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20 agosto 2001

UNA DIA E VIA!

Riprendiamo, dopo la sospensione estiva, con l'esame delle novità normative contenute nel cosiddetto pacchetto governativo dei "100 giorni", nella parte che è stata tradotta con il Disegno di Legge n.374 e avente titolo "Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti industriali strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive". In particolare qui ci interessa l'articolo 2 che tratta di "liberalizzazione delle ristrutturazioni di immobili". Già in un recente passato avevamo preso in considerazione le modifiche sostanziali alla normativa edilizia introdotte dal nuovo testo unico, esponendo alcune riflessioni preoccupate sulle semplificazioni introdotte, miranti ad abbassare il livello dei controlli su alcune tipologie di opere che non potevano più rientrare nella definizione di "minori".

Ebbene il testo unico non è neppure stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che viene decisamente superato ("anticipato" dice l'articolo) con l'inserimento di modifiche proprio riguardo alla capacità degli strumenti di controllo di prevenire abusi e violazioni alla normativa edilizia. La soluzione è piuttosto semplice e già sperimentata, avendo avuto ad esempio la L.R.19 novembre 1999 n.22 della Regione Lombardia come apripista: si è estesa la facoltà di ottenere l'assenso a costruire attraverso l'uso della denuncia di inizio attività con riferimento a tipologie di opere che sono normalmente sottoposte a concessione o autorizzazione quali le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con lo stesso ingombro volumetrico, i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di piani attuativi o idonei strumenti urbanistici recanti analoghe previsioni di dettaglio. Il riferimento nel titolo alle sole ristrutturazioni appare quindi errato.

Se la prima innovazione introdotta in questo senso, con L.n.493 del 1996, poteva avere un significato perchè in pratica si snellivano istruttorie su progetti che non uscivano dal campo di disposizioni meramente tecnico-costruttive, ora le cose cambiano radicalmente trattandosi di tutta la materia urbanistica ad essere messa in discussione. Il disegno delle città potrà cioè mutare profondamente senza che sia più possibile avere un quadro chiaro di come far seguire o preordinare un sviluppo coerente di servizi. Si provi ad immaginare cosa può succedere ad un quartiere nel quale i proprietari dei condomini si decidano a "ristrutturare" i vecchi palazzi in modo da ricavare due appartamentini per ognuno degli esistenti, cioè una sorta di moltiplicazione dei pani e dei pesci. Pensiamo ai parcheggi, alle strade, al verde pubblico ( i cosidetti standard edilizi) i quali, già in crisi per servire una densità di popolazione definita, si ritroveranno a dover sopportare un raddoppio degli utenti. Se poi si vuole porre l'accento sul sistema ambientale e sulla sua capacità di carico, il primo esempio che viene a mente è l'uteriore deficit depurativo che si instaurerà. Le cose si complicherano ulteriormente per le zone non servite da impianti pubblici. Quali saranno le previsioni? Sarà sempre la pubblica amministrazione a doversi prendere i nuovi oneri conseguenti a questi incrementi abitativi?

Alle obiezioni si tratteggia una sorta di eden della pianificazione, dove tutto è contemplato, misurato e normato, quando la realtà italiana è ancora rappresentata da municipalità importanti prive di una qualsivoglia strumento di regolazione della trasformazione del territorio, quando la maggiorparte dei prg sconta una perdurante mancanza di indicazioni propria in materia di servizi. Nella migliore delle ipotesi regioni e comuni si preoccuperanno di adottare regolamenti o delibere in variante agli strumenti urbanistici esistenti per poter instradare i progetti lungo percorsi obbligati. Tuttavia si conoscono la difficoltà di poter prevedere tutto attraverso la regolamentazione, senza peraltro cadere nell'eccesso o nel paradosso, così come si può prevedere l'elevato livello di contenzioso che genera il voler adottare norme tecniche troppo stringenti, senza contare che i tempi di approvazione di queste modifiche non sono comunque dietro l'angolo. E comunque il trend di questi ultimi tempi è del tutto contrario alla filosofia del controllo preventivo sui piani regolatori, anche le regioni storicamente più attente allo sviluppo organico del territorio mostrano di voler "allargare le maglie".

Nella peggiore delle ipotesi vedremo invece l'emanazione di articolati del tutto generici i quali finiranno per permettere la realizzazione di scempi edilizi, anche se legalmente travestiti. Quel "padroni a casa nostra", come recita lo slogan che ha accompagnato la presentazione del disegno di legge, rischierà invece di tradursi in una perdita di diritti, tra i quali, il principale, quello di vedere rispettata la propria porzione di libertà personale, come a dire una sintesi di una varietà di bisogni, dalla qualità della vita alla soddisfazione delle necessità primarie.

