Lo stato di
natura per Hobbes corrisponde ad una condizione presociale, o condizione di
vita caratterizzata dall'assenza di leggi, e da una specie d’uguaglianza
naturale tra gli uomini; uguaglianza intesa come uguale possibilità di nuocersi
l’uno con l’altro.[1]
Il fine naturale
per l’uomo è la sua autoconservazione. Quindi il diritto naturale si configura
come diritto di usare tutti i mezzi e di compiere tutte le azioni senza di
cui un uomo non può conservarsi[1]
…la natura ha
dato a ciascuno il diritto su ogni cosa
…allo stato
naturale la misura del diritto è l’utilità.
L’universale
concorrenza ai medesimi beni, legittima dal punto di vista della tendenza
naturale dell’uomo all’autoconservazione, è causa del conflitto generalizzato
tra gli uomini: homo homini lupus e bellum omnium contra omnes.
Il conflitto
generalizzato è a sua volta causa del timore della morte. E’ questo timore che
spinge gli uomini a cercare un accordo, un patto sociale, per uscire dalla
situazione di guerra e d’insicurezza, poichè la morte è la negazione
dell’istinto fondamentale di autoconservazione. L’origine della vita associata
secondo regole, in altre parole l’origine della società e dello Stato, risiede
in un contratto artificiale stipulato per timore della morte; teoria opposta
all’istinto naturale all’associazione sostenuto da Aristotele e dai
giusnaturalisti.
Anche il
concetto di legge naturale è fondato per Hobbes sull’istinto di
autoconservazione. La legge naturale è un calcolo della retta ragione per
ottenere il fine dell’autoconservazione. [1](
La ragione in questa prospettiva è capacità di calcolare l’utile).
Data la situazione
di pericolo propria dello stato di natura, e dato il timore della morte che
esso genera, i primi calcoli della retta ragione si esprimono in due leggi. La
prima legge di natura prescrive che è necessario associarsi per difendersi,
rinunciando all’originario diritto su tutte le cose.[1]
La seconda legge di natura prescrive il rispetto dei patti stabiliti.[4]
Dato che i patti
non servono se non esiste un potere in grado di imporre il loro rispetto,
ognuno deve rinunciare al diritto originario su tutte le cose e trasferirlo ad
una sola persona, il sovrano.
I contraenti il
patto sociale rinunciano a tutti i propri diritti, ad eccezione del diritto
alla sopravvivenza, e affidano tutti i poteri ad un sovrano che garantisce la
pace per tutti.[1]
Il sovrano è
stato riconosciuto dai contraenti il patto come un potere superiore; egli è
quindi superiore ai sudditi, il suo potere è assoluto, non vincolato a nessun
organo di controllo o di governo. Il sovrano diviene la fonte della legge e la
regola del giusto e dell’ingiusto[1].
Nello stato di natura non esistevano comportamenti giusti o ingiusti, ma solo
atti conformi, o meno, all’autoconservazione, istinto che determina in modo
meccanico il comportamento umano.
Solamente dopo
il patto sociale e l’istituzione di regole vincolanti si può stabilire che cosa
è giusto o ingiusto fare in società. Lo stesso diritto di proprietà nasce dopo
l’istituzione della società civile, dato che nello stato di natura ognuno aveva
diritto a tutto.
Considerata la
rinuncia volontaria dei cittadini ai propri diritti, ceduti al sovrano, il
diritto alla rivolta è ingiustificabile e inconcepibile; si noto bene:
inconcepibile o ingiustificabile da un punto di vista logico (sarebbe un
assurdo logico ribellarsi ad un patto contratto per salvaguardare se stessi),
non da un punto di vista morale.[1]
Esiste,
tuttavia, almeno un limite al potere sovrano: nessun uomo può essere obbligato
ad uccidersi o mutilarsi proprio perché il patto sociale è stato istituito al
fine della conservazione degli individui.[1]
[1]De Cive, cap.III
Cfr. anche Leviathan , arte 1, 13
Arrigo Pacchi sottolinea che per Hobbes lo stato di
natura inteso come « Bellum omnium contra omnes » più che indicare un’ipotetica
condizione pre-sociale definisce il comportamento naturale dell’uomo in assenza
di leggi o in quelle situazioni ambientali e sociali, non regolate da leggi :
ad es. la società nobiliare o il mondo dei rapporti commerciali ai tempi di
Hobbes stesso.
[2]De Cive, I, 10
[3]De Cive, II, 1
[5]ibidem, III,1
[6]ibidem, V, parr.6-11
[7] Dunque cosa siano il furto,
l’omocidio, l’adulterio, e in generale il torto, lo si conosce dalla legge
civile, cioè dai comandi di chi ha nello Stato il potere supremo.
De Cive, VI, 16
[8] De Cive, VI, 20