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John Stuart Mill

La teoria della libertà

Il saggio On Liberty fu pubblicato nel 1858 e Stuart Mill credeva fermamente che sarebbe diventato il suo lavoro più popolare ed accreditato. I fatti gli diedero ragione, almeno relativamente al mondo di lingua inglese.
Le cose andarono un po' diversamente negli altri paesi, specie in quelli latini. Nella Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano, ad esempio, non esiste un paragrafo che riassuma il libro a grandi linee.
Anche in Germania il libro ebbe poca fortuna, nonostante alcune opere di Mill fossero state tradotte e diffuse da scienziati quali Justus von Liebig. E questo è singolare perchè, se ci fu un pensatore che ebbe una profonda influenza su Mill proprio sulla concezione del libero sviluppo dell'individuo, questi fu il tedesco Wilhelm von Humboldt. Il problema è che nemmeno von Humboldt fu particolarmente popolare nella cultura tedesca, nonostante nella stessa Berlino Est, l'università più importante portasse il suo nome.
Non simpatizzo granchè con l'estremismo liberista di von Hayek, ma la sua analisi del fronte comune che socialisti e reazionari tedeschi eressero insieme, e non certo volontariamente, contro il pensiero libertario ed individualistico inglese, mi pare sufficientemente lucida ed argomentata, anche se utilizzata nell'ambito di un ragionamento tendente a dimostrare che il nazionalscialismo aveva origini socialiste, e dimentico del fatto che il socialismo, aveva, a sua volta, origini liberali. (F.A.Von Hayek - La via della schiavitù - Rusconi - Milano, 1995) Ma come sarebbe insensato imputare ai padri del pensiero liberale la nascita del socialismo, credo sia altrettanto insensato imputare a socialisti come Saint-Simon o Fourier, o l'inglese Hodgkins, la genesi del nazismo. Del resto è evidente che, se nel pensiero socialista esistono anche tratti totalitari, nel pensiero liberale esistono anche tratti superindividualistici regressivi, che portano, cioè, all'affermazione del diritto del più forte, del più astuto e del più brutale. Ed è indubbio che le concezioni razziste del nazismo in ordine alla razza ariana poggino esattamente su questo: il diritto del più forte a sbarazzarsi delle impurità razziali ed etiche del più debole, di ciò che "inquina" la società civile. Ma sarebbe sensato imputare ai liberisti la paternità del nazismo?

Inoltre, a mio avviso, non è corretto assimilare la teoria milliana della libertà ad una filosofia dell'individualismo, opposta a quelle della coscienza sociale e della responsabilità. Così facendo si perde di vista uno degli argomenti forti di Stuart Mill, ovvero che la libertà dei moderni necessita di una società e che, per esercitare pienamente la libertà, occorre una coscienza diffusa della società. Le stesse argomentazioni di von Hayek poggiano, del resto, su una un'esperienza storica ed una determinata visione della società.

Quella che Mill presentò in poche pagine fu una teoria dei diritti dell'individuo, culminante in una serie di rivendicazioni del tutto ragionevoli. Certamente è incompatibile con qualsiasi forma di società totalitaria; ma risulta anche incompatibile con qualsiasi società talmente libera da potersi riclassificare come selvaggia, ovvero una società nella quale a dominare sono nuovamente i più forti od i più astuti. Il presupposto indispensabile, la condizione necessaria allo sviluppo della libertà, anche secondo Mill, è l'esistenza di una società civile avanzata, regolata da uno stato, minimo, di diritto. E questo, inevitabilmente, riporta alla qualità dei cittadini, non solo individui portatori di diritti, ma anche di doveri civici. La qualità di uno stato è, a lungo andare, determinata dalla qualità dei suoi cittadini.

Lungi dall'essere una semplice apologia della libertà di opinione e di espressione, la teoria milliana mostra fino a che punto la libertà sia necessaria quanto l'aria che respiriamo e l'acqua che beviamo, ma anche, quanto spesso, ci occorra che la libertà degli altri sia limitata, onde impedire che, prendendosi troppe libertà, interferiscano pesantemente nella nostra vita.
On Liberty non fu, quindi, un manifesto a senso unico, bensì un lavoro problematico; per questo molti principi enunciati dovrebbero essere alla base delle costituzioni politiche più avanzate.
Queste ragioni sarebbero sufficienti a fare di On liberty è uno dei dieci libri di carattere filosofico che bisogna leggere anche se non si vuole diventare filosofi.
Altri motivi sono che lo scritto brulica di considerazioni "intelligenti" che forniscono diversi stimoli e che io non posso riportare in toto pena una sorta di clonazione del libro stesso. Mi limiterò pertanto a fornire solo alcune stuzzicanti tentazioni alla lettura.

