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CATASTROFE ECOLOGICA NELLA EX YUGOSLAVIA

Il Parlamento ha ripreso a lavorare e nei primi giorni di riapertura delle camere è ricominciata l'attività di ricognizione su fatti e eventi che richiamano l'attenzione di deputati e senatori. Tra le cose lasciate in sospeso le interrogazioni con risposta scritta rivolte a Ministri e Sottosegretari. Questa che vi segnaliamo è meritevole di attenzione perchè tocca un argomento che contiene un tale carico di violenza e produce un così grande fardello di lutti e disperazione da non avere eguali: l'avvenimento della guerra. Comunque la si pensi sulla necessità o meno di dare avvio al conflitto con la ex-Yugoslavia nessuno oggi può ragionevolmente sostenere che le sue conseguenze siano state scarsamente significative, sia nell'immediatezza dei fatti, che dopo, quando si contano le cose che sono rimaste in piedi.

Se solo si fa mente locale sui cosiddetti "obiettivi strategici" che sono stati oggetto di distruzione sistematica, in pratica i poli chimici ed energetici del paese, si mette in luce il paradosso tragico che si porta dietro una guerra, quello ci provocare la massima devastazione di siti a rischio industriale, quando magari, al di là di un braccio di mare come può essere l'Adriatico, la società e il mondo delle imprese lavorano proprio per il contrario. Leggiamo dunque il resoconto della devastazione e dei danni irreversibili all'ambiente e alla salute che ha prodotto il bombardamento della ex-Yugoslavia.

Camera - seduta del 30 maggio 2001

SANTANDREA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro dell'ambiente.

- Per sapere - premesso che: sembra che lo scorso aprile il Ministro degli esteri yugoslavo Zivadin Jovanovic abbia inviato una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per segnalare la catastrofe ecologica conseguente alla aggressione da parte delle forze NATO contro la Federazione di Yugoslavia; la distruzione giornaliera degli stabilimenti di industrie chimiche, petrolchimiche e farmaceutiche, da parte degli aggressori NATO, nelle immediate vicinanze di città come Belgrado, Novi Sad, Pristina, Pancevo, Subotica, Smederevo, Cacak, Krusevac, rilascia enormi quantità di sostanze pericolose che possono compromettere la vita delle persone, oltre purezza di aria e suolo; i bombardamenti degli stabilimenti di industrie chimiche a Belgrado, Pancevo e Novi Sad, da cui è derivato il rilascio di grandi quantità di ammoniaca e di petrolio, oltre ad aver causato l'incendio di riserve di sostanze chimiche usate per l'industria della plastica e dei fertilizzanti, portando alla formazione di nuvole di gas velenoso, hanno costretto migliaia di cittadini yugoslavi a cercare assistenza medica per le intossicazioni; i bombardamenti di raffinerie di petrolio a Novi Sad, Belgrado e Pancevo hanno causato una spargimento di petrolio nel Danubio lungo svariati chilometri, che sta seriamente danneggiando la flora e la fauna di questa via d'acqua interna e del Mar Nero, a livello ecologico, economico, turistico; grandi fiumi europei come il Danubio e la Sava, sono in pericolo tanto quanto il Mar Nero, l'Adriatico e l'intero Mediterraneo; il bombardamento di infrastrutture sulla costa e lo scarico di materiali nocivi ha già seriamente danneggiato le acque e le coste dell'Adriatico; i gas incendiari rilasciati in oltre 700 missioni compiute dagli aerei NATO dalle basi di terra e dalle portaerei nell'Adriatico e nel Mediterraneo, associati alle tonnellate di esplosivi ad alto potenziale usati dagli aggressori, danneggiano la fascia di ozono, causano inquinamento permanente del suolo, dei terreni coltivati, delle vie d'acqua ed imprevedibili danni all'intera popolazione, flora, fauna, non solo in Yugoslavia, ma nell'intera Europa sud-orientale e nell'intero bacino del Mediterraneo; le continue aggressioni ed i sempre più frequenti casi di caduta di bombe nei territori di numerosi paesi confinanti come Bulgaria, Macedonia, Bosnia, Lago di Garda, mar Adriatico, accrescono il rischio di produrre irreparabili danni ambientali e continue perdite civili -: se i fatti sopra riportati rispondano a verità; se non si intenda predisporre un gruppo di lavoro per valutare, entro breve termine, l'ammontare dei danni ambientali provocati dagli eventi bellici sul territorio italiano ed in particolare sulla costa Adriatica; se non si ritenga opportuno adottare tutte le misure necessarie per mettere immediatamente fine all'aggressione NATO e per prevenire molto più serie Pag. XX conseguenze all'ambiente e alla sicurezza delle persone nel nostro Paese, nel bacino del Mediterraneo ed in tutta Europa. (4-24175)

