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Dopo la staordinaria mobilitazione del 15 febbraio, lo sciopero
generale proclamato dalla CGIL offre un'irrinunciabile occasione
di approfondimento della reale portata della delega in materia di
occupazione e mercato del lavoro.
Da tempo, le aggregazioni spontanee di donne e uomini delle più
diverse realtà sociali mostrano la comune volontà
di entrare nel merito delle questioni, sollevando la cappa della
politica dai bisogni delle categorie più deboli, degli immigrati,
dei pensionati, dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e di
chi un lavoro non lo ha mai neppure avuto.
Occorre dire, perciò, con estrema chiarezza, che questo governo
vuole portare a definitivo compimento quel progetto che, negli ultimi
venti anni, ha prodotto il sostanziale smantellamento dell'intero
assetto normativo, su cui affannosamente tentano di sopravvivere
i diritti e le garanzie del lavoro.
Dopo le leggi sui contratti a termine, la legge n.223/91, il blocco
della scala mobile, le normative sul lavoro interinale e sui contratti
d'area, e dopo i falliti tentativi di abolire l'art 18 dello Statuto
dei lavoratori, il governo delle destre vuole scrivere la parola
fine.
La legge delega sul mercato del lavoro, tra le altre importanti
"innovazioni", pesantemente oscurate dal gravissimo attacco
all'articolo 18, prevede:
Legalizzazione del caporalato
Espressa abrogazione della legge n.1369 del 60, che vieta qualsiasi
forma di appalto di manodopera, ed introduzione di una normativa
che consente la somministrazione di manodopera, anche a tempo inedeterminato,
da parte di intermediari privati, che possono addirittura trasferire
a terzi l'autorizzazione a svolgere tale tipo di attività.
Il Governo, con un colpo di spugna, vuole cancellare una regolamentazione
-purtroppo già intaccata dalla normativa sul lavoro interinale
- legalizzando una vera e propria attività di commercio dei
lavoratori, che possono anche essere "somministrati" in
via continuativa ed a tempo indeterminato, alla stregua dell'energia
elettrica o di una quantità di cose fungibili.
Anche l'uso del termine "somministrazione", che nella
nozione civilistica qualifica il contratto avente ad oggetto prestazioni
periodiche o continuative di cose, esprime il chiaro intento di
equiparare i lavoratori alle merci.
Esternalizzazioni selvagge e cessione dei contratti individuali
di lavoro
Attraverso la revisione del decreto legislativo n.18 del 2 febbraio
2001, che, in attuazione della direttiva CEE n.98/50, ha di recente
modifiato l'art 2112 del codice civile, prevedendo che possano essere
ceduti solo quei rami di azienda dotati di un'autonomia funzionale
preesistente al trasferimento, e non derivante dalla volontà
delle parti stipulanti la cessione, il Governo, di fatto, tende
non solo a legalizzare le esternalizzazioni selvagge, che già
negli anni 90 hanno accompagnato i processi di ristrutturazione
delle grandi imprese, ma a superare lo stesso divieto di cessione
dei contratti individuali di lavoro, senza il consenso dei lavoratori.
Negli scorsi anni, i tanti lavoratori esternalizzati attraverso
l'utilizzo strumentale della procedura della cessione di ramo d'azienda
avevano trovato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea
un utile strumento di difesa, per sostenere, anche in sede giudiziara,
la illegittimità della cessione del loro contratto di lavoro.
Il contrasto interpretativo, sorto per l'assenza nel nostro ordinamento
di una specifica norma, nel febbraio 2001, è stato risolto
recependo la direttiva comunitaria e riformulando l'art. 2112 c.c,
che oggi, però, il governo vuole nuovamente modificare, proprio
per eliminare quella nozione oggettiva di ramo di azienda cedibile,
che impedisce di qualificare come ramo di azienda un impiegato,
un operaio, due sedie, e qualche residua scorta di magazzino.
Nuove forme di ricatto nella contrattazione
dei licenziamenti collettivi
Alla possibilità di essere adibiti a mansioni inferiori,
come misura alternativa alla collocazione in mobilità, si
aggiunge la "possibilità di scegliere" la trasformazione
a tempo parziale dei contratti di lavoro a tempo pieno.
Nessuna regola per il riconoscimento dello
stato di crisi aziendale
La semplificazione dei procedimenti di autorizzazione delle crisi
aziendali, per la cui realizzazione sono previsti anche interventi
di delegificazione, elimina la garanzia di un iter procedimentale
che si conclude con un decreto ministeriale, e che, nonostante tutto,
si svolge ancora sotto il controllo degli organi periferici del
Ministero del Lavoro.
