M.S.I. - FIAMMA TRICOLORE - Sez. di CADONEGHE (PD)  
 
 

   
 

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EVOLA J.

Nell'introduzione alle Enneadi Porfirio scrisse di Plotino: "Della sua origine dei suoi parenti, della sua patria non amava parlare: né mai permise che pittore o scultore gli facesse il ritratto, quasi si vergognasse di avere un corpo".

Di Julius Evola si potrebbe dire la stessa cosa: degli anni dell'infanzia e dell'adolescenza infatti sappiamo poco o nulla, e poco o nulla conosciamo, attraverso di lui, di episodi, esperienze o solo aneddoti della sua vita. Nel Cammino del Cinabro, un libro considerato la guida attraverso i suoi libri e le sue idee, e che possiamo tranquillamente definire la sua autobiografia spirituale, Evola non si abbandona mai all'onda dei ricordi: si ha così l'impressione che nulla nella sua vita sia stato lasciato in sospeso e che soprattutto lui stesso considerasse la sua persona semplicemente come il veicolo, lo strumento, il canale di trasmissione dell'idea tradizionale e della sua etica che ammonisce non esser importante chi agisce ma l'azione compiuta.

Julius Evola nasce a Roma il 19 maggio del 1898 da una famiglia siciliana di antiche origini nobili, le prime notizie, scarne, che lo riguardano le apprendiamo dal Cammino del Cinabro: "Nella prima adolescenza si sviluppò in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del pensiero e dell'arte. Da giovinetto, subito dopo il periodo di romanzi d'avventure, mi ero messo in mente di compilare, insieme ad un amico. una storia della filosofia, a base di sunti. D'altra parte. se mi ero già sentito attratto da scrittori come Wilde e D'Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi. a tutta la letteratura e l'arte più recenti. Passavo intere giornate in biblioteca, in un regime serrato e libero di letture. In particolare, per me ebbe importanza l'incontro con pensatori come Nietzsche, Michelstaedter e Weininger".

Parallelamente era catturato dalla cultura più anticonformista di quel tempo: Marinetti e il futurismo, Papini e Lacerba, Tzara e il dadaismo. Evola fu in contatto anche epistolare con Tzara e lui stesso s'impegnò nel dadai­smo dipingendo alcuni quadri che gli hanno fruttato la qualifica di maggiore e più interessante esponente del dadaismo italiano. Sono dipinti questi le cui geometrie metafisiche sprigionano un'aurea come quelle di alcune poesie, scritte anch'esse in quegli anni. Una dedicata all'alba recita così: "A levante ora il cielo si diluisce I ha dissonanze in roseo I mentre giungono lentamente impolverati suoni flautati".

Evola sentiva fortissimo l'impulso alla trascendenza: "quasi il desiderio di una liberazione o evasione non esente da sfaldamenti mistici", ma allo stesso tempo la disposizione intima di kshatriya, di guerriero, gli portava un impulso per l'azione. Nel 1917 partecipa diciannovenne al primo conflitto mondiale come ufficiale di artiglieria. Evola non è un nazionalista, è attratto anzi dagli Stati imperiali contro cui deve combattere. Viene assegnato a posizioni montane di prima linea vicino ad Asiago dove cominciano, forse, le sue meditazioni delle vette, il suo amore per l'alpinismo e la montagna come espe­rienza interiore.

Evola, che non viene impegnato in azioni militari di rilievo, finita la guerra rientra a Roma: gli anni che seguono saranno per lui quelli di una crisi esistenziale drammatica e decisiva. Scrive nel Cammino: "Col compiersi del mio sviluppo, si acutizzarono in me l'insofferenza per la vita normale alla quale ero tornato, il senso dell'inconsistenza e della vanità degli scopi che normalmente impegnano le attività umane. In modo confuso ma intenso, si manifestava il congenito impulso alla trascendenza".

Evola sente il bisogno di raggiungere una percezione più profonda e reale della realtà oltre quella, limitata, dei cinque sensi fisici: comincia a far uso di sostanze stupefacenti per placare in qualche modo la sua fame di assoluto. Ciò però non risolve nulla, anzi aggrava la situazione tanto che giunge ad un punto morto: ha 23 anni, l'età in cui si suicidarono Weininger e Mi­chelstaedter. Decide di farla finita anche lui, di chiudere la partita con la vita.