Nel dibattito parlamentare che vi è stato al Senato e che si è concluso in malo modo essendo stato interrotto dalla scelta, del tutto legittima, di porre la fiducia e quindi approvare il testo emendato con la forza nei numeri, le obiezioni sono state numerose. Quella che ha maggiormente tenuto banco è la denuncia dell'invasione di competenze nella materia urbanistica che, da diversi anni, sono state decentrate alle regioni e ai comuni. In sostanza con queste norme:

"...ci si chiede se si intenda modificare il diritto urbanistico sostanziale. Infatti, attraverso un'apparente modifica del meccanismo procedurale ad una legge statale non dovrebbe essere consentito di incidere sulla regolamentazione urbanistica dettata dai comuni. Su questo punto il rispetto degli spazi di competenza attribuiti alle regioni e ai comuni investe precisi profili di ordine costituzionale, senza che sia possibile trovare adeguate garanzie neppure nella disposizione contenuta nel comma 3 dell'articolo 2, che assegna alle regioni a statuto ordinario la facoltà di individuare quale degli interventi indicati al comma 1 siano assoggettati a concessione o ad autorizzazione edilizia."

E ancora: "....anziché un istituto di innovazione procedurale quest'ultimo diventa un istituto di sfondamento della normativa urbanistica sostanziale, applicandola ex abrupto a tutta una parte del Paese che è priva di una strumentazione urbanistica di dettaglio e ha, notoriamente, un basso grado di capacità di controllo della regolarità degli insediamenti edilizi....."

Una seconda espressa preoccupazione ha riguardato le conseguenze a livello di centri storici, qualora il testo venisse approvato come da prima stesura. Nel Ddl 374 l'applicazione della DIA non trova infatti limitazioni per gli edifici e le zone vincolate, quando invece la normativa originaria che ne ha dettato le condizioni, la L.662 del 1996, lo vietava espressamente. Il Governo, nel momento in cui ha posto la fiducia, ha emendato le "leggerezze" messe in luce nella prima versione, tuttavia il testo nuovo è risultato essere peggiorativo rispetto al bene tutelato, in quanto è stato abrogato proprio il comma 8 dell'art.4 della Legge 493/96 che introduceva il limite applicativo citato:

" ...... il testo coinvolge nella denuncia di inizio attività addirittura i beni tutelati dal decreto legislativo n. 490, quelli vincolati, tanto per capirci, che erano sfuggiti alla volontà derogatoria della prima stesura. Non si consente solo, senza deroghe e controllo preventivo, la manomissione dei centri storici e degli altri beni culturali, che avrebbero bisogno di cura, attenzione, ma soprattutto di verifiche preventive, al fine di non consentirne la manomissione, la perdita irreparabile. Con le demolizioni e le ricostruzioni scompariranno tipologie, caratteristiche degli edifici, elementi costruttivi e decorativi, qualità formali, elementi distributivi, facendo perdere così ai luoghi, ai centri storici, quel carattere di unitarietà, di qualità complessiva che era stata la conquista culturale più avanzata del nostro Paese..."

Un altro elemento che è stato richiamato nell'aula è quello relativo alla:

" .... sicurezza degli edifici, di interi isolati, di manufatti che, necessitando di interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinari e strutturali, in assenza di adeguati e preventivi controlli potrebbe subire una crescente sottovalutazione che non costituisce la migliore risposta, sul piano normativo, che il legislatore può dare a fenomeni di degrado e manipolazione di manufatti che hanno già funestato la cronaca recente in alcune città del nostro Paese. Le città sono un patrimonio collettivo, dove certo si deve essere liberi, ma il diritto dell'uno non può ledere il diritto degli altri."

E ancora:

"...oggi con questo testo si liberalizza nella sostanza ogni edificazione, demolizione, ricostruzione, purché fedele al piano regolatore generale, senza null'altro. Cosa dire della mancanza di controlli statici, tecnici, igienico-sanitari, di sicurezza, di impatto ambientale? Una passata di spugna e via, nulla più. Spiegherete voi della maggioranza ai cittadini che se crolla il solaio di casa loro è una conquista di libertà.....".

Tra tutti gli interventi, tuttavia, nessuno ha messo in primo piano un'evidente contrasto normativo. L'art.19 della L.241/90 che ha introdotto per la prima volta nel codice delle leggi il termine di"denuncia di inizio attività" e che ha ammesso tale procedura in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato esclude espressamente che possa essere applicata nei casi di "concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, e del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431".

L'altro aspetto importante che si doveva ancora sottolineare è la ristrettezza dei tempi di esame da parte delle pubblica amministrazione. Un conto è stabilire un termine di 20 giorni per il rifacimento di un tetto, un altro è quando ci si trova a dover valutare la sussistenza dei requisiti urbanistico-edilizi di un nuova edificazione. Non per niente sempre l'art.19 sopracitato stabiliva un termine generale più congruo, pari a 60 giorni, per tutte le DIA. Inoltre sia per quanto traspare dalla lettura dell'articolato sia per i contenuti del dibattito parlamentare sembra di capire che tutti indirizzino il proprio pensiero verso quanto succederà in ambito di edilizia civile. In realtà le modifiche introdotte non hanno fatto distinzioni e, per quanto risulti incredibile, dopo 20 giorni dalla presentazione di una DIA, può essere in ipotesi iniziata a tutti gli effetti la costruzione di un vero e proprio fabbricato industriale, senza altre lmitazioni che non siano previste in un piano attuativo.