La libera circolazione delle idee presenta indubbi vantaggi ma, comporta rischi. Uno di questi è che si venga ad instaurare un regime della mediocrità, quella tirannia della maggioranza e del conformismo già evidenziati da Tocqueville. Nietzsche avrà, in fondo, buon gioco nel denunciare tutte gli appiattimenti della mediocrità in nome di eroi sovrumani anticonformisti, antisocialisti ed antiliberali.
Mill, molto più razionale e meno isterico di Nietzsche, individuò anche il terreno fecondo nel quale il germe della mediocrità trova l'ambiente ideale per svilupparsi. Gli uomini che non pensano necessitano di qualcuno che pensi per loro e lo trovano tra chi gli è più affine, chi sa meglio interpretare, in modo demagogico, il loro stato d'animo.
Scrive: « E novità ancora maggiore, oggi, le masse non ricevono più le loro opinioni dalle gerarchie ecclesiastiche e statali, da capi visibili o dai libri. Chi pensa per loro conto sono uomini molto simili a loro, che li arringano o parlano a loro norma, sull'impulso del momento, attraverso i giornali. Non mi sto lamentando. Non affermo che il basso livello intellettuale dell'umanità consentirebbe, in generale, qualcosa di meglio. Ma ciò non toglie che il governo della mediocrità sia un governo mediocre.» (On Liberty - capitolo III)
Questo sembra essere il destino della democrazia, ma dopo le prove ripugnanti fornite dalle teorie opposte, non ci resta che tenerci stretta la libertà civile proposta da Mill. Ma non senza aver prima considerato anche i vantaggi di una corretta dialettica democratica.

I vantaggi della democrazia
Scrive Mill: «Anche in politica è quasi un luogo comune che un partito dell'ordine o della stabilità e un partito del progresso o delle riforme sono entrambi elementi necessari di una vita politica sana, fino a quando uno dei due non avrà così ampliato la sua visione delle cose da diventare partito ugualmente d'ordine e di progresso, che sappia distinguere ciò che va conservato da ciò che va abolito.
Ambedue questi atteggiamenti mentali derivano la loro utilità dalle carenze dell'altro; ma è in larga misura l'opposizione dell'altro a mantenerli entrambi nei limiti della ragione. Se le opinioni favorevoli alla democrazia e all'aristocrazia, alla proprietà e all'uguaglianza, alla cooperazione e alla competizione, al lusso e alla frugalità, alla socialità e all'individualità, alla libertà ed alla disciplina, e a tutte le altre opposizioni intrinseche alla vita quotidiana, non vengono espresse con uguale libertà e fatte rispettare con uguale talento ed energia, non vi è alcuna probabilità che i due elementi ricevano un trattamento equo: la bilancia penderà certamente da una parte o dall'altra. Nei grandi problemi pratici della vita, la verità è una questione di conciliazione e combinanzione degli opposti, a tal punto che pochissime menti sono abbastanza vaste ed imparziali da riuscirne a dare una soluzione anche solo parzialmente corretta, che quindi finisce col dipendere da un caotico processo conflittuale tra opposte fazioni. In ognuna delle grandi questioni aperte che ho elencato, se delle due opinioni ve n'è una che ha maggior diritto non solo a essere tollerata ma a venire incoraggiata e favorita, è quella che in un dato momento e luogo è in minoranza. Rappresenta allora gli interessi trascurati, quegli aspetti del benessere umano che rischiano di ottenere meno attenzione di quanta è loro dovuta.» (On Liberty - capitolo II - Della libertà di pensiero e discussione)

La tolleranza
Il punto più fecondo di On liberty sta nel superamento del vecchio concetto di tolleranza. Prima di Mill, e forse con l'eccezione di Pierre Bayle, Locke e Voltaire, la tolleranza era soprattutto concepita come una sopportazione. Di fatto non veniva alcun vantaggio dal tollerare le idee giudicate sbagliate od eretiche. In alcuni casi, anzi, era necessario combatterle, se non censurarle, per evitare i pericoli connessi alla loro diffusione. John Locke, che pure con gli scritti sulla tolleranza della maturità aveva affermato il diritto alla libertà religiosa, aveva, tuttavia, detto che l'ateismo era intollerabile, con ciò limitando gravemente il concetto stesso di tolleranza all'espressione delle proprie credenze, delle quali solo alcune permesse.
Per Mill la tolleranza divenne, al contrario, un elemento indispensabile alla crescita intellettuale ed alla stessa vitalità del pensiero. Anche se l'uomo fosse pervenuto alla verità , e non v'era dubbio, per Mill, che su alcuni terreni, ad esempio le verità matematiche, questo fosse già accaduto, la sistematica rinuncia a confrontarsi con gli errori veri e presunti di vecchi e nuovi punti di vista, avrebbe portato ad un esaurimento unilaterale e dogmatico , ad una caduta di tensione che avrebbe comportato una perdita di vitalità sociale.
Quello che vale per società, vale anche per il singolo. L'uomo ha tutto da guadagnare a mettersi in opposizione alle proprie idee e sollevare contro di esse tutte le obiezioni possibili, guardando soprattutto ai fatti. E questo, secondo Mill, non solo tornerebbe utile nelle discussioni, ma potrebbe e dovrebbe aiutarci a mettere a fuoco parti di verità che le nostre impostazioni unilaterali non sono state in grado di evidenziare.
Riporto qui uno dei passaggi centrali.