Ma accade qualcosa: “Questa soluzione”, scrive Evola, “fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini”. Così recitava il testo del Buddha: "Chi prende l'estinzione come estinzione, e presa l'estinzione come estinzione pensa all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa 'mia è l'estinzione' e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce l'estinzione". "Fu per me una luce improvvisa". scrive Evola. "in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il sorgere di una fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi”.

Evola non rinnegherà mai certe esperienze, ma terrà a specificare che non divenne schiavo delle droghe e che successivamente non ne senti più il bisogno né la mancanza. Intanto, si conclude una fase. Già nel 1921 infatti, Evola smette del tutto la pittura, e dopo il 1922 cessa anche di scrivere poesie.

Comincia il periodo filosofico: già nel 1917, in trincea, aveva iniziato a scrivere Teoria e Fenomenologia dell'individuo assoluto, un'opera che conclude nel 1924 e che viene pubblicata in due volumi, dall'editore Bocca, nel 1927 e nel 1930. In questi due libri Evola associa il suo interesse per la filosofia a quello per le dottrine riguardanti il sovrarazionale, il sacro e la Gnosi. L'obiettivo era tentare il superamento della dualità io/non-io: il soggetto che percepisce il mondo deve sentire che quell'io che ha evocato il mondo è lui stesso, che i confini del suo essere sono più estesi di quelli di cui è cosciente nella esperienza di veglia, deve comprendere che il mondo è una "ipnosi cristallizzata alla quale", scrive Adriano Romualdi che fu suo discepolo e suo esegeta, "si sfugge svegliandosi dal mondo dei sensi con una disciplina della mente".

Nelle teorizzazioni di Evola c'era l'influenza della sapienza tantrica che divulga con L'uomo come potenza edito da Atanòr nel 1926. Com'è, noto i Tantra negano ogni dualismo tra dio e natura, tra uomo e mondo: questo mon­do che ci circonda è la divinità stessa e la stessa divinità non è differente dall'io definitivamente liberato: la realtà è celata dal "velo di Maya" che la ispessisce, ma una volta rimosso il velo l'occhio percepirebbe che l'intero universo non è che un'espressione del proprio Sé.

Questi sono gli anni in cui Evola comincia a frequentare i circoli dello spiritualismo romano: entra in contato con kremmerziani, antroposofi teosofi, ma sono anche gli anni delle avventure galanti sullo sfondo di una Ro­ma notturna. Su questo argomento Evola ha sempre tenuto un certo riserbo, ma di una vicenda in particolare sappiamo dal romanzo Amo dunque sono (1927) della scrittrice Sibilla Aleramo con la quale Evola ebbe un tempestoso rapporto sentimentale.

Del 1924-26 sono le collaborazioni a riviste come Ultra, Bilychnis. lgnis, Atanor. Del 1927-29 è l'esperienza del "Gruppo di UR" di cui Evola è il coordinatore dando vita ad una serie di fascicoli, un'antologia dei quali uscirà per Bocca nel 1955-6 in tre volumi col titolo: Introduzione alla Magia quale Scienza dell'Io. Qui magia è appunto "scienza dell'Io", apertura verso stati di percezione più sottili, tecnica di risveglio interiore.

Intanto in Italia aveva preso forma il fascismo. Evola era già intervenuto nel dominio della politica collaborando nel 1924-5 a Il mondo e a Lo Stato democratico, testate dichiaratamente antifasciste ma disposte ad ospitare le sue riflessioni ispirate ad un antifascismo antidemocratico. Eppure il suo interessamento a questa sfera non gli aveva mai creato condizionamenti, né lui si era proposto di esercitarli. Nel 1928, invece, con Imperialismo pagano (Atanòr) Evola, dopo una violentissima critica al cristianesimo, si rivolge esplicitamente al fascismo invitandolo a tagliar corto con i cattolici. Il libro gli vale una serie infinita di problemi. Evola stesso, nella sua maturità, giudicherà quest'opera estremistica, un pamphlet giovanile.

