Nell'introduzione alle Enneadi Porfirio scrisse di
Plotino: "Della sua origine dei suoi parenti, della sua patria
non amava parlare: né mai permise che pittore o scultore gli
facesse il ritratto, quasi si vergognasse di avere un corpo".
Di Julius Evola si potrebbe dire la stessa cosa: degli anni
dell'infanzia e dell'adolescenza infatti sappiamo poco o
nulla, e poco o nulla conosciamo, attraverso di lui, di
episodi, esperienze o solo aneddoti della sua vita. Nel
Cammino del Cinabro, un libro considerato la guida
attraverso i suoi libri e le sue idee, e che possiamo
tranquillamente definire la sua autobiografia spirituale,
Evola non si abbandona mai all'onda dei ricordi: si ha così
l'impressione che nulla nella sua vita sia stato lasciato in
sospeso e che soprattutto lui stesso considerasse la sua
persona semplicemente come il veicolo, lo strumento, il canale
di trasmissione dell'idea tradizionale e della sua etica che
ammonisce non esser importante chi agisce ma l'azione
compiuta.
Julius Evola nasce a Roma il 19 maggio del 1898 da una
famiglia siciliana di antiche origini nobili, le prime
notizie, scarne, che lo riguardano le apprendiamo dal
Cammino del Cinabro: "Nella prima adolescenza si sviluppò
in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del
pensiero e dell'arte. Da giovinetto, subito dopo il periodo di
romanzi d'avventure, mi ero messo in mente di compilare,
insieme ad un amico. una storia della filosofia, a base di
sunti. D'altra parte. se mi ero già sentito attratto da
scrittori come Wilde e D'Annunzio, presto il mio interesse si
estese, da essi. a tutta la letteratura e l'arte più recenti.
Passavo intere giornate in biblioteca, in un regime serrato e
libero di letture. In particolare, per me ebbe importanza
l'incontro con pensatori come Nietzsche, Michelstaedter e
Weininger".
Parallelamente era catturato dalla cultura più anticonformista
di quel tempo: Marinetti e il futurismo, Papini e Lacerba,
Tzara e il dadaismo. Evola fu in contatto anche epistolare
con Tzara e lui stesso s'impegnò nel dadaismo dipingendo
alcuni quadri che gli hanno fruttato la qualifica di maggiore
e più interessante esponente del dadaismo italiano. Sono
dipinti questi le cui geometrie metafisiche sprigionano
un'aurea come quelle di alcune poesie, scritte anch'esse in
quegli anni. Una dedicata all'alba recita così: "A levante ora
il cielo si diluisce I ha dissonanze in roseo I mentre
giungono lentamente impolverati suoni flautati".
Evola sentiva fortissimo l'impulso alla trascendenza: "quasi
il desiderio di una liberazione o evasione non esente da
sfaldamenti mistici", ma allo stesso tempo la disposizione
intima di kshatriya, di guerriero, gli portava un
impulso per l'azione. Nel 1917 partecipa diciannovenne al
primo conflitto mondiale come ufficiale di artiglieria. Evola
non è un nazionalista, è attratto anzi dagli Stati imperiali
contro cui deve combattere. Viene assegnato a posizioni
montane di prima linea vicino ad Asiago dove cominciano,
forse, le sue meditazioni delle vette, il suo amore per
l'alpinismo e la montagna come esperienza interiore.
Evola, che non viene impegnato in azioni militari di rilievo,
finita la guerra rientra a Roma: gli anni che seguono saranno
per lui quelli di una crisi esistenziale drammatica e
decisiva. Scrive nel Cammino: "Col compiersi del mio
sviluppo, si acutizzarono in me l'insofferenza per la vita
normale alla quale ero tornato, il senso dell'inconsistenza e
della vanità degli scopi che normalmente impegnano le attività
umane. In modo confuso ma intenso, si manifestava il congenito
impulso alla trascendenza".
