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John Stuart Mill
La teoria della libertà
Il saggio On Liberty fu pubblicato nel 1858 e Stuart Mill credeva
fermamente che sarebbe diventato il suo lavoro
più popolare ed accreditato. I fatti gli
diedero ragione, almeno relativamente al
mondo di lingua inglese.
Le cose andarono un po' diversamente negli
altri paesi, specie in quelli latini. Nella
Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano, ad esempio, non esiste
un paragrafo che riassuma il libro a grandi
linee.
Anche in Germania il libro ebbe poca fortuna,
nonostante alcune opere di Mill fossero state
tradotte e diffuse da scienziati quali Justus
von Liebig. E questo è singolare perchè,
se ci fu un pensatore che ebbe una profonda
influenza su Mill proprio sulla concezione
del libero sviluppo dell'individuo, questi
fu il tedesco Wilhelm von Humboldt. Il problema è che nemmeno von Humboldt
fu particolarmente popolare nella cultura
tedesca, nonostante nella stessa Berlino
Est, l'università più importante portasse
il suo nome.
Non simpatizzo granchè con l'estremismo liberista
di von Hayek, ma la sua analisi del fronte
comune che socialisti e reazionari tedeschi
eressero insieme, e non certo volontariamente,
contro il pensiero libertario ed individualistico inglese, mi pare sufficientemente lucida
ed argomentata, anche se utilizzata nell'ambito di un ragionamento
tendente a dimostrare che il nazionalscialismo
aveva origini socialiste, e dimentico del
fatto che il socialismo, aveva, a sua volta,
origini liberali. (F.A.Von Hayek - La via della schiavitù - Rusconi - Milano, 1995) Ma come sarebbe
insensato imputare ai padri del pensiero
liberale la nascita del socialismo, credo
sia altrettanto insensato imputare a socialisti
come Saint-Simon o Fourier, o l'inglese Hodgkins,
la genesi del nazismo. Del resto è evidente
che, se nel pensiero socialista esistono
anche tratti totalitari, nel pensiero liberale
esistono anche tratti superindividualistici regressivi,
che portano, cioè, all'affermazione del diritto
del più forte, del più astuto e del più brutale.
Ed è indubbio che le concezioni razziste
del nazismo in ordine alla razza ariana poggino
esattamente su questo: il diritto del più
forte a sbarazzarsi delle impurità razziali
ed etiche del più debole, di ciò che "inquina"
la società civile. Ma sarebbe sensato imputare
ai liberisti la paternità del nazismo?
Inoltre, a mio avviso, non è corretto assimilare
la teoria milliana della libertà ad una filosofia
dell'individualismo, opposta a quelle della coscienza sociale e della responsabilità. Così facendo si perde di vista uno degli
argomenti forti di Stuart Mill, ovvero che
la libertà dei moderni necessita di una società
e che, per esercitare pienamente la libertà,
occorre una coscienza diffusa della società.
Le stesse argomentazioni di von Hayek poggiano,
del resto, su una un'esperienza storica ed
una determinata visione della società.
Quella che Mill presentò in poche pagine
fu una teoria dei diritti dell'individuo,
culminante in una serie di rivendicazioni
del tutto ragionevoli. Certamente è incompatibile con qualsiasi forma di società totalitaria;
ma risulta anche incompatibile con qualsiasi società talmente libera da
potersi riclassificare come selvaggia, ovvero
una società nella quale a dominare sono nuovamente
i più forti od i più astuti. Il presupposto
indispensabile, la condizione necessaria
allo sviluppo della libertà, anche secondo
Mill, è l'esistenza di una società civile
avanzata, regolata da uno stato, minimo,
di diritto. E questo, inevitabilmente, riporta
alla qualità dei cittadini, non solo individui
portatori di diritti, ma anche di doveri
civici. La qualità di uno stato è, a lungo
andare, determinata dalla qualità dei suoi
cittadini.
Lungi dall'essere una semplice apologia della
libertà di opinione e di espressione, la
teoria milliana mostra fino a che punto la
libertà sia necessaria quanto l'aria che respiriamo e l'acqua che
beviamo, ma anche, quanto spesso, ci occorra
che la libertà degli altri sia limitata,
onde impedire che, prendendosi troppe libertà, interferiscano pesantemente nella nostra
vita.
On Liberty non fu, quindi, un manifesto a senso unico, bensì un lavoro problematico;
per questo molti principi enunciati dovrebbero
essere alla base delle costituzioni politiche
più avanzate.
Queste ragioni sarebbero sufficienti a fare
di On liberty è uno dei dieci libri di carattere filosofico
che bisogna leggere anche se non si vuole diventare filosofi.
Altri motivi sono che lo scritto brulica
di considerazioni "intelligenti"
che forniscono diversi stimoli e che io non
posso riportare in toto pena una sorta di
clonazione del libro stesso. Mi limiterò
pertanto a fornire solo alcune stuzzicanti
tentazioni alla lettura.
La libera circolazione delle idee presenta
indubbi vantaggi ma, comporta rischi. Uno
di questi è che si venga ad instaurare un
regime della mediocrità, quella tirannia della maggioranza e del conformismo già evidenziati da Tocqueville.
Nietzsche avrà, in fondo, buon gioco nel
denunciare tutte gli appiattimenti della
mediocrità in nome di eroi sovrumani anticonformisti,
antisocialisti ed antiliberali.
Mill, molto più razionale e meno isterico
di Nietzsche, individuò anche il terreno
fecondo nel quale il germe della mediocrità
trova l'ambiente ideale per svilupparsi.
Gli uomini che non pensano necessitano di
qualcuno che pensi per loro e lo trovano
tra chi gli è più affine, chi sa meglio interpretare,
in modo demagogico, il loro stato d'animo.
Scrive: « E novità ancora maggiore, oggi,
le masse non ricevono più le loro opinioni
dalle gerarchie ecclesiastiche e statali,
da capi visibili o dai libri. Chi pensa per
loro conto sono uomini molto simili a loro,
che li arringano o parlano a loro norma,
sull'impulso del momento, attraverso i giornali.
Non mi sto lamentando. Non affermo che il
basso livello intellettuale dell'umanità
consentirebbe, in generale, qualcosa di meglio.
Ma ciò non toglie che il governo della mediocrità
sia un governo mediocre.» (On Liberty - capitolo III)
Questo sembra essere il destino della democrazia,
ma dopo le prove ripugnanti fornite dalle
teorie opposte, non ci resta che tenerci
stretta la libertà civile proposta da Mill.
Ma non senza aver prima considerato anche
i vantaggi di una corretta dialettica democratica.
I vantaggi della democrazia
Scrive Mill: «Anche in politica è quasi un
luogo comune che un partito dell'ordine o
della stabilità e un partito del progresso
o delle riforme sono entrambi elementi necessari
di una vita politica sana, fino a quando
uno dei due non avrà così ampliato la sua
visione delle cose da diventare partito ugualmente
d'ordine e di progresso, che sappia distinguere
ciò che va conservato da ciò che va abolito.
Ambedue questi atteggiamenti mentali derivano
la loro utilità dalle carenze dell'altro;
ma è in larga misura l'opposizione dell'altro
a mantenerli entrambi nei limiti della ragione.