Argomenti forti per la libertà di opinione
« Abbiamo quindi riconosciuto la necessità - scrive Mill -, ai fini del benessere mentale dell'umanità (da cui dipende ogni altra forma di benessere), della libertà di opinione e della libertà di espressione, per quattro distinte ragioni che ora ricapitoleremo brevemente:
In primo luogo, ogni opinione costretta al silenzio può, per quanto possiamo sapere con certezza, essere vera. Negarlo significa presumere di essere infallibili.
In secondo luogo, anche se l'opinione repressa è un errore, può contenere, e molto spesso contiene, una parte di verità; e poichè l'opinione generale o prevalente su qualsiasi questione è raramente, o mai l'intera verità, è soltanto mediante lo scontro tra opinioni opposte che il resto della verità ha una probabilità di emergere.
In terzo luogo, anche se l'opinione comunemente accettata è non solo vera ma costituisce l'intera verità, se non si permette che sia, e se in effetti non è, vigorosamente e accanitamente contestata, la maggior parte dei suoi seguaci l'accetterà come se fosse un pregiudizio, con scarsa comprensione e percezione dei suoi fondamenti razionali. Non solo, ma quarto, il significato stesso della dottrina rischierà di affievolirsi o svanire, e perderà il suo effetto vitale sul carattere e il comportamento degli uomini: come dogma, diventerà un'asserzione puramente formale e priva di efficacia benefica, e costituirà un ingombro ed un'ostacolo allo sviluppo di qualsiasi convinzione, reale e veramente sentita, derivante dal ragionamento o dall'esperienza personale.» (cap. II - Della libertà di pensiero e discussione)

Caratteri generali
Fin dalla prime righe dell'introduzione del Saggio sulla libertà Stuart Mill afferma che l'oggetto della trattazione non è la libertà del volere, ma la libertà civile, cioè la libertà di poter fare, di poter credere e non credere, e poter esprimere la propria opinione.
Ciò, non solo comporta per Mill uno sviluppo della libertà, ma diviene fattore di dinamica sociale, di crescita civile e di sviluppo delle intelligenze individuali. La vera ricchezza di un popolo è la sua intelligenza ed il suo senso critico, la sua "varietà di caratteri". La parola pluralismo non era di moda ai tempi di Mill e quindi non ricorre nel testo; tuttavia potremmo dire che Stuart Mill fu il teorico del pluralismo, cioè dell'idea che opinioni diverse e anche contrastanti, purchè espresse in forma corretta e civile (ma anche a costo di qualche irriverenza e di grandi polemiche), siano un elemento positivo, uno stimolo e non una confusione od una complicazione.
Mill fu quindi il primo critico lucido e consapevole del modello totalitario e, col senno di poi, potremmo dire che egli comprese la differenza tra una semplice dittatura che vieta la democrazia e nega i diritti civili, ma non ordina quale tipo di mutande uno deve indossare, ed una oppressione ideologica che, al contrario, pretende di controllare la vita di tutti prescrivendo ogni comportamento, ogni gusto, ogni pensiero e così via.
Ancora col senno di poi, potremmo osservare che una tirannia totalitaria non ha bisogno di una forma di governo dittatoriale per realizzarsi: la democrazia, anche se non le è del tutto congeniale, non le è nemmeno del tutto sfavorevole, ed il possesso dei media, il monopolio della cultura, il sistema di istruzione e altro ancora, possono concorrere in misura ancora più efficace che una brutale dittatura a costruire conformismo e mancanza di senso critico.