Evola sente il bisogno di raggiungere una percezione più
profonda e reale della realtà oltre quella, limitata, dei
cinque sensi fisici: comincia a far uso di sostanze
stupefacenti per placare in qualche modo la sua fame di
assoluto. Ciò però non risolve nulla, anzi aggrava la
situazione tanto che giunge ad un punto morto: ha 23 anni,
l'età in cui si suicidarono Weininger e Michelstaedter.
Decide di farla finita anche lui, di chiudere la partita con
la vita.
Ma accade qualcosa: “Questa soluzione”, scrive Evola, “fu
evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che
io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini”.
Così recitava il testo del Buddha: "Chi prende l'estinzione
come estinzione, e presa l'estinzione come estinzione pensa
all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa 'mia è
l'estinzione' e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico,
non conosce l'estinzione". "Fu per me una luce improvvisa".
scrive Evola. "in quel momento deve essersi prodotto in me un
mutamento, e il sorgere di una fermezza capace di resistere a
qualsiasi crisi”.
Evola non rinnegherà mai certe esperienze, ma terrà a
specificare che non divenne schiavo delle droghe e che
successivamente non ne senti più il bisogno né la mancanza.
Intanto, si conclude una fase. Già nel 1921 infatti, Evola
smette del tutto la pittura, e dopo il 1922 cessa anche di
scrivere poesie.
Comincia il periodo filosofico: già nel 1917, in trincea,
aveva iniziato a scrivere Teoria e Fenomenologia
dell'individuo assoluto, un'opera che conclude nel 1924 e
che viene pubblicata in due volumi, dall'editore Bocca, nel
1927 e nel 1930. In questi due libri Evola associa il suo
interesse per la filosofia a quello per le dottrine
riguardanti il sovrarazionale, il sacro e la Gnosi.
L'obiettivo era tentare il superamento della dualità
io/non-io: il soggetto che percepisce il mondo deve sentire
che quell'io che ha evocato il mondo è lui stesso, che i
confini del suo essere sono più estesi di quelli di cui è
cosciente nella esperienza di veglia, deve comprendere che il
mondo è una "ipnosi cristallizzata alla quale", scrive Adriano
Romualdi che fu suo discepolo e suo esegeta, "si sfugge
svegliandosi dal mondo dei sensi con una disciplina della
mente".
Nelle teorizzazioni di Evola c'era l'influenza della sapienza
tantrica che divulga con L'uomo come potenza edito da
Atanòr nel 1926. Com'è, noto i Tantra negano ogni
dualismo tra dio e natura, tra uomo e mondo: questo mondo che
ci circonda è la divinità stessa e la stessa divinità non è
differente dall'io definitivamente liberato: la realtà è
celata dal "velo di Maya" che la ispessisce, ma una volta
rimosso il velo l'occhio percepirebbe che l'intero universo
non è che un'espressione del proprio Sé.
Questi sono gli anni in cui Evola comincia a frequentare i
circoli dello spiritualismo romano: entra in contato con
kremmerziani, antroposofi teosofi, ma sono anche gli anni
delle avventure galanti sullo sfondo di una Roma notturna. Su
questo argomento Evola ha sempre tenuto un certo riserbo, ma
di una vicenda in particolare sappiamo dal romanzo Amo
dunque sono (1927) della scrittrice Sibilla Aleramo con la
quale Evola ebbe un tempestoso rapporto sentimentale.
Del 1924-26 sono le collaborazioni a riviste come Ultra,
Bilychnis. lgnis, Atanor. Del 1927-29 è l'esperienza del
"Gruppo di UR" di cui Evola è il coordinatore dando vita ad
una serie di fascicoli, un'antologia dei quali uscirà per
Bocca nel 1955-6 in tre volumi col titolo: Introduzione
alla Magia quale Scienza dell'Io. Qui magia è appunto
"scienza dell'Io", apertura verso stati di percezione più
sottili, tecnica di risveglio interiore.