Risposta. - I quesiti delicati e importanti oggetto dell'interrogazione erano stati sollevati anche nel corso di un'audizione, che si è svolta il 20 gennaio, in III Commissione Affari Esteri e Comunitari, sull'argomento "effetti prodotti dalle armi ad uranio impoverito utilizzate nel corso della crisi in Kosovo". In sostanza si chiedono notizie sulle conseguenze ambientali degli eventi bellici in Kosovo, con particolare riferimento all'Italia. Già il ministero della difesa ha risposto recentemente alla Camera e al Senato a interrogazioni sull'utilizzo di uranio impoverito da parte delle nostre forze armate e durante la guerra del Kosovo. La conferma che le forze armate italiane non impiegano, non dispongono e non prevedono di acquisire munizionamento all'uranio impoverito e la stessa spiegazione dell'entità delle misure di sicurezza contro i rischi di inquinamento ambientale che sono state adottate in maniera significativa dalle forze militari italiane in Kosovo sottolineano la necessità di un'indagine più approfondita sulle conseguenze che l'utilizzo delle armi ad uranio impoverito può provocare.

Il ministero della difesa ha illustrato le misure adottate preventivamente in Kosovo dai soldati italiani. Ogni unità dispone di nuclei specializzati, denominati NBC, che svolgono operazioni di monitoraggio ambientale e di bonifica di aree pericolose nonché di protezione e decontaminazione personale e del materiale. Sono stati successivamente inviati in zona esperti fisici del CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari) che hanno verificato con sofisticate metodiche di laboratorio i risultati delle attività svolte dai nuclei NBC. L'insieme di queste misure e controlli indicherebbe che il livello di inquinamento radioattivo, nelle aree di operazioni in cui opera il nostro personale militare, è al di sotto dei limiti previsti dalla normativa del 1995. Utilizzare nuclei specializzati per controllare l'inquinamento e la radioattività da uranio fa pensare, anche in questo caso, alla necessità di conoscere di più gli effetti che l'uranio ha sull'ambiente. Del resto, durante il dibattito recentemente svoltosi al Senato, in occasione della discussione dell'interrogazione parlamentare, è stato citato un dato sperimentale particolarmente preoccupante: un campione di terreno raccolto da un volontario è stato analizzato in un laboratorio italiano e la presenza rilevata di U238 è risultata 1.000 volte superiore ai valori presenti in natura. Ulteriori conferme sono arrivate dall'audizione informale svoltasi alla Commissione Esteri della Camera.

Il funzionario tecnico della Divisione armamenti terrestri della Difesa ha ammesso i rischi connessi alla tossicità chimico-fisica dell'uranio impoverito, soprattutto per le polveri di ossido di uranio che si disperdono dopo l'esplosione e che restano pericolose anche per molti anni. A conferma di queste affermazioni il funzionario ha consegnato parte del manuale che la Nato ha distribuito ai propri soldati con alcune indicazioni di comportamento. Ciò conferma l'utilità di una verifica ampia e approfondita sul "terreno" dell'utilizzo (drammatico) delle armi. La relazione "The Kosovo Conflict; consequences for the environment & human settlements" (UNEP-UNCHS, Ginevra, ottobre 1999) redatta dalla Balkans Task Force (BTF), costituita da esperti internazionali dell'United Nations Environment Programme (UNEP) e dell'United Nations Centre for Human Settlements (UNCHS), con un finanziamento dell'Italia in corso di erogazione di 40.000 US$ proprio dal ministero dell'ambiente, riferisce i risultati dell'indagine, svolta dalla BTF per valutare le conseguenze ambientali causate dal conflitto nelle aree della Repubblica Federale Yugoslava soggette ai bombardamenti aerei della Nato. Le indagini si sono concentrate nelle aree maggiormente soggette ai bombardamenti Nato ed hanno evidenziato la presenza di zone particolarmente inquinate dette hot spots, i siti coincidono con le aree industriali vicine alle città di Pancevo, Pag. XXI Kraguijevac, Novi Sad e Bor. È stato, anche, valutato lo stato di salute ambientale del Danubio e il tasso di inquinamento derivante dall'utilizzo di ingenti quantità di ordigni bellici, in particolare quelli costituiti da Uranio impoverito.

