Placido Anici nacque da Tertullo, uomo nobilissimo ed illustrissimo, al tempo in cui nella vecchia Roma regnava il Re Teodorico e nella nuova reggevano le sorti dell'Impero Giustino Senior e Giustiniano. Tertullo della gens degli Anici, il cui stemma onorava la sua casa, si distingueva sopratutto per sapienza, fortezza e prudenza, così da essere chiamato <<Padre della Patria>> da tutto il popolo Romano. La madre di S.Placido era Faustina nobildonna messinese, sorella di Elpide, quest'ultima famosa al tempo per aver composto alcuni Inni Sacri per la Chiesa e per essere moglie del famosissimo Filosofo Severino Boezio, anch'egli morto per la fede in Cristo. Come dire una famiglia ricca di virtù e santità. Tertullo e Faustina (oggi sul V.le Boccetta c'è una via che li ricorda), ebbero 4 figli, i nostri Santi Martiri, i dolci e soavi: Placido,Euticchio, Vittorino e Flavia. (Acta Prolixoria 4 - Matilde Oddo Bonafede -Sommario della storia di Messina). Il Piccolo Placido dopo la prima formazione cristiana quando compì 7 anni, fu presentato dal Padre Tertullo a S.Benedetto, fondatore dell'ordine dei benedettini e suo grande amico, per essere da lui erudito. Insieme a Placido fu affidato al Santo norcino un altro giovane, Mauro, figlio di Equizio, nobile romano. I due diventarono grandi amici e Mauro ebbe a considerare Placido un fratello essendogli quest'ultimo più piccolo. S.Gregorio chiamava S.Placido <<Puerulum (Fanciullino)>>. La sua innocenza angelica lo rendeva carissimo a tutti e specialmente al santo fondatore dell'ordine S.Benedetto. Il Fanciullino, faceva progressi notevoli in santità ed eccelleva nell'esercizio delle virtù. Le sue doti erano, l'umiltà e l'obbedienza, quando ne ebbe l'età anch'egli si diede all'arte dell'educare. Piaceva a tutti i monaci contemplare questo Fanciullino per i corridoi del chiostro, e intrattenersi con lui in amabili conversazioni, pronto sempre alla mestizia e all'obbedienza verso tutti i confratelli e attento nel compiere tutti i servizi anche i più umili che a Lui venivano affidati. Ci tramanda il Papa Zaccaria: <<Placido, essendo ancora fanciullino, adorna la sua puerizia con ascetiche fatiche>>. La vita di San Placido ci viene raccontata ricca di episodi straordinari e fatti prodigiosi. Uno di questi è l'acqua fatta scaturire dalla dura roccia, dietro preghiera rivolta a Dio, perché i monaci non fossero costretti ad andare lontano per attingerla con gravi difficoltà data la particolare posizione del monastero di Subiaco. Il fatto più eccezionale compiuto da giovinetto è raccontato sempre da S.Gregorio... <<Un giorno, mentre lo stesso Venerabile Benedetto, stava nella cella, il predetto fanciullo Placido, monaco del Santo Ordine, uscì per attingere l'acqua dal Lago, il quale (Il fanciullino) immergendo incautamente il vaso, che teneva, nell'acqua, anche lui cadendo lo seguì; l'onda subito lo rapì e quasi lo trasse da terra per un trar di saetta. Ma l'uomo di Dio, posto nella Cella (San Benedetto), subito conobbe tutto ciò e presto chiamo Mauro, amico di Placido, dicendo... Fratello Mauro, corri perché quel Fanciullino, che era andato ad attingere l'acqua è caduto nel lago è già l'onda lo trae lontano... Chiesta ed ottenuta la benedizione Mauro corse in aiuto di Placido e stimando di andare per terra, sino al luogo, in cui l'onda aveva rapito il fanciullo, lo trattenne per i capelli e anche con rapida corsa ritornò. Il quale appena toccò terra e, ritornato in sé, guardò