Se le opinioni favorevoli alla democrazia
e all'aristocrazia, alla proprietà e all'uguaglianza,
alla cooperazione e alla competizione, al
lusso e alla frugalità, alla socialità e
all'individualità, alla libertà ed alla disciplina,
e a tutte le altre opposizioni intrinseche
alla vita quotidiana, non vengono espresse
con uguale libertà e fatte rispettare con
uguale talento ed energia, non vi è alcuna
probabilità che i due elementi ricevano un
trattamento equo: la bilancia penderà certamente
da una parte o dall'altra. Nei grandi problemi
pratici della vita, la verità è una questione
di conciliazione e combinanzione degli opposti,
a tal punto che pochissime menti sono abbastanza
vaste ed imparziali da riuscirne a dare una
soluzione anche solo parzialmente corretta,
che quindi finisce col dipendere da un caotico
processo conflittuale tra opposte fazioni.
In ognuna delle grandi questioni aperte che
ho elencato, se delle due opinioni ve n'è
una che ha maggior diritto non solo a essere
tollerata ma a venire incoraggiata e favorita,
è quella che in un dato momento e luogo è
in minoranza. Rappresenta allora gli interessi
trascurati, quegli aspetti del benessere
umano che rischiano di ottenere meno attenzione
di quanta è loro dovuta.» (On Liberty - capitolo II - Della libertà di pensiero e discussione)
La tolleranza
Il punto più fecondo di On liberty sta nel superamento del vecchio concetto
di tolleranza. Prima di Mill, e forse con l'eccezione
di Pierre Bayle, Locke e Voltaire, la tolleranza
era soprattutto concepita come una sopportazione. Di fatto non veniva alcun vantaggio dal
tollerare le idee giudicate sbagliate od
eretiche. In alcuni casi, anzi, era necessario
combatterle, se non censurarle, per evitare
i pericoli connessi alla loro diffusione.
John Locke, che pure con gli scritti sulla
tolleranza della maturità aveva affermato
il diritto alla libertà religiosa, aveva,
tuttavia, detto che l'ateismo era intollerabile,
con ciò limitando gravemente il concetto
stesso di tolleranza all'espressione delle
proprie credenze, delle quali solo alcune
permesse.
Per Mill la tolleranza divenne, al contrario,
un elemento indispensabile alla crescita
intellettuale ed alla stessa vitalità del
pensiero. Anche se l'uomo fosse pervenuto
alla verità , e non v'era dubbio, per Mill,
che su alcuni terreni, ad esempio le verità
matematiche, questo fosse già accaduto, la
sistematica rinuncia a confrontarsi con gli
errori veri e presunti di vecchi e nuovi
punti di vista, avrebbe portato ad un esaurimento
unilaterale e dogmatico , ad una caduta di
tensione che avrebbe comportato una perdita
di vitalità sociale.
Quello che vale per società, vale anche per
il singolo. L'uomo ha tutto da guadagnare
a mettersi in opposizione alle proprie idee
e sollevare contro di esse tutte le obiezioni
possibili, guardando soprattutto ai fatti.
E questo, secondo Mill, non solo tornerebbe
utile nelle discussioni, ma potrebbe e dovrebbe
aiutarci a mettere a fuoco parti di verità
che le nostre impostazioni unilaterali non
sono state in grado di evidenziare.
Riporto qui uno dei passaggi centrali.
Argomenti forti per la libertà di opinione
« Abbiamo quindi riconosciuto la necessità
- scrive Mill -, ai fini del benessere mentale
dell'umanità (da cui dipende ogni altra forma
di benessere), della libertà di opinione
e della libertà di espressione, per quattro
distinte ragioni che ora ricapitoleremo brevemente:
In primo luogo, ogni opinione costretta al
silenzio può, per quanto possiamo sapere
con certezza, essere vera. Negarlo significa
presumere di essere infallibili.
In secondo luogo, anche se l'opinione repressa
è un errore, può contenere, e molto spesso
contiene, una parte di verità; e poichè l'opinione
generale o prevalente su qualsiasi questione
è raramente, o mai l'intera verità, è soltanto
mediante lo scontro tra opinioni opposte
che il resto della verità ha una probabilità
di emergere.
In terzo luogo, anche se l'opinione comunemente
accettata è non solo vera ma costituisce
l'intera verità, se non si permette che sia,
e se in effetti non è, vigorosamente e accanitamente
contestata, la maggior parte dei suoi seguaci
l'accetterà come se fosse un pregiudizio,
con scarsa comprensione e percezione dei
suoi fondamenti razionali. Non solo, ma quarto,
il significato stesso della dottrina rischierà
di affievolirsi o svanire, e perderà il suo
effetto vitale sul carattere e il comportamento
degli uomini: come dogma, diventerà un'asserzione
puramente formale e priva di efficacia benefica,
e costituirà un ingombro ed un'ostacolo allo
sviluppo di qualsiasi convinzione, reale
e veramente sentita, derivante dal ragionamento
o dall'esperienza personale.» (cap. II -
Della libertà di pensiero e discussione)
Caratteri generali
Fin dalla prime righe dell'introduzione del Saggio sulla libertà Stuart Mill afferma che l'oggetto della
trattazione non è la libertà del volere, ma la libertà civile,
cioè la libertà di poter fare, di poter credere
e non credere, e poter esprimere la propria
opinione.
Ciò, non solo comporta per Mill uno sviluppo
della libertà, ma diviene fattore di dinamica
sociale, di crescita civile e di sviluppo
delle intelligenze individuali. La vera ricchezza
di un popolo è la sua intelligenza ed il
suo senso critico, la sua "varietà di
caratteri". La parola pluralismo non era di moda ai tempi di Mill e quindi
non ricorre nel testo; tuttavia potremmo
dire che Stuart Mill fu il teorico del pluralismo,
cioè dell'idea che opinioni diverse e anche
contrastanti, purchè espresse in forma corretta
e civile (ma anche a costo di qualche irriverenza
e di grandi polemiche), siano un elemento
positivo, uno stimolo e non una confusione
od una complicazione.
Mill fu quindi il primo critico lucido e
consapevole del modello totalitario e, col
senno di poi, potremmo dire che egli comprese
la differenza tra una semplice dittatura
che vieta la democrazia e nega i diritti
civili, ma non ordina quale tipo di mutande
uno deve indossare, ed una oppressione ideologica che, al contrario, pretende di controllare
la vita di tutti prescrivendo ogni comportamento,
ogni gusto, ogni pensiero e così via.
Ancora col senno di poi, potremmo osservare
che una tirannia totalitaria non ha bisogno
di una forma di governo dittatoriale per
realizzarsi: la democrazia, anche se non
le è del tutto congeniale, non le è nemmeno
del tutto sfavorevole, ed il possesso dei
media, il monopolio della cultura, il sistema
di istruzione e altro ancora, possono concorrere
in misura ancora più efficace che una brutale
dittatura a costruire conformismo e mancanza
di senso critico.
Lo scopo del saggio di Mill "è formulare
un principio molto semplice": « Il principio
è che l'umanità è giustificata, individualmente
o collettivamente, a interferire sulla libertà
d'azione di chiunque soltanto al fine di
proteggersi: il solo scopo per cui si può
legittimamente esercitare un potere su qualunque
membro di una comunità civilizzata, contro
la sua volontà, è per evitare danno agli
altri. Il bene dell'individuo, sia esso fisico
o morale, non è una giustificazione sufficiente.