Intanto in Italia aveva preso forma il fascismo. Evola era già
intervenuto nel dominio della politica collaborando nel 1924-5
a Il mondo e a Lo Stato democratico, testate
dichiaratamente antifasciste ma disposte ad ospitare le sue
riflessioni ispirate ad un antifascismo antidemocratico.
Eppure il suo interessamento a questa sfera non gli aveva mai
creato condizionamenti, né lui si era proposto di esercitarli.
Nel 1928, invece, con Imperialismo pagano (Atanòr)
Evola, dopo una violentissima critica al cristianesimo, si
rivolge esplicitamente al fascismo invitandolo a tagliar corto
con i cattolici. Il libro gli vale una serie infinita di
problemi. Evola stesso, nella sua maturità, giudicherà quest'opera
estremistica, un pamphlet giovanile.
Tra il 1927 e il 1929, ha un carteggio con Giovanni Gentile.
L'argomento è la collaborazione di Evola all'Enciclopedia
Treccani per la voce sull'ermetismo, lettere in cui Evola
trova l'occasione per segnalare al Gentile alcune delle sue
posizioni anche in materia filosofica e di critica della
civiltà. L'epistolario oltre a dimostrare il riconoscimento
della competenza di Evola in materia dì scienze occulte da
parte del Gentile, denota l'intenzione di Evola di aprire un
dialogo con la cultura ufficiale del regime.
Dal 1925 al 1933 ha un rapporto epistolare anche con Benedetto
Croce. Evola ha accennato al rapporto con Croce nel Cammino
del Cinabro, ma è grazie alle ricerche di Stefano Arcella
che oggi se ne conosce il contenuto. Il motivo specifico del
carteggio è quello di pubblicare presso Laterza le opere
filosofiche: Teoria e fenomenologia, Nelle lettere
Evola nconosce al Croce "quel vasto, oggettivo senso di
comprensione, che lo distingue così nettamente dal settarismo
e dal dogmatismo
oggi così diffuso in Italia". Croce spenderà per queste
opere un sincero apprezzamento, giudicandole “ben inquadrate
filosoficamente”. Con Teoria e Fenomenologia il
periodo filosofico di Evola è concluso.
Nel 1930, insieme ad altri amici, tra cui Emilio Servadio,
padre della psicanalisi italiana, Evola dà vita a La Torre:
"Fu un nuovo tentativo di sortita nel dominio politico
culturale. Abbandonando le tesi estremiste e poco meditate di
Imperialismo pagano, riferendomi invece al concetto di
Tradizione", scrive Evola, "volli vedere fino a che punto con
esso si potesse agire sull'ambiente italiano, fuor dal campo
ristretto di studi specializzati". Nell'editoriale del primo
numero si propugna una rivolta radicale contro la civiltà
moderna con queste parole: "La nostra parola d'ordine, su
tutti i piani, è il diritto sovrano di ciò che fu privilegio
ascetico, eroico e aristocratico rispetto a tutto ciò che è
pratico, condizionato, temporale... è la ferma protesta contro
l'onnipervadenza insolente della tirannide economica e
sociale, e contro il naufragio di ogni punto di vista
superiore in quello più meschinamente umano".
Ma Evola non aveva una buona fama presso varie autorità del
regime, Imperialismo pagano non viene gradito e meno
ancora piace ora l'intransigenza della Torre, la sua
indisponibilità assoluta a piegarsi ai conformismi e ai
tatticismi della politica. Sempre nel primo numero, in un
articoletto intitolato Carta d'identità, si legge: "La
nostra rivista è sorta per difendere dei principi che per noi
sarebbero assolutamente gli stessi, sia che ci trovassimo in
un regime fascista, sia che ci trovassimo in un regime
comunista, anarchico o democratico. In sé questi principi sono
superiori al piano politico; ma applicati al piano politico,
essi possono solo dar luogo ad un ordine di differenziazioni
qualitative, quindi di gerarchia, quindi anche di autorità e
di Imperium nel senso più ampio". E veniva aggiunto a mo' di
chiusa: "Nella misura in cui il fascismo segua e difenda tali
principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci
fascisti. E questo è tutto".
