Alberto Peratoner
Relazione
sulle scorrettezze del Restauro
dell'Orologio della Torre di Piazza San Marco
Premessa
Un grave episodio di manomissione di un bene storico si è verificato a Venezia: il restauro dell'Orologio della Torre si è in realtà tradotto in una radicale e profonda trasformazione della sua meccanica, fatto inspiegabile anche per le condizioni generali dell'Orologio stesso, che richiedevano al più un intervento di restauro conservativo nel puro mantenimento dello stato a noi pervenuto. L'Orologio ha funzionato in buone condizioni - ma con qualche 'segno di stanchezza' che ne rendeva opportuno il restauro - fino al 1997, e chi affermasse il contrario pronuncerebbe un'incredibile menzogna, fosse anche (ma non è certo questo il caso presente) il più grande storico dell'orologeria vivente.
I
Status quaestionis
Il restauro di recente
effettuato ha preteso di eliminare l'ultimo apporto, ottocentesco,
alla complessa storia dell'Orologio, e di recuperare -
arbitrariamente - lo stato immediatamente precedente,
settecentesco (ma ce n'è uno seicentesco, uno cinquecentesco, ed
uno quattrocentesco).
Noi contestiamo: I) che una operazione di questo genere sia
legittima, nel senso della coerenza con il concetto odierno di
restauro di un bene di patrimonio pubblico; II) che sia
filologicamente corretta, ovvero che lo stato precedente dell'Orologio
sia stato correttamente individuato e ricomposto.
I) Le trasformazioni eseguite si pongono in difformità con il
criterio generale di conservazione ormai generalmente adottato:
lo stadio ottocentesco dell'Orologio qui intaccato era comunque
una preziosa testimonianza della storia della meccanica, e il
ritorno a un qualsiasi livello precedente è da ritenersi (come
per qualsiasi altro oggetto o monumento) scorretto e deprecabile,
oltre ad essere inevitabilmente arbitrario (: quale livello
scegliere? E perché proprio quello e non un altro?). Nessuno ha
mai pensato di ricostruire chiese demolite nel passato e
sostituite con altri palazzi o edifici, anche quando le prime
sono di gran lunga più interessanti per la storia dell'arte, a)
perché un altro 'bene' storico sarebbe comunque perduto, b)
perché quanto ricostruito sarebbe comunque un manufatto recente
(ovvero, come si dice, un "falso"). Quindi un'opera
autentica, anche se più recente, la si preferisce SEMPRE (e
giustamente) ad una riproduzione non autentica della forma più
antica. c) La forma più antica andrebbe scelta tra molti livelli
possibili (ad es. la Basilica di San Marco presenta innumerevoli
stratificazioni storiche fino al XX secolo - come pensare ad una
Basilica 'originale'? A quale momento ci si dovrebbe riferire?),
e piuttosto di cadere in una scelta arbitraria e soggettiva è
meglio affidarsi all'oggettività sicura della conservazione
dello stato a noi pervenuto. Quanto detto vale anche se chi
sostiene la riproduzione dello stato più antico può
documentarla con certezza (Abbiamo le fotografie antiche del
veneto-bizantino Fondaco dei Turchi in Canal Grande, trasformato
nel 1858-1860 in modo non certo filologicamente corretto, ma del
quale ora nessuno sosterrebbe il "ripristino" allo
stato originario). Osserviamo, infine, che un prodotto
ottocentesco non può e non deve apparire meno degno di
conservazione di altri, in quanto apparentemente 'recente': si
pensi solo, per rapportarci all'ambito di nostro diretto
interesse, che l'attuale orologio della torre del Palazzo di
Westminster a Londra - il notissimo "Big Ben" - fu
portato a compimento nel 1859 con l'installazione della grande
campana che prese il nome dal presidente del comitato dei lavori
sir Benjamin Hall, ovvero un anno dopo l'intervento del De Lucia,
e oggi non sussiste dubbio alcuno sull'opportunità della sua
conservazione.
Le ipotesi su oggetti storici e monumentali di rilievo
internazionale, di chiunque siano o da qualunque parte provengano,
possono costituire interessanti materiali di studio, ma non
dovrebbero mai concretizzarsi nella trasformazione dei beni
stessi. Tali vagheggiamenti potrebbero "scaricarsi" a
sufficienza su modelli e rappresentazioni grafiche, pubblicazioni,
saggi, ecc., ma nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di
intervenire arbitrariamente e personalisticamente contro il
portato storico consolidato in un tempo ragguardevole (di norma
sono sufficienti 50 anni di età, qui ne avremmo già 140) di un
qualsiasi oggetto del patrimonio comune. Ciò che è accaduto col
'restauro' dell'Orologio della Torre è totalmente difforme da
quanto operato generalmente, e lo sarebbe "anche se" lo
storico Giuseppe Brusa che lo ha concepito avesse ragione nelle
sue ipotesi filologiche.
II) Ma Brusa non ha ragione nelle sue ipotesi, e su questo punto
il sottoscritto non chiede di essere creduto sulla fiducia, o
sulla parola (come invece accade a Brusa, il cui parere è fatto
valere dalla Direzione Musei solo per il fatto di ritenerlo uno
dei "massimi esperti"), ma sulla precisa e
indiscutibile scorta dei documenti d'archivio, evidenze
indipendenti dalla volontà (o fantasia) di chiunque e che
provano lo stato di fatto delle cose in modo incontrovertibile,
come potremo vedere.
II
Riepilogo storico
L'Orologio della Torre
di Piazza San Marco, nella sua configurazione precedente all'ultimo
"restauro", è da considerarsi il risultato di una
serie di stratificazioni succedutesi nei cinque secoli della sua
storia:
1495-1499: L'Orologio viene costruito da Gian Paolo e Gian Carlo
Rainieri di Reggio.
1551: Restauro generale, svolto da Giuseppe Mazzoleni.
1613-1615: Restauri molteplici, ad opera di Giovan Battista Santi.
1753-1759: Rifacimento, ad opera di Bartolomeo Ferracina. Lo
scappamento originario, con bilanciere a verga, o a foliot, viene
sostituito da un sistema alternativo (scappamento ad ancora)
regolato da un pendolo.
1858: Luigi De Lucia perfeziona il sistema del Tempo, con un
particolare scappamento e la sostituzione del pendolo stesso,
realizzato in legno e della lunghezza di m 4,15. Un'altra
modifica di rilievo vede l'introduzione di due grandi tamburi a
pannelli per la visualizzazione di ore e minuti.
1865-1866: Complementi di restauro, ad opera di Antonio Trevisan.
1952-1953: Revisione, ad opera di Giovanni Peratoner, con
rettifica del piano di oscillazione del pendolo.
Diciamo subito che gli interventi del De Lucia (1858) si
concretarono per lo più in operazioni di aggiunta o
sovrapposizione di nuovi sistemi ben localizzati, talora messi in
opera con un sorprendente rispetto nei confronti dell'assetto
precedente.
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