Tra il 1927 e il 1929, ha un carteggio con Giovanni Gentile. L'argomento è la collaborazione di Evola all'Enciclopedia Treccani per la voce sull'ermetismo, lettere in cui Evola trova l'occasione per segnalare al Gentile alcune delle sue posizioni anche in materia filosofica e di critica della civiltà. L'epistolario oltre a dimostrare il riconoscimento della competenza di Evola in materia dì scienze occulte da parte del Gentile, denota l'intenzione di Evola di aprire un dialogo con la cultura ufficiale del regime.

Dal 1925 al 1933 ha un rapporto epistolare anche con Benedetto Croce. Evola ha accennato al rapporto con Croce nel Cammino del Cinabro, ma è grazie alle ricerche di Stefano Arcella che oggi se ne conosce il contenuto. Il motivo specifico del carteggio è quello di pubblicare presso Laterza le opere filosofiche: Teoria e fenomenologia, Nelle lettere Evola nconosce al Croce "quel vasto, oggettivo senso di comprensione, che lo distingue così nettamente dal settarismo e dal dogmatismo oggi così diffuso in Italia". Croce spenderà per queste opere un sincero apprezzamento, giudicandole “ben inquadrate filosoficamente”. Con Teoria e Fenomenologia il periodo filosofico di Evola è concluso.

Nel 1930, insieme ad altri amici, tra cui Emilio Servadio, padre della psicanalisi italiana, Evola dà vita a La Torre: "Fu un nuovo tentativo di sortita nel dominio politico culturale. Abbandonando le tesi estremiste e poco meditate di Imperialismo pagano, riferendomi invece al concetto di Tradizione", scrive Evola, "volli vedere fino a che punto con esso si potesse agire sull'ambiente italiano, fuor dal campo ristretto di studi specializzati". Nell'editoriale del primo numero si propugna una rivolta radicale contro la civiltà moderna con queste parole: "La nostra parola d'ordine, su tutti i piani, è il diritto sovrano di ciò che fu privilegio ascetico, eroico e aristocratico rispetto a tutto ciò che è pratico, condizionato, temporale... è la ferma protesta contro l'onnipervadenza insolente della tirannide economica e sociale, e contro il naufragio di ogni punto di vista superiore in quello più meschinamente umano".

Ma Evola non aveva una buona fama presso varie autorità del regime, Imperialismo pagano non viene gradito e meno ancora piace ora l'intransigenza della Torre, la sua indisponibilità assoluta a piegarsi ai conformismi e ai tatticismi della politica. Sempre nel primo numero, in un articoletto intitolato Carta d'identità, si legge: "La nostra rivista è sorta per difendere dei principi che per noi sarebbero assolutamente gli stessi, sia che ci trovassimo in un regime fascista, sia che ci trovassimo in un regime comunista, anarchico o democratico. In sé questi principi sono superiori al piano politico; ma applicati al piano politico, essi possono solo dar luogo ad un ordine di differenziazioni qualitative, quindi di gerarchia, quindi anche di autorità e di Imperium nel senso più ampio". E veniva aggiunto a mo' di chiusa: "Nella misura in cui il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto".

Ciò che fece saltare i nervi al peggiore fascismo fu una rubrica interna della Torre: L'arco e la clava. Dopo alcuni attacchi, "... si scatenarono le reazioni più violente e brutali, tanto più che ad esser presi particolarmente di mira... erano degli autentici gangsters, uomini privi di ogni qualificazione ai quali peI semplice fatto di essere stati degli squadristi o di ostentare un ottuso fanatismo era stato accordato di fungere da arroganti rappresentanti del pensiero e della 'cultori' fascista, col risultato di offrire uno spettacolo pietoso”.

Per un certo periodo, a seguito di queste polemiche, Evola deve girare per Roma con una personale guardia del corpo. Viene prima diffidato dal continuare a pubblicare la rivista poi, siccome della diffida non tiene alcun conto, la polizia politica proibisce a tutte le tipografie di stampare la Torre. Finisce così l'avventura della Torre che uscì per dieci numeri fino al 15 giugno del 1930.

In un clima di conformismo e di adulazione al Duce La Torre era stata una meteora accesa in un mondo culturale abbastanza grigio, anche perché, nelle pagine della rivista era contenuto il nucleo originario dei libri che Evola pubblicò subito dopo presso Laterza e Bocca, libri che indagavano il inondo dei simboli primordiali e dell'esoterismo: La Tradizione ermetica del 1931, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo del 1932, il mistero del Graal del 1937.