I risultati confermano "effetti" preoccupanti:

a) le azioni belliche che hanno causato il maggior danno ambientale hanno interessato le industrie petrolchimiche, industrie chimiche di prodotti plastici e di fertilizzanti e centrali elettriche ubicate nelle località già citate di Pancevo, Kraguijevac, Novi Sad e Bor;

b) le emissioni di gas nocivi, particolarmente biossido di zolfo, monossido di carbonio, diossina, fosgene e idrocarburi policiclici aromatici derivanti dalla combustione di prodotti del petrolio e composti utilizzati per la produzione della plastica (es. cloruro di vinile), hanno causato l'evacuazione della popolazione residente nei pressi delle aree bombardate ed il ricovero di alcuni intossicati;

c) gli sversamenti dei composti chimici, accidentali e volontari, hanno, in molti casi, seriamente contaminato il terreno, la falda acquifera, i sedimenti e le acque dei canali di scolo che dai centri industriali confluiscono nel Danubio o in suoi immissari, causando un inquinamento di tipo acuto che si è sommato all'inquinamento cronico sviluppatosi precedentemente agli eventi bellici;

d) i primi dati sembrano non indicare un significativo aumento del tasso di inquinamento del Danubio connesso agli eventi bellici, anche se si segnala il rischio di diffusione degli inquinanti e dei loro effetti nocivi a partire dalle aree fortemente inquinate, le hot spots;

e) la numerosità delle incursioni aeree fa ritenere che nelle aree bombardate sussista il rischio ambientale derivante dalla presenza nel terreno e nelle acque di residui di esplosivi, quali il TNT (2, 4, 6 trinitrotoluene) e suoi composti di degradazione;

f) un analogo rischio incombe anche sui fondali adriatici utilizzati dagli aerei Nato per l'affondamento di ordigni (jettison areas). Infatti, nonostante le attività di bonifica svolte dai Cacciamine della Marina Militare Italiana e della Nato, una quantità incognita di ordigni giace ancora sui fondali. Questa circostanza è confermata dal rinvenimento di bombe Nato nelle reti di operatori della pesca anche dopo la conclusione delle prime operazioni di bonifica, il 30 agosto 1999;

g) è probabile che possa essersi verificato un inquinamento causato dall'utilizzo di ordigni la cui ogiva è costituita da uranio impoverito U238 (contenente cioè lo 0,2 per cento dell'isotopo radioattivo U235). Questa ipotesi non è, ancora, confermata da dati di campagna poiché non sono note le quantità e il luogo di utilizzo di questi ordigni.

Tornando alla questione dell'uranio impoverito, recentemente è stato pubblicato anche in Italia un volume "Il metallo del disonore" nel quale si riportano i risultati di studi e di ricerche a dimostrazione del fatto che le armi all'uranio impoverito non sono solo mortali per i propri obiettivi, ma sono anche pericolose per le persone che le maneggiano e per l'ambiente attuale e futuro del nostro pianeta. È stato raccolto materiale per descrivere gli effetti dell'estrazione dell'uranio e del deposito di rifiuti radioattivi nelle terre dei nativi americani, l'impatto dei test nucleari sulle popolazioni del Pacifico del sud e sui veterani statunitensi, gli effetti sulle persone che vivono in prossimità di reattori nucleari, gli effetti dell'uso di Uranio impoverito nella Guerra del Golfo sugli abitanti di quei paesi. Secondo gli autori è necessario che in tutte queste aree vengano compiuti ulteriori studi affiancati da ricerche sulle conseguenze cliniche e ambientali nelle aree circostanti i centri di sperimentazione e gli impianti di produzione militare, sia per i pericoli connessi nel lungo periodo all'esplosione di armi con uranio impoverito sia per gli effetti tossici più immediati.

Nelle scorse settimane, è stato chiesto all'A.N.P.A. una informativa dettagliata su: tempi e modalità dell'acquisizione delle fonti della documentazione scientifica già disponibili a livello nazionale ed internazionale, sia su rischi di tossicità sia su eventuali rischi di contaminazione radioattiva; tempi e modalità della conclusione di ricerche in corso e della realizzazione di eventuali nuovi studi; disponibilità ed esigenze, connesse alla collaborazione dell'ANPA a verifiche sul terreno per la valutazione dei danni alla salute e all'ambiente e per accertare il grado di inquinamento radioattivo, in cooperazione ed accordo con i Governi locali e con le autorità militari e sanitarie; dati esistenti ed eventuali esigenze per una verifica di eventuali effetti nel territorio italiano dell'uso di armi ad uranio impoverito nel corso della crisi del Kosovo.