Lo scopo del saggio di Mill "è formulare un principio molto semplice": « Il principio è che l'umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà d'azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. Il bene dell'individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente. Non lo si può costringere a fare o non fare qualcosa perchè è meglio per lui, perchè lo renderà felice; perchè, nell'opinione altrui, è opportuno o perfino giusto: questi sono buoni motivi per discutere, protestare, persuaderlo o supplicarlo, ma non per costringerlo o punirlo in alcun modo nel caso si comporti diversamente.» (On liberty - Introduzione)
E prosegue:« Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l'aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su sè stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano.
E' forse superfluo aggiungere che questa dottrina vale solo per esseri umani nella pienezza delle loro facoltà. » (idem)
Indubbiamente si tratta di una formulazione importante, soprattutto alla luce del fatto storico che siamo storicamente nel pieno sviluppo dell'imperialismo e del colonialismo, e che l'Europa, pur ancora profondamente divisa da rivalità nazionali, stava operando la conquista del mondo e la sua globalizzazione, imponendo il proprio modello di sviluppo, la propria cultura, la propria religione a tutti i popoli del pianeta. E spesso solo i lati peggiori di queste.
L'idea di Mill è che se una credenza od uno stile di vita sono migliori, non hanno alcun bisogno di essere imposti. Gli individui in condizione di deliberare autonomamente sulla propria vita sceglieranno per il meglio. (Aristotele dixit)
Tuttavia, è qui siamo di fronte a problemi che si sono realmente posti e si pongono tuttora: che fare di fronte ad un regime sociale che pratica sacrifici umani, il cannibalismo o la soppressione delle vedove bruciandole sul rogo? L'imperialismo inglese si è spesso trovato di fronte a problemi di questa natura. Tuttora in certe zone dell'India sopravvive il culto della dea Kalì e non è un mistero che essa reclami sacrifici di sangue, persino di bambini e giovani vergini.
Nei paesi dell'integralismo islamico, specie in Iran e in Afghanistan, i libri sono censurati, le donne devono indossare lo chador e la diffusione di idee religiose o filosofiche diverse da quelle degli imam e dei talebani è seriamente perseguitata.
Possiamo considerare questi signori come esseri umani non in possesso delle loro facoltà, e quindi sentirci in diritto di esonerarli?
Oppure si ritiene che la dottrina della non interferenza negli affari interni di un paese, peraltro costantemente ignorata quando sono in ballo dollari, business, oppure interessi giudicati vitali come la sicurezza, debba prevalere sul principio della sacralità della vita umana e sul diritto alla libertà?
Mill affrontò il problema evitando un attacco frontale e limitandosi a considerazioni, peraltro acute, sui Mormoni.
Il problema è dato dalla poligamia. «L'aspetto della dottrina mormone che maggiormente provoca avversione e scatena un'insolita intolleranza religiosa è il permesso di praticare la poligamia, che, anche se consentita a musulmani, indù e cinesi, sembra suscitare un'implacabile animosità se praticata da persone che parlano inglese e si dichiarano una sorta di cristiani. Nessuno disapprova più di me quest'istituzione mormone; tra l'altro anche perchè, lungi dal rappresentare un'espressione del principio della libertà, lo viola direttamente, poichè non fa che ribadire le catene di una metà della comunità e emancipare l'altra dalla reciprocità dell'impegno nei suoi confronti.
Eppure va ricordato che le donne coinvolte in questo tipo di rapporto - che possono esserne considerate la parte lesa - l'accetta altrettanto volontariamente che qualsiasi altra forma di matrimonio: e ciò, per quanto sembri soprendente, trova spiegazione nelle opinioni e nelle usanze comuni che, insegnando alle donne che il matrimonio è la sola cosa che conti, fanno sì che molte preferiscano essere una moglie insieme a parecchie altre piuttosto di non esserlo del tutto.» (On liberty - IV)
Di fronte alla proposta di fare opera di civilizzazione tra i Mormoni, Mill scrisse: « ... ma non mi risulta che una comunità abbia il diritto di costringere un'altra ad essere civilizzata. Purchè le vittime di una legge iniqua non invochino l'aiuto di altre comunità, non possono ammettere che persone del tutto estranee intervengano ed esigano che si ponga fine a una situazione, di cui tutti i diretti interessati sembrano soddisfatti, perchè da scandalo a gente lontana migliaia di miglia e senza alcun titolo o motivo per interferire. Mandino dei missionari, se ne hanno voglia...» (On liberty - IV)
La conclusione di Mill è peraltro incisiva sotto un altro aspetto: le crociate vengono spesso attuate per paura che certe pratiche inferiori ritornino nelle civiltà dette superiori, e che le barbarie possano ritornare.
In proposito Mill scrisse: « Una civiltà che può soccombere in questo modo al nemico che ha già battuto in precedenza deve essere prima arrivata a un tale punto di degenerazione, che nè i suoi sacerdoti e maestri designati nè chiunque altro hanno la capacità, o la voglia di difenderla. Se le cose stanno così, prima una tale civiltà riceve l'ordine di andarsene meglio è: può solo continuare a peggiorare (come accadde all'Impero d'Occidente) finchè dei barbari vigorosi non la distruggano e la rigenerino. » (idem)
Una delle cause della degenerazione sta probabilmente nel rammollimento degli animi e nell'eccesso di prosperità, ma anche dalla mancanza di vitalità; solo particolari individui, dotati di genio ed eccentricità, secondo Mill, possono portare importanti contributi per rinnovare gli stili di vita. Ma la tirannia della mediocrità è spesso ferocemente contraria alle innovazioni, ed è questo che conduce alla rovina.