dietro le sue spalle, conobbe di aver corso sopra le acque e non potendo presumere che ciò si fosse fatto, pieno di ammirazione ne ebbe timore>>. Fu dopo San Pietro il primo Santo dopo l'anno zero, che camminò sulle acque secondo questa trascrizione di San Gregorio. Il Mabillon afferma che il fatto deve essere accaduto verso l'anno 528, all'età di 14 anni, sei anni dopo l'ingresso di Placido al monastero. In quello stesso anno essendo più maturo e già un giovinetto si trasferì alla case madre dei benedettini, Montecassino, monastero esistente tutt'ora. San Benedetto lasciando Subiaco, appunto, volle portare con sé, il fanciullino, da un lato per completare la sua educazione alla santità e dall'altro presago della missione di fede che presto gli avrebbe affidato quella di aiutare un popolo, quello messinese. San Placido per volere dello Spirito Santo, fu mandato a Messina, dove il padre aveva moltissime proprietà, in quella città, ponte di congiunzione tra l'Occidente Cristiano e l'Oriente Bizantino , tra il Continente Europeo e quello Africano e Mussulmano. Quello era il luogo natio della sua mamma, la nobildonna di fatto e di cuore Faustina, la terra dei suoi avi, quello il luogo Santo già prediletto da Maria, la Dama Bianca, che Placido ebbe ad amare più di se stesso, quella la sede dove avrebbe edificato il primo virgulto, il primo monastero benedettino fuori dal ceppo cassinese. La sua predicazione fu tanto prolifica in terra di Messina e la sua dedizione e il suo attaccamento verso i cittadini messinesi fu tanto forte che la sua venerazione ed il suo culto in terra peloritana era fortissimo sentito e praticato fino a poco dopo il 1908. Per questo attaccamento a Messina portato fino al Martirio egli ne fu proclamato suo copatrone insieme con la Madonna della Lettera fulgido esempio di splendore dell'anima, e di dedizione verso il prossimo. Ma oggi il suo culto non è più di moda, (Messina è vittima della "Moda"), ormai tutti si sono dimenticati dell'antica missione di Placido, del Fanciullino e nessuno lo santifica più nella gloria di Dio. Perché noi messinesi siamo tanto cambiati?... Ma continuiamo con la narrazione degli avvenimenti: Tertullo era un uomo ricchissimo, pensate che un tempo quando si diceva sei ricco, si usava l'espressione <<sei ricco come un Anice>> (Gens di Tertullo e Placido). Era il mese di Maggio, il mese dei fiori, quando Placido lascò Cassino, dopo essersi inginocchiato dinanzi al padre dell'anima sua per la benedizione, e San Benedetto con grande effusione, trasfuse tutto il suo spirito nel Discepolo prediletto. Partì Placido con altri due compagni: Gordiano, romano ed istruito nel greco ed il buon Donato. Si incamminarono sorretti dall'ubbidienza, confortati da una grande fede, animati da una luminosa speranza: far fiorire altrove l'ideale monastico. Andarono come i discepoli di Gesù <<senza denaro nella borsa, senza bisaccia, senza bastone, senza calzari, con una sola tunica>>; ma con una viva fiamma di amore verso Dio e verso il prossimo, con il breviario per cantare, e per innalzare lodi a Dio nei luoghi dove passavano. Le Tappe del Viaggio furono: Capua, Caiazzo (Galazia), Forche Caudine, Benevento, Canosa, Reggio Calabria. S.Placido in questo viaggio compì numerosi prodigi che le tradizioni di questi luoghi sopra citati ricordano nella loro memoria e nelle loro tradizioni . Finalmente eccoli a Messina! In quel tempo l'isola era dominata dai Goti, che, sotto il governo di