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tratto da la Repubblica del 1 luglio 2003
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chi danneggia davvero l'immagine dell'Italia

 

 

 

di Massimo Giannini

"Der Spiegel" che dedica la sua copertina a Berlusconi definendolo "il Padrino", offende l'Italia prima ancora che il suo primo ministro. C'è un antico e innegabile "pregiudizio anti-italiano", in certe cadute di stile politico-editoriali del settimanale tedesco che già negli Anni 80 illustrava il Belpaese con un'immagine forzata, distorta ma ormai incancellabile: un piatto di spaghetti, e sopra un revolver.

Ma Berlusconi che inaugura il semestre di presidenza della Ue dicendo che "in Italia il peggio è la magistratura, un cancro da curare", fa esattamente la stessa cosa: offende l'Italia, prima ancora che una delle sue istituzioni. Berlusconi, che frange l'onda montante delle critiche sui giornali di mezzo mondo attribuendole "alla stampa italiana di sinistra", offende la libera informazione internazionale (fortunatamente affrancata dai monopoli mediatici e i conflitti di interesse), prima ancora che il buon senso.

Berlusconi che deforma con l'ideologia la lente della politica nazionale affermando che nel nostro Paese "non è mai stata così chiara la divisione tra i moderati e gli estremisti, l'amore e l'odio, il bene e il male", offende la verità, prima ancora che la storia italiana.

Il Cavaliere ha scelto il sistema peggiore, per fugare i timori dell'establishment sul semestre europeo di cui domani assumerà la presidenza. Le sue parole alla radio francese sono urlate allo specchio. Sono pietre scagliate contro se stesso e contro la nazione che rappresenta. Per i contenuti e per i toni, fanno più danni al Paese che dieci editoriali dell'Economist. I giornali internazionali lo giudicano come un "Giano bifronte", un "intreccio inquietante" di urgenze economiche e di emergenze giudiziarie. Un "piccolo Cesare", che si accinge a guidare l'Europa con l'insostenibile pesantezza del conflitto di interesse e delle leggi ad personam che lo salvano dai processi.

Berlusconi, invece di rassicurare chi lo ascolta, rilancia proprio sui fronti nei quali è più clamorosamente e dolosamente esposto. Dice che il conflitto di interessi è "una menzogna", visto che le "tre reti pubbliche sono molto libere"; e comunque "il 75% dei giornalisti è di sinistra" (peccato che nessuno dei suoi Tg, l'altro ieri, abbia dato notizia dei tanti articoli critici pubblicati sui giornali stranieri).

Dice che sono "i giudici politicizzati" a fare la guerra a lui, non il contrario, e aggiunge che il Lodo Schifani non è farina del suo sacco ma "l'ha voluto il presidente della Repubblica" (peccato che in serata il suo portavoce Paolo Bonaiuti sia stato costretto a rettificare questa ennesima, clamorosa gaffe nei confronti del Quirinale).

Quale lezione possono trarre, i nostri partner internazionali, da questo impasto di esasperazione politica e di manipolazione culturale? Quale immagine possono percepire, le opinioni pubbliche di oltre frontiera, di un Paese che il suo stesso primo ministro descrive intossicato da una lotta fratricida tra politici e magistrati, e lacerato da un conflitto tra borghesi e "comunisti"? L'esternazione del Cavaliere conferma un'evidenza "soggettiva": la vera anomalia in Europa è proprio lui. La quantità eccezionale di commenti, analisi e inchieste che la stampa internazionale sta dedicando alla presidenza italiana conferma due evidenze "oggettive".

La prima. Il semestre non è una stravagante fissazione del Capo dello Stato, disposto persino a sacrificare un "bene collettivo" (la costituzionalità delle leggi) per una sua "ossessione privata" (la sovranità dell'Europa). Come Ciampi ripete da settimane, il semestre è davvero un test decisivo per l'Italia. Misurerà l'affidabilità politica del Paese, che è tra i grandi fondatori dell'Unione ma che più volte in questa legislatura ha svilito la sua vocazione europeista in nome di una "fedeltà atlantica" ambigua e subalterna.

Misurerà la credibilità personale del premier, che dichiara di ispirarsi a De Gasperi ma che quasi sempre in questi due anni ha giocato il ruolo dell'allegro guastatore a Bruxelles e dell'assiduo pontiere a Washington. Già solo per questo, il semestre italiano è radicalmente diverso dalla presidenza greca che l'ha preceduto, e sarà profondamente disomogeneo rispetto alla presidenza irlandese che gli succederà.
La seconda. Il semestre non è nemmeno una banale questione di politica interna, ma un grande appuntamento di politica internazionale. L'Italia dovrà presiedere i lavori della Conferenza intergovernativa che adotterà il Trattato della nuova Costituzione e finalizzerà le riforme istituzionali dell'Unione.

