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7 giugno 2001

SCARICHI DI ACQUE REFLUE URBANE: BASTERANNO LE IMHOFF

La richiesta recente di un lettore circa il sistema più adeguato per la depurazione di scarichi fognari spinge a trattare un argomento che continua a ripresentarsi con una certa continuità senza che però se ne riesca a vedere la fine. Si parla cioè di una situazione tutta italiana tale per cui stabilito un certo termine per mettere a norma le cose, questo viene di volta in volta prorogato lasciando che lo status quo non solo si consolidi, ma che diventi esso stesso alibi per un ulteriore spostamento in avanti. Gli esempi possono essere tanti, molti sono proprio nel settore che ci interessa. In particolare l'aspetto che si va a descrivere può rappresentare in un certo senso l'antesignano dei comportamenti discutibili, appunto la storia infinita della messa a norma degli scarichi di pubblica fognatura. Di tempo ce ne sarebbe stato a sufficienza essendo ormai passati invano più di due decenni dall'emanazione della L.319/76, invece sembra si debba sempre fare i conti con un destino ineluttabile, uguale per tutte le leggi, quello di non essere rispettate.

In parte si esagera, è vero. Nei vent'anni di messa a regime della prima legge sulla tutela della acque dall'inquinamento, molta strada, anzi, per meglio dire, molti impianti sono stati realizzati.C'è stata una grande crescita tecnologica, strutturale e professionale di tutto il settore pubblico dedicato a questo importante funzione. Diverse sono state le regioni che hanno investito risorse per dotare il territorio di un "governo delle acque". Sono nate e prosperate le aziende municipalizzate e, progressivamente, la delega alla gestione da parte dei consorzi dei comuni è diventata sempre più completa e totalizzante, man mano che ne veniva compresa la capacità e acquisiti i vantaggi. Finalmente poi si è arrivati a concepire un disegno globale, quello del ciclo integrato, che ha trovato espressione in un'altra legge di portata storica, la Legge Galli, con l'"esternalizzazione" di un intero bacino territoriale sotto l'egida di un controllo pubblico sempre più soggetto committente che altro.

Queste sono, molto in sintesi, le notizie buone. Quelle cattive narrano invece di un paese dove ancora non esiste il "vizio" della pianificazione, dove si costruisce troppo e senza criterio, dove i servizi e le infrastrutture seguono, sempre che seguano, quando ormai il degrado è irreversibile. In questo contesto le fognature sembrano davvero essere la cenerentola delle urbanizzazioni, gli impianti di depurazione un optional che solo qualche rompiscatole costringe a fare. Anche dove crederemmo sia ormai sperimentata la bona vis della programmazione le fughe all'indietro sono all'ordine del giorno, l'inurbazione si diffonde, la campagna si popola di funzioni incompatibili, il territorio si divide a scacchi.

Ma ritorniamo al quesito del lettore. Questi si trova a vivere una situazione un po' paradossale. Da una parte lavora nel laboratorio di un impianto comunale di depurazione delle acque reflue, dall'altra risiede in un centro abitato le cui fognature scaricano a cielo aperto. La richiesta è di conoscere gli estremi del provvedimento, presumibilmente collegato al D.lvo 152/99, dove si stabilisce che le acque reflue di un agglomerato con meno di 500 abitanti equivalenti sono sottoposti a trattamento mediante fossa imhoff, e non, come sarebbe più logico attendersi, tramite un vero e proprio impianto biologico a fanghi attivi.

In realtà il provvedimento non è stato emanato dal Governo, si tratta invece di una Delibera della Regione Veneto, la n.2529 del 14 luglio 1999, la quale recita:

" Gli scarichi di vasche tipo Imhoff a servizio di pubbliche fognature con potenzialità inferiore alla soglia S1 (100:500 AE) non sono soggetti al rispetto di limiti di accettabilità. Il corretto dimensionamento e la possibilità di trattamenti integrativi dovrà essere verificato dalla Autorità di controllo in sede di rilascio della autorizzazione prescritta.

Tali strutture depurative sono soggette inoltre al seguente regime: 1) è obbligatoria la tenuta del quaderno di manutenzione di cui all'art. 36 della L.R. 16 Aprile 1985 n. 33, su cui vanno indicate le operazioni di pulizia e controllo che dovranno essere eseguite almeno ogni 6 mesi; 2) è richiesta la nomina del tecnico responsabile; 3) non è richiesto il rispetto del limite di inedificabilità assoluta di almeno 100 metri richiesto dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale per la Tutela delle Acque dall'inquinamento del 04.02.1977 Allegato 4; devono comunque essere assicurate condizioni di salubrità per gli insediamenti circostanti. In ogni caso tali vasche devono essere coperte.

Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso in cui alla vasca tipo lmhoff venga accostato qualche elemento altrettanto semplice quale un dissabbiatore a gravità una griglia o un sistema di fitodepurazione. Per vasche tipo Imhoff di potenzialità superiore alla soglia S1 devono essere previsti trattamenti integrativi preferibilmente di tipo naturale atti a garantire effluenti entro i limiti tabellari."

Cosa ha fatto la Regione Veneto? Non appena emanato il D.lgs. n. 152/99, ha modificato il Piano Regionale di Risanamento Acque (PRRA) nella parte in cui detta i criteri di autorizzabilità e quindi definisce quali impianti di trattamento installare sugli scarichi esistenti di acque reflue urbane ai fini del risanamento delle acque superficiali. Rilevando che il decreto non detta alcuna prescrizione per gli agglomerati con meno di 2.000 ab. eq., riconoscendo di fatto alle regioni la facoltà di disciplinare tale materia, ha cioè regolamentato ex nunc i "sistemi appropriati " di cui all'allegato 5.

Ma cosa diceva l'allegato 5, prima versione, a proposito degli scarichi di acque reflue urbane di cui all'art. 31, comma 2, come provenienti da agglomerati con meno di 2000 A.E?:

"I valori limite della tabella 1 non si applicano agli scarichi di acque reflue urbane di cui all'articolo 31 comma 2. Tali scarichi devono essere sottoposti ad un trattamento appropriato che garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità o la tutela delle acque sotterranee nel caso di scarico nel suolo; eventuali limiti a tali scarichi sono definiti dalle regioni."

La prima osservazione è che si sta parlando di scarichi esistenti, cioè di "impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali siano già state completate le procedure relative alle gare d'appalto". Nonostante la definizione sia infelice, e più tardi infatti sarà rivista, le disposizioni che verranno dettate dalle regioni sono dirette ad affrontare il risanamento delle realtà minori, entro l'obiettivo del 2005. La seconda è che il disposto lascia completa discrezionalità alle regioni nel fissare o meno limiti di concentrazione allo scarico. E' una novità che lascia il segno.

Le acque reflue urbane, provenienti da agglomerati fino a 2000 AE (ma se in aree marino-costiere fino a 10.000 AE), possono non essere più soggette a controlli, perché è questa la conseguenza pratica di tale indicazione. Togliendo il vincolo del rispetto dei limiti, viene a perdersi l'elemento discriminante sulla base del quale può affermarsi o meno il rispetto della normativa e, quindi, nello stesso tempo, l' "incentivo" a intervenire per il risanamento delle reti comunali. Per essere chiari: l'inefficienza del sistema di trattamento o le carenze gestionali non sono sanzionati, il mancato adeguamento al 2005 altrettanto.

Nei confronti della precedente L.319/76 lo strappo è notevole. E' forse per mitigare l'impatto di questa mezza rivoluzione che, poco più avanti, nel testo dell'allegato 5, l'argomento dei "sistemi appropriati" viene meglio articolato:

"I trattamenti appropriati devono essere individuati con l'obiettivo di: a) rendere semplice la manutenzione e la gestione; b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico; c) minimizzare i costi gestionali. Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.

Per tutti gli insediamenti con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 a.e, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale. Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche per tutti gli insediamenti in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano.

Tali trattamenti si prestano, per gli insediamenti di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 a.e, anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento. Possono essere considerati come trattamenti appropriati i sistemi di smaltimento per scarichi di insediamenti civili provenienti da agglomerati con meno di 50 A.E., come quelli già indicati nella delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento del 4 febbraio 1977."

Come si può vedere il legislatore, per gli insediamenti con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 AE, ritiene "auspicabile" il ricorso a sistemi depurativi che tecnologicamente rappresentano qualcosa di più avanzato rispetto alla fossa imhoff, e, in ogni caso, provatamente, se non in grado di garantire il rispetto dei limiti, almeno di abbattere la maggiorparte del carico inquinante.

Solo per agglomerati inferiori ai 50 AE allora si rimanda all'applicazione della Delibera 4 febbraio 1977, dove, segnatamente, a voler leggere bene, la fossa imhoff non costituisce che il tassello iniziale di un impianto integrato, costituito a valle da soluzioni tra loro alternative, ma sempre, si sottolinea, con recapito finale sul suolo e non in acque superficiali.

Parole al vento. L'approfondimento non è evidentemente sufficiente per convincere i più, il varco è aperto e le prime deleghe alle regioni mostrano qual è l'elemento più interessante del nuovo testo: la possibilità di non applicare i limiti allo scarico. Alla regione Veneto se ne aggiungono presto altre, le quali possono così giocare al risparmio nella individuazione dei criteri di adeguamento delle acque reflue urbane. Si intenda: i costi del risanamento sono molto alti. E' quindi perfettamente comprensibile che le regioni vogliano preservare i bilanci di fine anno.

