TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

 Guerre sporche

di Lorenzo Baldo ricerche M. Cappella

 

 

Intervista a Ettore Mo

D. Vorrei iniziare partendo dall’Afghanistan… qual è il suo ricordo dell’assassinio di Mirwaiz Jalil?
R. Era la fine d’agosto del 1994, eravamo andati a intervistare Hekmatyar, uno dei ‘signori della guerra’ in Afghanistan. Hekmatyar era un personaggio spinto da un’ambizione sfrenata, uno di quelli che nonostante in Afghanistan si fosse instaurato un governo islamico, legittimamente eletto con il presidente Rabbani e il Grande Capo Massud, aveva contestato quest’elezione, iniziando a guerreggiare contro gli ex compagni di cordata. Per due anni Hekmatyar era riuscito a tenere a ferro e fuoco Kabul, facendo più vittime di quante non ne avessero fatte i russi, i filo-sovietici durante l’invasione dell’armata rossa, dalla fine del ‘92 all’autunno del ‘94. Tutto questo fino a che Massud riuscì a ‘contenere’ questo personaggio, ad isolarlo in modo che non potesse più nuocere. Quando arrivai a Kabul, chiesi ad un collega che non conoscevo, un giovane afghano (Mirwaiz Jalil) che faceva un programma per la BBC nella lingua locale, se voleva venire con me da Hekmatyar, che in quel momento sembrava ‘isolato’. Accettò subito l’offerta, prendemmo a noleggio una macchina con l’autista per recarci al villaggio a 25 Km a nord-ovest da Kabul, dove si trovava questo famigerato ‘guerriero’, che io già conoscevo dal 1979. Appena mi vide mi accolse con uno strano entusiasmo, feci l’intervista, dopodiché anche Mirwaiz Jalil fece la sua nella loro lingua. Io sapevo che Mirwaiz era molto critico nei confronti dell’atteggiamento di Hekmatyar, ovviamente in maniera civile. Quando uscì dall’intervista gli chiesi come era andata, mi rispose che Hekmatyar lo aveva criticato domandandogli chi lo avesse ‘pagato’ per fare quelle interviste e quei programmi televisivi. Mirwaiz aveva risposto che non vi era alcuna sorta di ‘ambiguo pagamento’ in quanto lui si riteneva un testimone oculare di quello che stava avvenendo da 2 anni e che le sue critiche ed osservazioni erano basate sulla realtà. Dopo i saluti ripartimmo alla volta di Kabul e dopo una decina di chilometri fummo bloccati da una jeep dalla quale scesero cinque uomini armati che trascinarono fuori dalla macchina questo mio giovane collega. Io gli domandai che stava succedendo e lui mi rispose: <…Ettore, they’re killing me… mi ammazzano…>, cercai di oppormi ma quei cinque guerriglieri mi ributtarono in macchina che ripartì velocemente verso Kabul. Mirwaiz fu portato nella loro jeep e dopo circa mezz’ora, quando ero ormai arrivato a Kabul, seppi che era stato ammazzato. Lo trovarono sul ciglio della strada con molti proiettili in corpo e pare anche che sia stato torturato. Una volta fatto ritorno a Londra, la BBC m’intervistò visto che ero stato l’ultimo a vederlo, per tentare di ricostruire quest’attentato…
D. Quanto ha influito quest’avvenimento nel suo lavoro?
R. Dopo la morte di Mirwaiz, il governo di Kabul, il ministro della difesa e dell’informazione, mi consigliarono di stare ‘quieto’, mi diedero delle guardie di scorta (in borghese) davanti alla stanza d’albergo e mi fecero spostare in altre località con un loro aereo… era quasi scontato che ‘il prossimo’ dovevo essere io…anche se io penso che il giorno dell’attentato non potevano prendere anche me, perché si sarebbe creato un ‘incidente internazionale’… In ogni caso mi fecero fuggire…
D. Cosa ne è adesso di Hekmatyar?
R. Hekmatyar ha tentato di unirsi ai talebani, ma i talebani lo hanno respinto. Penso che abbia avuto contatti con Ben Laden e la cosa non mi stupisce vista la sua bramosia al ‘successo’, l’ambizione personale… Mi ricordo che già nel 1979, quando lo vidi per la prima volta, diceva di essere il ‘primo leader’ di un partito islamico ad aver ucciso il primo sovietico, ad aver avuto il primo martire, insomma voleva essere il primo dappertutto. Poi invece durante l’occupazione sovietica si è visto che Hekmatyar era solo un ottimo manager di se stesso e del suo partito, mentre il suo rivale Massud stava sulle montagne a combattere e a sconfiggere i russi. Si dice che abbia avuto i suoi meriti, gli americani hanno ‘investito’ su di lui; secondo loro e secondo la CIA, Hekmatyar