Non lo si può costringere a fare o non fare
qualcosa perchè è meglio per lui, perchè
lo renderà felice; perchè, nell'opinione
altrui, è opportuno o perfino giusto: questi
sono buoni motivi per discutere, protestare,
persuaderlo o supplicarlo, ma non per costringerlo
o punirlo in alcun modo nel caso si comporti
diversamente.» (On liberty - Introduzione)
E prosegue:« Il solo aspetto della propria
condotta di cui ciascuno deve rendere conto
alla società è quello riguardante gli altri:
per l'aspetto che riguarda soltanto lui,
la sua indipendenza è, di diritto, assoluta.
Su sè stesso, sulla sua mente e sul suo corpo,
l'individuo è sovrano.
E' forse superfluo aggiungere che questa
dottrina vale solo per esseri umani nella
pienezza delle loro facoltà. » (idem)
Indubbiamente si tratta di una formulazione
importante, soprattutto alla luce del fatto
storico che siamo storicamente nel pieno
sviluppo dell'imperialismo e del colonialismo,
e che l'Europa, pur ancora profondamente
divisa da rivalità nazionali, stava operando
la conquista del mondo e la sua globalizzazione,
imponendo il proprio modello di sviluppo,
la propria cultura, la propria religione
a tutti i popoli del pianeta. E spesso solo
i lati peggiori di queste.
L'idea di Mill è che se una credenza od uno
stile di vita sono migliori, non hanno alcun
bisogno di essere imposti. Gli individui
in condizione di deliberare autonomamente
sulla propria vita sceglieranno per il meglio.
(Aristotele dixit)
Tuttavia, è qui siamo di fronte a problemi
che si sono realmente posti e si pongono
tuttora: che fare di fronte ad un regime
sociale che pratica sacrifici umani, il cannibalismo
o la soppressione delle vedove bruciandole
sul rogo? L'imperialismo inglese si è spesso
trovato di fronte a problemi di questa natura.
Tuttora in certe zone dell'India sopravvive
il culto della dea Kalì e non è un mistero
che essa reclami sacrifici di sangue, persino
di bambini e giovani vergini.
Nei paesi dell'integralismo islamico, specie
in Iran e in Afghanistan, i libri sono censurati,
le donne devono indossare lo chador e la
diffusione di idee religiose o filosofiche
diverse da quelle degli imam e dei talebani
è seriamente perseguitata.
Possiamo considerare questi signori come
esseri umani non in possesso delle loro facoltà, e quindi sentirci in diritto di esonerarli?
Oppure si ritiene che la dottrina della non
interferenza negli affari interni di un paese,
peraltro costantemente ignorata quando sono
in ballo dollari, business, oppure interessi
giudicati vitali come la sicurezza, debba
prevalere sul principio della sacralità della
vita umana e sul diritto alla libertà?
Mill affrontò il problema evitando un attacco
frontale e limitandosi a considerazioni,
peraltro acute, sui Mormoni.
Il problema è dato dalla poligamia. «L'aspetto
della dottrina mormone che maggiormente provoca
avversione e scatena un'insolita intolleranza
religiosa è il permesso di praticare la poligamia,
che, anche se consentita a musulmani, indù
e cinesi, sembra suscitare un'implacabile
animosità se praticata da persone che parlano
inglese e si dichiarano una sorta di cristiani.
Nessuno disapprova più di me quest'istituzione
mormone; tra l'altro anche perchè, lungi
dal rappresentare un'espressione del principio
della libertà, lo viola direttamente, poichè
non fa che ribadire le catene di una metà
della comunità e emancipare l'altra dalla
reciprocità dell'impegno nei suoi confronti.
Eppure va ricordato che le donne coinvolte
in questo tipo di rapporto - che possono
esserne considerate la parte lesa - l'accetta
altrettanto volontariamente che qualsiasi
altra forma di matrimonio: e ciò, per quanto
sembri soprendente, trova spiegazione nelle
opinioni e nelle usanze comuni che, insegnando
alle donne che il matrimonio è la sola cosa
che conti, fanno sì che molte preferiscano
essere una moglie insieme a parecchie altre
piuttosto di non esserlo del tutto.» (On liberty - IV)
Di fronte alla proposta di fare opera di
civilizzazione tra i Mormoni, Mill scrisse:
« ... ma non mi risulta che una comunità
abbia il diritto di costringere un'altra
ad essere civilizzata. Purchè le vittime
di una legge iniqua non invochino l'aiuto
di altre comunità, non possono ammettere
che persone del tutto estranee intervengano
ed esigano che si ponga fine a una situazione,
di cui tutti i diretti interessati sembrano
soddisfatti, perchè da scandalo a gente lontana
migliaia di miglia e senza alcun titolo o
motivo per interferire. Mandino dei missionari,
se ne hanno voglia...» (On liberty - IV)
La conclusione di Mill è peraltro incisiva
sotto un altro aspetto: le crociate vengono
spesso attuate per paura che certe pratiche
inferiori ritornino nelle civiltà dette superiori,
e che le barbarie possano ritornare.
In proposito Mill scrisse: « Una civiltà
che può soccombere in questo modo al nemico
che ha già battuto in precedenza deve essere
prima arrivata a un tale punto di degenerazione,
che nè i suoi sacerdoti e maestri designati
nè chiunque altro hanno la capacità, o la
voglia di difenderla. Se le cose stanno così,
prima una tale civiltà riceve l'ordine di
andarsene meglio è: può solo continuare a
peggiorare (come accadde all'Impero d'Occidente)
finchè dei barbari vigorosi non la distruggano
e la rigenerino. » (idem)
Una delle cause della degenerazione sta probabilmente
nel rammollimento degli animi e nell'eccesso
di prosperità, ma anche dalla mancanza di
vitalità; solo particolari individui, dotati
di genio ed eccentricità, secondo Mill, possono
portare importanti contributi per rinnovare
gli stili di vita. Ma la tirannia della mediocrità
è spesso ferocemente contraria alle innovazioni,
ed è questo che conduce alla rovina.
I tre principi della libertà
In estrema sintesi il saggio di Mill afferma
le tre libertà civili fondamentali:
1) libertà di coscienza, pensiero e parola
2) libertà dei gusti, ovvero perseguire le
soddisfazioni dei propri desideri come si
preferisce
3) la libertà di associazione
La seconda è molto importante, perchè Mill
credeva nella differenza tra persone, e non
credeva ammissibile che una società ordini
di essere vegetariani o vieti la carne di
maiale. Fu quindi antiproibizionista ante-litteram
in un clima culturale come quello anglosassone,
spesso portato a strafare sul piano del proibizionismo
per il bene della persona.
Poichè queste limitazioni alla libertà furono
di origine puritana, la polemica contro questa
tradizione assai viva nel mondo anglosassone,
ci sembra per tanti aspetti estranea, ma
ha la sua importanza. Nella sua forma estrema
la dottrina puritana voleva proibire le feste,
le danze, i luoghi di ritrovo, il teatro
(nella terra di Shkespeare!) e nemmeno tra
i cattolici si vide qualcosa del genere.
L'unico limite posto alla propria soddisfazione,
è quello di non ledere il diritto altrui.
Ciò significa, per intenderci, che se la
pedofilia è un crimine, perchè fa violenza
ai bambini, l'omosessualità è il diritto
di una minoranza, anche se estremo, e proibirla
o perseguitarla è un crimine a sua volta.
