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PASTA 

Dove affondano le origini del piatto italiano per antonomasia? 
Pur essendo ancora circondata da un alone di mistero, (gli spaghetti li avrebbe portati in Europa Marco Polo), di pasta fresca si fa già uso nella Firenze del cinquecento dove si parla di crepès, ravioli e lasagne, Uno scritto del 1154, del geografo di origine araba Al-Idrisi, si legge che a poca distanza da Palermo, denominata "Trabia" si fabbrica pasta a forma di fili (Tria in arabo), e “si fanno di commerci della pasta, molto sviluppati, in paesi di "Musulmani e Cristiani". In Puglia le lasagne secche ancor oggi vengono chiamate "Tria". Manca ancora quasi un secolo alla nascita di Marco Polo e già si usava la pasta alimentare a forma di spaghetto e questo basterebbe a eliminare il dubbio. Boccaccio nel Decamerone ne fa un elogio convincente ed entusiasta. Nel XVII secolo, a Napoli, la Pasta incontrò il pomodoro così ribattezzato dalle nostre parti, giunto dall'America. Questo connubio fu una rivoluzione gastronomica, questo nuovo accostamento fece rapidamente dimenticare le combinazioni agro-dolce e dolce-salato fino ad allora utilizzate in cucina. La Pasta così trattata non entrò immediatamente nelle mense "nobili e principesche d'Italia", perché veniva ancora mangiata con le mani. 
1787: Goethe, nel suo “Viaggio in Italia”, dopo aver definito i maccheroni come una «pasta delicata, fatta di farina fina, fortemente lavorata, bollita e trafilata in certe forme», disegna delicati scorci di vita napoletana descrivendo l'attività dei maccheronari che, agli angoli di quasi tutte le grandi vie, «con le loro casserole piene di olio bollente??? sono occupati, particolarmente nei giorni di magro, a preparare maccheroni, con uno smercio incredibile», tanto che «migliaia di persone portano via il loro pranzo e la loro cena in un foglio di carta». Fu solo verso il 1800, che un intraprendente ciambellano di corte, tale Gennaro Spadaccini, introdusse una forchetta con 4 !! punte corte (Rebbi, poi diventata di uso comune). La Pasta da allora fu servita anche a corte e di là iniziò il suo giro del mondo. 1806 Bonaiuti scrive da Londra: “I maccheroni di Napoli si riconoscono facilmente. Non sono avvolti a matassa come quelli di Genova. Sono assolutamente diritti e solo ad una estremità hanno una curva, perché non appena sono usciti dalla pressa per la lunghezza prestabilita, vengono appesi a dei bastoni per farli essiccare. Il foro che li attraversa da un capo all'altro è perfettamente eseguito. [...] Ciò che più li distingue è il loro colore giallo dorato”
Il termine "ragout", dal francese, viene tradotto da noi con "spezzatino" o "stufato". Segno di evidenti passaggi francesi. La presenza francese nel regno di Napoli e' stata quindi gastronomicamente più marcata che non nel bolognese. I napoletani si attengono ancor oggi al ragout originale. In Sicilia il ragout si fa tradizionalmente di cavallo. 

COPYRIGHT: Acc. Italiana della Cucina, depositata presso la Camera di Commercio di Bologna. Citare questa fonte in ogni utilizzo.

Ragù bolognese: Ricetta originale 
Ingredienti:
Cartella di manzo  300 g
pancetta distesa 150 g
carota gialla  50 g
costa di sedano  50 g
cipolla  50 g
salsa di pomodoro 5 cucchiai 
o estratto concentrato  20 g
vino bianco/rosso 1/2 bicchiere
latte intero  1 bicchiere

procurarsi un tegamino di terracotta (20 cm di diametro), un cucchiaio di legno e la mezzaluna: Si scioglie nel tegame la pancetta tagliata a dadini, e tritata con la mezzaluna. Si aggiungono le verdure ben tritate con la mezzaluna e si fanno appassire dolcemente. Si aggiunge la carne macinata e la si lascia, rimescolando sino a che "sfrigola"; si mette il 1/2 bicchiere di vino e il pomodoro allungato con un poco di brodo, e si lascia sobbollire per circa 2 ore, aggiungendo volta a volta il latte, e aggiustando di sale e pepe nero. Facoltativa ma consigliabile l'aggiunta a cottura ultimata della panna di cottura di 1 litro di latte intero in sostituzione del latte.

BARILLA la storia di una pasta.