La conclusione a questo proposito non può che riportare alla mente quanto si è detto e ripetuto a proposito dell'istituto del silenzio-assenso nel nostro paese, dei danni che ha prodotto e dei ricorsi che ha provocato presso la Corte di Giustizia della UE, con le condanne che ne sono seguite per la costante violazione di un principio sacrosanto che il resto degli stati membri riconosce, quello di esprimere il proprio convincimento attraverso l'emanazione di atti espressi, le autorizzazioni comunque denominate. Si badi bene: non è, come si vuol far credere, un modo per responsabilizzare il mercato e i progettisti, ai quali le regole del codice penale e civile si applicano compiutamente da decenni. Quello che si otterrà è invece di costituire un alibi per la pubblica amministrazione, di introdurre elementi di deresponsabilizzazione per il personale preposto ai controlli d'ufficio o per gli amministratori stessi. Ci si potrà sempre opporre alle accuse di inefficienza con la giustificazione dei tempi ridottissimi della procedura DIA. E' del tutto condivisibile dunque il pensiero di chi ha adombrato un far west edilizio, dove i cittadini toccati dagli effetti della liberalizzazione dovranno trovare da sè gli strumenti per poter difendere il diritto in senso lato.

Se qualche dubbio resta vengono in aiuto le recenti sentenze TAR della Regione Lombardia. Come detto, con L.22/99, è stato di fatto liberalizzata la DIA in tutte le fattispecie progettuali, la cosidetta SuperDIA, creando numerosi contenziosi che hanno avuto come oggetto il contrasto con la legge statale. Come esempi illuminati si possono citare due casi

Il caso di A.F che ha citato il Comune inandempiente per non aver ordinato il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad un ricovero legname realizzato attraverso la procedura di DIA. Il TAR, in questo caso, ha accolto il ricorso con le seguenti motivazioni:

"ll ricorso col quale si contesta il silenzio del Comune su una D.I.A. costituisce un'azione di adempimento nei riguardi dell’autorità che non abbia previamente adottato nel termine di 20 giorni la diffida applicabile in base alle prescrizioni del vigente strumento urbanistico. E’ illegittimo il silenzio serbato dal Comune su di una D.I.A. riguardante un manufatto in contrasto con le norme urbanistiche (nel caso di specie un ricovero per legna dotato di sufficiente stabilità per poter essere annoverato anche in rapporto alle sue dimensioni fra le costruzioni urbanisticamente rilevanti ai sensi di cui all’articolo 1 della legge n. 10 del 1977 e, comunque, la cui destinazione è estranea alla produzione del fondo)".T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 1 giugno 2001, n. 397.

Il caso di O.Z.e C.Z. che, comproprietari di aree edificabili, avendo presentato il 17.06.2000 denuncia di inizio dell’attività per la realizzazione di 12 alloggi, hanno impugnato la diffida del segretario comunale a non dare inizio ai lavori, nonché la variante al P.R.G., adottata dal Consiglio comunale il 30.06.2000, che ha destinato parte dei terreni dei ricorrenti a verde pubblico, ed alla cui stregua si è imposta la diffida. Il TAR, in questo caso, ha in parte respinto il ricorso, in parte rimandato ad ulteriore pronuncia:

"Passando ore all’esame dei motivi di impugnazione incentrati sull’illegittimità della variante al P.R.G. adottata con deliberazione del Consiglio comunale il 30.06.2000, la Sezione è dell’avviso che, quanto alla dedotta violazione dell’art.19 della legge n. 265/99 (per avere partecipato alla discussione ed alla votazione consiglieri che vantavano un interesse personale alla variante), al difetto di pubblicità ed al mancato esame da parte dei consiglieri dei riferimenti cartografici e tecnici relativi alla variante, nonché il denunciato difetto di istruttoria e di motivazione (anche avuto riguardo all’incremento degli standards urbanistici) si debba procedere sia ad una verifica istruttoria sia ad una consulenza tecnica d’ufficio."

Ci si dimenticava di un altra interessante ultima notizia:

Corte di Cassazione, sez. III penale, 23 gennaio 2001, n. 204 - La sezione, annullando un provvedimento del Tribunale della libertà, sconfessa l'interpretazione secondo la quale l'articolo 4 della legge regionale Lombardia n. 22 del 1999 avrebbe esteso la d.i.a. a tutti gli interventi, anche quelli subordinati a concessione edilizia (cosiddetta "superDIA") - La sentenza riconduce la lettura della predetta norma nell'alveo delle competenze regionali ex art. 117 Cost. e del principio di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990 (che esclude la semplice denuncia di inizio attività per le opere soggette a concessione edilizia). Per cui la d.i.a. introdotta dalla regione Lombardia è limitata agli interventi marginali di cui alla norma statale e, tutt'al più, agli interventi disciplinati dalla stessa legge regionale (parcheggi interrati e recupero sottotetti).

 

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