Il primo e il terzo libro delineano la via occidentale alla gnosi: l'alchimia e la ricerca del Graal, la religione segreta dell'imperialismo ghibellino. Il secondo, Maschera e volto, è un'opera volta ad indagare criticamente le correnti pseudo-spirituali di allora e di oggi: lo spiritismo, il superomismo, il satanismo, certi misticismi. Ma vi è anche lo studio e l'apprezzamento di autori come Meyrink e il Kremmerz, e qualche giudizio, forse un po' troppo sbrigativo su Steiner, un pensatore cui Evola è stato sotto certi aspetti concernenti le scienze spirituali, debitore.

Dopo l'esperienza de La Torre Evola comprende che per poter agire con una certa libertà occorre essere ben protetti dentro qualche base della cittadella fascista. Le basi sono il mensile La Vita Italiana di Giovanni Preziosi e il quotidiano Il Regime Fascista di Farinacci, un uomo oggi universalmente esecrato ma del quale Evola scrive parole di stima: "Chi era con lui poteva esser sicuro di non esser tradito, di esser difeso sino all'ultimo, se la sua causa era giusta".

Su questa testata Evola reincarna praticamente la battaglia della Torre ora con la sua pagina speciale "Diorama Filosofico" alla quale collaboravano autori di grande prestigio come Guénon, Dodsworth, Benn e Paul Valery, tutti accomunati da una visione del mondo aristocratica, antiborghese, antimoderna e tradizionale. Evola dal canto suo attacca il sentimentalismo, la retorica del fascismo piccolo borghese, demolisce il razzismo biologico, lo scientismo, l'umanitarismo in nome di un elitarismo ascetico, sapienziale e cavalleresco.

Nel 1934 appare l'opera fondamentale e principale di Julius Evola: Rivolta contro il mondo moderno. In Rivolta Evola traccia un affresco grandioso della morfologia della storia che vien letta con lo schema ciclico tradizionale delle quattro età (oro, argento, bronzo, ferro, nella tradizione occidentale; satva, treta, dvapara, kali yuga, in quella indù), comune ad Oriente ed Occidente.

Il libro si divide in due parti: la prima tratta di "una dottrina delle categorie dello spirito tradizionale: la regalità, la legge, lo stato, l'Impero, il rito e il patriziato, l'iniziazione, le caste e la cavalleria, lo spazio, il tempo, la terra e poi il sesso, la guerra, l'ascesi e l'azione". La seconda parte contiene "un'interpretazione della storia su base tradizionale partendo dal mito". Il libro si fonda sulla dialettica tra mondo moderno e mondo della Tradizione: il mondo moderno poggia sui criteri dell'utile e del tempo, il mondo della Tradizione sui valori del sacro e dell'eternità. Quello attuale è il tempo del ferro, il kali yuga, in cui l'ordine cede al caos, il sacro alla materia, l'uomo all'animale, ove dilaga la demonia delle masse e del sesso, dell'oro e della tecnica scatenata; un'epoca senza pietà, senza luce, senza amore.

Il poeta tedesco Gottfried Benn dirà di Rivolta contro il mondo moderno: "Chi lo legge si sentirà trasformato".

Nel 1938 in Italia alcuni si improvvisano razzisti e danno vita al Manifesto della razza dove viene riproposto confusamente il razzismo nazista, una rozza dottrina deterministica che non vede nulla al di là del corpo. Ad Evola il razzismo ripugna: per lui teoria dell'eredità eugenetica e vitalismo naturalistico sono abiezioni moderne. Ma d'altro canto non crede alla promiscuità comunistica ove ogni differenziazione scompare in una totalità animale. Per questo dal 1937 al 1941 studia il problema del razzismo, al quale si era già applicato all'inizio degli Anni Trenta. Scrive due libri Il mito del sangue nel 1937 e Sintesi di dottrina della razza nel 1941, editi da Hoepli.

Per Evola è lo spirito che informa di sé il corpo: “Il concetto della razza dipende dall'immagine che si ha dell'uomo... Come salda base della mia formulazione presi la concezione tradizionale che nell'uomo riconosce un essere composto da tre elementi: il corpo, l'anima e lo spirito. Una teoria completa della razza doveva perciò considerare tutti tre questi elementi”.