Come si è detto, originariamente, secondo la Delibera 4 febbraio 1977, la fossa Imhoff doveva rappresentare solo il primo livello di trattamento del refluo, perché seguita a valle da sub-irrigazione, fosse disperdenti o filtro anaerobico, grazie ai quali sistemi poteva essere sfruttata l'efficacia depurativa dei primi strati del suolo. Solo in un secondo momento, grazie alla sua facilità di posa, ai costi relativi di primo impianto, e alla gestione economica, si è diffusa come soluzione autonoma per il recapito diretto in acque superficiali, in particolare quando si doveva assicurare quel minimo depurativo richiesto nelle zone non servite da pubblica fognatura. E' stata, nei fatti, un ripiego temporaneo, in attesa che si posassero i collettori per l'allacciamento delle case sparse, dei piccoli nuclei abitati, delle frazioni. Sarà invece una installazione permanente laddove, per l'insostenibilità economica, le amministrazioni comunali decideranno di non spendere le risorse necessarie per avvicinare la rete pubblica.

Ma le fosse imhoff non garantiscono che un 30-50% di abbattimento del carico inquinante trattato, sempre che siano state ben dimensionate e ne sia assicurata la manutenzione, cosa che non sempre avviene. Prova ne sia quanto quotidianamente si può osservare lungo i fossati stradali, girando per le periferie, le campagne o le prime colline delle nostra città. O come quando il fenomeno assume connotati più eclatanti tanto da guadagnarsi un commento in cronaca :

Terrazzo (VR). La Provincia archivia le sanzioni amministrative comminate tra il 1998 e il 1999 al sindaco Mauro Ziviani, dopo che l’Ulss 21 di Legnago aveva riscontrato in tre differenti ispezioni il superamento di un parametro nei reflui delle vasche Imhoff dislocate tra il capoluogo e le frazioni di Begosso e Nichesola. Una notizia che mette il cuore in pace al primo cittadino, reduce da un’estenuante battaglia a colpi di carte bollate combattuta a fianco del presidente del Cisiag Antonio Pastorello, allo scopo «di mettere fine a una vicenda kafkiana imputabile a un groviglio normativo che in questi anni ha originato confusione e disagi in diverse realtà della provincia». Alla fine è prevalsa, dunque, la ragione e Ziviani potrà ritornare così a dormire sonni tranquilli, visto che in base all’ex legge Merli del 1976 avrebbe dovuto scucire di tasca propria la bella cifra di 60 milioni.

A tanto ammontavano, infatti, le multe piovute sul suo tavolo a partire dal luglio di tre anni fa per il semplice fatto che la normativa regionale in vigore equiparava le vasche per il trattamento dei reflui di cui ancora oggi è dotato il suo Comune a dei veri e propri depuratori, anziché a dei semplici impianti di sedimentazione quali effettivamente sono. Con la conseguenza, non solo di dover sottostare agli stessi limiti tabellari del Prra (Piano di risanamento regionale delle acque), ma anche di essere sottoposte a rigorosi controlli trimestrali previsti dalla legge da parte degli enti competenti.

Controlli che, a seguito dei prelievi e delle analisi chimiche effettuate sugli scarichi delle pubbliche fognature, fecero riscontrare a più riprese una percentuale di azoto ammoniacale superiore del 50 per cento rispetto al valore limite (30 mg per litro) previsto dalla tabella C del Prra del 1989, traducendosi di rimando in sanzioni salatissime a carico del sindaco. «E dire», ricorda ormai sollevato Ziviani, «che nel gennaio 1998, seguendo le indicazioni del settore ecologia, assieme ad altri sindaci alle prese con il mio stesso problema avevo presentato in Provincia un’apposita richiesta volta a ottenere un’autorizzazione supplementare allo scarico per i tre impianti presenti sul territorio a cui sono allacciate circa 1.500 utenze. Ma l’apposito decreto emanato nell’aprile successivo dall’allora presidente Antonio Borghesi si rivelò del tutto superfluo in quanto l’intervenuta autorizzazione non fermò affatto le temute ispezioni sanitarie nei tre effluenti di scarico e le vasche continuarono ad essere considerate fuorilegge».

In conclusione la strada è aperta, il pallino sta nella mani del legislatore regionale, se ritornare sui propri passi o perservare (diabolicum). Resta il fatto che si assisterà ancora ad un regolamentazione in ordine sparso. Prevarranno le considerazioni economiche o la preoccupazione di tutelare le acque superficiali? Saremo di nuovo alle prese con la cronistoria delle fosse imhoff o potremo recitarne il de profundis?

 

 

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