Teodorico, fecero prosperare l'agricoltura. L'Oriente intanto cercava l'occasione per riconquistare la terra italica. Però la città Peloritana come altre volte nella sua storia, per la non comune perspicacia dei suo cittadini, restò sempre libera dal dominio degli stranieri e mantenne sempre, la sua legislazione e i suoi costumi e le relazione amichevoli con Costantinopoli con cui per alcuni decenni erano state gemelle al comando dell'Impero Romano d'Oriente. Quando poi Giustiniano pensò di riconquistare l'Italia e mandò il prode Belisario per tale impresa, questi con un piccolo esercito pensò di cominciare la sua opera occupando Messina nel 534, quindi estese i suoi domini all'intera Isola per passare poi all'Italia. Messina dunque era in ottime relazioni con l'Oriente era l'unica città che per questo godeva di determinati ed antichi benefici, in sostanza era come se non fosse stata mai dominata poichè era già nella stima dell'Impero d'Oriente da secoli. Il Mabillon dice nei suoi ACTA che San Placido giunto a Messina, s'incontrò con Messalino, intimo familiare di Tertullo e fu da costui amorevolmente accolto. San Placido fu colpito subito dalla bellezza della terra della madre e volle vedere per prima cosa i possedimenti del Padre, per rendersi conto personalmente dello stato in cui essi si trovavano. Iniziò così la sua missione spirituale, trasmessa dal Santo Patriarca Benedetto, di fondare un nuovo monastero per la diffusione monastica e per il bene di quelle anime che sarebbero venute a contatto con i monaci. A questo scopo dedicò tutte le sue forze e nel giro di 4 anni riuscì ad edificare un grande monastero, nella zona poco fuori le mura del '500, chiamata Oliveto (attuale Via Placida, Via Elenuccia, Via San Giovanni di Malta, Via Osservatorio.) Accanto al monastero il Santo il 28 luglio del 540 costruì pure una chiesa, dedicata al Vescovo di Messina Eucarpo e a San Giovanni Battista, ancora oggi così chiamata ed ubicata in Via Placida. Fu questo, come detto il primo Monastero Benedettino costruito dopo Subiaco e Cassino mentre era ancora in vita lo stesso Santo Fondatore. Ben presto dalla comunità messinese e dintorni arrivarono 30 giovani con la volantà di farsi monaci che attuarono in pieno la regola dell'Ora Et Labora. Nel monastero di Placido l'Abate non era un superiore nel senso comunemente inteso, ma un Padre ed un Maestro. La vita spirituale dei monaci era una emanazione della vita stessa dell'Abate, che dava alla comunità da lui condotta una fisionomia tutta propria. Quella bendettina non era una famiglia che vigeva secondo regole fisse e precise, ma come tutte le famiglie vi aveva qualcosa di particolare che rifletteva la vita dei singoli padri. Ed ecco che si avverava l'Opus Dei, l'Opera divina per eccellenza.
Questa la vita del monastero benedettino di S.Placido a Messina:
...A notte quanto tace la natura e la città dorme, il canto solenne dell'Officio Notturno, nel raccoglimento austero di un coro: nei brevi silenzi, tra un canto e l'altro, come carezza per l'anima giunge il murmure dell'onda che si frange sul lido vicino e il lento fruscio degli ulivi dolcemente mossi dal vento. All'Alba, a Mezzogiorno, a Vespro, lo stesso canto, la stessa elevazione, la stessa poesia. Nelle ore intermedie i monaci, silenziosamente, irradianti si spargono nelle celle e per i campi vicini: gli uni per attendere allo studio o a qualche esercizio manuale, gli altri per coltivare la terra e rimondare gli ulivi.