era l’unico uomo che poteva arrivare a Kabul e sconfiggere i sovietici. Di fatti la maggior parte dei ‘mezzi’ usati per capovolgere le sorti della guerra sono stati dati proprio a lui e non a Massud. Hekmatyar era sostenuto dalla Destra pakistana che a sua volta era sostenuta dalla CIA e dagli americani. Collaborazioni internazionali… che vedevano in lui il grande antisovietico… l’islamismo puro e l’inizio dell’integralismo… Quando nel 1979 gli dissi: <… Ma lei vuole fare in Afghanistan quello che Kohmeini ha fatto in Iran…> lui mi rispose: <…Molto di più!... In un futuro Afghanistan non ci sarà posto per il comunismo…>. All’epoca Kohmeini ‘tollerava’ ancora i comunisti, perché lo avevano aiutato a cacciare via lo Scià, poi li eliminò. Gli americani che facevano la guerra contro i sovietici, avevano il ‘loro uomo’ sul posto. Adesso credo che sia abbastanza isolato e secondo quanto mi hanno detto dovrebbe trovarsi in Iran…
D. Cosa le è rimasto impresso dell’Afghanistan?
R. La convinzione che non ci sarà mai pace… Nel 1988 i russi se ne sono andati, è cominciata la guerra civile con il regime filo-sovietico, finalmente dopo quattro anni a Kabul c’è un governo islamico, si pensa che debba esserci la pace e invece ecco che Hekmatyar comincia a combattere contro i suoi ex compagni, poi una volta che Hekmatyar è isolato e non può più nuocere, incominciano i talebani. I talebani si sa, vengono lì perché c’è un mega progetto economico di portare il petrolio dal Mar Caspio alle sponde del Pakistan, che giova alle compagnie petrolifere americane e a quelle dell’Arabia Saudita ed ecco perché è ricominciata la guerra. Adesso pare che i talebani abbiano il potere assoluto, con il 90% del territorio, ma sono così isolati dal punto di vista internazionale… io penso che Massud ce la farà… Ma se riuscisse a cacciare via i talebani, anche con un intervento ONU, penso che la pace durerebbe poco e poi ricomincerebbe tutto… C’è una mancanza totale di speranza… La pace non si addice all’Afghanistan…
D. E’ sempre una questione di interessi…
R. Assolutamente. Il Pakistan, aiutato dagli americani, per riuscire ad arrivare a un tipo di ‘mercato’, doveva passare attraverso l’Afghanistan. Massud era d’accordo, ma ovviamente metteva delle regole a far passare il flusso di petrolio nel proprio paese, vista l’influenza che il Pakistan avrebbe esteso sull’Afghanistan, per questa gran ricchezza chiamata petrolio. I traguardi economici potrebbero essere poderosi in quella zona… che per altro è ricchissima di minerali: argento nel Tagikistan, il Kazhakistan pieno di petrolio per molti secoli… In mezzo c’è questo staterello che è sempre stato bombardato, prima dagli inglesi, poi dai russi, poi dopo dagli stessi afghani, dagli islamici e dalle potenze occidentali per fini politico - economici…
D. Com’è stata l’esperienza del Tibet?
R. Una delle ultime guerre coloniali… La Cina è intervenuta in Tibet affermando che quest’ultimo era parte della Cina. Non è vero, parlano un’altra lingua, sono di un ceppo etnico diverso… Il Tibet è una ‘piattaforma’ sopra l’India, che per i cinesi, grandi nemici dell’India, rappresenta la possibilità di controllarla (come per la guerra del ‘70), un’esigenza vitale. I cinesi allora sono entrati in Tibet, hanno costruito le strade che prima non c’erano, fatte apposta per far entrare i loro carri armati e per piazzare le loro basi di difesa. E’ stato tutto calcolato… ma per fare questo hanno dovuto distruggere la cultura del Tibet, partendo dall’eliminazione dei monaci… La Cina della rivoluzione culturale, la Cina atea, la Cina laica, non poteva tollerare uno stato così religioso come quello del Tibet… uomini e donne che pur non avendo risorse materiali sono ugualmente felici… che paese straordinario… e pensare che adesso hanno importato le discoteche… Qui si tratta di una vera e propria invasione con tutte le regole fatta da una grande potenza con un miliardo di persone contro un piccolo stato con centomila abitanti. Hanno portato in Cina i tibetani e hanno portato moltissimi cinesi in Tibet, quindi la preponderanza anche etnica in Tibet è cinese. Hanno cambiato la natura etnica del paese, hanno fatto diventare i tibetani una minoranza. Hanno fatto di tutto… costringevano i monaci a sposarsi, hanno bruciato i loro monasteri, le loro grandi opere… una cosa realmente spietata e folle, fatta nel nome di un paese che si è auto conferito il diritto di ‘influire’ su un altro…