L'ANPA, pur non escludendo la diffusione in aria e la successiva contaminazione di individui e matrici ambientali da parte di particelle di uranio impoverito a seguito dell'impiego bellico, asserisce che uno dei fenomeni più rilevanti riguardo l'uranio è la penetrazione dei proiettili con uranio in materiali ad alta densità, e il conseguente aumento della temperatura del penetratore con possibili fenomeni di sublimazione e di ossidazione. Per una compiuta valutazione delle conseguenze dei fenomeni di impatto, è necessaria la conoscenza dei dati sperimentali. Se veramente vogliamo conoscere quello che sta accadendo e che accadrà in Kosovo dobbiamo vedere quello che succede in Irak, dove munizionamento all'uranio impoverito è stato utilizzato. Dati ufficiali degli USA mostrerebbero che la ricaduta sul terreno a seguito della diffusione in aria dell'uranio impoverito dopo un impatto, sarebbe limitata per la gran parte (90 per cento) a poche decine di metri, circa 50. Ciò porterebbe ad escludere ripercussioni sul territorio italiano a seguito degli eventi bellici balcanici.

Il trasporto ambientale dell'uranio in acqua dipende invece dalle condizioni di ossidazione dei penetratori o dai frammenti di essi rimasti sul terreno. Le conseguenze dell'eventuale inalazione o ingestione di uranio sono state, peraltro, studiate, in termini di dose agli individui per unità di quantità di radioattività malata o ingerita, nella letteratura scientifica internazionale (International Commission for Radiological Protection); va in proposito ricordato che delle valutazioni sono state costantemente recepite nelle direttive europee di radioprotezione, e da ultimo, nella Direttiva 96/99/EURATOM.

Rilevata la copiosità di fonti sull'argomento che vanno attentamente studiate ed analizzate con cautela perché non tutte appaiono possedere la necessaria elevata caratterizzazione sotto il profilo tecnico-scientifico, l'ANPA richiede un breve tempo per l'esame di tali fonti. Appena possibile sarà resa nota la relazione dell'ANPA, tanto più se il Parlamento promuoverà atti di indirizzo o norme sulla materia. In III Commissione permanente Affari Esteri e comunitari, il 26 gennaio, è proseguito l'esame del provvedimento A.C. 6466 "Partecipazione italiana alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo di Paesi dell'area balcanica". È stato approvato un emendamento, proposto dal relatore, che istituirebbe un fondo di 4 miliardi di lire per le attività di monitoraggio dell'inquinamento chimico-fisico e radioattivo nelle zone interessate dalle iniziative di cui alla legge in discussione.

Il Ministro dell'ambiente dovrebbe disporre le attività di monitoraggio avvalendosi del sistema ANPA-ARPA e di altri istituti pubblici di ricerca. Il piano di monitoraggio dovrebbe essere curato dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro degli affari esteri, al fine di coordinare gli interventi nazionali con le iniziative assunte in sede comunitaria e multilaterale. È auspicabile che la norma sia rapidamente valutata, con un precipuo impegno a seguire l'attuazione tempestiva. Si conferma anche la disponibilità a promuovere una commissione tecnico-scientifica o a costituire un G.d.L. misto (ANPA-Forze Armate) come è stato proposto in un precedente ordine del giorno alla Camera o al Senato durante la seduta del 28 gennaio.

In relazione alla raccolta di altri elementi e alla promozione della ricerca sul campo, si ritiene utile che in futuro si valutino anche le soluzioni più radicali: studiare delle norme specifiche sull'uranio impoverito o mettere al bando l'uranio impoverito perché sostanza inumana inserendola tra le sostanze in allegato alla Convenzione di Parigi, firmata e ratificata dall'Italia, Chemical weapons convention, avviando preliminarmente l'acquisizione di una solida base scientifica comprovante la pericolosità dell'uranio impoverito.