Evola in questo lungo dopoguerra si è visto etichettare indelebilmente come razzista, che oggi è più di un'accusa, è un anatema, mentre personaggi come Guido Piovene e Luigi Chiarini negli Anni Trenta feroci antisemiti nel dopoguerra si sono ammantati di rispettabilità antifascista. Sta di fatto che Evola, per le sue posizioni in merito alla razza, fu osteggiato da ambienti ufficiali tedeschi, come oggi rivelano i documenti segreti del ministero degli interni del Reich e della Anenherbe, la sezione ideologica delle SS.

In questo periodo Evola compie alcuni viaggi, soprattutto in Germania, dove tiene un numero considerevole di conferenze. Del 1938 è l'incontro in Romania con Cornelio Codreanu, del quale Evola, in un articolo che ne ricordava la figura, scrive parole di grande stima.

Intanto dal 1940 l'Italia è in guerra, all'inizio della compagna contro l'URSS Evola chiede di partire volontario. Ma la risposta giunge quando ormai l'Armir è in ritirata, motivo del ritardo: Evola non è tesserato al partito fascista!

L'8 settembre sorprende Evola in Germania. È tra i pochi, con Preziosi, il figlio Vittorio e qualche altro, ad accogliere Mussolini, liberato da Skorzeny al Gran Sasso, al Quartier Generale di Hitler. Aderisce alla RSI, lui monarchico, aristocratico e reazionario aderisce ad una repubblica sociale. Una contraddizione? Evola non sposa i punti di Verona, ma lo spirito legionario di chi, pure ormai militarmente sconfitto, rimane fedele ad un'idea scegliendo di battersi su posizioni perdute.

Nel 1943, in un'Italia sconvolta dalla guerra esce per Laterza La dottrina del risveglio, saggio sull'ascesi buddhista. Scrive Evola nella sua autobiografia: “Il carattere aristocratico del buddhismo, la presenza in esso della forza virile e guerriera (è un ruggito di leone che designa l'annuncio del Buddha) sono stati i tratti che io ho messo in rilievo nell'esposizione ditale dottrina". D'altronde abbiamo visto come Evola avesse un debito con la dottrina del principe Siddharta: il libro è anche un gesto di gratitudine.

Negli ultimi anni della guerra Evola è prima in Germania poi a Vienna, in questa città, probabilmente nell'aprile del 1945 si trova coinvolto in un bombardamento mentre passeggia per strada. Evola viene sbalzato da uno spostamento d'aria: una lesione al midollo spinale gli provoca una paralisi agli arti inferiori che purtroppo, malgrado tentativi chirurgici e sottili, risulterà definitiva. Può sembrare strano, e di fatto ad una logica comune lo è, che Evola passeggiasse per le vie di Vienna durante un bombardamento ma, spiega nel Cammino, "il fatto non fu privo di relazione con la norma, da me già da tempo seguita, di non schivare, anzi di cercare i pericoli nel senso di un tacito interrogare la sorte". E poi commenta così la sua paralisi, quasi che fosse quella di un altro: “Nulla cambiava, tutto si riduceva ad un impedimento puramente fisico che, a parte dei fastidi pratici e certe limitazioni della vita profana, poco mi toccava, la mia attività spirituale e intellettuale non essendone in alcun modo pregiudicata o modificata".

Poi con distaccata ironia aggiunge - è il 1961: "Per intanto, mi sono adeguato con calma alla situazione, pensando umoristicamente talvolta, che forse si tratta di dèi che han fatto pesare un po' troppo la mano, nel mio scherzare con loro

Non era nuovo a questo contegno. Pio Filippani-Ronconi, in un ricordo di Evola scrive: "Amo raffigurarmi la solitudine di Evola con l'immagine del suo soggiorno viennese durante la guerra: quando, durante i più terrificanti bombardamenti aerei, il silenzio fra le esplosioni era punteggiato dal ticchettio della sua macchina da scrivere, sulla quale, indifferentemente allo squasso circostante, continuava placidamente a lavorare".

Dopo l'esplosione Evola si risveglia in ospedale, si guarda intorno e chiede che fine abbia fatto il suo monocolo.