Ciò che fece saltare i nervi al peggiore fascismo fu una
rubrica interna della Torre: L'arco e la clava. Dopo
alcuni attacchi, "... si scatenarono le reazioni più violente
e brutali, tanto più che ad esser presi particolarmente di
mira... erano degli autentici gangsters, uomini privi di ogni
qualificazione ai quali peI semplice fatto di essere stati
degli squadristi o di ostentare un ottuso fanatismo era stato
accordato di fungere da arroganti rappresentanti del pensiero
e della 'cultori' fascista, col risultato di offrire uno
spettacolo pietoso”.
Per un certo periodo, a seguito di queste polemiche, Evola
deve girare per Roma con una personale guardia del corpo.
Viene prima diffidato dal continuare a pubblicare la rivista
poi, siccome della diffida non tiene alcun conto, la polizia
politica proibisce a tutte le tipografie di stampare la
Torre. Finisce così l'avventura della Torre che
uscì per dieci numeri fino al 15 giugno del 1930.
In un clima di conformismo e di adulazione al Duce La Torre
era stata una meteora accesa in un mondo culturale
abbastanza grigio, anche perché, nelle pagine della rivista
era contenuto il nucleo originario dei libri che Evola
pubblicò subito dopo presso Laterza e Bocca, libri che
indagavano il inondo dei simboli primordiali e dell'esoterismo:
La Tradizione ermetica del 1931, Maschera e volto
dello spiritualismo contemporaneo del 1932, il mistero
del Graal del 1937.
Il primo e il terzo libro delineano la via occidentale alla
gnosi: l'alchimia e la ricerca del Graal, la religione segreta
dell'imperialismo ghibellino. Il secondo, Maschera e volto,
è un'opera volta ad indagare criticamente le correnti
pseudo-spirituali di allora e di oggi: lo spiritismo, il
superomismo, il satanismo, certi misticismi. Ma vi è anche lo
studio e l'apprezzamento di autori come Meyrink e il Kremmerz,
e qualche giudizio, forse un po' troppo sbrigativo su Steiner,
un pensatore cui Evola è stato sotto certi aspetti concernenti
le scienze spirituali, debitore.
Dopo l'esperienza de La Torre Evola comprende che per
poter agire con una certa libertà occorre essere ben protetti
dentro qualche base della cittadella fascista. Le basi sono il
mensile La Vita Italiana di Giovanni Preziosi e il
quotidiano Il Regime Fascista di Farinacci, un uomo
oggi universalmente esecrato ma del quale Evola scrive parole
di stima: "Chi era con lui poteva esser sicuro di non esser
tradito, di esser difeso sino all'ultimo, se la sua causa era
giusta".
Su questa testata Evola reincarna praticamente la battaglia
della Torre ora con la sua pagina speciale "Diorama
Filosofico" alla quale collaboravano autori di grande
prestigio come Guénon, Dodsworth, Benn e Paul Valery, tutti
accomunati da una visione del mondo aristocratica,
antiborghese, antimoderna e tradizionale. Evola dal canto suo
attacca il sentimentalismo, la retorica del fascismo piccolo
borghese, demolisce il razzismo biologico, lo scientismo,
l'umanitarismo in nome di un elitarismo ascetico, sapienziale
e cavalleresco.
Nel 1934 appare l'opera fondamentale e principale di Julius
Evola: Rivolta contro il mondo moderno. In Rivolta
Evola traccia un affresco grandioso della morfologia della
storia che vien letta con lo schema ciclico tradizionale delle
quattro età (oro, argento, bronzo, ferro, nella tradizione
occidentale; satva, treta, dvapara, kali yuga, in
quella indù), comune ad Oriente ed Occidente.