San Placido era un giovane simpatico, svelto nei movimenti, pronto ad ogni lavoro e invito, col volto abbellito da un perenne sorriso, con due occhi sprizzanti innocenza e bontà. Fu un vero trascinatore di anime a Dio ed un grande uomo per Messina che cresceva secondo crismi di cristianità vera e fervida. Ora si vedono i bisognosi lasciare le anguste e malsane viuzze della Giudecca (dove attualmente ha sede l'Università Centrale di Messina), le grosse moli e pietre del porto e attraverso la porta della città posta a settentrione, dirigersi verso il Monastero, dove erano sicuri, di trovare una mano generosa in Placido e i suoi Monaci, di trovare pane, volti benevoli, e sopratutto di incontrarsi con Placido che come nessun altro sapeva comprenderli, aiutarli e consolarli. Egli sapeva comunicare loro l'amore di Dio e la gioia di vivere anche vivendo di elemosine. San Pacido incrementava così la religiosità in ogni angolo della città, perché i bisognosi che andavano a trovarlo in convento poi inevitabilmente portavano la buona novella per ogni strada piccola o grande che fosse. Aumentava anche l'amore per la agricoltura e le sue leggi naturali, ma sopratutto portava anche quelli più indigenti ad un alto livello della vita cristiana. Placido viveva quindi a Messina, mentre i fratelli Euticchio, Vittorino e Flavia vivevano a Roma con i genitori. Ma la posizione agiata di Tertullo e le sue innumerevoli conoscenze potevano colmare le loro distanze per comunicare con il figlio pur nelle difficoltà dell'epoca. Ecco che quando una nave da Ostia salpava per l'Oriente, con direzione Messina, o quando Tribuni e Proconsoli si recavano nelle varie Province, di costoro si serviva Tertullo per comunicare con il figlio lontano. Ecco che la voglia di riabbracciare il proprio fratello conduce a Messina Euticchio, Vittorino e Flavia. Giungono in città con due fidatissimi di Tertullo, i baldi Fausto e Firmato. Era invece il 541 d.C. quando i pirati musulmani guidati dal Generale Mamuca sbarcarono nei pressi delle rive del Faro. Poiché questi corsari avevano in gran timore la forza di Messina, sarebbe stato un suicidio per loro entrare dal porto. Facevano dunque scorrerie, questi pirati, per le contrade vicine, fuori le mura, ma ben presto si fecero più arditi e si avvicinarono verso la cinta muraria della città. Eccoli quindi giunti nei pressi del monastero di San Placido. I Monaci non poterono opporre la benchè minima resistenza. I Barbari circondarono l'edificio, appiccarono il fuoco, come di uso e misero a soqquadro tutto il monastero. San Placido si fece avanti perché fossero risparmiati tutti gli altri, ma tutti i monaci furono fatti prigionieri e giustiziati. Il motivo della condanna fu il negato assenso dei Monaci ad adorare i loro idoli e la ferma volontà di restare fedeli alla religione cristiana. San Placido esortò con la parola tutti ad essere fedeli al Cristo e alla Fede in cui erano consacrati e per questo gli viene strappata la lingua. Ciò nonostante grazie alla sua Fede continuò strenuamente ad incoraggiare tutti a non mollare mai. Verso Flavia, sorella di Placido, il tiranno Mamuca, in un primo tempo ebbe parole di lode per la sua bellezza, nella speranza di renderla rinnegatrice della propria fede, ma sconfitto passò alle minacce. Ben presto si accorse che quella giovinetta aveva un coraggio indomabile, ed egli, il Forte si sentì umiliato dalle risposte e dalla costanza della giovinetta. Quanto durò il giudizio nei loro confronti? Pochissimo! Anche perché il monastero essendo vicino le mura, Mamuca voleva evitare una sortita di armati che l'avrebbero messo in pericolo e gli avrebbero impedito di saccheggiare tutto. Così decapitò tutti legandoli tra di loro: S.Placido, Vittorino, Euticchio e Flavia, Fausto e Firmato.