D. Sarà come per l’Afghanistan… senza fine?
R. Non lo so. La Cina adesso dovrà fare i conti con l’Occidente, visto che la Russia ormai non ha più voce in capitolo… C’è una gran potenza contro un piccolo stato che non ha il diritto di mantenersi indipendente, sovrano, di mantenere la propria cultura che comunque è già stata distrutta…
D. Come si svolsero i fatti nella ex Jugoslavia, quando ha rischiato di essere fucilato?
R. Fu una faccenda assolutamente assurda… mi trovavo con il mio collega Eros Bicic, che fra l’altro parla la lingua del posto, al terzo piano di un hotel ‘devastato’. Dall’altra parte del fiume, c’erano i serbi che sparavano già da diversi giorni, contro il nostro albergo nel quale c’erano i croati. Non essendoci più luce, all’atto di darci la stanza per dormire, ci diedero due candele, una volta saliti, le utilizzammo per scrivere i nostri pezzi, dopodiché scendemmo nuovamente per telefonare, dimenticandoci di spegnerle. In quel momento ricominciò il bombardamento, un caporale croato interpretò le candele rimaste accese come un segnale ai serbi e ci accusò di essere delle spie. Fece frugare tra le nostre carte, trovarono un foglietto con un numero di telefono della Radio Svizzera Italiana, il prefisso di Lugano è simile a quello di Belgrado, cosicché unirono i due elementi: segnalazioni luminose e numeri di telefono sospetti, eravamo due spie! Il mio amico Bicic cercò di spiegare, nella loro lingua, chi eravamo e per quali giornali lavoravamo, ma senza riuscirvi. C’era la fucilazione! Eravamo due spie al servizio dei serbi. Ad un certo punto entrò un giornalista spagnolo de “El Pais” che aveva lasciato la professione per arruolarsi tra i croati, era in divisa, appena ci vide riconobbe Bicic e subito dopo anche me, spiegò il malinteso al caporale e ci fecero andare. Fu grazie a lui che non ci fucilarono…
D. Nei primi due anni e mezzo del conflitto nell’ex Jugoslavia, morirono 60 fra giornalisti e fotografi e fino alla fine della guerra molti di più. Cosa prova un inviato nei confronti della morte dei colleghi?
R. Cosa devo dirti… a me finora è andata bene… mentre a qualche mio amico e collega purtroppo no… A Sarajevo mi succedeva di conoscere nuovi colleghi e poi venire a sapere che erano morti… Una volta in Honduras, nella guerra dei Contras contro il Nicaragua, mi trovavo in un albergo della capitale, la sera chiamarono al telefono un giornalista americano che viveva e mangiava lì con noi da due giorni, uscì e saltò in aria sopra una bomba in una strada tra l’Honduras e il Nicaragua. Penso al mio grande amico - fratello, Rudy Peck, un irlandese che è stato molte volte con me in Afghanistan, un fotoreporter. Quella volta fu mandato a Mosca nel 1992, durante il golpe, fu ucciso mentre stava filmando, lasciò una moglie e tre figli. Era stato con me molte volte, mi fidavo molto di lui, era un fotografo di guerra che non aveva imparato la professione in qualche studio fotografico, si era arruolato durante la guerra irlandese. Mi diceva sempre che aveva sempre voluto imparare come si poteva sopravvivere in una guerra… Potevo essere suo padre, eppure lui dimostrava una maturità incredibile… sapeva come agire quando ci sparavano addosso, quando secondo lui le probabilità di essere colpiti era più del 50% evitava di spostarsi. Era un uomo previdente… eppure c’è rimasto anche lui…
D. Quando s’inizia una professione come la sua si mette in conto la questione della morte?
R. Io credo che nessuno ci pensi… io poi sono entrato in maniera occasionale, mi occupavo di spettacoli, di altre cose… A un certo punto certo che ci devi pensare… mi viene in mente la morte di Ilaria Alpi… quando ho incontrato i genitori ero imbarazzato… mi dicevo: <se ci fosse una logica nelle cose, dovevo morire io che ho i capelli bianchi e non questa ragazza di 33 anni…>. Anche se in fondo si pensa sempre di essere incolumi… A volte, la notte quando mi trovo a confine di due paesi in guerra prima di dormire mi dico: <questa volta ho l’impressione che non vada bene… questa volta sono fottuto…>, poi una volta ripartito mi dico: <sono sicuro che torno!> ed è proprio questa sensazione di incolumità, di inviolabilità totale che poi mi ‘shocka’… Ma ci sono state due o tre circostanze nelle quali ho percepito il grande rischio…