Si aggiunge che il 27 gennaio 2000 è stata convocata, presso il ministero delle politiche agricole e forestali una riunione dell'unità di crisi che aveva operato durante la guerra in Kosovo. La Marina Militare ha annunciato di avere iniziato, a seguito del ritrovamento di ordigni da parte di pescherecci operanti nell'alto e medio Adriatico, attività di ricerca anche al di fuori delle aree di sgancio, già oggetto di precedenti bonifiche. Nel corso delle operazioni di ricerca, ancora in atto, in un'area denominata "Profeta" sono stati localizzati 8 ordigni bellici, di cui 5 appartenenti alla seconda guerra mondiale. Le attività di ricerca, iniziate il 13 maggio 1999, proseguono tuttora con 5 unità cacciamine della Marina Militare permanentemente dislocate in Adriatico.

Relativamente all'attività di pesca a strascico e sulla base degli elementi disponibili, si ha motivo di ritenere che il livello di rischio sia da ritenere analogo a quello precedente la guerra nel Kosovo ma che le probabilità di ulteriori rinvenimenti di ordigni nelle reti dei motopesca non siano da escludere. Si tratta, tuttavia, di circostanze i cui rischi potranno essere agevolmente evitati attuando quelle misure di sicurezza recentemente aggiornate, da adottare in caso di rinvenimenti di ordigni. Nel frattempo le operazioni di ricerca e di bonifica proseguiranno anche in altre aree dell'Adriatico, fino a quando sussisteranno sospetti circa la presenza di ordigni che possano costituire pericolo per le attività di pesca.

A questo riguardo si segnala anche che, nel dicembre del 1997, il ministero dell'ambiente ha affidato all'Istituto Centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) uno studio denominato A.C.A.B. (Armi Chimiche Affondate e Benthos). Obiettivo dello studio era la verifica della distribuzione, dello stato di conservazione e delle conseguenze per gli ecosistemi marini della presenza sui fondali del basso Adriatico di residuati bellici, principalmente caricati con aggressivi chimici. Sino agli anni 70 la pratica corrente di smaltimento di munizionamento militare obsoleto era l'affondamento in mare. Molti residuati del secondo conflitto mondiale sono stati affondati, in particolare nelle acque del basso Adriatico. L'affondamento veniva disposto dalle autorità competenti secondo criteri che contemplavano profondità e distanza dalla costa e avvalendosi di mezzi militari e civili. In molti casi non sono risultati disponibili dati sui siti di affondamento e sulla natura e quantità del materiale affondato.

In Puglia tra il 1946 e il 1997 si sono verificati 236 casi di ospedalizzazione causata da esposizione a fuoriuscite da ordigni a carica chimica affondati (5 casi hanno avuto esito letale). Lo studio ACAB è ormai completato e, in attesa della sua definitiva pubblicazione, posso anticipare primi elementi. L'area prescelta per lo studio in campo è un tratto di mare di estensione pari a dieci miglia nautiche situato a circa 35 miglia al largo del porto di Molfetta (BA). Si sarebbe accertata la presenza sui fondali del basso Adriatico di numerosi ordigni con caricamento costituito da aggressivi chimici, in totale sarebbero state individuate 24 diverse sostanze costituenti il "caricamento speciale", di queste 18 sarebbero persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi per l'ambiente. Nell'area pilota sarebbero stati individuati 102 bersagli.

I campioni prelevati, acqua, sedimento e pesci, sono stati sottoposti a quattro diverse tipologie di analisi che indicherebbero la sussistenza di danni e rischi per gli ecosistemi marini determinati da inquinanti persistenti rilasciati dai residuati corrosi. Le analisi avrebbero rilevato tracce significative di arsenico e derivati dell'iprite e la sussistenza di condizioni di sofferenza nei pesci attribuibili alle sostanze fuoriuscite dai residuati bellici. Sono stati effettuati, inoltre, degli studi bibliografici sugli effetti dannosi del TNT e dei suoi derivati su organismi viventi di acqua dolce, salmastra a marina mantenuti, per un preciso periodo di tempo, in un ambiente a concentrazione nota di composto. I risultati bibliografici noti attestano che il TNT e i suoi derivati sono tossici per organismi viventi in ambienti acquatici. Il danno si riscontra in organismi appartenenti a tutti i livelli trofici e può essere sia di tipo acuto che cronici. I primi risultati di tipo sia sperimentale che bibliografico giustificano alcune preoccupazioni in merito all'estensione e alla valenza ecologica dell'inquinamento. Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente: Nicola Fusillo.

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