Il libro si divide in due parti: la prima tratta di "una
dottrina delle categorie dello spirito tradizionale: la
regalità, la legge, lo stato, l'Impero, il rito e il
patriziato, l'iniziazione, le caste e la cavalleria, lo
spazio, il tempo, la terra e poi il sesso, la guerra, l'ascesi
e l'azione". La seconda parte contiene "un'interpretazione
della storia su base tradizionale partendo dal mito". Il libro
si fonda sulla dialettica tra mondo moderno e mondo della
Tradizione: il mondo moderno poggia sui criteri dell'utile e
del tempo, il mondo della Tradizione sui valori del sacro e
dell'eternità. Quello attuale è il tempo del ferro, il kali
yuga, in cui l'ordine cede al caos, il sacro alla materia,
l'uomo all'animale, ove dilaga la demonia delle masse e del
sesso, dell'oro e della tecnica scatenata; un'epoca senza
pietà, senza luce, senza amore.
Il poeta tedesco Gottfried Benn dirà di Rivolta contro il
mondo moderno: "Chi lo legge si sentirà trasformato".
Nel 1938 in Italia alcuni si improvvisano razzisti e danno
vita al Manifesto della razza dove viene riproposto
confusamente il razzismo nazista, una rozza dottrina
deterministica che non vede nulla al di là del corpo. Ad Evola
il razzismo ripugna: per lui teoria dell'eredità eugenetica e
vitalismo naturalistico sono abiezioni moderne. Ma d'altro
canto non crede alla promiscuità comunistica ove ogni
differenziazione scompare in una totalità animale. Per questo
dal 1937 al 1941 studia il problema del razzismo, al quale si
era già applicato all'inizio degli Anni Trenta. Scrive due
libri Il mito del sangue nel 1937 e Sintesi di
dottrina della razza nel 1941, editi da Hoepli.
Per Evola è lo spirito che informa di sé il corpo: “Il
concetto della razza dipende dall'immagine che si ha
dell'uomo... Come salda base della mia formulazione presi la
concezione tradizionale che nell'uomo riconosce un essere
composto da tre elementi: il corpo, l'anima e lo spirito. Una
teoria completa della razza doveva perciò considerare tutti
tre questi elementi”.
Evola in questo lungo dopoguerra si è visto etichettare
indelebilmente come razzista, che oggi è più di un'accusa, è
un anatema, mentre personaggi come Guido Piovene e Luigi
Chiarini negli Anni Trenta feroci antisemiti nel dopoguerra si
sono ammantati di rispettabilità antifascista. Sta di fatto
che Evola, per le sue posizioni in merito alla razza, fu
osteggiato da ambienti ufficiali tedeschi, come oggi rivelano
i documenti segreti del ministero degli interni del Reich e
della Anenherbe, la sezione ideologica delle SS.
In questo periodo Evola compie alcuni viaggi, soprattutto in
Germania, dove tiene un numero considerevole di conferenze.
Del 1938 è l'incontro in Romania con Cornelio Codreanu, del
quale Evola, in un articolo che ne ricordava la figura, scrive
parole di grande stima.
Intanto dal 1940 l'Italia è in guerra, all'inizio della
compagna contro l'URSS Evola chiede di partire volontario. Ma
la risposta giunge quando ormai l'Armir è in ritirata, motivo
del ritardo: Evola non è tesserato al partito fascista!
L'8 settembre sorprende Evola in Germania. È tra i pochi, con
Preziosi, il figlio Vittorio e qualche altro, ad accogliere
Mussolini, liberato da Skorzeny al Gran Sasso, al Quartier
Generale di Hitler. Aderisce alla RSI, lui monarchico,
aristocratico e reazionario aderisce ad una repubblica
sociale. Una contraddizione? Evola non sposa i punti di
Verona, ma lo spirito legionario di chi, pure ormai
militarmente sconfitto, rimane fedele ad un'idea scegliendo di
battersi su posizioni perdute.