I tre principi della libertà
In estrema sintesi il saggio di Mill afferma le tre libertà civili fondamentali:
1) libertà di coscienza, pensiero e parola
2) libertà dei gusti, ovvero perseguire le soddisfazioni dei propri desideri come si preferisce
3) la libertà di associazione
La seconda è molto importante, perchè Mill credeva nella differenza tra persone, e non credeva ammissibile che una società ordini di essere vegetariani o vieti la carne di maiale. Fu quindi antiproibizionista ante-litteram in un clima culturale come quello anglosassone, spesso portato a strafare sul piano del proibizionismo per il bene della persona.
Poichè queste limitazioni alla libertà furono di origine puritana, la polemica contro questa tradizione assai viva nel mondo anglosassone, ci sembra per tanti aspetti estranea, ma ha la sua importanza. Nella sua forma estrema la dottrina puritana voleva proibire le feste, le danze, i luoghi di ritrovo, il teatro (nella terra di Shkespeare!) e nemmeno tra i cattolici si vide qualcosa del genere.
L'unico limite posto alla propria soddisfazione, è quello di non ledere il diritto altrui. Ciò significa, per intenderci, che se la pedofilia è un crimine, perchè fa violenza ai bambini, l'omosessualità è il diritto di una minoranza, anche se estremo, e proibirla o perseguitarla è un crimine a sua volta.
La difesa della libertà di associazione evidenzia in ogni caso che Mill non fa dell'individualismo fine a sè stesso, puramente estetico. In altri scritti essa è rivendicata con una maggior messe di argomenti, specie in ordine alla questione del miglioramento delle condizioni dei lavoratori e quindi al diritto di questi di organizzarsi in sindacati. Ma in generale si avverte il disagio di Mill quando è costretto a misurarsi con il principio del laissez faire portato alle estreme conseguenze. Era contro la sua natura imporre qualcosa dall'alto o dall'esterno, ma era altrettanto consapevole del fatto che in alcuni casi è indispensabile farlo.
Nei Principi egli aveva scritto a chiare lettere che la riduzione dell'orario di lavoro da dieci a nove ore avrebbe dovuto essere imposta per legge, essendo improbabile che i lavoratori potessero imporla con l'azione sindacale.
Tutto questo può apparire contraddittorio, ma in fondo non lo è affatto. Stabiliti i principi, ci si trova spesso a dover considerare le eccezioni, i casi estremi nei quali quei principi non valgono più, perchè, se valessero, ne andrebbe di mezzo qualcosa di più vitale.
Certo, non si deve uccidere, ma diventa lecito farlo o per difendere se stessi, oppure qualcun altro.

La responsabilità dell'individuo verso se stesso
Ovviamente il più alto grado di libertà espone l'individuo al rischio di non essere in grado di badare a se stesso e quindi di essere veramente responsabile di se stesso. Ciò, volenti o nolenti, impone un confronto con dottrine laiche e religiose che negano all'uomo il libero arbitrio e lo rappresentano come un balocco in balia delle proprie passioni e del destino. Personalmente non le ritengo accettabili, soprattutto per il fatto che ignorano che la tradizione filosofica greca aveva già affermato, attraverso Socrate, che era possibile ragionare sul bene dell'individuo, e che una volta conosciuto il bene, era anche possibile sottrarsi al male; ma è evidente che esse contengano un minimo di verità, quel tanto che basta a considerare che vi sono individui, ancor oggi, su questo pianeta, e sono tantissimi, che non dispongono affatto di libero arbitrio, perchè sono, innanzi tutto, ignoranti, immaturi ed imbelli. E solo in parte è colpa loro.
Ovviamente è in queste dottrine che si cela il germe del totalitarismo, ovvero l'idea insana che tutti gli uomini abbiano bisogno di essere guidati passo a passo e in ogni cosa da illuminati, i quali sono l'espressione della grazia e della provvidenza divina.
E' la filosofia dei militaristi americani (esemplare il colonnello interpretato da Jack Nicholson nel film Codice Rosso), degli ideologhi sovietici, delle decine di guru indiani che vengono a spiegarci com'è fatto il mondo, di tanti pontefici di santa madre chiesa, i quali, certamente, mai posero un limite alle loro letture ( e fecero bene), ma considerando l'insieme dei fedeli come un popolo di immaturi, non si fecero scrupolo di proibire determinati libri, e di sentirsi autorizzati a concedere speciali licenze per poter leggere le opere più audaci.
Si badi che al riguardo Mill fu sempre molto equilibrato e prudente: ha diritto alla libertà una persona matura, quindi quantomeno maggiorenne. Il problema tuttora irrisolto è come si diventa davvero maggiorenni, se stando alla larga dal brutto e dal perverso del mondo, e comunque combattendo quotidianamente con il desiderio represso, oppure, se provandolo a spese proprie, facendo qualche cattiva e punitiva esperienza.

