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21 aprile 2001

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E RISCHIO ZERO

Con la polemica innescata dalle dichiarazioni del Ministro Veronesi circa la destinazione dei fondi destinati al risanamento in ambito di campi elettromagnetici, e, più o meno velatamente, sulla mancanza di certezze in merito alla loro pericolosità, si sono riaccese le discussioni su ciò che è giusto o sbagliato nell'applicazione del cosiddetto "principio di precauzione".

In realtà c'è stata una vera e propria sollevazione da parte di alcuni illuminati rappresentanti delle istrituzioni scientifiche e di ricerca sull'opportunità di dare all'argomento CEM tutta quell'attenzione che viene a questo accordata, fino a sfociare nel sensazionalismo e quindi nell'eccessivo allarme. Le dichiarazioni di Veronesi a questo proposito sono state lo spunto per una sorta di sfogo di illustri razionalità e principi sperimentali contro il tam tam emozionale e l'applicazione apodittica della prudenza come freno del progresso tecnologico.

Tullio Regge, fisico italiano di chiara fama, si è espresso in questo senso su Repubblica con un articolo titolato - E' solo una bella utopia il progresso "rischio zero"- , la cui lettura suscita parecchie riflessioni. Dice Tullio Regge a proposito del principio di precauzione proposto per la prima volta alla conferenza di Rio che.." l'uso di concetti fittizi quali l'assoluta sicurezza e l'assenza di una soglia di pericolo fanno del principio, se usato male, un'arma politica e demagogica flessibile che si può applicare a qualsiasi innovazione." ...." il principio richiede il blocco totale, non considera interventi correttivi e se applicato in modo incontrollato potrebbe bloccare di fatto la ricerca e ricondurci al medioevo ."

A questo punto il minimo che si possa pretendere da un lettore è di sapere di cosa si sta parlando.

Il principio di precauzione è stato per la prima volta introdotto alla Conferenza di Rio di Janeiro nel 1992. Esso recita: "In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il danno ambientale". La traduzione del concetto non è particolarmente difficile, si tratta di procedere con i cosiddetti "piedi di piombo" ogniqualvolta ci si trovi a dover fronteggiare un pericolo nuovo e sconosciuto a proposito del quale vi siano già alcuni riscontri in termini di danni gravi e irreversibili per la popolazione e l'ambiente.

Il punto dolens è appunto questo. Sebbene il principio sia perfettamente comprensibile nella sua semplicità la sua applicazione pratica non lo è invece altrettanto. Come dice Regge, manca un protocollo operativo che non sia la "prova del nonno" (il senso è chiaro). D'altronde il problema sta nell'individuazione di metodi di analisi che siano in grado di garantire, con la loro predettività a lunga scadenza, che non vi saranno ricadute sanitarie o ambientali dall'uso di un determinato prodotto, funzionamento di un impianto, modifica di un organismo ecc.

La moderna ricerca in materia di farmaci per es. viene condotta sulla base di standard indicata dai rispettivi governi, i tempi per avere la sicurezza d'uso un nuovo medicinale sono decennali, le prove per dimostrarne l'efficiacia a dosi non tossiche sono innumerevoli, lunghe e costose, i rischi d'impresa sono altissimi e tali da scongiurare qualsiasi leggerezza in proposito. Tutte queste garanzie non sono tuttavia sufficienti ad evitare possibili effetti controindicativi sull'organismo, in modo provocatorio potremmo sostenere che la vera e propria sperimentazione si fa sull'animale ..uomo. La conclusione sul fatto che un farmaco è innocuo, oltre a produrre le sperate azioni di guarigione, si può trarre solo dopo diversi anni dalla sua messa in commercio, quando le statistiche si giocano su un numero di utilizzatori costituiti da diversi zeri dopo la prima cifra. E tuttavia, qualora si dimostrassero affetti avversi su un campione significativo di malati, in qualsiasi momento anche dopo anni dal suo rilascio, quel farmaco sarebbe probabilmente ritirato, in attesa dei risultati di nuovi studi e ricerche. Si potrebbe dire che, in ambito farmaceutico, il principio di precauzione sia stato sempre applicato, e con successo, grazie anche a quei protocolli operativi, riconosciuti validi dalle autorità, che le aziende farmaceutiche sono tenute ad applicare per ottenere la registrazione di nuovi medicinali.

Ora questo modello dovrebbe essere importato su un campo di ricerca estremamente problematico, l'ambiente in tutte le sue componenti.Come è possibile immaginare non è certo la stessa cosa riprodurre in laboratorio gli effetti di un farmaco e quelli di un organismo geneticamente modificato. Già le variabili che si presentano nell'utilizzo della sperimentazione animale sono numerose, non per niente continuano ad essere elemento di contestazioni sulla validità del metodo, figurarsi cosa possa significare l'approntamento di un modello sperimentale di laboratorio che simuli l'azione di una nuova sostanza ( o peggio di un nuovo organismo) su tutte le componenti ambientali, riconosciuto valido in ogni parte del globo in cui quella sostanza potrà essere utilizzata. Siamo di fronte a difficoltà di carattere planetario, quindi insuperabili anche per quegli esperti che ne avrebbero gli strumenti e le capacità, ma la cui specializzazione necessariamente limitata a pochi campi d'indagine costringe alla resa. "L'atto della valutazione non si basa più solo sulla validità della conoscenza, quale garanzia scientifica della decisione, ma anche sulla capacità di tener conto dell'indeterminato e di prefigurare un futuro incerto". (Bernard Kalaora, «Global expert: la religion des mots, Ethnologie française, XXIX, 1999, 4)