Nel 1943, in un'Italia sconvolta dalla guerra esce per Laterza
La dottrina del risveglio, saggio sull'ascesi buddhista.
Scrive Evola nella sua autobiografia: “Il carattere
aristocratico del buddhismo, la presenza in esso della forza
virile e guerriera (è un ruggito di leone che designa
l'annuncio del Buddha) sono stati i tratti che io ho messo in
rilievo nell'esposizione ditale dottrina". D'altronde abbiamo
visto come Evola avesse un debito con la dottrina del principe
Siddharta: il libro è anche un gesto di gratitudine.
Negli ultimi anni della guerra Evola è prima in Germania poi a
Vienna, in questa città, probabilmente nell'aprile del 1945 si
trova coinvolto in un bombardamento mentre passeggia per
strada. Evola viene sbalzato da uno spostamento d'aria: una
lesione al midollo spinale gli provoca una paralisi agli arti
inferiori che purtroppo, malgrado tentativi chirurgici e
sottili, risulterà definitiva. Può sembrare strano, e di fatto
ad una logica comune lo è, che Evola passeggiasse per le vie
di Vienna durante un bombardamento ma, spiega nel Cammino,
"il fatto non fu privo di relazione con la norma, da me
già da tempo seguita, di non schivare, anzi di cercare i
pericoli nel senso di un tacito interrogare la sorte". E poi
commenta così la sua paralisi, quasi che fosse quella di un
altro: “Nulla cambiava, tutto si riduceva ad un impedimento
puramente fisico che, a parte dei fastidi pratici e certe
limitazioni della vita profana, poco mi toccava, la mia
attività spirituale e intellettuale non essendone in alcun
modo pregiudicata o modificata".
Poi con distaccata ironia aggiunge - è il 1961: "Per intanto,
mi sono adeguato con calma alla situazione, pensando
umoristicamente talvolta, che forse si tratta di dèi che han
fatto pesare un po' troppo la mano, nel mio scherzare con loro
Non era nuovo a questo contegno. Pio Filippani-Ronconi, in un
ricordo di Evola scrive: "Amo raffigurarmi la solitudine di
Evola con l'immagine del suo soggiorno viennese durante la
guerra: quando, durante i più terrificanti bombardamenti
aerei, il silenzio fra le esplosioni era punteggiato dal
ticchettio della sua macchina da scrivere, sulla quale,
indifferentemente allo squasso circostante, continuava
placidamente a lavorare".
Dopo l'esplosione Evola si risveglia in ospedale, si guarda
intorno e chiede che fine abbia fatto il suo monocolo.
Nel 1948, grazie alla Croce Rossa Internazionale. viene
trasferito a Bologna. Nel 1951 rientra nella sua casa di Roma.
Sono cinque anni di vero e proprio calvario passati in letti
d'ospedale con assistenza precaria e cibo al limite del
commestibile. Evola considera tutto ciò come una prova di
autosuperamento. Del passato non rimpiangeva nulla, o quasi.
Gianfranco de Turris che dal 1968 sino alla morte gli è stato
assiduamente vicino, ha scritto che gli mancavano soprattutto
Vienna e la montagna, il mondo dell'aristocrazia e la
solitudine delle vette.
Evola si guarda intorno e vede un panorama di rovine, non solo
materiali. Non ha più alcuna speranza negli uomini; invece
viene a sapere che esistono dei gruppi giovanili che non si
sono lasciati trascinare nel crollo generale e che leggono i
suoi libri. Per questi giovani nel 1950 scrive
Orientamento dove sviluppa in undici punti le direttrici
di un'azione Politico-culturale. "Non senza relazione con
ciò", scrive Evola, “mi trovai coinvolto in una comica
vicenda”. Si riferisce al processo contro i FAR dei quali
viene indicato, e arrestato come ispiratore.