Nel 1948, grazie alla Croce Rossa Internazionale. viene trasferito a Bologna. Nel 1951 rientra nella sua casa di Roma. Sono cinque anni di vero e proprio calvario passati in letti d'ospedale con assistenza precaria e cibo al limite del commestibile. Evola considera tutto ciò come una prova di autosuperamento. Del passato non rimpiangeva nulla, o quasi. Gianfranco de Turris che dal 1968 sino alla morte gli è stato assiduamente vicino, ha scritto che gli mancavano soprattutto Vienna e la montagna, il mondo dell'aristocrazia e la solitudine delle vette.

Evola si guarda intorno e vede un panorama di rovine, non solo materiali. Non ha più alcuna speranza negli uomini; invece viene a sapere che esistono dei gruppi giovanili che non si sono lasciati trascinare nel crollo generale e che leggono i suoi libri. Per questi giovani nel 1950 scrive Orientamento dove sviluppa in undici punti le direttrici di un'azione Politico-culturale. "Non senza relazione con ciò", scrive Evola, “mi trovai coinvolto in una comica vicenda”. Si riferisce al processo contro i FAR dei quali viene indicato, e arrestato come ispiratore.

"Naturalmente e ancora la voce di Evola, "la cosa finì in un nulla, quasi tutti gli imputati vennero assolti". A difendere gratuitamente Evola c'è un avvocato antifascista Francesco Carnelutti. Personalmente tiene anche una brillante autodifesa poi pubblicata, dove oltre a chiarire la sua posizione (aveva Scritto un paio di articoli su Imiperium. la rivista dei neofascisti ed era all'oscuro delle azioni illegali di questi che furono comunque tanto inutili quanto innocue), mette in chiaro la sua visione del mondo, anche per ribattere alle accuse di apologia del fascismo. Scrive Evola ricordando quel fatto:

"Dissi che attribuirmi idee fasciste era un assurdo. non in quanto erano fasciste, ma solo in quanto, rappresentavano, nel fascismo, la riapparizione di principi della grande tradizione Politica europea di Destra in genere, io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si do vano far sedere sullo stesso banco degli accusati Platone, un Metternich, n Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo".

Ne 1953 Evola dà alle stampe Gli uomini e le rovine che è l'estensione degli un ci punti di Orientamenti. Il libro è l'ultimo tentativo di promuovere la formazione di uno schieramento di vera Destra. Lo Stato che delinea Evola è lo Stato organico che ha come base “i valori della qualità, della giusta diseguaglianza e della personalità... ad ognuno il suo e ad ognuno il suo diritto, conformemente alla sua dignità naturale".

Nulla a che vedere con lo Stato totalitario e poco a che vedere, purtroppo, anche col fascismo.

Ne 1963 Evola scrive per la casa editrice Volpe un libretto intitolato: Il Fascismo visto dalla Destra. Contro ogni esaltazione, come contro ogni partigiana denigrazione, Evola enuclea, dal punto di vista dell'idea tradizionale, ciò che di positivo e di negativo risultava nel fenomeno fascista: dà atto al fascismo di aver sollevato gli antichi simboli dell'ascia e dell'aquila, di aver teorizzato un uomo nuovo, di aver agitato il mito dell'ordine e della gerarchia, ma lamenta che tutto sia rimasto a livello di propaganda sia per i tempi, inadatti, sia per la qualità umana che compose i quadri del fascismo, la quale in gran parte, in questo dopoguerra ha composto con la stessa ottusità quelli dell'antifascismo. Il fascismo, in definitiva per Evola, è stato un tentativo generoso ,ma va inquadrato nella fenomenologia delle ideologie moderne.

Nel 1958 intanto era uscito anche Metafisica del sesso un libro tra i più suggestivi di Evola dove viene messa in luce la forza basale. magica e potentissima del sesso, l'ultima, in un mondo ormai desacralizzato, assieme all'esperienza de! l'innamoramento, a rivestire un carattere sacro ove possa balenare un lampo di trascendenza, una rottura di livello della coscienza ordinaria dell'uomo e della donna.