La difesa della libertà di associazione evidenzia
in ogni caso che Mill non fa dell'individualismo
fine a sè stesso, puramente estetico. In
altri scritti essa è rivendicata con una
maggior messe di argomenti, specie in ordine
alla questione del miglioramento delle condizioni
dei lavoratori e quindi al diritto di questi
di organizzarsi in sindacati. Ma in generale
si avverte il disagio di Mill quando è costretto
a misurarsi con il principio del laissez faire portato alle estreme conseguenze. Era contro
la sua natura imporre qualcosa dall'alto
o dall'esterno, ma era altrettanto consapevole
del fatto che in alcuni casi è indispensabile
farlo.
Nei Principi egli aveva scritto a chiare lettere che
la riduzione dell'orario di lavoro da dieci
a nove ore avrebbe dovuto essere imposta
per legge, essendo improbabile che i lavoratori
potessero imporla con l'azione sindacale.
Tutto questo può apparire contraddittorio,
ma in fondo non lo è affatto. Stabiliti i
principi, ci si trova spesso a dover considerare
le eccezioni, i casi estremi nei quali quei
principi non valgono più, perchè, se valessero,
ne andrebbe di mezzo qualcosa di più vitale.
Certo, non si deve uccidere, ma diventa lecito
farlo o per difendere se stessi, oppure qualcun
altro.
La responsabilità dell'individuo verso se
stesso
Ovviamente il più alto grado di libertà espone
l'individuo al rischio di non essere in grado
di badare a se stesso e quindi di essere
veramente responsabile di se stesso. Ciò,
volenti o nolenti, impone un confronto con
dottrine laiche e religiose che negano all'uomo
il libero arbitrio e lo rappresentano come un balocco in balia
delle proprie passioni e del destino. Personalmente
non le ritengo accettabili, soprattutto per
il fatto che ignorano che la tradizione filosofica
greca aveva già affermato, attraverso Socrate,
che era possibile ragionare sul bene dell'individuo,
e che una volta conosciuto il bene, era anche
possibile sottrarsi al male; ma è evidente
che esse contengano un minimo di verità,
quel tanto che basta a considerare che vi
sono individui, ancor oggi, su questo pianeta,
e sono tantissimi, che non dispongono affatto
di libero arbitrio, perchè sono, innanzi
tutto, ignoranti, immaturi ed imbelli. E
solo in parte è colpa loro.
Ovviamente è in queste dottrine che si cela
il germe del totalitarismo, ovvero l'idea
insana che tutti gli uomini abbiano bisogno di essere guidati
passo a passo e in ogni cosa da illuminati,
i quali sono l'espressione della grazia e della provvidenza divina.
E' la filosofia dei militaristi americani
(esemplare il colonnello interpretato da
Jack Nicholson nel film Codice Rosso), degli ideologhi sovietici, delle decine
di guru indiani che vengono a spiegarci com'è
fatto il mondo, di tanti pontefici di santa
madre chiesa, i quali, certamente, mai posero
un limite alle loro letture ( e fecero bene),
ma considerando l'insieme dei fedeli come
un popolo di immaturi, non si fecero scrupolo
di proibire determinati libri, e di sentirsi
autorizzati a concedere speciali licenze per poter leggere le opere più audaci.
Si badi che al riguardo Mill fu sempre molto
equilibrato e prudente: ha diritto alla libertà
una persona matura, quindi quantomeno maggiorenne.
Il problema tuttora irrisolto è come si diventa
davvero maggiorenni, se stando alla larga
dal brutto e dal perverso del mondo, e comunque
combattendo quotidianamente con il desiderio
represso, oppure, se provandolo a spese proprie, facendo qualche cattiva
e punitiva esperienza.
Nel sesto capitolo del Sistema di logica Mill aveva anche affrontato il problema della libertà del volere, centrando il discorso su come un individuo
possa modificare il proprio grado di indipendenza
dal mondo, sottraendosi al meccanicismo degli
stati psicologici ed ai condizionamenti culturali
ed ambientali.
Ovviamente, va inteso che il discorso sulla
libertà civile è una prosecuzione di quel discorso sull'autonomia del soggetto dalle
proprie passioni. Al proposito c'è un passaggio
notevole anche nel Saggio sulla libertà: «In una certa misura si ammette che che
il nostro intelletto spetta a noi; ma non
vi è la medesima disposizione ad ammettere
che anche i nostri desideri e impulsi sono
di nostra competenza, o che avere impulsi
propri, forti o deboli che siano, possa costituire
altro che un pericolo od una tentazione.
E tuttavia desideri ed impulsi sono parte
di un perfetto essere umano altrettanto quanto
le sue convinzioni e le restrizioni cui è
sottoposto; e gli impulsi vigorosi sono pericolosi
solo in una situazione di squilibrio, quando
un gruppo di intenzioni e tendenze si sviluppa
e si rafforza mentre altre, che dovrebbero
essere altrettanto presenti, restano deboli
e inattive. Non è perchè i loro desideri
sono vigorosi che gli uomini agiscono male;
è perchè le loro coscienze sono deboli.»
(On Liberty - cap. III)
Nel IV capitolo di On liberty, intitolato Dei limiti all'autorità della società sull'individuo, Mill comincia a trattare la questione partendo
dal dovere, cioè l'insieme dei debiti che l'individuo
ha contratto nei confronti della società.
E ciò non è un caso: il senso del dovere
è una delle prove che siamo maturati e quindi
responsabili di noi stessi.
Scrive: « Anche se la società non si basa
su un contratto, e sarebbe inutile inventarne
uno per dedurne degli obblighi sociali, chiunque
riceva la sua protezione deve ripagare il
beneficio, e il fatto di vivere in società
rende indispensabile che ciascuno sia obbligato
ad osservare una certa linea di condotta
nei confronti degli altri. Questa condotta
consiste, in primo luogo, nel non danneggiare
gli interessi reciproci, o meglio certi interessi
che, per esplicita disposizione di legge
o per tacito accordo, dovrebbero essere considerati
diritti; e secondo, nel sostenere la propria
parte (da determinarsi in base a principi
equi) di fatiche e sacrifici necessari per
difendere la società o i suoi membri da danni
e molestie. La società ha diritto di far
valere a tutti i costi queste condizioni
nei confronti di coloro che tentano di non
adempiervi.» (On liberty - IV)
Ovviamente chi non adempie a quelli che sono
i doveri elementari merita sanzioni negative.
Ma anche la società e lo stato che esagerino
i doveri sono da biasimare. « Gli atti di
un individuo possono arrecare danno ad altri
o non tenere in giusta considerazione il
loro benessere, senza giungere al punto di
violare alcuno dei loro diritti costituiti.
In questo caso il colpevole può essere giustamente
condannato dall'opinione, ma non dalla legge.
Non appena qualsiasi aspetto della condotta
di un individuo diventa pregiudiziale degli
interessi altrui, ricade sotto la giurisidizione
della società, e ci si può chiedere se questa
interferenza giovi o meno al benessere generale.
Ma tale questione non si pone in alcun modo
quando la condotta di un individuo coinvolge
soltanto i suoi interessi, o coinvolge quelli
di altre persone consenzienti (tutti essendo
maggiorenni e dotati di normali facoltà mentali).
In questi casi, vi dovrebbe essere piena
libertà, legale e sociale, di compiere l'atto
e subirne le conseguenze. »( Idem)
E qui Mill si sente in obbligo di precisare
che questa sua posizione non è certo ispirata
ad una specie di egoistica indifferenza.