Nuove forme di schiavitù
Disciplina del lavoro a chiamata, con previsione di una indennità
per i lavoratori che garantiscano disponibilità a tempo indeterminato
per prestazioni discontinue o intermittenti, e introduzione del
lavoro a prestazioni ripartite fra due o più lavoratori,
obbligati in solido nei confronti del datore per l'esecuzione di
un'unica prestazione.
Ovviamente, per queste nuove tipologie di lavoro, non troveranno
applicazione le norme inderogabili di legge, che tutelano i prestatori
di lavoro subordinato, garantendo, ad esempio, il trattamento economico
in caso di malattia, ovvero il diritto al riposo settimanale ed
alle ferie.
Per i lavoratori "a squillo", però, la legge delega
impegna il Governo ad emanare decreti che prevedano anche la eventuale
"libertà" del lavoratore di non rispondere alla
chiamata del datore, perdendo, naturalmente, la indennità
di disponibilità, ma non il compenso per il lavoro prestato.
Rapporti di lavoro con Denominazione di
Origine Controllata
Sostanziale sottrazione all'Autorità Giudiziaria del potere
di accertare, al di là della qualificazione data dalle parti,
la reale natura di un rapporto di lavoro, mediante l'espressa attribuzione
ad un apposito organo ancora da costituire del potere di certificare
la tipologia del rapporto posto in essere.
In altre parole, certificata all'origine la natura non subordinata
di un rapporto di lavoro, nel caso in cui insorga una controversia,
l'Autorità Giudiziaria, sempre che il lavoratore non abbia
"volontariamente" scelto di ricorrere all'arbitrato, non
potrà non tenerne conto.
E' fin troppo ovvio che eventuali contestazioni in sede di certificazione
non potranno che impedire l'instaurazione stessa del rapporto.
Privatizzazione della Giustizia
La delega prevede l'introduzione e l'incentivazione dell'arbitrato,
come strumento di deflazione del contenzioso del lavoro, da attuare
mediante apposite clausole scritte, contenute nei contratti di assunzione
o sottoscritte nel corso del rapporto, con le quali i lavoratori
"volontariamente" si obbligano a devolvere le controversie
con il datore ad arbitri scelti dalle aziende e dai sindacati maggiormente
rappresentativi.
Per favorire questa "imparziale" giustizia privata, è
prevista l'eliminazione del divieto di compromettere ad arbitri
controversie aventi ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti
da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi,
con piena affermazione del lodo secondo equità, impugnabile
in unico grado davanti alla Corte di Appello, ma solo per vizi del
procedimento.
In caso di licenziamento illegittimo, la decisione arbitrale secondo
equità, con o senza la modifica dell'art.18, prevede assoluta
discrezionalità del collegio arbitrale, sia nella scelta
tra reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno,
sia nella quantificazione del danno stesso.
Lo scontro aperto dal Governo, dunque, investe
la stessa idea di quali siano, di come e dove possano essere tutelati
i diritti dei lavoratori, e di quali e quante forme di precariato
e flessibilità necessiti la politica degli affari e del profitto.
Contro l'arretramemento dei fondamentali principi di libertà,
uguaglianza e solidarietà, la partecipazione a questo sciopero
deve essere accompagnata da una seria riflessione sulla effettiva
rappresentanza dei lavoratori da parte dei sindacati confederali,
per rilanciare una battaglia di classe, che investa l'intera società,
ormai di fronte alla drastica alternativa tra un sistema di garanzie
giudiziarie e costituzionali ed un sistema pre-costituzionale di
stampo corporativo.
Il governo, insomma, seguendo una via purtroppo già intrapresa
da chi lo ha preceduto, punta ad una mutazione antropologica:
- trasformare i lavoratori da soggetti di diritto, meritevoli di
una speciale tutela perchè parti deboli del rapporto contrattuale,
in oggetti di produzione e di profitto;
- cancellare il processo del lavoro, introducendo, su tutto il territorio
nazionale, collegi o camere arbitrali stabili, cui resterebbe affidata
la tutela di residui e marginali diritti, e che avrebbero il potere
di decidere con assoluta discrezionalità, non essendo tenuti
al rispetto ed all'applicazione di norme di legge e di contratto;
- elevare comportamenti da decenni perseguiti anche in sede penale
in attività giuridicamente tutelate ed incentivate dallo
Stato.
Per tutti questi motivi, il Coordinamento dei Giuristi Democratici
di Napoli, in occasione dello sciopero generale, unisce la propria
voce a quella delle lavoratrici e dei lavoratori ed invita le forze
politiche e sindacali ad assumere una posizione netta e chiara sull'intera
struttura e sulla "filosofia sociale" che ispira la delega
sul lavoro, per battere questo progetto reazionario e illiberale,
e riaprire, insieme ai tanti che si sono mobilitati in questi mesi,
una nuova stagione di lotte e battaglie per la pace, la democrazia
e i diritti.
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