Nel 1835 la famiglia Barilla , già fornai dal 1500 in Lombardia, si trasferisce a Parma (dal 1814 al 1847 ducato governato da Maria Luisa d'Asburgo) con l'intento di aprire un forno. Le leggi vigenti nella città però impongono un lungo apprendistato (sei anni), prima di ottenere la licenza d’esercizio.  La principale difficoltà che dovettero affrontare riguardava l'approvvigionamento della materia prima che per varie cause risultava molto più difficile a Parma che in Lombardia. Il 1861 è un anno importantissimo per la storia della penisola italica. L'Italia è di nuovo unita, non accadeva dal 436 d. C. quando Odoacre, Re degli Eruli, aveva deposto l'ultimo Imperatore romano, Romolo Augustolo.
Un evento di tale importanza non poteva non avere ripercussioni anche sulle vicende di un piccolo forno. Le riforme, per la verità poche, apportate dai governi unitari, migliorarono sensibilmente la qualità e la quantità della produzione cereaicola facilitando l'attività dei Barilla. Nel 1871 PIETRO BARILLA apre un forno con annessa bottega intraprendendo in quel lontano anno una strada su cui ancora oggi camminano gli eredi di Pietro Barilla.
L'attività di fornaio e rivenditore richiedeva il rispetto di regole e norme molto rigide, (non dimentichiamo la famosa "tassa sul macinato"). Nel 1891 Barilla provò ad ampliare il proprio forno, ma l'operazione ebbe esiti infausti e dovettero vendere tutte le loro attività. I Barilla non si arresero: in un piccolo forno intestato alla moglie riuscì a riconquistare le posizioni perdute dando l'avvio alla produzione di pasta su larga scala. Si era oramai alla nascita del nuovo secolo che, con le sue tensioni sociali, portava anche i primi scioperi operai. Nel 1908 la "Gazzetta di Parma" ricorda come i Carabinieri regi dovettero difendere i crumiri a cui i Barilla erano ricorsi per potersi continuare a rifornire di materie prime anche durante alcune giornate di sciopero.
Nel 1905 Pietro Barilla produceva già 25 quintali di pasta al giorno contro i soli 400 Kg del 1903 e nel 1908 presenta il suo prodotto all'Esposizione Internazionale a Roma. Alla morte di Pietro Barilla i due figli, Gualtiero e Riccardo, decidono di ampliare la produzione e trasferiscono fuori mura la sede della loro attività: nel 1910 viene realizzano la nuova fabbrica che è la prima, a Parma, dotata del moderno e innovativo "forno continuo." I Barilla passano indenni gli anni della I Guerra Mondiale, ma nel 1919 una grande tragedia si riversa sulla loro famiglia: muore, appena trentottenne, Gualtiero e tutto il peso dell'industria di famiglia finisce sulle spalle di Riccardo che guiderà l'impresa nel primo dopoguerra. Negli anni '20 i Barilla si ampliano e utilizzano nuove macchine che, riducendo i tempi di lavoro, aumentano la quantità di pasta prodotta. Fino al primo dopoguerra era il pane il prodotto che faceva da traino agli altri e che rappresentava il maggior numero delle vendite. Nel primo dopoguerra, e soprattutto negli anni del fascismo la pasta cominciò a svilupparsi come settore di produzione autonomo e ben presto superò ampiamente la produzione del pane che, negli anni '30 venne praticamente abbandonata.
Per aumentare le vendite si punta essenzialmente su due cose: qualità del prodotto e pubblicità, un binomio che ancora oggi è il punto di forza dell'industria di Parma. I prodotti della Barilla furono i primi in Italia ad avvalersi delle nuove tecniche pubblicitarie. La Barilla, per meglio diffondere i propri prodotti, adottò un logo chiaro e riconoscibile che, nonostante le numerose mutazioni intercorse, è ancora oggi in uso. Per promuovere i propri prodotti la Barilla caratterizza i punti vendita che li hanno in esclusiva con oggetti di richiamo (matite, manifesti, gigantografie) con il marchio Barilla. Nel 1937 viene realizzato il primo prodotto confezionato, si tratta di una scatola impacchettata con disegnato il logo dell'industria di Parma la cui diffusione ed il cui lancio sul mercato viene accompagnato ad uno slogan: "pasta Fosfina, dà forza ai deboli, sostiene i forti." Negli anni '40 si assiste al lancio di altri prodotti confezionati e ad un miglioramento delle tecniche aziendali basate essenzialmente sulla suddivisione del lavoro e sulla specializzazione degli operai. Nel 1935 si hanno i primi accordi di cartello con la Galbani per utilizzare parallelamente dei depositi italiani in Africa orientale. Nel 1936 entra in azienda il giovani Pietro Barilla che dell'omonimo nonno non porta solo il nome, ma anche lo spirito d'impresa e d'iniziativa.
Dopo l'8 settembre le truppe d'occupazione tedesche sequestrano i forni che, dopo la liberazione finiscono nelle mani degli americani e dei partigiani. Lo stesso Pietro Barilla viene epurato ed arrestato per sospette collaborazioni con il fascismo. In seguito verrà rilasciato anche grazie alla solidarietà espressagli dai suoi dipendenti. Il rilancio dell'azienda nel periodo post bellico è affidato, oltre che ad un miglioramento dei prodotti ed ad un ritorno ai livelli standard di produzioni degli anni '30, al rinnovamento del simbolo. Originariamente esso era a caratteri solidi, cubitali e squadrati che ricordavano non poco la tipica architettura del ventennio. Con il passare dei decenni si arriva ad una forma grafica più raffinata e più rotondeggiante inserita dentro un ovale (che tanto ricorda un uovo!).


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