« Al contrario - scrive - gli sforzi disinteressati
per il bene altrui non vanno diminuiti, ma
grandemente aumentati. Ma la benevolenza
disinteressata può persuadere gli uomini
a compiere il proprio bene senza far uso
di sferze e flagelli, letterali o metaforici
che siano. Sono l'ultimo a sottovalutare
le virtù verso se stessi: per importanza
sono seconde, se lo sono, soltanto a quelle
sociali. Tocca all'educazione coltivarle
entrambe: ma anche l'educazione opera con
la convinzione e la persuasione oltre che
con la costrizione, e solo mediante le prime
due, finito il periodo educativo, dovrebbero
essere insegnate le virtù verso sè stessi.»
(Idem)
Su questo punto devo dire che dissento da
Stuart Mill: le virtù verso se stessi, il
codice di autocontrollo, sono alla base del
sistema educativo. Se un ragazzo non impara
prima ad amare se stesso ed a mettere la
propria salute e la propria integrità prima
di ogni altra cosa, non potrà mai, non dico
imparare, ma nemmeno imparare ad imparare.
Natura e limiti del potere che la società
può esercitare sull'individuo
La questione fondamentale per Mill consiste
nello stabilire che la libertà civile o sociale
è determinata dalla natura e i limiti del potere che la
società può esercitare sull'individuo.
« Questione raramente enunciata - scrive
-, e quasi mai discussa in termini generali,
ma la cui presenza latente influisce profondamente
sulle polemiche quotidiane del nostro tempo,
e che probabilmente si paleserà ben come
il problema fondamentale del futuro. E' così
poco nuova che, in un certo senso, ha diviso
l'umanità quasi fin dai tempi più remoti;
ma allo stadio di progresso cui sono ora
giunti i settori più civilizzati della nostra
specie, si presenta alla luce di condizioni
nuove e richiede di essere trattata in modo
diverso e più fondamentale. » (On Liberty - Introduction)
Esaminata la storia antica e considerato
che il problema della libertà fu innanzi
tutto un problema di difesa dalla tirannia
di un despota vorace, "il re degli avvoltoi",
necessario a tenere a bada gli altri avvoltoi,
Mill afferma che " a un certo punto
del progresso umano, gli uomini cessarono
di pensare che i governanti dovessero necessariamente
essere un potere indipendente, con interessi
opposti ai propri, e giudicarono molto preferibile
che i vari magistrati dello Stato ricevessero
in concessione l'esercizio del potere..."
« Gradualmente, questa nuova richiesta di
governo temporaneo ed elettivo divenne l'obiettivo
principale dell'azione dei partiti popolari
ovunque essi esistessero, sostituendosi in
larga misura ai precedenti tentativi di limitare
il potere dei governanti.
Con lo sviluppo della lotta per fare emanare
il potere dalla scelta periodica dei governanti,
alcuni cominciarono a pensare che si era
attribuita troppa importanza alla limitazione
del potere in quanto tale, limitazione che
a loro giudizio andava invece considerata
un'arma contro quei governanti i cui interessi
si contrapponessero abitualmente a quelli
popolari.» (idem)
Solo di fronte alla realtà della rivoluzione
francese, secondo Mill, ci si rese conto
che espressioni come "autogoverno"
o "potere del popolo su se stesso"
non esprimevano il vero stato delle cose
in quanto il cosidetto autogoverno non era
il governo di ciascuno su sè stesso, ma quello di tutti gli altri su ciascuno.
Questo ha portato al riconoscimento che esiste
una tirannia della maggioranza e che esso è uno dei mali da cui la società
deve guardarsi.
« Come altre tirannie, quella della maggioranza
fu dapprima - e volgarmente lo è ancora -
considerata, e temuta, soprattutto in quanto
conseguenza delle azioni delle pubbliche
autorità. Ma le persone più riflessive compresero
che, quando la società stessa è il tiranno
- la società nel suo complesso, sui singoli
individui che la compongono -, il suo esercizio
della tirannia non si limita agli atti che
può compiere per mano per mano dei suoi funzionari
politici. La società può eseguire, ed esegue,
i propri ordini: e se gli ordini che emana
sono sbagliati, o comunque riguardano campi
in cui non dovrebbe interferire, esercita
una tirannide sociale più potente di di molti
tipi di oppressione politica, poichè, anche
se generalmente non viene fatta rispettare
con pene altrettanto severe, lascia meno
vie di scampo, penetrando più profondamente
nella vita quotidiana e rendendo schiava
l'anima stessa. Quindi la la protezione del
magistrato non è sufficiente: è necessario
anche proteggersi dalla tirannia dell'opinione
e del sentimento predominanti, dalla tendenza
della società a imporre come norme di condotta
e con mezzi diversi dalle pene legali, le
proprie idee ed usanze a chi dissente, a
ostacolare lo sviluppo - e a prevenire, se
possibile, la formazione - di qualsiasi individualità
discordante, e a costringere tutti i caratteri
a conformarsi al suo modello. Vi è un limite
alla legittima interferenza dell'opinione
collettiva sull'indipendenza individuale:
e trovarlo, e difenderlo contro ogni abuso,
è altrettanto indispensabile alla buona conduzione
delle cose umane quanto la protezione del
dispotismo politico. » (idem)
Stuart Mill vide quindi lucidamente il pericolo
del conformismo non solo come una tendenza
all'uniformità da parte delle masse, ma come
un manifestarsi di crescente intolleranza
da parte della società e delle masse nei
confronti di ogni forma di dissenso, non
solo politico, ma anche etico, sul piano
delle scelte di vita.
« Vi è un limite - scrive - alla legittima
interferenza dell'opinione collettiva sull'esperienza
individuale: e trovarlo, e difenderlo contro
ogni abuso, è altrettanto indispensabile
alla buona conduzione delle cose umane quanto
la protezione dal dispotismo politico.»
Tutto questo pone dei problemi inediti. Vi
è la necessità di imporre regole in campi
che non si prestano a legislazione.
Nello studio delle tradizioni e delle consuetudini
delle diverse civiltà si vede quanto queste
stesse abitudini contratte siano diventate
regole ovvie e autogiustificantesi al punto
da sembrare naturali.
Ma - osserva Mill - l'illusione universale
della naturalità degli stili di vita è solo
un esempio della magica influenza della consuetudine.
Essa non è solo una seconda natura, "ma sovente viene scambiata per la
prima".
« L'efficacia della consuetudine nel prevenire
ogni dubbio sulle norme di condotta che gli
uomini si impongono a vicenda è tanto più
completa perchè l'argomento è uno di quelli
su cui non viene generalmente considerato
necessario fornire spiegazioni, nè a gli
altri nè a se stessi. Gli uomini sono abituati
a credere, e a ciò sono stati incoraggiati
da alcuni che aspirano a essere definiti
filosofi, che in questioni di tale natura
i loro sentimenti siano meglio delle ragioni
e le rendano inutili. Il principio pratico
che forma le loro opinioni sulle regole della
condotta umana è il sentimento, da parte
di ciascuno, che a ciascuno dovrebbe essere
prescritto di agire come piacerebbe a lui
e coloro con cui simpatizza. E' vero che
nessuno ammette a se stesso che il suo criterio
di giudizio è il suo gradimento; ma un'opinione
su un dato tipo di condotta, che non sia
confortata da ragioni, può solo essere considerata
una preferenza individuale; e se le ragioni
addotte sono semplicemente un appello a una
simile preferenza condivisa da altri, l'opinione
è solo il gradimento di molti invece che
uno.» (idem)
La gente vuole che il figlio di uno schiavo continui a
fare lo schiavo, che la figlia del possidente
concluda un buon matrimonio, e che il figlio
del medico prosegua la professione paterna.