Nel sesto capitolo del Sistema di logica Mill aveva anche affrontato il problema della libertà del volere, centrando il discorso su come un individuo possa modificare il proprio grado di indipendenza dal mondo, sottraendosi al meccanicismo degli stati psicologici ed ai condizionamenti culturali ed ambientali.
Ovviamente, va inteso che il discorso sulla libertà civile è una prosecuzione di quel discorso sull'autonomia del soggetto dalle proprie passioni. Al proposito c'è un passaggio notevole anche nel Saggio sulla libertà: «In una certa misura si ammette che che il nostro intelletto spetta a noi; ma non vi è la medesima disposizione ad ammettere che anche i nostri desideri e impulsi sono di nostra competenza, o che avere impulsi propri, forti o deboli che siano, possa costituire altro che un pericolo od una tentazione. E tuttavia desideri ed impulsi sono parte di un perfetto essere umano altrettanto quanto le sue convinzioni e le restrizioni cui è sottoposto; e gli impulsi vigorosi sono pericolosi solo in una situazione di squilibrio, quando un gruppo di intenzioni e tendenze si sviluppa e si rafforza mentre altre, che dovrebbero essere altrettanto presenti, restano deboli e inattive. Non è perchè i loro desideri sono vigorosi che gli uomini agiscono male; è perchè le loro coscienze sono deboli.» (On Liberty - cap. III)

Nel IV capitolo di On liberty, intitolato Dei limiti all'autorità della società sull'individuo, Mill comincia a trattare la questione partendo dal dovere, cioè l'insieme dei debiti che l'individuo ha contratto nei confronti della società. E ciò non è un caso: il senso del dovere è una delle prove che siamo maturati e quindi responsabili di noi stessi.
Scrive: « Anche se la società non si basa su un contratto, e sarebbe inutile inventarne uno per dedurne degli obblighi sociali, chiunque riceva la sua protezione deve ripagare il beneficio, e il fatto di vivere in società rende indispensabile che ciascuno sia obbligato ad osservare una certa linea di condotta nei confronti degli altri. Questa condotta consiste, in primo luogo, nel non danneggiare gli interessi reciproci, o meglio certi interessi che, per esplicita disposizione di legge o per tacito accordo, dovrebbero essere considerati diritti; e secondo, nel sostenere la propria parte (da determinarsi in base a principi equi) di fatiche e sacrifici necessari per difendere la società o i suoi membri da danni e molestie. La società ha diritto di far valere a tutti i costi queste condizioni nei confronti di coloro che tentano di non adempiervi.» (On liberty - IV)

Ovviamente chi non adempie a quelli che sono i doveri elementari merita sanzioni negative. Ma anche la società e lo stato che esagerino i doveri sono da biasimare. « Gli atti di un individuo possono arrecare danno ad altri o non tenere in giusta considerazione il loro benessere, senza giungere al punto di violare alcuno dei loro diritti costituiti. In questo caso il colpevole può essere giustamente condannato dall'opinione, ma non dalla legge. Non appena qualsiasi aspetto della condotta di un individuo diventa pregiudiziale degli interessi altrui, ricade sotto la giurisidizione della società, e ci si può chiedere se questa interferenza giovi o meno al benessere generale. Ma tale questione non si pone in alcun modo quando la condotta di un individuo coinvolge soltanto i suoi interessi, o coinvolge quelli di altre persone consenzienti (tutti essendo maggiorenni e dotati di normali facoltà mentali). In questi casi, vi dovrebbe essere piena libertà, legale e sociale, di compiere l'atto e subirne le conseguenze. »( Idem)
E qui Mill si sente in obbligo di precisare che questa sua posizione non è certo ispirata ad una specie di egoistica indifferenza.
« Al contrario - scrive - gli sforzi disinteressati per il bene altrui non vanno diminuiti, ma grandemente aumentati. Ma la benevolenza disinteressata può persuadere gli uomini a compiere il proprio bene senza far uso di sferze e flagelli, letterali o metaforici che siano. Sono l'ultimo a sottovalutare le virtù verso se stessi: per importanza sono seconde, se lo sono, soltanto a quelle sociali. Tocca all'educazione coltivarle entrambe: ma anche l'educazione opera con la convinzione e la persuasione oltre che con la costrizione, e solo mediante le prime due, finito il periodo educativo, dovrebbero essere insegnate le virtù verso sè stessi.» (Idem)
Su questo punto devo dire che dissento da Stuart Mill: le virtù verso se stessi, il codice di autocontrollo, sono alla base del sistema educativo. Se un ragazzo non impara prima ad amare se stesso ed a mettere la propria salute e la propria integrità prima di ogni altra cosa, non potrà mai, non dico imparare, ma nemmeno imparare ad imparare.