D. Cosa ha significato andare nella ‘Terra di nessuno’ con i deportati di Hamas?
R. Qualcosa di veramente doloroso… perché su Hamas pesavano molte responsabilità… era lo ‘zoccolo duro’ dei palestinesi, che agirono in un modo che gli israeliani non potevano tollerare. Li presero, li ammazzarono, li ‘esportarono’ nella Terra di nessuno. Sul piano della legalità internazionale hanno fatto una gran porcheria. Una volta resomi conto della situazione andai lì. Arrivai che era capodanno, c’erano delle tende, una temperatura siderale, sotto lo zero, vidi questi uomini ammassati… Mi aspettavo di trovare dei ‘combattenti’, invece erano tutti degli intellettuali, professori universitari, gente che non voleva venire a patti con Israele… Mi son trovato a passare due notti intere con questa gente e quindi a capire il problema dei palestinesi, parlando con medici, rettori di università, scrittori, ho vissuto uno spaccato di vita di questo dramma sempre eterno tra Palestina e Israele, e si è aperta un’altra visuale sul popolo dei palestinesi…
D. Quando si parla di guerre viene da pensare ai ritardi nell’intervento dell’ONU…
R. La politica dell’ONU nella maggior parte dei casi è stata fallimentare. Si può ammettere che gli Stati Uniti hanno un predominio sull’ONU. In certi casi l’ONU non interviene secondo le aspettative di un ‘uomo della strada’. Non si può intervenire da una parte e non dall’altra, cosa che si è verificata molte volte. Al ‘Palazzo di vetro’ sono rappresentate tutte le nazioni, c’è un consiglio di sicurezza che interviene solo in casi estremi come per il Kossovo e neanche tanto, visto che poi ha agito la NATO. A questo punto non so che giudizio dare sull’ONU, quello che so è che c’è una preponderanza di paesi filo - occidentali contro paesi che vivono come ‘minoranze’. Non so se sia una discriminazione voluta, ma comunque è evidente dai fatti, che gli interventi vengono eseguiti soltanto da ‘una certa parte’…
D. Cosa ha visto in Algeria alla redazione del giornale ‘El Watan’?
R. I miei colleghi di ‘El Watan’ erano trincerati, non potevano andare a dormire ogni sera nello stesso letto… l’islamismo estremista integralista, non consentiva loro nulla… bastava essere francesi o parlare una lingua occidentale per essere preso di mira. Di fatti uccisero il direttore del giornale, alcuni giornalisti… E’ il caso estremo, perciò fare questo mestiere vuol dire sopravvivere… con un rischio mortale sempre in agguato. Pare che le cose ora stiano leggermente migliorando. C’è questo appello alla fratellanza, per porre un freno a questo assurdo integralismo islamico.
D. Com’è stato il suo viaggio nel Kazakistan tra le vittime del nucleare?
R. Un viaggio nato in una maniera particolare… mi trovavo a Sarajevo con Luigi Baldelli, il mio fotografo, nello stesso periodo che si facevano gli esperimenti nucleari a Mururoa. Tutti i giornalisti si organizzavano per andare in quell’atollo per ‘vedere’. Luigi Baldelli mi propose invece di andare nel Kazakistan a vedere 50 anni di conseguenze d’esperimenti nucleari sovietici. Lui c’era già stato per poco tempo. Siamo andati ad Alma Ata e poi in un villaggio dove abbiamo incontrato questa povera gente… le conseguenze della guerra atomica… (siamo riusciti a portare in Italia a curarsi un ragazzo di 16 anni gravemente colpito dalle radiazioni, dal volto devastato, cieco, senza però danni al cervello) bambini ‘terrorizzati’, impazziti dalle radiazioni che le madri avevano assorbito durante la gravidanza guardando quei ‘bagliori’… Questi sono gli effetti di esperimenti fatti anche sotto terra, in fondo al mare e addirittura anche a cielo aperto… La popolazione che abbiamo trovato appartiene alla ‘lebbra atomica’. Ragazzi devastati, orfanotrofi pieni di questi bambini che gridavano… una tragedia enorme… e questo perché?! E’ la conseguenza della guerra tra Stati Uniti e Unione Sovietica per arrivare primi alla supremazia nucleare. Dalla seconda Guerra Mondiale fino al 1991, quando il Kazakistan diventò indipendente, in quella zona, vicino ai confini con la Cina furono fatti esperimenti nucleari.
D. Perché all’epoca non uscivano queste notizie?