Nel 1961, parallelo a Gli uomini e le rovine, era uscito Cavalcare la tigre, il breviario di chi deve vivere in un mondo che non è il suo forte della propria invulnerabilità. Evola si rivolge a quel tipo di “uomo differenziato” che pur non sentendo di appartenere interiormente a questo mondo, non ha nessuna intenzione di cedere ad esso né psicologicamente né esistenzialmente. "Occorre far sì che ciò su cui non si può nulla, nulla possa su di noi", occorre "cavalcare la tigre" perché la tigre non può colpire chi la cavalca. Bisogna aprirsi senza perdersi, concedersi soltanto ciò di cui si è sicuri di poter fare anche a meno. La differenza tra l'anarchico tout court e l'anarchico di Destra, è che il primo vuol essere libero da tutto tranne dalle sue bassezze e dai suoi vizi, il secondo non riconosce al mondo attuale nessuna legittimità e nessuna legge, ma cerca la libertà in se stesso, il dominio su di sé. l'autarchia; chi cavalca la tigre, non è amico della tigre.

Nella sua abitazione romana di Corso Vittorio Emanuele, Evola vive in affitto e sopravvive con una pensione d'invalido di guerra. Traduce libri, scrive articoli per diverse testate, riceve amici e curiosi. Così lo descrive Adriano Romualdi in un libro del 1968, in occasione del suo settantesimo compleanno: "Chi si recasse da Evola per incontrarvi un ispirato, un profeta, o per udire sentenze ed enigmatici motti, rimarrebbe deluso. Del pari, chi fosse cupido di atteggiamenti preziosi, ricercati o, comunque, remoti dall'ordinario. Vi troverebbe soltanto un signore dai capelli non ancora bianchi, dalla figura - nonostante la forzata immobilità - ancora imponente, il tratto distinto ed affabile, il volto curioso, intelligente, attento. Più che un santone un aristocratico e, quasi. per una certa finezza di modi ancien régime, una figura di filosofo e viaggiatore settecentesco. Eppure", continua Romualdi, con un po' di osservazione potrebbe notare che quell'espressione attenta è la spia di una perpetua vigilanza, di una personalità che 'veglia su se stessa con continua disciplina, “natura intellettuale priva di sonno”.

Nel 1968, mentre il suo pensiero viene contrapposto nelle università a quello di Marcuse, Evola viene colpito da uno scompenso cardiaco acuto. Lo stesso malore si ripeterà nel 1970. In questa occasione viene fatto ricoverare dal suo medico e personale e amico. Evola, in ospedale, infastidito dalle suore che lo assistono, minaccia di denunciarlo per sequestro di persona.

Anche se il corpo è stanco lo spirito di Evola è forte e combattivo: continua a scrivere, a rilasciare interviste, a ironizzare se qualcuno lo va a trovare con la ragazza, lui s'infila il monocolo e inscena un corteggiamento, oppure a chi in un'intervista gli chiede molto serioso, dove potrebbe rivolgersi chi sia interessato alle scienze occulte lui risponde: "Se si tratta di giovani donne, anche qui, a casa mia".

Scherza su di sé e gli altri, è sereno.

La salute però peggiora costantemente, perde le forze, il corpo s'indebolisce, ha difficoltà respiratorie ed epatiche. Comincia a contrarre banali infezioni, mangia poco e malvolentieri.

Verso la fine di maggio del 1974 si sente sempre più debole, e sempre più consapevole che il vestito fisico non lo regge più. Pierre Pascal, che va a rendere l'ultimo omaggio al Maestro così lo ricorda negli estremi giorni di vita: "Gli dissi il desiderio supremo di Henry de Montherlant: essere ridotto in ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse  ha brezza leggera del Foro, tra i Rostri e il Tempio di Vesta. Allora quest'uomo, che era davanti a me, disteso, con le belle mani incrociate sul petto mi mo  orò dolcemente e quasi impercettibilmente: “Io vorrei... ho disposto... che le mie fossero lanciate dall'alto di una montagna”.

Martedì 11 giugno, nel primo pomeriggio Evola, sentendo vicina la morte si fa condurre al tavolo dì lavoro di fronte alla finestra che dà sul Gianicolo; sono le quindici quando spira reclinando il capo. Nel suo testamento aveva stabilito che il corpo venisse cremato, che non vi fossero cerimonie cattoliche né annunci.

Le ceneri, secondo quanto scritto nelle sue ultime volontà, vengono consegnate alla guida Eugenio David suo compagno di scalate tanti anni addietro. Un parente del David e una schiera di seguaci seppelliscono una parte delle ceneri del Maestro in un crepaccio del Monte Rosa, le altre vengono lanciate al vento.

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