Natura e limiti del potere che la società può esercitare sull'individuo
La questione fondamentale per Mill consiste nello stabilire che la libertà civile o sociale è determinata dalla natura e i limiti del potere che la società può esercitare sull'individuo.
« Questione raramente enunciata - scrive -, e quasi mai discussa in termini generali, ma la cui presenza latente influisce profondamente sulle polemiche quotidiane del nostro tempo, e che probabilmente si paleserà ben come il problema fondamentale del futuro. E' così poco nuova che, in un certo senso, ha diviso l'umanità quasi fin dai tempi più remoti; ma allo stadio di progresso cui sono ora giunti i settori più civilizzati della nostra specie, si presenta alla luce di condizioni nuove e richiede di essere trattata in modo diverso e più fondamentale. » (On Liberty - Introduction)
Esaminata la storia antica e considerato che il problema della libertà fu innanzi tutto un problema di difesa dalla tirannia di un despota vorace, "il re degli avvoltoi", necessario a tenere a bada gli altri avvoltoi, Mill afferma che " a un certo punto del progresso umano, gli uomini cessarono di pensare che i governanti dovessero necessariamente essere un potere indipendente, con interessi opposti ai propri, e giudicarono molto preferibile che i vari magistrati dello Stato ricevessero in concessione l'esercizio del potere..."
« Gradualmente, questa nuova richiesta di governo temporaneo ed elettivo divenne l'obiettivo principale dell'azione dei partiti popolari ovunque essi esistessero, sostituendosi in larga misura ai precedenti tentativi di limitare il potere dei governanti.
Con lo sviluppo della lotta per fare emanare il potere dalla scelta periodica dei governanti, alcuni cominciarono a pensare che si era attribuita troppa importanza alla limitazione del potere in quanto tale, limitazione che a loro giudizio andava invece considerata un'arma contro quei governanti i cui interessi si contrapponessero abitualmente a quelli popolari.» (idem)

Solo di fronte alla realtà della rivoluzione francese, secondo Mill, ci si rese conto che espressioni come "autogoverno" o "potere del popolo su se stesso" non esprimevano il vero stato delle cose in quanto il cosidetto autogoverno non era il governo di ciascuno su sè stesso, ma quello di tutti gli altri su ciascuno.
Questo ha portato al riconoscimento che esiste una tirannia della maggioranza e che esso è uno dei mali da cui la società deve guardarsi.
« Come altre tirannie, quella della maggioranza fu dapprima - e volgarmente lo è ancora - considerata, e temuta, soprattutto in quanto conseguenza delle azioni delle pubbliche autorità. Ma le persone più riflessive compresero che, quando la società stessa è il tiranno - la società nel suo complesso, sui singoli individui che la compongono -, il suo esercizio della tirannia non si limita agli atti che può compiere per mano per mano dei suoi funzionari politici. La società può eseguire, ed esegue, i propri ordini: e se gli ordini che emana sono sbagliati, o comunque riguardano campi in cui non dovrebbe interferire, esercita una tirannide sociale più potente di di molti tipi di oppressione politica, poichè, anche se generalmente non viene fatta rispettare con pene altrettanto severe, lascia meno vie di scampo, penetrando più profondamente nella vita quotidiana e rendendo schiava l'anima stessa. Quindi la la protezione del magistrato non è sufficiente: è necessario anche proteggersi dalla tirannia dell'opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali, le proprie idee ed usanze a chi dissente, a ostacolare lo sviluppo - e a prevenire, se possibile, la formazione - di qualsiasi individualità discordante, e a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello. Vi è un limite alla legittima interferenza dell'opinione collettiva sull'indipendenza individuale: e trovarlo, e difenderlo contro ogni abuso, è altrettanto indispensabile alla buona conduzione delle cose umane quanto la protezione del dispotismo politico. » (idem)