Dovrà dare impulso alle grandi riforme economiche e sociali impostate al vertice di Lisbona. Dovrà ricucire i legami tra Europa e Stati Uniti, ricreando un tessuto connettivo comune su questioni cruciali come la ricostruzione dell'Iraq, la pace in Medioriente, il terrorismo internazionale, le relazioni euro-mediterranee.

L'agenda è ricchissima. Delicata sul piano strategico e trasversale sul piano geo-politico. Non ci si può stupire se i media di tutta Europa cercano di capire come sarà "gestita" dal governo italiano. Né si può lamentare una presunta "invasione di campo" se, alla luce delle tare nella sua genesi leaderistica e delle stravaganze nella sua politica estera, i media di tutta Europa avanzano dubbi e perplessità sulle future mosse del Berlusconi presidente del Consiglio europeo. Le sue scelte non riguardano solo 50 milioni di cittadini italiani, ma coinvolgono oltre 200 milioni di cittadini europei.

Da domani, il Cavaliere non ha più solo un vincolo di responsabilità politica nei confronti dei suoi governati. Acquista anche un impegno morale, una sorta di accountability nei confronti dei popoli di 15 nazioni del Continente, che diventeranno 25 nei prossimi mesi.
Se è così, non sono necessariamente "arroganti" o anti-italiani i giornali stranieri che manifestano le loro legittime preoccupazioni.

Meno che mai (al contrario di quello che sembra credere il presidente del Senato Pera) sono "provinciali" o anti-governativi i giornali italiani che riflettono quelle preoccupazioni. Come ogni liberale vero o presunto dovrebbe sapere, il diritto di cronaca si esercita raccontando i fatti. Anche quando sono spiacevoli per le opinioni pubbliche o sgraditi per i potenti. Ma è proprio questo che il Cavaliere fa fatica a comprendere. È proprio su questi aspetti che tradisce un'idea distorta della dialettica democratica.

Nel rapporto strumentale che intrattiene con l'Europa, Berlusconi non ha compreso che l'Unione si tiene assieme perché condivide un impianto di vincoli normativi e di parametri tecnici, più che una politica economica e una politica estera. Non essendo uno Stato unitario né una Federazione sovrana, la Ue è ancora e prima di tutto un "sistema di regole". Per questo il Cavaliere non la riconosce, e non ne è riconosciuto: lui è fuori dalle regole. Se non lo fosse, non sarebbe sfuggito al processo Sme, stravolgendo proprio con il Lodo Schifani l'equilibrio dei poteri dello Stato: potere esecutivo e potere legislativo, stretti a tenaglia per bloccare il potere giudiziario.

Nel rapporto sciamanico che intrattiene con i suoi elettori, Berlusconi vive se stesso come un "re democratico d'Italia", abituato a declinare in termini di sovrano/suddito il rapporto che lega rappresentante e rappresentato. Sente di interpretare una volta e per sempre i sogni e i bisogni del popolo. Può misurarne le oscillazioni di consenso, attraverso il "grande orecchio" dei sondaggi. Può pretenderne il rinnovo di una delega in bianco ogni cinque anni, attraverso il voto. Ma mal sopporta la verifica costante, quasi quotidiana, cui può sottoporlo qualunque "contro-potere". Un Parlamento, un Tribunale, un'Authority. Ma anche la stessa società civile, attraverso la libera stampa.

Per lui il vero potere è il controllo: per questo motivo il gioco gli riesce in Italia, dove questo controllo sui media è pervasivo. Ma per lo stesso motivo il gioco non gli riesce in Europa, dove il suo controllo sui media non arriva. Il risultato paradossale è che in questi giorni, sul caso Berlusconi, i giornali internazionali diffondono inquietudini che Repubblica segnala da tempo, ma delle quali non c'è quasi mai traccia sui giornali italiani. Se ancora ne servisse una, è la prova più schiacciante del vulnus che il conflitto di interesse produce alla qualità della nostra democrazia.

Con queste premesse, è giusto chiedersi che ne sarà dell'Italia, in questi sei difficili mesi da "sorvegliata speciale". Sul fronte esterno, si profila un'accidentata via crucis. Sul fronte interno, la speranza di una gestione bipartisan è già svanita. A Piero Fassino che sul Corriere della Sera ha responsabilmente offerto una sponda dall'opposizione, il Cavaliere ha risposto risollevando la solita, ridicola e volgare "pregiudiziale anticomunista". Conferma ancora una volta il suo scarso senso dello Stato. Non governa una grande nazione, rappresentandone i valori condivisi. Regna su metà del Paese. Disprezzando, demonizzando e delegittimando l'altra metà. Quella che non vota per lui. Anche questa è una "anomalia" che l'Europa non può capire. E che l'Italia paga a caro prezzo.

   

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