Qui è chiaro che significa il desiderio dei
benpensanti e la tirannia della maggioranza.
Da sempre uno dei luoghi più comuni del pensiero
della tirannia della maggioranza è che ognuno debba stare al suo posto, in particolare la canaglia plebea.
Mill è particolarmente pungente su questo
punto: gli individui desiderano che la condotta
etica degli altri, di ciascuno degli altri, sia conforme alla propria visione del mondo
indipendentemente da ciò che ciascuno degli altri è realmente e potrebbe essere capace di
fare.
Qual'è la causa? « Talvolta è la ragione
- scrive Mill - tal altra i pregiudizi o
le superstizioni; spesso le passioni sociali,
non di rado quelle antisociali, l'invidia
o la gelosia, l'arroganza o il disprezzo;
ma soprattutto i desideri o le paure per
se stessi - gli interessi personali, legittimi
o illegittimi. Dovunque vi sia una classe
dominante, la morale del paese emana, in
buona parte, dai suoi interessi di classe
e dai suoi sentimenti di superiorità di classe.
L'etica dei rapporti tra Spartani ed Iloti,
tra piantatori e negri, tra principi e sudditi,
tra nobili e roturiers, tra uomini e donne è stata per la maggior
parte creata da questi interessi e sentimenti
di classe, e i sentimenti così generati reagiscono
a loro volta sulla morale dei membri della
classe dominante nei loro rapporti reciproci.
Dove, d'altra parte, una classe non sia più
dominante, o il suo predominio sia impopolare,
i sentimenti morali prevalenti sono frequentemente
improntati a un'impaziente avversione per
la sua superiorità.» (idem)
Il servilismo degli uomini nei confronti
dei loro "signori temporali", od
anche dei loro dei, ha concorso in egual
misura a determinare norme di condotta imposte
dalla legge e dall'opinione dominante. Mill
non lo identifica con l'ipocrisia ma con
un sentimento di orrore genuino (diremmo noi: per il diverso) che ha portato a bruciare maghi ed eretici.
I sentimenti più che gli elementi razionali,
le simpatie e le antipatie, hanno avuto un
grande peso nell'affermazione della morale
sociale.
Per Mill si era davanti ad un fatto storico
curioso: quelli il cui pensiero era più avanzato
rispetto al proprio tempo, "hanno evitato
di attaccare in lineo di principio questo
stato di cose" preferendo tentare di
"modificare i sentimenti degli uomini
rispetto alle questioni particolari su cui
essi stessi erano degli eretici, piuttosto
che far causa comune con gli eretici in generale
per difendere la libertà".
Ma ciò, ovviamente ha una spiegazione: tra
l'eretico e l'ortodosso esiste una continuità totalitaria ed è molto probabile che l'eretico
vincente sveli ben presto il suo vero carattere
di ortodosso fanatico, persuaso di detenere
tutta la verità. Scrive infatti Mill:« Coloro
che per primi spezzarono il giogo di quella
che si definiva Chiesa Universale erano in
generale altrettanto poco inclini di quest'ultima
a permettere differenze di opinione religiosa.
Ma, quando si spense la vampata del conflitto
senza che nessun contendente riportasse completa
vittoria, ed ogni chiesa o setta si trovò
costretta a limitare le proprie speranze
al mantenimento del terreno che in quel momento
occupava, le minoranze, consce di non avere
alcuna possibilità di diventare maggioranze,
dovettero necessariamente richiedere a coloro
che non potevano convertire il permesso di
dissentire.» (idem)
Così va il mondo, sembra sospirare Mill,
e non ci resta che insistere.
Il diritto alla protesta e all'azione politica
Nella difesa sistematica del diritto d'opinione
Mill arriva a dire: « L'opinione che i mercanti
di grano sono degli affamatori dei poveri,
o che la proprietà privata è un furto, non
dovrebbe essere molestata se viene semplicemente
diffusa per mezzo della stampa, ma può incorrere
in una giusta punizione se viene proferita
di fronte ad una folla eccitata riunitasi
davanti alla casa di un mercante di grano.»
Questa considerazione è notevole perchè in
sostanza dice che una società matura, ovvero
composta da una maggioranza di cittadini
maturi, può permettersi non solo un dissenso
maturo e fondato, ma anche manifestazioni
di immaturità, purchè non degenerino in minaccia
e violenza. Esprimere tolleranza per l'immaturità politica, quindi per azioni
di propaganda politica aventi come oggetto
il terrorismo o azioni di massa violente,
è davvero il massimo delle aperture possibili.
Neanch'io ne sono del tutto convinto, anche
se mi ripugnano tutte le censure.
Contro tutte le censure
Un tipo di censura ricorrente consiste nello
sminuire il contributo dato dai presunti
avversari di una religione o di una dottrina
politica o filosofica alla elaborazione della
propria teoria o del proprio credo. Non è
un mistero che il marxismo sia stato, ad
esempio, il risultato di una commistione
tra hegelismo tedesco, socialismo francese
e economia politica inglese, che superò,
o pretese di superare, i differenti punti
di vista in una sintesi superiore.
Ma l'esempio più eclatante di eclettismo
nella storia è lo stesso cristianesimo, il
quale fu il prodotto di una commistione ,
tra l'ebraismo e la filosofia ellenistica,
e la forma particolare che essa aveva assunto
in Giudea ed in Galilea poco prima di Cristo,
cioè il fariseismo.
Stuart Mill scrisse pagine memorabili contro
la pretesa di una parte della verità a essere
considerata la verità intera.
« Se i cristiani - scrisse Mill - vogliono
insegnare ai pagani a essere giusti verso
il Cristianesimo, devono essere giusti verso
il paganesimo. Non giova alla verità il tentativo
di occultare il fatto, noto a chiunque abbia
una minima conoscenza della storia della
letteratura, che una buona parte degli insegnamenti
morali più nobili e validi è dovuta non solo
a uomini che ignoravano la fede cristiana,
ma a uomini che la conoscevano e la rifiutavano.
Non pretendo che l'esercizio più incondizionato
della libertà di enunciare tutte le opinioni
possibili possa por fine ai mali del settarismo
religioso o filosofico. Ogni verità propugnata
da uomini di mentalità ristretta sarà certamente
asserita, inculcalta e persino applicata
come se al mondo non ne esistesse un'altra,
o comunque non ne esistesse alcuna che possa
limitarla a precisarla. Riconosco che la
più libera discussione non cura la tendenza
di tutte le opinioni a diventare settarie,
e anzi, spesso la acuisce e la esacerba;
la verità che si sarebbe dovuta vedere ma
non si è vista viene rifiutata tanto più
violentemente perchè è asserita da persone
considerate oppositori. Ma non è tanto sul
sostenitore appassionato, quanto sul testimone
più calmo e disinteressato che questo contrasto
di opinioni opera un effetto salutare. Il
male più temibile non è il violento contrasto
tra parti diverse della verità, ma la silenziosa
soppressione di una sua metà; finchè la gente
è costretta ad ascoltare le due opinioni
opposte c'è sempre speranza; è quando ne
ascolta una sola che gli errori si cristallizzano
in pregiudizi, e la stessa verità cessa di
avere effetto perchè l'esagerazione la rende
falsa.» (cap. II - Della libertà di pensiero e discussione)
Stroncatura del calvinismo
Secondo Mill, Calvino operò un ulteriore
peggioramento della dottrina cristiana, formatasi
nei primi cinque secoli della storia della
chiesa, e non diretta emanazione dello "schema
del Maestro", in senso dogmatico e teocratico.