Donato venne ucciso nel primo assalto al monastero, mentre Gordiano riuscì a fuggire. I Fratelli Martiri vennero condotti sulla spiaggia, dove oggi c'è la Batteria Masotto (Passeggiata a mare), e qui furono giustiziati tra grida e bestemmie dei ladroni, ma loro stavano tranquilli, forti nella loro fede, ed ogni musulmano al comando di Mamuca estraeva la scimitarra e balza contro di loro infierendo un colpo mortale. I vigliacchi fuggirono poi verso le loro navi, per salpare il più lontano possibile. All'alba i messinesi assistettero alla scena del monastero distrutto, della campagna vicina devastata, e trovarono sulla spiaggia i corpi eroici dei Martiri immersi nel loro sangue. Tornò finalmente Gordiano accompagnato da un folto gruppo di messinesi valorosi, ma ormai era tardi poterono solo assistere raccapricciati alla visione di quella scena terrificante. Si strapparono i capelli per non aver potuto fare nulla per evitare la tragedia e si sentirono impotenti di fronte a simile orrore. Pieni di commozione seppellirono nella Chiesa di San Giovanni, i tre gloriosi fratelli e la sorella, mentre gli altri Monaci vennero seppelliti nella spiaggia. Arrivano poi sul luogo i parenti e i conoscenti dei Monaci uccisi, vennero anche gli amici di Placido, per venerare i santi luoghi e le gloriose sepolture. Il monastero e la Chiesa di San Giovanni resteranno a caratteri indelebili nelle pagine della storia di Messina a ricordo di questo avvenimenti.
Quindi Mamuca ed i suoi uomini tornarono alle navi fuggendo di gran corsa. Ma furiosa quasi giustiziera, per quel sangue sparso di quei giusti, l'ira del mare si fece furiosa su quei carnefici inghiottendoli nelle sue viscere al largo di punta Faro. I Messinesi si premurarono a comunicare la dolorosa notizia del massacro al Patriarca San Bendetto e nello stesso tempo lo pregarono affinché mandasse altri monaci per continuare l'opera benefica del giovane Placido, di quel Fanciullino che tanto fece per la sua Messina. (Leone Ostiense -Appendici alla cronaca cassinese, libro IV). I Messinesi sempre speranzosi e fedeli alla religione cristiana e ai buoni propositi di Placido furono dal Patriarca Benedetto subito accontentati. Il Martirio di San Placido e dei suoi compagni, come detto, suscitò ancora più grande devozione nei messinesi, i quali si affrettarono a riordinare la Chiesa dove presto trovarono onorata sepoltura i fratelli e riordinarono anche il Monastero. La vita e l'esempio di San Placido continuò anche dopo la sua morte, ed i semi sparsi dal suo esempio continuarono a germogliare dando grandi frutti in ogni dove della città e soprattutto nell'animo, nelle opere e nella vita degli abitanti di Messina. Nel 1363 a dodici miglia dal centro della città, quattro nobili messinesi, Leonardo De Astasiis, Roberto De Gilio, Mario De Speciariis, e Giovanni di Santa Croce, sopra una elevata collina (Pezzolo) costruirono un monastero benedettino in onore di San Placido che dal torrente che vi scorreva vicino prese il nome Calonerò e al quale fu dato da Papà Urbano V il titolo di Abbazia e per la quale quale Federico III stabilì che venissero portate offerte in natura, offerte confermate successivamente da Re Martino. Il Monastero ebbe florida vita sino al 1600.
Per un lungo periodo non si ebbe più notizia dei sepolcri che custodivano i corpi di San Placido e dei fratelli, le vicende e la dominazione saracena ne avevano fatto scomparire ogni traccia. Le vicende erano coperte dalla coltre dell'oblio e il mistero del tempo velava ogni cosa, la verità sembrava persa per sempre e i pochi ricordi erano diventati leggenda. La storia e la verità sembravano per sempre sepolte. Pur tuttavia rimaneva costante la fede dei messinesi per quei giovani santi martiri di cui la tradizione aveva tramandato le eroiche gesta e forte era la convinzione che i resti mortali si ritrovassero sepolti nella Chiesa di San Giovanni dei Cavalieri Gerosolomitani, dove sorgeva il convento, vicino alle mura nella zona dell'Oliveto.
