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articolo tratto da L'Espresso del luglio 2003
 

Miraggio pensione

 

 

 

di Marco Damilano e Stefano Livadiotti, L'Espresso

La riforma è necessaria, i piani del governo inefficaci e l´opposizione pronta a dare battaglia.


Ma quale Maastricht delle pensioni. È una cosa che proprio non esiste... Il colpo più duro alle speranze di Silvio Berlusconi arriva dalle stanze del suo stesso governo, dai corridoi del ministero di via XX settembre, dove negli ultimi giorni Giulio Tremonti non riesce più a nascondere con i suoi collaboratori lo scetticismo per lo slogan del Cavaliere. Evanescente come il Piano Marshall per il Medio Oriente, altro spettro che si aggira per le cancellerie internazionali senza trovare pace né sostanza. Eppure il premier da mesi ne parla con i suoi colleghi europei: "Perché non proviamo tutti insieme a riformare le pensioni? L´Europa ci detta i parametri e noi ci limitiamo ad applicarli. L´opinione pubblica capirebbe". Berlusconi non perde occasioni per rivendersi l´idea anche in casa. L´ha fatto in diretta tv, alla conferenza stampa di fine anno: "Dobbiamo fare la riforma delle pensioni. Ce lo chiede l´Europa". Come un disco rotto, l´ha ripetuto la settimana scorsa, in Parlamento, durante il dibattito sull´inizio del semestre europeo di presidenza italiana: "In Europa si sta facendo sempre più strada la consapevolezza che le riforme sono necessarie".

Del fatto che non ci siano scappatoie l´Europa è davvero convinta. E da tempo. Ma non ha nessuna intenzione di fare il lavoro sporco per conto dei governi nazionali. "L´età in cui scatta la possibilità di smettere di lavorare è più o meno allineata nei diversi paesi, ma non può essere l´Unione a fissare un parametro uguale per tutti", ha tagliato corto il commissario europeo per le politiche sociali, la greca Anna Diamantopoulou, in visita in Italia un mese fa. Negli altri paesi europei i governi hanno accettato di portare la croce. È andata così in Austria, in Germania e in Francia. Risultato: indici di popolarità delle maggioranze parlamentari a picco; milioni di persone nelle piazze. Una miscela esplosiva. E indigesta per il Cavaliere, alle prese con una maggioranza di governo divisa su tutto e con un triennio elettorale alle porte. "Magari la facessero loro la riforma. È necessaria quanto impopolare. E in caso di ritorno al governo non ce la troveremmo sul tavolo", scherza l´ex ministro ulivista Enrico Letta. Che però ci crede poco: "Alla fine, non se ne farà niente".

Come tutte le estati, è partito il tormentone sulle pensioni, con tanto di giallo su possibili blitz agostani a colpi di decreto sugli assegni di anzianità. Copione rispettato anche quest´anno: ad aprire le danze è stato, con la sua relazione di fine maggio, il governatore della Banca d´Italia Antonio Fazio. Solo che questa volta il coro s´è fatto assordante. "Bisogna alzare l´età pensionabile di cinque anni", ha ammonito giovedì 26 giugno la Corte dei Conti. I magistrati contabili non hanno fatto altro che ripetere quanto stabilito, nel marzo dello scorso anno, dal consiglio europeo di Barcellona, dove per questo obiettivo è stata fissata una scadenza precisa: il 2010. Non c´è scelta, i dati parlano chiaro.

Il pensionamento della generazione figlia del boom demografico, il continuo aumento della speranza di vita e il calo della fertilità dopo gli anni Settanta sono un cocktail micidiale per i sistemi previdenziali europei. Tra il 2000 e il 2050 la popolazione in età da lavoro subirà un calo secco del 20 per cento (da 245 a 203 milioni) e, contemporaneamente, gli over 65 faranno un balzo da 61 a 103 milioni. I numeri del ´Working group on ageing populations´ dell´Unione europea si possono sintetizzare così: se oggi ci sono quattro persone in età lavorativa per ogni pensionato, domani (nel 2050) il rapporto sarà di due a uno. Vuol dire che, in media, ogni singolo paese vedrà crescere la spesa per le pensioni pubbliche del 3-5 per cento in rapporto al Prodotto interno lordo. Ma non basta. Siccome i vecchi s´ammalano, una popolazione più anziana comporta più spese sanitarie. Ecco dunque che alla fine bisogna mettere nel conto un maggior impegno finanziario dell´ordine del 4-8 per cento della ricchezza prodotta da ogni singolo Stato.

L´Italia, dove le pensioni rappresentano i due terzi dell´intera spesa sociale e il 40 per cento di quella corrente, sta peggio dei cugini europei. Nel 1996, quando era ancora fresca di stampa la riforma targata Dini (che con i successivi aggiustamenti ha fatto risparmiare 54 mila miliardi di vecchie lire), si prevedeva che al 2050 la speranza di vita per gli uomini sarebbe stata di 78,2 anni; nel 2000 il dato è stato corretto a quota 81,4. E lo stesso vale per le donne: da 84,6 a 88,1 anni. Italia, paese di vecchi. Da mantenere. Come? Rassegnandosi ad andare tutti in pensione a settant´anni.