"Naturalmente e ancora la voce di Evola, "la cosa finì in un
nulla, quasi tutti gli imputati vennero assolti". A difendere
gratuitamente Evola c'è un avvocato antifascista Francesco
Carnelutti. Personalmente tiene anche una brillante autodifesa
poi pubblicata, dove oltre a chiarire la sua posizione (aveva
Scritto un paio di articoli su Imiperium. la rivista
dei neofascisti ed era all'oscuro delle azioni illegali di
questi che furono comunque tanto inutili quanto innocue),
mette in chiaro la sua visione del mondo, anche per ribattere
alle accuse di apologia del fascismo. Scrive Evola ricordando
quel fatto:
"Dissi che attribuirmi idee fasciste era un assurdo. non in
quanto erano fasciste, ma solo in quanto, rappresentavano, nel
fascismo, la riapparizione di principi della grande tradizione
Politica europea di Destra in genere, io potevo aver difeso e
potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di
dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali
concezioni. Ma in tal caso si do vano far sedere sullo stesso
banco degli accusati Platone, un Metternich, n Bismarck, il
Dante del De Monarchia e via dicendo".
Ne 1953 Evola dà alle stampe Gli uomini e le rovine che
è l'estensione degli un ci punti di Orientamenti. Il
libro è l'ultimo tentativo di promuovere la formazione di uno
schieramento di vera Destra. Lo Stato che delinea Evola è lo
Stato organico che ha come base “i valori della qualità, della
giusta diseguaglianza e della personalità... ad ognuno il suo
e ad ognuno il suo diritto, conformemente alla sua dignità
naturale".
Nulla a che vedere con lo Stato totalitario e poco a che
vedere, purtroppo, anche col fascismo.
Ne 1963 Evola scrive per la casa editrice Volpe un libretto
intitolato: Il Fascismo visto dalla Destra. Contro ogni
esaltazione, come contro ogni partigiana denigrazione, Evola
enuclea, dal punto di vista dell'idea tradizionale, ciò che di
positivo e di negativo risultava nel fenomeno fascista: dà
atto al fascismo di aver sollevato gli antichi simboli
dell'ascia e dell'aquila, di aver teorizzato un uomo nuovo, di
aver agitato il mito dell'ordine e della gerarchia, ma lamenta
che tutto sia rimasto a livello di propaganda sia per i tempi,
inadatti, sia per la qualità umana che compose i quadri del
fascismo, la quale in gran parte, in questo dopoguerra ha
composto con la stessa ottusità quelli dell'antifascismo. Il
fascismo, in definitiva per Evola, è stato un tentativo
generoso ,ma va inquadrato nella fenomenologia delle ideologie
moderne.
Nel 1958 intanto era uscito anche Metafisica del sesso
un libro tra i più suggestivi di Evola dove viene messa in
luce la forza basale. magica e potentissima del sesso,
l'ultima, in un mondo ormai desacralizzato, assieme
all'esperienza de! l'innamoramento, a rivestire un carattere
sacro ove possa balenare un lampo di trascendenza, una rottura
di livello della coscienza ordinaria dell'uomo e della donna.
Nel 1961, parallelo a Gli uomini e le rovine, era
uscito Cavalcare la tigre, il breviario di chi deve
vivere in un mondo che non è il suo forte della propria
invulnerabilità. Evola si rivolge a quel tipo di “uomo
differenziato” che pur non sentendo di appartenere
interiormente a questo mondo, non ha nessuna intenzione di
cedere ad esso né psicologicamente né esistenzialmente.
"Occorre far sì che ciò su cui non si può nulla, nulla possa
su di noi", occorre "cavalcare la tigre" perché la tigre non
può colpire chi la cavalca. Bisogna aprirsi senza perdersi,
concedersi soltanto ciò di cui si è sicuri di poter fare anche
a meno. La differenza tra l'anarchico tout court e
l'anarchico di Destra, è che il primo vuol essere libero da
tutto tranne dalle sue bassezze e dai suoi vizi, il secondo
non riconosce al mondo attuale nessuna legittimità e nessuna
legge, ma cerca la libertà in se stesso, il dominio su di sé.
l'autarchia; chi cavalca la tigre, non è amico della tigre.