R. La Russia metteva il ‘silenziatore’ su tutto… era difficile quindi sapere cosa stava avvenendo. Grandi proteste contro Hiroshima, Mururoa, mentre nel Kazakistan facevano le stesse cose… Non so quale futuro si prospetti per questi luoghi, dopo una contaminazione del genere… sono paesi devastati, rimasti alla mentalità di una specie di società medioevale… con una agricoltura ancora con i ‘carrettini’, con l’aratro… Quando passi per l’ex Unione Sovietica, ti trovi di fronte ad un paesaggio estremamente povero… viene subito in mente il paragone con l’agricoltura americana… Io sono andato da Helsinki ad Alma Ata in camion con un collega de ‘Il Messaggero’ (insieme ad altri due camion che trasportavano del materiale) quattro o cinque anni fa, quando i giornalisti non erano ammessi… I giornalisti occidentali che erano accreditati a Mosca, per poter uscire dalla capitale dovevano avere l’autorizzazione… altrimenti non si poteva andare neanche 20 km fuori città… Noi siamo riusciti a passare attraverso questi impervi territori… abbiamo incontrato gente molto scorbutica, maleducata… alle sei di sera non c’era più niente da mangiare da nessuna parte e non volevano neanche darci una stanza per dormire… eppure io ho amato tanto la Russia…
D. La sua esperienza in India, lo scandalo della vendita d’organi…
R. C’è una tale miseria… io sono andato lì per rendermi conto… ho visto soprattutto donne alle quali erano stati esportati reni, così da poter sfamare la famiglia o per poter mandare i figli a scuola... ci sono organizzazioni che sfruttano la miseria di paesi come questo… l’India cerca di reagire, ma gli stessi ospedali, in un certo modo favoriscono questo ‘commercio’… La situazione di base è così disperata che si ricorre a questi mezzi ‘illegali’ al limite del crimine…
D. Quanta influenza c’è da parte dell’Occidente?
R. L’occidente ne ha approfittato senza dubbio, sono tanti i casi di ‘ditte’ coinvolte con questa gente, a cominciare dagli armamenti… se si va nei paesi dove ci sono le mine anti-uomo ci si accorge che la provenienza di una buona percentuale di esse è italiana. Facciamo tanti discorsi anche noi, quando poi siamo i primi… Secondo le stime ci sono dai 5 ai 10 milioni di mine anti-uomo… Ci vogliono ‘secoli’ per sminare il territorio. Ogni giorno ‘saltano’ due o tre bambini… gente che va ad arare il proprio campo… Se non ci fossero gli esperti militari che spiegano alle popolazioni quando un terreno è accessibile e quando non lo è, quella povera gente ci andrebbe senza pensarci perché sta morendo di fame…
D. Nel suo libro si parla anche di Gino Strada…
R. Il mio amico Gino Strada… medico chirurgo milanese, è riuscito a costruire ospedali nel Kurdistan irakeno, in Cambogia, in Afghanistan… L’ultima volta che mi trovavo in Kurdistan, in uno dei suoi ospedali, arrivò un’ambulanza con a bordo un ragazzino di 14 anni morto dieci minuti prima di arrivare in ospedale, con l’intestino ‘sfasciato’ da una mina anti-uomo. Il medico che gli tolse la scheggia mi disse: <Ettore, mi dispiace dirtelo, ma questa scheggia viene dal tuo paese…>.
D. All’epoca della guerra nel Golfo, come ha vissuto il ‘monopolio di informazione’ della CNN?
R. La CNN aveva il monopolio… gli alleati ovviamente erano sotto il controllo degli Stati Uniti che avevano portato lì tutto l’armamento. Quel deserto, nel giro di una settimana diventò un campo di base, con tutti i missili puntati sull’Iraq. Perfino gli animali scappavano, vedevano arrivare missili, carri armati… Ovviamente il ‘privilegio’ di seguire questa guerra venne dato alla CNN, che però aveva ugualmente le mani legate, mai quanto noi! Quella guerra non c’è stata fatta vedere e nessuno ha raccontato quella guerra, neanche la CNN che raccontava i bollettini militari forniti dal comando militare degli Stati Uniti. Non si poteva andare al fronte, bisognava fare il ‘Press-up’, fare tutte le esercitazioni militari, ti rendi conto? C’era anche Oriana Fallaci, che non è più giovane e la regola valeva anche per lei… <Se succede qualcosa dovete essere come i militari…> ci dicevano, un sacco di cazzate per impedirci di vedere qualcosa. Non abbiamo mai visto ne un militare americano ucciso, ne un’ambulanza che portava degli americani… Abbiamo visto gli americani ‘scottati’ dalla guerra del Vietnam (dove l’opinione pubblica ‘sollevata’ grazie ai mass-media anche americani che parlavano di guerra ‘giusta’ e ‘ingiusta’), che hanno affermato <questa è una guerra giusta! Non vogliamo il solito intervento della stampa ‘pacifista’ occidentale e americana!