria, e se queste sono funzionanti, come nel nostro caso, a maggior ragione vanno conservate come funzionanti. Era sufficiente rettificare le parti usurate per garantire un lungo funzionamento con una buona precisione (e a costi di gran lunga inferiori), perché di fatto è in questa forma che l'orologio ha egregiamente funzionato per centoquarant'anni e nessun miglioramento è sostenibile come indispensabile. Nessuno ha infatti mai pensato di "migliorare" i meccanismi delle monumentali pendole della Reggia di Versailles per renderle ancor più precise e stabili, o perché non corrispondevano al gusto filologico del restauratore, come nessuno si è mai sognato di 'mettere a fuoco' le opere degli Impressionisti.
Il primo febbraio 1999 l'Orologio, così trasformato, è stato rimontato a Palazzo Ducale e presentato alla stampa, in attesa della conclusione dei lavori strutturali alle parti murarie della Torre.

In realtà, molte affermazioni dello stesso Brusa, riscontrabili nel breve scritto presentato in quell'occasione, manifestano apertamente la volontà di operare un ripristino filologico retrospettivo, pesantemente irrispettoso di una meccanica di indubbio valore storico.
Va notato che la lettera al "Gazzettino" di Romanelli (25 agosto 2000) fa pensare ancor più esplicitamente ad un "ripristino filologico", in quanto parla assai male del restauro ottocentesco, come di un'operazione che avrebbe radicalmente stravolto la concezione stessa dell'Orologio e "la sua filosofia", ma questo non è vero, ed è dimostrato dai documenti d'archivio nella maniera più evidente e incontestabile.
Va detto che il restauro eseguito è di fatto reversibile, e si è ancora in tempo per intervenire in tal senso.

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