La svolta fu nel 1586, quando fu eletto a Gran Priore dei Gerosolomitani Fra Rinaldo de Naro, Siracusano. Egli un giorno notò che la Chiesa, addossata alle mura del Palazzo Priorale e all'Ospedale era scarsamente illuminata. Quella Chiesa, come tutte quelle antiche, aveva le Absidi rivolte ad Oriente, perché anche l'arte asservisse ad alta finalità ascetica, quella cioè di far guardare il celebrante verso Oriente, cioè verso Gesù Sole dell'Anima. Il Gran Priore, quindi volle aprire tre belle e grandi porte dalla parte del mare, sistemando l'altare maggiore dalla parte opposta, verso Ponente. Mentre si eseguivano i lavori, di demolizione dell'altare maggiore, scavando in profondità sotto il lato destro di esso a 14 palmi, cioè circa 3.50 mt. di profondità alcuni sterratori trovarono un sepolcro di marmo lungo 12 palmi (mt. 3) e largo 5 (mt.1.50). Lo aprirono e vi rinvennero quattro corpi umani spiranti soavissimo odore: 3 erano collocati uno accanto all'altro e un quarto era sito in senso trasversale ai piedi di costoro. Accanto poi si videro parecchi altri corpi che tenevano accanto al capo e al petto ampolle di vetro di creta piene di sangue e di terra intrisa di sangue. Il corpo collocato in senso trasversale era evidentemente di una fanciulla e sul petto del corpo di mezzo fu trovato un vasetto con dentro una lingua. Questo fatto in particolare, si sapeva che a San Placido era stata strappata la lingua, fece riemergere al ricordo i fatti storici di quella che era diventata leggenda. Quei corpi erano sicuramente quelli dei Martiri Messinesi Placido, dei Fratelli e della Sorella Flavia. Diffusasi la notizia per la città, fu un accorrere di fedeli senza numero, felici di avere finalmente ritrovate le S.S. Reliquie che nei tempi passati invano erano state cercate. Entò allora in azione l'"Opus Dei", l'opera di Dio, che volle glorificare i suoi martiri:. Ed ecco che quel ritrovamento provocò il moltiplicarsi di prodigi e guarigioni miracolose al contatto coi sacri copri e bevendo dell'acqua inopinatamente scaturita nel luogo dove si erano trovati quei sacri corpi. L'Arcivescovo del tempo, Mons. Antonio Lombardo osservò e relazionò di quei fatti con quella diligenza e preoccupazione che il caso richiedeva, raccolse documenti e testimonianze e con quella prudenza che caratterizza l'opera della Chiesa, infine si recò a Roma per esporre dell'avvenimento al Papa Sisto V.
La Commissione Arcivescovile, incaricata di indagare i fatti era presieduta dall'Abate e Canonico D. Giulio Cesare Minutolo, Vicario Generale e ne faceva parte anche D. Silvestro Maurolico. Il Papa fece studiare la relazione da una commissione di Cardinali che espressero il parere che certamente il ritrovamento effettuato era delle preziose reliquie di San Placido dei fratelli Euticchio e Vittorino, nonchè della sorella Flavia oltre che di altri 30 monaci martirizzati da Mammucca nell'anno 541 d.C. . Il Papa concesse che ogni anno si celebrasse oltre la festa del martirio quella del ritrovamento delle S.S. Reliquie il 4 Agosto. Furono memorabili i festeggiamenti che in tale ricorrenze preparavano i messinesi: archi di trionfo, funzioni, processioni, luminarie. Di tutto ciò se ne fece ampia relazione anche a Filippo II di Spagna. nel contempo a Messina fu eretto il nuovo Tempio