>. Quella guerra non è stata raccontata da nessuno. E’ stata la guerra più ‘frustrante’ della mia vita, alla fine sono anche rimasto ferito in un incidente stradale… Il problema era evidente: quella era per loro una guerra ‘giusta’ e non ammettevano alcun nostro intervento. Per intervistare un soldato semplice bisognava avere un’autorizzazione del comando, mentre nel Vietnam il mio grande collega Egisto Corradi poteva prendere tranquillamente il the con un generale chiedendo spiegazioni su una determinata azione…
D. L’embargo in Iraq rientra nella casistica della mancanza d’informazione, visto che si continua a sparare e a morire senza che l’opinione pubblica sia adeguatamente informata…
R. Quando ad una guerra ne subentra un’altra, tutta l’attenzione passa a quest’ultima. L’Iraq ce lo siamo dimenticato completamente, come ci siamo dimenticati della Palestina, del Sudan… Viene fuori un’altra guerra come ad esempio il Kossovo e tutta l’attenzione va sul Kossovo… Quando è scoppiato il conflitto nel Kashmir, non c’è stata grande attenzione, è stato un conflitto quasi ignorato quando poteva essere l’inizio della Terza Guerra mondiale… Se non ci fosse stato il Kossovo, tutta l’attenzione sarebbe andata al Kashmir… Ci sono più di 40 guerre nel mondo e ognuna ‘prende il sopravvento’ sull’altra che viene dimenticata, per poi ‘tornarci’ quando riesplode ancora il caso…
D. Anche adesso l’India e il Pakistan rappresentano ugualmente una ‘polveriera’ pronta ad esplodere…
R. Si… che è sempre pronta ad esplodere… Soltanto un anno fa hanno avuto le loro armi nucleari… ma sono in lotta dal 1947, quando è stata fatta questa ‘spartizione superficiale’ assurda tra musulmani e indù. Il Kashmir non rappresenta un territorio ambito, è soltanto una questione di ‘principio’ e mentre combattono a 5000 metri ancora con la baionetta, ai ‘vertici’ si minacciano con le armi nucleari…
D. Dopo essere stato testimone di tante guerre, si è fatto una ragione del perché sia così ‘semplice’ uccidere e perché chi sta al potere abbia una grande ‘facilità’ a dichiarare guerra?
R. Non so… potrei dire che forse la natura dell’uomo è così… Certamente gli interessi economici sono preponderanti come sempre e questi sono decisi freddamente a tavolino: <Vogliamo tenerci la Cecenia? Allora mandiamo l’esercito… altrimenti ‘quelli lì’ se la prendono…>, <Vogliamo costruire questo oleodotto dal Mar Caspio fino alle nostre sponde? (con dietro le compagnie petrolifere americane e dell’Arabia Saudita) allora dobbiamo fare una guerra…> Anche il famoso giornalista John Reed, nell’omonimo film, alla domanda sul perché esistevano le guerre rispondeva ‘Profit!’ profitto, interesse… E’ così… c’è sempre il furbo che sfrutta, che strumentalizza… Tra questi talebani ci sono dei ‘personaggi’ che sanno a memoria i versetti del Corano, sono sicuro che il 30 % di questi è convinto di andare in Afghanistan perché c’è un governo corrotto islamico. Gli altri seguono… ma dietro c’è una ‘manovra molto precisa’ del Pakistan che vuole ottenere certi obiettivi a proprio vantaggio, a favore di alcune compagnie americane che sostengono la politica economica pakistana… In Irlanda poi, c’è una guerra ‘storica’, che non ha più motivi etnici, c’è di mezzo la Corona Britannica, il rifiuto della filosofia civile che segue il cattolicesimo… Ricordiamoci che in Irlanda del nord c’è stato sempre il divorzio e l’aborto. Qui si tratta di come la religione si riflette sul ‘vivere civile’, ecco perché c’è il rifiuto ad essere ‘sotto il dominio di Dublino’ e sotto l’influenza di Roma. I protestanti affermano che facendo parte del Regno Unito, usufruiscono di una civiltà e di una filosofia che non è quella di Dublino e del mondo cattolico. In Irlanda le chiese sono vuote, nella parte del nord un po’ meno vuote perché i protestanti sono più assidui frequentatori delle funzioni. Anche in Italia le chiese sono vuote, così come nella ‘grande’ Spagna cattolica, ugualmente vuote… Il ragionamento degli irlandesi è molto semplice: <Se noi ci mettiamo con un ‘certo regime’ che è dominato dall’ideologia cattolica, ‘questi qui’ ci impediranno di vivere come abbiamo sempre vissuto negli ultimi tre secoli…>.
D. Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?
R. Se l’islamismo continua su questa traiettoria dell’integralismo, nel prossimo secolo dobbiamo avere paura… E’ come se a distanza di un millennio questi personaggi ci dicono <adesso è il nostro tempo!>. Ricordiamoci che noi andavamo ad ammazzare questi poveracci che non sapevano niente di Gesù Cristo. Bisogna guardare i ricorsi storici, questo sarà il millennio dell’Islam, come prima è stato il millennio del cristianesimo. I filosofi che seguono queste ricerche lo possono anche verificare… La civiltà cattolica, la civiltà cristiana e la civiltà islamica… Anche se io non mi ritengo religioso, sono convinto che il ‘discorso della montagna’ è molto importante, perché risolverebbe tutti i problemi. Come uomo penso all’insegnamento cristiano di Gesù… Il grande rivoluzionario è stato Gesù Cristo 2000 anni fa. La filosofia dell’Islamismo viene dopo, con un retaggio medioevale, pieno di dogmi, eppure gode dell’appoggio di tutta la popolazione islamica, mentre noi come cristianesimo non abbiamo più niente... Il marxismo è nato dal cristianesimo, Lenin è un discendente di Gesù Cristo, lo combatte, ma alla fine nasce da lì… Gli islamici invece hanno una ‘nuova cosa’ da dire… e in qualche modo sono rimasti ‘vergini’, sono rimasti gli ‘oppressi’ contro una preponderanza della civiltà cristiana - cattolica, quindi è il loro tempo. Il nuovo millennio, all’insegna dell’Islam è molto allarmante… anche perché numericamente sono preponderanti… io spero che la filosofia occidentale abbia la forza di reagire. In Afganistan, ho potuto vedere con i miei occhi dei giovani afghani stati in Europa o in America, che ritornavano non propriamente più fanatici, ma più ‘convinti’ di quelli che erano rimasti a casa… Ho capito che soltanto la religione poteva essere il loro punto di appoggio. Loro sono consapevoli che la propria forza risiede nella compattezza della popolazione, il mastice è la religione… non ce ne sono altri tipi. Noi venivamo dai romani, dai greci, abbiamo avuto tante filosofie, ma il ragionamento degli islamici che hanno studiato è: <se noi vogliamo diventare capi di una zona, capi di un partito bisogna strumentalizzare le masse…> e difatti le masse sono rimaste ‘medioevali’… con una loro ‘inquisizione’… la stessa inquisizione della quale noi ci dobbiamo vergognare… Il sentimento religioso è tutto ciò che li tiene uniti…
D. Cosa le è rimasto dall’incontro con Madre Teresa di Calcutta?
R. Un incontro straordinario… due anni prima che morisse ero andato a trovarla perché un giornale italiano aveva scritto su di lei delle assurdità (anche la BBC aveva fatto un programma su di lei molto negativo). Mi ricordo di una donna molto autoritaria, decisa, il solo pensiero che abbia potuto dedicare la sua vita agli altri mi fa scaturire un sentimento di rispetto. Ero molto emozionato da questa persona così ‘ruvida’, diretta, dura che mi diceva: <cosa sta a fare qua con me? Vada ad aiutare i miei volontari, vada a dare una mano…>. Anche adesso conservo un grande e immutato rispetto per lei…
Terminava così l’incontro con Ettore Mo, l’incontro con un uomo dallo sguardo limpido e dalla grande forza interiore. Alle sue parole, che chiudono il libro “Sporche Guerre” il compito di concludere questa testimonianza: <<… Non sarebbe stato possibile attraversare il mondo senza riportare qualche ferita o senza provare emozioni intense, che ogni tanto riaffiorano. Se ripenso alle steppe del Kazakistan, ecco che inevitabilmente si riaffacciano, contro la linea dell’orizzonte, gli occhi spenti e il volto deturpato di Berik, una delle tante vittime degli esperimenti nucleari sovietici ai confini con la Cina; e se per caso una notizia in TV ci riporta in Romania, mi tornano subito in mente fatalmente i ragazzi dei tombini di Bucarest e la loro inspiegabile allegria. Né mi sorprende se, ricordando Calcutta, vedo apparire sullo schermo della memoria non le immagini luttuose del suo squallore ma le mani scarni di Madre Teresa che stringe le mie e mi dice di pregare e di essere buono. Non oso sostenere di averle ubbidito…>>.