La Conferenza di Rio, con l'enunciato sulla precauzione, ha messo all'indice un certo lasseiz-faire dei governi mondiali quando ritengono di non poter ( o voler ) regolamentare certe attività conderato a rischio per l'ambiente o l'uomo, se non a fronte dell'evidenza scientifica, della dimostrazione concreta di un pericolo. Diversa acqua è passata sotto i ponti dal 1992 ad oggi, ma questo problema rimane. Per es. sulla questione freon certo non si può sostenere che non vi sia stato un intervento globale, i governi si sono comportati di conseguenza non appena si sono avuti sufficienti riscontri sulla teoria enunciata.Tuttavia, in questo caso, si trattava di sostituire un prodotto pericoloso con uno meno pericoloso, non era in gioco l'ammissibilità stessa di una determinata produzione come quando si tratta di OGM.

In questo caso scattano reazioni fortissime e la risposta dei governi è ancora di più sbilanciata sulla richiesta di un supporto tecnico-scientifico alla decisione. Ma la capacità di predire il futuro è ancora lontana dall'essere patrimonio del ricercatore e quindi, proporzionalmente alla dimensione delle possibii ricadute, le incertezze aumentano. Poiché gli stessi esperti riconoscono l'esistenza di una zona di incertezza, almeno in quanto costante residuale ineliminabile, sembra a questo punto incoerente riconoscere alla valutazione scientifica lo statuto di conoscenza incontestabile e considerarla sufficiente all'elaborazione delle decisioni politiche. I governi si trovano sempre di più a decidere sulla base di una ipotesi di maggioranza, e quella più conveniente è quella, stringi stringi, di usare la massima prudenza.

Si capisce come questa sorta di principio per così dire referendario sia inviso a chi fa della ricerca della prova la propria scelta di vita. Così a Tullio Regge non rimane che invocare il ragionamento e il buon senso: "Al principio di precauzione dobbiamo sostituire il rischio calcolato e il principio di responsabilità. Una bilancia che si rispetti ha due piatti, occorre confrontare rischi e benefici.....Basta con le chiacchiere, con gli anatemi e con la demagogia: abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a decidere in base ai fatti."

Tuttavia i fatti si fa fatica a raccoglierli e intanto le conseguenze potrebbero essere irreversibili. Il tempo gioca a nostro sfavore. Se poi facciamo riferimento al principio di responsabilità allora potremmo ricordare che esiste anche un'opzione zero, una soluzione non più scientifica ma etica che ammette l'abbandono puro e semplice di un progetto, mentre l'attuale precauzione porta piuttosto a differirlo o a regolamentarne le condizioni d'uso.

Sia come sia, quando il pericolo da correre riguarda aspetti della nostra vita, non è proprio con le argomentazioni sul "rischio zero non esiste" che possiamo ritrovare la tranquillità perduta. Ognuno è in grado di scriversi una lista di priorità su ciò che desidera o non desidera evitare nel corso della propria esistenza ed è noto che la percezione del rischio non si basa sulla reale pericolosità di un prodotto o di un comportamento (peraltro solo statisticamente dimostrata), ma sulla possibilità di esserne o meno dominati. Per questo scarso successo hanno le campagne sul fumo o sull'alcool, vizi nei confronti dei quali si instaura un rapporto di sudditanza volontaria, mentre la reattività dei confronti di un ripetitore è altissima, dal momento che si subisce e non si sceglie di viverci vicino.

Quando le tensioni sociali portano il legislatore ad adottare il principio di precauzione nei riguardi di quell'aspetto che, al momento, risulta essere in cima alla lista delle paure generazionali, come nel caso dei campi elettromagnetici, si finisce, secondo Regge, per tornare al medioevo. Ma per quale motivo, tutto quanto premesso a proposito di incertezze, i governi dovrebbero reagire solo con una politica della prevenzione basata su di una graduatoria che identifichi e neutralizzi le aggressioni più probabili e devastanti?

Perchè non condividere la scelta di non consentire per una fascia di rispetto di 300 mt dal perimetro del centro abitato localizzazioni di impianti CEM ad eccezione dei ponti radio nonché di quelle previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze o di vietare "le installazioni su edifici scolastici, sanitari e a prevalente destinazione residenziale nonché su edifici vincolati ai sensi della normativa vigente, classificati di interesse storico-architettonico e monumentale, di pregio storico, culturale e testimoniale."? (Delibera Emilia-Romagna n.197/2001 alla pagina ultime norme emanate)

Allora a chi dobbiamo dare la colpa se l'Italia, ma così anche altri paesi, fino a questo momento non ha proprio brillato in alcuni campi, forse ai tecnici che non hanno posto questi temi con la dovuta proporzione? E che significato può avere definire una regolamentazione restrittiva per l'aggressore più indagato, lasciando libero arbitrio agli altri in attesa di una loro chiara interpretazione (nei modi e nei termini che verranno decisi sulla base, forse, di una ennesima graduatoria di stanziamento fondi)?

Per concludere, se con l'applicazione del principio di precauzione potranno essere dettate regole laddove si presentino le prime avvisaglie di un possibile rischio, senza aspettare che questi si manifesti con clamore, non avremo fatto altro che mettere in pratica una delle leggi fondamentali dell'evoluzione, quella di dover imparare dai propri errori.


Nella pagina documenti - per una maggiore comprensione del principio di precauzione consiglio di leggere, , il testo della Comunicazione della Commissione UE 2 febbraio 2000 e la Risoluzione del Consiglio Europeo di Nizza 7-12 dicembre 2000

 

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