di S. Giovanni di Malta in onore dei Santi Martiri. In particolare fu molto curato il Sacello, collocato sull'altare dell'abside corale, dove in artistiche casse rivestite di broccati d'oro, di velluti e damaschi rari furono riposte le sacre Reliquie. Sul pavimento del Sacello furono incisi i nomi dei Senatori del tempo: Antonio Giacomo di S. Basilio - D. Palmerio Di Giovanni - D. Francesco Marullo - Giovanni Pietro Arena - D. Giacomo Campolo - Giovanni Tuccari. Mentre procedevano i lavori di ricostruzione della Chiesa, il 6 giugno 1608 poco distanti dal sepolcro di San Placido si rinvennero altri corpi con i soliti vasi di vetro e di terracotta ripieni di sangue. Si pensò subito a Reliquie di altri Martiri uccisi in successive incursioni ed infatti i nuovi prodigi e miracoli operati da Dio al contatto dei Sacri Corpi confermarono tale convinzione. Anche questa volta Papa Paolo V informato del ritrovamento dall'Arcivesco Mons. Bonaventura Secusio confermò che si trattava del rinvenimento del corpo di altri santi Martiri i quali meritavano il culto insieme con quelli precedentemente scoperti. I lavori di ricomposizione definitiva delle sacre Ossa nel Sacello si completarono nel 624. Le varie alterne vicende del tempo lasciarono sempre le Sacre Reliquie nel loro intatto Sacello assistite sempre dalla sincera devozione dei messinesi, così fino al 1908. Il terremoto pur distruggendo buona parte della Chiesa di S. Giovanni di Malta, incredibilmente lasciò al suo posto il Sacello, custodito nella superstite abside ed opportunamente chiusa e sistemata da Sua Eccellenza Mons. Angelo Paino, Arcivescovo ed Archimandrita di Messina nel 1925.
Come spesso è per le tradizione religiose e civili, come spesso è per gli usi e le costumanze della vita cittadina, così il culto verso San Placido dopo il terremoto ebbe una battuta di arresto. Nonostante l'incuranza e trascuratezza dei cittadini messinesi anche la II Guerra Mondiale del '40 risparmiò le reliquie del Tempio e dei Martiri. Nel '60, grazie all'intervento del Barone Sergio Marullo, membro dell'associazione dei Cavalieri di Malta, che si adoperò per la restaurazione della Chiesa, si notò che dal tondo, sovrastante il Sacello dei Martiri, le piogge avevano gravemente danneggiato l'impalcatura lignea delle Casse contenenti le S.S. Reliquie. Si rese così urgente e necessario l'intervento del Municipio di Messina. Questo fu possibile per l'intelligente sensibilità del Sindaco Andò e di tutta la Giunta Municipale e per l'efficace attività svolta dalla compagnia di San Placido. Il 13 Agosto 1961 la Giunta allestì una esposizione delle Reliquie con straordinaria solennità alla presenza di S.E. Mons. Arcivescovo Angelo Paino, di S.E. Mons. Carmelo Canzonieri, Vescovo Ausiliare, del Rev.mo Capitolo Protometropolitano, di tutte le Autorità Cittadine e Provinciali e da S.Em. Rev.ma il Sig. Cardinale Fernando Cento. In tale occasione si ebbe la gioia di una lettera di Sua Santità Papa Giovanni XXIII, lettera che venne collocata accanto alla Pergamena di Papa Sisto V.
Così San Placido, tra il ricordo e l'oblio, continua la sua vita mistica attraverso la storia e Messina lo venera in Cielo quale Protettore e in Terra circonda di affetto quel luogo bagnato dal sangue dei suoi martiri e ne custodisce lì la memoria.