Per Calvino, "la grande colpa è l'autonomia
della volontà."
« Tutto il bene di cui è capace l'umanità
si riassume nell'obbedienza. -scrisse Mill
- Non c'è scelta; si deve agire in un certo
modo, e non altrimenti: "Tutto ciò che
non è dovere è peccato." Poichè la natura
umana è radicalmente corrotta, nessuno è
redento finchè la sua non viene uccisa. Per
chi crede in questa teoria dell'esistenza,
schiacciare ed eliminare tutte le facoltà,
capacità e sensibilità umane non è un male:
la sola capacità di cui l'uomo ha bisogno
è quella di arrendersi alla volontà di Dio;
e se usa qualunque sua facoltà per uno scopo
che non sia l'attuazione più efficace di
questa presunta volontà, meglio sarebbe che
non l'avesse. Questa è la teoria del Calvinismo;
essa è condivisa da molti in una formulazione
più moderata, consistente in un'interpretazione
meno ascetica del supposto volere divino,
secondo cui gli uomini dovrebbero soddisfare
alcune loro inclinazioni, naturalmente non
nel modo che preferiscono ma nell'obbedienza,
cioè in un modo prescritto dall'autorità
e quindi, per necessità del caso, identico
per tutti.
Attualmente esiste, sotto forme insidiose
di questo genere, una forte tendenza favorevole
a questa ristretta visione dell'esistenza,
e al genere di personalità tormentata e piena
di pregiudizi da essa favorita. Senza dubbio
molti pensano in tutta sincerità che degli
uomini così bloccati e rimpiccioliti siano
ciò che il loro Creatore intendeva che fossero,
esattamente come molti altri ritengono che
gli alberi siano molto più belli potati,
o modellati in forma di animali, che così
come la natura li ha fatti. » (On Liberty - cap. III - Dell'individualità come elemento del bene
comune)
A questo punto Mill ha uno scatto del pensiero
davvero profondo. « Avendo detto che l'individualità
coincide con il progresso, e che solo la
sua coltivazione produce, o può produrre,
esseri umani compiutamente sviluppati, potrei
concludere qui; poichè la maggiore e più
esplicita lode che si possa fare di uno stato
di cose è dire che aiuta gli uomini a realizzarsi
al meglio delle loro possibilità; e affermare
che glielo impedisce o li ostacola è la peggiore
condanna. Tuttavia non vi è dubbio che queste
considerazioni non basteranno a convincere
coloro che più hanno bisogno di esserlo;
e quindi è necessario dimostrare che lo sviluppo
di alcuni ha una certa utilità anche per
chi non si sviluppa - mostrare cioè a coloro
che non desiderano la libertà e non se ne
servirebbero che possono essere ricompensati
in modo a loro comprensibile se permettono
ad altri di farne uso indisturbati. Innanzi
tutto direi loro che avrebbero forse la possibilità
di imparare qualcosa dagli altri. Nessuno
negherà che nella vita l'originalità è preziosa.
C'è sempre bisogno di gente che non solo
scopra verità nuove e mostri che quelle di
una volta erano delle verità non lo sono
più, ma anche inizi attività nuove e dia
esempio di comportamento più illuminato e
di maggiore sensibilità e razionalità di
vita.» (On Liberty - cap. III - Dell'individualità come elemento del bene
comune).
Che, in fondo, è come dire: ripassatevi la
parabola dei talenti. Cristo stesso insegnò a svilupparsi, ad
investire le proprie facoltà, non a nasconderle
sotto un mucchio di superstizioni religiose
e di presunte impotenze a combinare qualcosa
senza fare dei rotti. Ovvero: disobbedire
ai teocrati per liberamente obbedire a Cristo.
Idee sul pluralismo educativo
Nel capitolo finale di On Liberty, Stuart Mill si pronuncia apertamente per
un sistema scolastico nel quale lo stato
non dirige l'istruzione, ma l'asseconda.
Ciò non può piacere a chi creda che la scuola
statale sia in grado di raggiungere di per
sè una sorta di equilibrio e di perfezione
imparziale grazie ai programmi ed alla scelta
ultraselettiva degli insegnanti. L'idea stessa
che possa esistere una scienza dell'educazione gioca come argomento sostanzioso in questa
direzione.
Ma allo stato dei fatti il polverone polemico
su scuola pubblica e scuola privata in Italia
si gioca su altri motivi. In primo luogo
il diritto dei cattolici di avere una scuola
confessionale, ed in secondo luogo, il diritto
di tutti gli altri cittadini di non volerne
sapere di pagare con le proprie tasse, scuole
confessionali o private di alcun tipo. Io
stesso non sarei molto contento se sapessi
che una parte del mio contributo fiscale
andasse al finanziamento di scuole cattoliche,
anche se sarei persino disposto a dare un
contributo personale sostanzioso all'unica
scuola cattolica che mi piacerebbe più di
quella statale, ovvero una scuola elementare
ispirata ai principi di Don Milani.
Di fronte ad uno scontro di interessi così
evidente, temo che le argomentazioni di Mill
a favore di un sistema di scuole private
abbiano scarsa possibilità di essere prese
in considerazione in modo obiettivo.
Mill, innanzi tutto, prende le mosse da un
ragionamento inoppugnabile, ovvero che è
diritto del padre di dare un'educazione al
figlio, ma è anche suo dovere. Annota tuttavia
che è molto improbabile che, al tempo in
cui scriveva, "quasi nessuno",
in Inghilterra, avrebbe tollerato che si
dicesse che "il padre fosse obbligato
a compierlo".
Scrive Mill: « Invece di essere tenuto a
compiere qualsiasi sforzo o sacrificio per
assicurare una educazione a suo figlio, può
scegliere se accettarla o meno quando viene
fornita gratis! Non si ammette ancora che
far venire al mondo un bambino senza avere
ragionevoli prospettive di potere non solo
procurargli alimento per il corpo, ma istruzione
e esercizio per la mente, è un crimine morale,
sia contro la sfortunata prole che contro
la società; nè che se non si adempie a quest'obbligo,
dovrebbe adempiervi lo Stato nella misura
del possibile a spese del genitore. (Requiem
per il laissez -faire assoluto: il genitore
non ha il diritto di tenere i propri figli
nell'ignoranza.)