Nella sua abitazione romana di Corso Vittorio Emanuele, Evola
vive in affitto e sopravvive con una pensione d'invalido di
guerra. Traduce libri, scrive articoli per diverse testate,
riceve amici e curiosi. Così lo descrive Adriano Romualdi in
un libro del 1968, in occasione del suo settantesimo
compleanno: "Chi si recasse da Evola per incontrarvi un
ispirato, un profeta, o per udire sentenze ed enigmatici
motti, rimarrebbe deluso. Del pari, chi fosse cupido di
atteggiamenti preziosi, ricercati o, comunque, remoti
dall'ordinario. Vi troverebbe soltanto un signore dai capelli
non ancora bianchi, dalla figura - nonostante la forzata
immobilità - ancora imponente, il tratto distinto ed affabile,
il volto curioso, intelligente, attento. Più che un santone un
aristocratico e, quasi. per una certa finezza di modi
ancien régime, una figura di filosofo e viaggiatore
settecentesco. Eppure", continua Romualdi, con un po' di
osservazione potrebbe notare che quell'espressione attenta è
la spia di una perpetua vigilanza, di una personalità che
'veglia su se stessa con continua disciplina, “natura
intellettuale priva di sonno”.
Nel 1968, mentre il suo pensiero viene contrapposto nelle
università a quello di Marcuse, Evola viene colpito da uno
scompenso cardiaco acuto. Lo stesso malore si ripeterà nel
1970. In questa occasione viene fatto ricoverare dal suo
medico e personale e amico. Evola, in ospedale, infastidito
dalle suore che lo assistono, minaccia di denunciarlo per
sequestro di persona.
Anche se il corpo è stanco lo spirito di Evola è forte e
combattivo: continua a scrivere, a rilasciare interviste, a
ironizzare se qualcuno lo va a trovare con la ragazza, lui
s'infila il monocolo e inscena un corteggiamento, oppure a chi
in un'intervista gli chiede molto serioso, dove potrebbe
rivolgersi chi sia interessato alle scienze occulte lui
risponde: "Se si tratta di giovani donne, anche qui, a casa
mia".
Scherza su di sé e gli altri, è sereno.
La salute però peggiora costantemente, perde le forze, il
corpo s'indebolisce, ha difficoltà respiratorie ed epatiche.
Comincia a contrarre banali infezioni, mangia poco e
malvolentieri.
Verso la fine di maggio del 1974 si sente sempre più debole, e
sempre più consapevole che il vestito fisico non lo regge più.
Pierre Pascal, che va a rendere l'ultimo omaggio al Maestro
così lo ricorda negli estremi giorni di vita: "Gli dissi il
desiderio supremo di Henry de Montherlant: essere ridotto in
ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse ha brezza leggera
del Foro, tra i Rostri e il Tempio di Vesta. Allora quest'uomo,
che era davanti a me, disteso, con le belle mani incrociate
sul petto mi mo orò dolcemente e quasi impercettibilmente:
“Io vorrei... ho disposto... che le mie fossero lanciate
dall'alto di una montagna”.
Martedì 11 giugno, nel primo pomeriggio Evola, sentendo vicina
la morte si fa condurre al tavolo dì lavoro di fronte alla
finestra che dà sul Gianicolo; sono le quindici quando spira
reclinando il capo. Nel suo testamento aveva stabilito che il
corpo venisse cremato, che non vi fossero cerimonie cattoliche
né annunci.
Le ceneri, secondo quanto scritto nelle sue ultime volontà,
vengono consegnate alla guida Eugenio David suo compagno di
scalate tanti anni addietro. Un parente del David e una
schiera di seguaci seppelliscono una parte delle ceneri del
Maestro in un crepaccio del Monte Rosa, le altre vengono
lanciate al vento. |