ACQUA DI SAN PLACIDO
Quando il 4 agosto del 1588 in maniera impensata furono ritrovate le reliquie di San Placido, dei Fratelli e degli altri martiri, in quello stesso luogo affiorò dell'acqua che fu considerata prodigiosa e tale si manifestò agli effetti. Poichè molti di coloro che con fede ne bevevano o vi attingevano venivano guariti dalle loro infermità . Le guarigioni si moltiplicavano. Perciò quando si ricostruì la Chiesa di San Giovanni si creò un ambiente adatto perché si potesse sempre usufruire dell'acqua. Testimoni oculari riferiscono che nell'antica Chiesa di San Giovanni dei Cavalieri di Malta, sino al terremoto del 1908, nel centro, ad 1/3 di distanza dalla porta di ingresso si apriva un rettangolo della lunghezza di circa 3 mt. e della larghezza di 1.50 mt. coperta da una grata di ferro e circondata da una balconata di ferro che dava luce in una cripta sottostante a cui si accedeva da due porte esterne situate ai lati della scalinata che portava alla Chiesa. Nella Cripta si trovava un pozzetto di marmo di Taormina, sollevato da terra circa 20 cm., dal quale si attingeva l'acqua. Esso ero abitualmente coperto da una mezza sfera di rame sormontata da un pomo prensile. Nel tesoro della chiesa si conserva una bacinella d'Argento recante al centro una statuetta di San Placido con cui si distribuiva l'Acqua che già raccolta si conservava nelle giare. Scriveva Mons. D. Giovanni Cara, che l'acqua avesse un sapore "molle" come quella che contiene elementi calcari e non avesse freschezza, inoltre non mancò mai l'acqua nelle due festività del 4 agosto e 5 ottobre. Successivamente per la costruzione dell'attuale Prefettura o Palazzo del Governo, il "Pozzo di S.Placido", fu sepolto insensatamente sotto lo sterro, senza lasciare traccia di sé. In tempi più recenti nella villetta antistante alla Chiesa, a poca distanza dal luogo dove era prima la sorgente dell'Acqua, ad opera dell'ufficio tecnico del Comune si è scavato un pozzo di circa 7 metri di profondità che dovrebbe corrispondere all'antico livello e si è trovata l'Acqua.
ULIVO DI SAN PLACIDO
Nel Cortile esistente tra la Chiesa di San Giovanni di Malta ed il Palazzo Reale, poi Prefettura, all'Ingresso in un angolo quasi addossato al Palazzo, sino al terremoto del 1908, si trovava una pianta di Ulivo, che la tradizione voleva risalente ai tempi di San Placido e testimone del suo martirio. Questa veniva indicata con il nome di "Ulivo di San Placido". Anche per l'Ulivo come per il Pozzo venne il momento della sua distruzione, quando fu costruita la Prefettura. Ma come per un miracolo anch'esso rifiorì dalle sue ceneri, ed è presente tutt'oggi vivo in mezzo a noi. Infatti l'Arcivescovo S. Ecc. Mons. Letterio D'Arrigo chiese durante i lavori che gli fosse consegnato tale Ulivo per preservarlo dalla distruzione certa. Mandò alcuni fedeli tra cui Giuseppe Villari di Bordonaro perchè ne curassero l'estirpazione e il trasporto nella sua villa del Sacro Cuore all''Arcipeschieri. Trattandosi di un albero secolare si voleva dissuadere il prelato ad attuare un tale progetto perchè sicuramente l'Ulivo sarebbe appassito. L'albero fu sfrondato e svelto dalle radici così che ne rimase che un troncone di 1 mt circa di altezza. caricato su carretto trainato dai buoi quel che restava dell'olivo cominciò il suo viaggio verso la casa dell'arcivescovo, ma malamente legato cadde e si spezzo in due. Nonostante tutto a Villa Sacro Cuore il ceppo fu messo a dimora in terra e affidato alle cure di una suora che doveva innaffiarlo quotidinamente. La monaca lo accudiva più per accontentare il prelato che per convinzione. Ma un giorno quello scarno e malandato troncone ricominciò a germogliare e crebbe tra lo stupore generale. Ancora oggi esiste nel giardino delle Suore Domenicane del Sacro Cuore all'Arcipeschieri. Nella villetta antistante la Chiesa di San Placido è stato trapiantato un virgulto staccato dalla pianta che si trova al Sacro Cuore perchè un giorno possa rifiorire ed ergersi forte e maestoso in quei luoghi dove lo ha visto San Placido. Ve ne è un terzo, sempre piantato dall'estrazione di un virgulto dell'antica pianta di S.Placido sita al Sacro Cuore, nel giardinetto del Monastero di Montevergine.
Massimo Mastronardo
( www.granmirci.it )