Se venisse finalmente riconosciuto il dovere
di attuare l'istruzione universale, avrebbero
fine le controversie su che cosa e come,
lo Stato dovrebbe insegnare, che attualmente
trasformano la questione in un semplice terreno
di scontro tra sette e partiti, in cui il
tempo e gli sforzi che dovrebbero essere
impegnati nell'educazione sono sprecati a
litigare su di essa. Se il governo si decidesse
a esigere che ogni bambino riceva una buona
educazione, potrebbe evitarsi il disturbo
di fornirla: potrebbe lasciare ai genitori
il compito di trovare l'educazione dove e
come preferiscono, e limitarsi a pagare le
tasse scolastiche di quelli che sono completamente
privi di mezzi. Le obiezioni che vengono
giustamente mosse all'educazione di Stato,
non si applicano alla proposta che lo Stato
renda obbligatoria l'istruzione, ma che si
prenda carico di dirigerla; che è una questione
del tutto diversa.» (idem)
« Un'educazione di Stato generalizzata non
è altro che un sistema per modellare gli
uomini tutti uguali; e poichè il modello
è quello gradito al potere dominante - sia
esso il monarca, il clero, l'aristocrazia,
la maggioranza dei contemporanei - quanto
più è efficace e ha successo, tanto maggiore
è il dispotismo che instaura sulla mente,
e che per tendenza naturale porta a quella
del corpo. Un'educazione istituita e fondata
dallo Stato dovrebbe essere, tutt'al più,
un esperimento in competizione con molti
altri, condotto come esempio e stimolo che
contribuisca a mantenere un certo livello
qualitativo generale.» (idem)
Devo dire che le argomentazioni di Mill paiono,
col senno di poi, un pochetto fragili, visto
che sembra una costante il verificarsi tra
le generazioni di un atteggiamento anticonformista,
qualsiasi sia lo spirito dominante. Tanto
per fare un esempio, Stalin fu educato in
un seminario!
In realtà è certo vero che l'ambiente e la
cultura condizionano in modo decisivo la
formazione delle idee di un individuo, ma
non è affatto detto in quale direzione lo
condizioneranno. Una scuola clericale produrrà
inevitabilmente dei ribelli alla chiesa ed
una scuola statalista produrrà sicuramente
dei ribelli all'invasività dello stato, tanto
più pericolosi degli altri, in quanto perfetti
conoscitori del sistema che combattono. Sotto
questo profilo, pertanto, solo chi crede,
come i comportamentisti, che il maestro è
in grado di clonarsi nel discepolo, e di
fare di questo quello che vuole, può pensare
che il tipo di scuola non ottenga, spesso,
anche se non sempre, esattamente l'effetto
contrario a quello voluto. In sostanza: si
ha l'impressione che questa posizione di
Stuart Mill sull'istruzione finisca col negare
una delle tesi che stanno alla base della
sua filosofia, ovvero che l'individuo aspiri
in generale a maturare, a disporre completamente
di sè stesso, e alla libertà. Se così fosse,
qualunque sia il tipo di istruzione ricevuta,
egli non avrebbe pace finchè non avesse letto
i libri del "nemico" e scoperto
i punti deboli delle proprie idee, o di quelle
che è stato costretto ad accettare. Certo,
non tutti gli individui sono così, ma i migliori sono così. Bisogna davvero avere una scarsissima
considerazione dell'intelligenza umana per
credere che una qualsiasi scuola, una qualsiasi
dottrina conculcata, possa bloccare, per sempre, lo sviluppo di tutti gli individui e non solo di qualcuno.
Perchè lo stato minimo
A differenza di Marx, che sognò l'estinzione
dello stato dopo un improbabile percorso
di ritorno alla solidarietà tra gli uomini
contraddistinto da una mai ben precisata
"dittatura del proletariato", Mill
si limitò a considerare tutti i vantaggi
che sarebbero venuti ai singoli ed alla società,
se lo stato fosse diventato meno invasivo.
E su questo presentò una serie di argomentazioni
che ancor oggi conservano una intatta validità.
Mill sostenne che se una determinata azione
può essere condotta sia da singoli privati
che da agenti o funzionari statali, sarebbe
meglio ricorrere a privati, in quanto l'interesse
personale mette efficienza a tutto il meccanismo.
Non accennò alle controindicazioni, quali
la possibilità di speculazioni e l'instaurarsi
di monopoli, o di accordi tra diversi operatori
che portano di fatto ad un regime monopolistico,
come nel campo delle assicurazioni o del
petrolio attualmente; ma noi lo dobbiamo
considerare. Se non si smonta il cartello
assicurativo, se non si torna alla concorrenza,
sarebbe davvero suicida consegnare ai privati
l'assistenza e la previdenza, anche se io
sono dell'idea che bisogna sottrarre allo
stato quantomeno la previdenza sociale dei
lavoratori, e che occorrebbe uno sforzo diretto
di questi per gestire autonomamente i propri
fondi pensione. Lo stato non può usare i
fondi pensione dei lavoratori per fare assistenza
ai poveri. Questa è un'attività che deve
andare a carico di tutti i cittadini.
La seconda obiezione di Mill all'ingerenza
statale è semplicemente geniale: se ci troviamo
sempre la pappa fatta dallo stato, non cresceremo
mai sul piano della responsabilità civile.
Quindi, anche se è vero che in un primo tempo
un funzionario statale può essere più efficiente
di un privato cittadino, alla lunga questa
specializzazione reca con se il danno fondamentale
di cittadini disinteressati, o che sanno
solo lamentarsi, ma che sono incapaci o impossibilitati
a prendere iniziative.
Mill scrive che "questo specifico addestramento,
aspetto pratico della loro educazione politica
di uomini liberi, che li fa uscire dalla
ristretta cerchia dell'individualismo individuale
e familiare e li abitua a comprendere gli
interessi comuni e a organizzare iniziative
comuni", ... li porterà ad "ispirare
la propria condotta a fini che li unificano
invece di isolarli l'uno dall'altro."
Qui c'è un po' troppo ottimismo, ma la direzione
è quella giusta. Il sistema della protezione
civile inaugurato in Italia dopo le catastrofi
è solo un esempio delle moltissime applicazioni
delle idee di Mill. Io non sarei affatto
contrario ad estendere il servizio civile
a limitate funzioni di polizia urbana e di
quartiere.
« La terza e più valida ragione per limitare
l'interferenza dello Stato è la grande sciagura
costituita da un'inutile estensione del suo
potere. » (idem)
Ciò impedisce agli individui di essere attivi,
li rende parassiti del governo. Si verificherebbe
una tendenza dei migliori talenti e delle
migliori intelligenze ad entrare nei ranghi
della burocrazia statale, e questo comporterebbe,
come nella Russia zarista, il costituirsi
di una burocrazia elefantiaca e paralizzante,
definitivamente totalitaria, espressione
di quel motto che riassume l'essenza stessa
di tutte le burocrazie: tutto quello che non è espressamente autorizzato,
è vietato; l'esatto contrario di quel che dovrebbe
essere: potete fare tutto quello che non è vietato, e che è stato vietato per motivi ovvi a
chi sa ragionare.
Mill ha solo in parte colto la verità, perchè
in realtà il regime delle burocrazie esclude
che i migliori possano salire di grado, a
meno che non siano i migliori tra i raccomandati, o tra i portaborse.
Ma, di per se l'analisi è ugualmente corretta.
Di qui le memorabili parole che chiudono
On Liberty: «...uno Stato che rimpicciolisce i suoi
uomini perchè possano essere strumenti più
docili nelle sue mani, anche se a fini benefici,
scoprirà che con dei piccoli uomini non si
possono compiere cose veramente grandi, e
che la perfezione meccanica cui ha tutto
sacrificato alla fine non gli servirà a nulla,
perchè mancherà la forza vitale che, per
far funzionare meglio la macchina, ha preferito
bandire. » (idem)
continua Mill contro Comte e Spencer