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di
Massimo Giannini
"Der Spiegel" che dedica la sua copertina a Berlusconi
definendolo "il Padrino", offende
l'Italia prima ancora che il suo primo ministro. C'è un antico
e innegabile "pregiudizio anti-italiano", in certe cadute
di stile politico-editoriali del settimanale tedesco che già
negli Anni 80 illustrava il Belpaese con un'immagine forzata, distorta
ma ormai incancellabile: un piatto di spaghetti, e sopra un revolver.
Ma Berlusconi che inaugura
il semestre di presidenza della Ue dicendo che "in Italia il
peggio è la magistratura, un cancro da curare", fa esattamente
la stessa cosa: offende l'Italia, prima ancora che una delle sue
istituzioni. Berlusconi, che frange l'onda montante delle critiche
sui giornali di mezzo mondo attribuendole "alla stampa italiana
di sinistra", offende la libera informazione internazionale
(fortunatamente affrancata dai monopoli mediatici e i conflitti
di interesse), prima ancora che il buon senso.
Berlusconi che deforma con
l'ideologia la lente della politica nazionale affermando che nel
nostro Paese "non è mai stata così chiara la
divisione tra i moderati e gli estremisti, l'amore e l'odio, il
bene e il male", offende la verità, prima ancora che
la storia italiana.
Il Cavaliere ha scelto il
sistema peggiore, per fugare i timori dell'establishment sul semestre
europeo di cui domani assumerà la presidenza. Le sue parole
alla radio francese sono urlate allo specchio. Sono pietre scagliate
contro se stesso e contro la nazione che rappresenta. Per i contenuti
e per i toni, fanno più danni al Paese che dieci editoriali
dell'Economist. I giornali internazionali lo giudicano come un "Giano
bifronte", un "intreccio inquietante" di urgenze
economiche e di emergenze giudiziarie. Un "piccolo Cesare",
che si accinge a guidare l'Europa con l'insostenibile pesantezza
del conflitto di interesse e delle leggi ad personam che lo salvano
dai processi.
Berlusconi, invece di rassicurare chi lo ascolta, rilancia proprio
sui fronti nei quali è più clamorosamente e dolosamente
esposto. Dice che il conflitto di interessi è "una menzogna",
visto che le "tre reti pubbliche sono molto libere"; e
comunque "il 75% dei giornalisti è di sinistra"
(peccato che nessuno dei suoi Tg, l'altro ieri, abbia dato notizia
dei tanti articoli critici pubblicati sui giornali stranieri).
Dice che sono "i giudici
politicizzati" a fare la guerra a lui, non il contrario, e
aggiunge che il Lodo Schifani non è farina del suo sacco
ma "l'ha voluto il presidente della Repubblica" (peccato
che in serata il suo portavoce Paolo Bonaiuti sia stato costretto
a rettificare questa ennesima, clamorosa gaffe nei confronti del
Quirinale).
Quale lezione possono trarre,
i nostri partner internazionali, da questo impasto di esasperazione
politica e di manipolazione culturale? Quale immagine possono percepire,
le opinioni pubbliche di oltre frontiera, di un Paese che il suo
stesso primo ministro descrive intossicato da una lotta fratricida
tra politici e magistrati, e lacerato da un conflitto tra borghesi
e "comunisti"? L'esternazione del Cavaliere conferma un'evidenza
"soggettiva": la vera anomalia in Europa è proprio
lui. La quantità eccezionale di commenti, analisi e inchieste
che la stampa internazionale sta dedicando alla presidenza italiana
conferma due evidenze "oggettive".
La prima. Il semestre non
è una stravagante fissazione del Capo dello Stato, disposto
persino a sacrificare un "bene collettivo" (la costituzionalità
delle leggi) per una sua "ossessione privata" (la sovranità
dell'Europa). Come Ciampi ripete da settimane, il semestre è
davvero un test decisivo per l'Italia. Misurerà l'affidabilità
politica del Paese, che è tra i grandi fondatori dell'Unione
ma che più volte in questa legislatura ha svilito la sua
vocazione europeista in nome di una "fedeltà atlantica"
ambigua e subalterna.
Misurerà la credibilità
personale del premier, che dichiara di ispirarsi a De Gasperi ma
che quasi sempre in questi due anni ha giocato il ruolo dell'allegro
guastatore a Bruxelles e dell'assiduo pontiere a Washington. Già
solo per questo, il semestre italiano è radicalmente diverso
dalla presidenza greca che l'ha preceduto, e sarà profondamente
disomogeneo rispetto alla presidenza irlandese che gli succederà.
La seconda. Il semestre non è nemmeno una banale questione
di politica interna, ma un grande appuntamento di politica internazionale.
L'Italia dovrà presiedere i lavori della Conferenza intergovernativa
che adotterà il Trattato della nuova Costituzione e finalizzerà
le riforme istituzionali dell'Unione.