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Ho scritto:
“Una grande guerra fatta da piccole guerre”


Le industrie della morte hanno il potere! La sete di sangue umano del “principe di questo mondo” non si placa!
Si disseta, escogitando mille e mille strategie, coinvolgendo qua e là interi popoli al lento e logorante sterminio.
Il redditizio commercio degli infernali ordigni di morte e di distruzione fiorisce sulla pelle di una montagna di morti.
La miseria, la fame e la guerra istruiscono l’inesorabile fine di una civiltà ammorbata di malefizi di ogni genere.
Tutto appare stretto in un morsa senza speranza!
Ogni cosa, apparentemente viva, porta con sé la triste immagine dell’agonia.
Povera umanità!

Eugenio Siragusa

 

 

 

 

 

 

 

 

MESSAGGIO

Se sarete forti nella pace, debiliterete il desiderio della guerra.
Essere forti nella pace non vuol dire possedere la potenza bellica, ma vuol significare fortificarsi di questo immenso bene, sino al punto da non poter essere più irreversibile.
Solo allora, quando avrete posseduto, pienamente e coscientemente, la pace, debellerete la guerra e guarirete di un male che altro non procura che sofferenza e morte.
La pace deve essere corroborata e governata dalla giustizia, perché è vero che senza giustizia la pace non potrebbe mai, mai essere forte come deve essere per dare i suoi frutti.
La pace è figlia della giustizia ed ambedue generano l’amore e la fratellanza fra gli uomini. Senza questi alti valori l’inferno non cesserà di esistere e i mali diverranno sempre più crudeli.
Pace.

Eugenio Siragusa
Nicolosi, 21.01.1977

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