Di fronte a un quadro così fosco (solo per mantenere stabile il rapporto tra la spesa per le pensioni e il Pil l´Italia dovrebbe marciare al passo del 2 per cento l´anno), il governo ha presentato una delega sulla riforma delle pensioni che è acqua fresca. Un ventaglio di provvedimenti: dalla semplice conferma dell´abolizione del divieto di cumulo tra assegno previdenziale e altri redditi al diritto a continuare a lavorare una volta raggiunta l´età della pensione incamerando i contributi direttamente in busta paga per un biennio. La relazione tecnica che ha accompagnato la manovrina in Parlamento dice che se si conteggiano i costi finanziari per le imprese costrette a conferire il Tfr ai fondi pensioni complementari, alla fine si ottiene un risparmio cumulato di 565 milioni di euro in dieci anni. Già così, sarebbe solo una goccia nell´oceano. Ma è ancora peggio, perché la delega contiene anche una decontribuzione per i nuovi assunti che dovrà essere coperta da stanziamenti previsti anno per anno nelle finanziarie. Ebbene, già per la legge di bilancio del 2004 si parla di un esborso di 650 milioni. Cioè più di quanto si conta di risparmiare nei successivi dieci anni. "È una barzelletta", attacca l´ex sindacalista ed esperto di previdenza Giuliano Cazzola, che ha proposto tra l´altro un contributo di solidarietà a carico dei baby pensionati.

Se dal punto di vista economico il progetto del governo Berlusconi non serve a nulla, in compenso la delega sulle pensioni ha ricompattato i sindacati. "La riforma non passerà", minaccia Paolo Nerozzi, segretario confederale della Cgil. Savino Pezzotta, leader della Cisl, è sulla stessa linea, come anche Luigi Angeletti della Uil.

Davanti a un ricorso alla piazza comunque scontato, Tremonti ha deciso di alzare la posta. Il superministro dell´Economia pensa sia il momento di cambiare marcia. Finora, con la scusa di un ciclo economico troppo debole, è andato avanti a colpi di una tantum. Oggi un condono, domani la vendita di un po´ di gioielli di famiglia. Così, ha raschiato il fondo del barile e gli impegni del patto di stabilità (pareggio di bilancio entro il 2006) si avvicinano. Per di più, è cominciato il semestre di presidenza italiana della Ue e qualche segnale di virtù ai partner bisogna pur mandarlo. Questo insieme di motivi ha convinto Tremonti che val la pena di tentare la spallata per passare finalmente alla fase delle riforme strutturali, di cui il governo Berlusconi si è a lungo e senza costrutto esercitato verbalmente. Non potendo tagliare le tasse ed essendo impossibile intaccare le pensioni già erogate, il ministro ha messo nel mirino quelle di anzianità. Il piatto è ricco. Solo i tabulati dell´Inps dicono che tra il primo gennaio del 1999 e il 30 novembre del 2002 sono state erogate 670 mila e 727 nuove pensioni di anzianità, con un importo medio annuo dell´ordine dei 18 mila euro. Tremonti vorrebbe introdurre pesanti forme di disincentivo, magari alzando i requisiti più velocemente di quanto già previsto dalla riforma Dini-Prodi. L´effetto immediato non sarebbe poi granché (secondo alcuni calcoli informali si arriva a 750 milioni di euro per il primo anno e a un miliardo per il secondo), ma sul lungo periodo il contenimento della spesa risulterebbe molto più sostanzioso.

Tenendo ben coperte le sue carte, il ministro dell´Economia lascia sapientemente circolare le ipotesi più disparate: s´è parlato di innalzamento tout court dell´età pensionabile di cinque anni, di contributi di solidarietà, di ritorno al divieto di cumulo e via dicendo, in un´incredibile babele di cifre.

Intanto, si sta giocando una difficile partita politica, che ha come protagonista proprio Tremonti. Già accusato da tutti gli alleati di fare troppo di testa sua, il super ministro ha deciso di tentare l´affondo. Berlusconi ha detto ai suoi alleati di governo che è disposto a imboccare la strada della riforma previdenziale solo se c´è la massima coesione. E il quadro di oggi si presenta un po´ diverso. Il primo ostacolo è la Lega. L´80 per cento delle pensioni di anzianità va al Nord e Umberto Bossi non vuol sentir parlare di tagli. Non a caso, il ministro del Welfare Roberto Maroni ha cominciato a puntare l´indice contro gli assegni di invalidità, che in gran quantità prendono invece la strada delle regioni del Sud. Sulla materia si è già intervenuti nel passato e il numero delle pensioni è calato, ma resta sempre una spesa di 15 miliardi di euro l´anno. Tremonti è convinto di avere materia di scambio con i suoi amici della Lega. Sistemare il Carroccio però non basta.

C´è il problema dell´Udc. Il segretario Marco Follini aveva preso posizione a favore della riforma in tempi non sospetti. Oggi, in privato, è a dir poco tiepido. Il fatto è che deve fare i conti con quell´ala del suo partito che si riconosce in Rocco Buttiglione e Sergio D´Antoni, contrari fino alla morte. E lo stesso vale per An. Il leader Gianfranco Fini, dalla sua poltrona di vice premier, sarebbe anche ben disposto, ma c´è la destra sociale di Gianni Alemanno e Francesco Storace che ha già alzato un muro. Il centro-sinistra, che a suo tempo aveva lanciato qualche timido segnale di apertura, davanti alla bagarre ha deciso di ritirarsi alla finestra. "Il problema è che ci sono una maggioranza divisa e un governo incerto", sospirano nell´Udc. In questa situazione tutti fanno la voce grossa. E nel centro-destra nessuno vuole restare con il cerino in mano.

Il tempo stringe. "La riforma andava fatta immediatamente dopo le amministrative", ragiona ad alta voce un esponente di spicco del governo. Che aggiunge: "Se ci mettiamo al lavoro dopo la pausa estiva rischiamo di finire a febbraio. E ci becchiamo sei mesi di campagna elettorale per le europee con il tormentone delle pensioni: una sciagura". Berlusconi, che di sondaggi se ne intende, sa che non c´è davvero da scherzare. I più coinvolti da una riforma delle pensioni sono i cinquantenni. Gente che vale il 40 per cento dei voti in circolazione.

 

  articolo tratto da L'Espresso del luglio 2003
   

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