Dovrà dare impulso
alle grandi riforme economiche e sociali impostate al vertice di
Lisbona. Dovrà ricucire i legami tra Europa e Stati Uniti,
ricreando un tessuto connettivo comune su questioni cruciali come
la ricostruzione dell'Iraq, la pace in Medioriente, il terrorismo
internazionale, le relazioni euro-mediterranee.
L'agenda è ricchissima.
Delicata sul piano strategico e trasversale sul piano geo-politico.
Non ci si può stupire se i media di tutta Europa cercano
di capire come sarà "gestita" dal governo italiano.
Né si può lamentare una presunta "invasione di
campo" se, alla luce delle tare nella sua genesi leaderistica
e delle stravaganze nella sua politica estera, i media di tutta
Europa avanzano dubbi e perplessità sulle future mosse del
Berlusconi presidente del Consiglio europeo. Le sue scelte non riguardano
solo 50 milioni di cittadini italiani, ma coinvolgono oltre 200
milioni di cittadini europei.
Da domani, il Cavaliere non
ha più solo un vincolo di responsabilità politica
nei confronti dei suoi governati. Acquista anche un impegno morale,
una sorta di accountability nei confronti dei popoli di 15 nazioni
del Continente, che diventeranno 25 nei prossimi mesi.
Se è così, non sono necessariamente "arroganti"
o anti-italiani i giornali stranieri che manifestano le loro legittime
preoccupazioni.
Meno che mai (al contrario
di quello che sembra credere il presidente del Senato Pera) sono
"provinciali" o anti-governativi i giornali italiani che
riflettono quelle preoccupazioni. Come ogni liberale vero o presunto
dovrebbe sapere, il diritto di cronaca si esercita raccontando i
fatti. Anche quando sono spiacevoli per le opinioni pubbliche o
sgraditi per i potenti. Ma è proprio questo che il Cavaliere
fa fatica a comprendere. È proprio su questi aspetti che
tradisce un'idea distorta della dialettica democratica.
Nel rapporto strumentale
che intrattiene con l'Europa, Berlusconi non ha compreso che l'Unione
si tiene assieme perché condivide un impianto di vincoli
normativi e di parametri tecnici, più che una politica economica
e una politica estera. Non essendo uno Stato unitario né
una Federazione sovrana, la Ue è ancora e prima di tutto
un "sistema di regole". Per questo il Cavaliere non la
riconosce, e non ne è riconosciuto: lui è fuori dalle
regole. Se non lo fosse, non sarebbe sfuggito al processo Sme, stravolgendo
proprio con il Lodo Schifani l'equilibrio dei poteri dello Stato:
potere esecutivo e potere legislativo, stretti a tenaglia per bloccare
il potere giudiziario.
Nel rapporto sciamanico che
intrattiene con i suoi elettori, Berlusconi vive se stesso come
un "re democratico d'Italia", abituato a declinare in
termini di sovrano/suddito il rapporto che lega rappresentante e
rappresentato. Sente di interpretare una volta e per sempre i sogni
e i bisogni del popolo. Può misurarne le oscillazioni di
consenso, attraverso il "grande orecchio" dei sondaggi.
Può pretenderne il rinnovo di una delega in bianco ogni cinque
anni, attraverso il voto. Ma mal sopporta la verifica costante,
quasi quotidiana, cui può sottoporlo qualunque "contro-potere".
Un Parlamento, un Tribunale, un'Authority. Ma anche la stessa società
civile, attraverso la libera stampa.
Per lui il vero potere è
il controllo: per questo motivo il gioco gli riesce in Italia, dove
questo controllo sui media è pervasivo. Ma per lo stesso
motivo il gioco non gli riesce in Europa, dove il suo controllo
sui media non arriva. Il risultato paradossale è che in questi
giorni, sul caso Berlusconi, i giornali internazionali diffondono
inquietudini che Repubblica segnala da tempo, ma delle quali non
c'è quasi mai traccia sui giornali italiani. Se ancora ne
servisse una, è la prova più schiacciante del vulnus
che il conflitto di interesse produce alla qualità della
nostra democrazia.
Con queste premesse, è
giusto chiedersi che ne sarà dell'Italia, in questi sei difficili
mesi da "sorvegliata speciale". Sul fronte esterno, si
profila un'accidentata via crucis. Sul fronte interno, la speranza
di una gestione bipartisan è già svanita. A Piero
Fassino che sul Corriere della Sera ha responsabilmente offerto
una sponda dall'opposizione, il Cavaliere ha risposto risollevando
la solita, ridicola e volgare "pregiudiziale anticomunista".
Conferma ancora una volta il suo scarso senso dello Stato. Non governa
una grande nazione, rappresentandone i valori condivisi. Regna su
metà del Paese. Disprezzando, demonizzando e delegittimando
l'altra metà. Quella che non vota per lui. Anche questa è
una "anomalia" che l'Europa non può capire. E che
l'Italia paga a caro prezzo. |