Stuart Mill vide quindi lucidamente il pericolo del conformismo non solo come una tendenza all'uniformità da parte delle masse, ma come un manifestarsi di crescente intolleranza da parte della società e delle masse nei confronti di ogni forma di dissenso, non solo politico, ma anche etico, sul piano delle scelte di vita.
« Vi è un limite - scrive - alla legittima interferenza dell'opinione collettiva sull'esperienza individuale: e trovarlo, e difenderlo contro ogni abuso, è altrettanto indispensabile alla buona conduzione delle cose umane quanto la protezione dal dispotismo politico.»
Tutto questo pone dei problemi inediti. Vi è la necessità di imporre regole in campi che non si prestano a legislazione.
Nello studio delle tradizioni e delle consuetudini delle diverse civiltà si vede quanto queste stesse abitudini contratte siano diventate regole ovvie e autogiustificantesi al punto da sembrare naturali.
Ma - osserva Mill - l'illusione universale della naturalità degli stili di vita è solo un esempio della magica influenza della consuetudine.
Essa non è solo una seconda natura, "ma sovente viene scambiata per la prima".
« L'efficacia della consuetudine nel prevenire ogni dubbio sulle norme di condotta che gli uomini si impongono a vicenda è tanto più completa perchè l'argomento è uno di quelli su cui non viene generalmente considerato necessario fornire spiegazioni, nè a gli altri nè a se stessi. Gli uomini sono abituati a credere, e a ciò sono stati incoraggiati da alcuni che aspirano a essere definiti filosofi, che in questioni di tale natura i loro sentimenti siano meglio delle ragioni e le rendano inutili. Il principio pratico che forma le loro opinioni sulle regole della condotta umana è il sentimento, da parte di ciascuno, che a ciascuno dovrebbe essere prescritto di agire come piacerebbe a lui e coloro con cui simpatizza. E' vero che nessuno ammette a se stesso che il suo criterio di giudizio è il suo gradimento; ma un'opinione su un dato tipo di condotta, che non sia confortata da ragioni, può solo essere considerata una preferenza individuale; e se le ragioni addotte sono semplicemente un appello a una simile preferenza condivisa da altri, l'opinione è solo il gradimento di molti invece che uno.» (idem)

La gente vuole che il figlio di uno schiavo continui a fare lo schiavo, che la figlia del possidente concluda un buon matrimonio, e che il figlio del medico prosegua la professione paterna. Qui è chiaro che significa il desiderio dei benpensanti e la tirannia della maggioranza. Da sempre uno dei luoghi più comuni del pensiero della tirannia della maggioranza è che ognuno debba stare al suo posto, in particolare la canaglia plebea.

Mill è particolarmente pungente su questo punto: gli individui desiderano che la condotta etica degli altri, di ciascuno degli altri, sia conforme alla propria visione del mondo indipendentemente da ciò che ciascuno degli altri è realmente e potrebbe essere capace di fare.
Qual'è la causa? « Talvolta è la ragione - scrive Mill - tal altra i pregiudizi o le superstizioni; spesso le passioni sociali, non di rado quelle antisociali, l'invidia o la gelosia, l'arroganza o il disprezzo; ma soprattutto i desideri o le paure per se stessi - gli interessi personali, legittimi o illegittimi. Dovunque vi sia una classe dominante, la morale del paese emana, in buona parte, dai suoi interessi di classe e dai suoi sentimenti di superiorità di classe. L'etica dei rapporti tra Spartani ed Iloti, tra piantatori e negri, tra principi e sudditi, tra nobili e roturiers, tra uomini e donne è stata per la maggior parte creata da questi interessi e sentimenti di classe, e i sentimenti così generati reagiscono a loro volta sulla morale dei membri della classe dominante nei loro rapporti reciproci. Dove, d'altra parte, una classe non sia più dominante, o il suo predominio sia impopolare, i sentimenti morali prevalenti sono frequentemente improntati a un'impaziente avversione per la sua superiorità.» (idem)

Il servilismo degli uomini nei confronti dei loro "signori temporali", od anche dei loro dei, ha concorso in egual misura a determinare norme di condotta imposte dalla legge e dall'opinione dominante. Mill non lo identifica con l'ipocrisia ma con un sentimento di orrore genuino (diremmo noi: per il diverso) che ha portato a bruciare maghi ed eretici.
I sentimenti più che gli elementi razionali, le simpatie e le antipatie, hanno avuto un grande peso nell'affermazione della morale sociale.
Per Mill si era davanti ad un fatto storico curioso: quelli il cui pensiero era più avanzato rispetto al proprio tempo, "hanno evitato di attaccare in lineo di principio questo stato di cose" preferendo tentare di "modificare i sentimenti degli uomini rispetto alle questioni particolari su cui essi stessi erano degli eretici, piuttosto che far causa comune con gli eretici in generale per difendere la libertà".
Ma ciò, ovviamente ha una spiegazione: tra l'eretico e l'ortodosso esiste una continuità totalitaria ed è molto probabile che l'eretico vincente sveli ben presto il suo vero carattere di ortodosso fanatico, persuaso di detenere tutta la verità. Scrive infatti Mill:« Coloro che per primi spezzarono il giogo di quella che si definiva Chiesa Universale erano in generale altrettanto poco inclini di quest'ultima a permettere differenze di opinione religiosa. Ma, quando si spense la vampata del conflitto senza che nessun contendente riportasse completa vittoria, ed ogni chiesa o setta si trovò costretta a limitare le proprie speranze al mantenimento del terreno che in quel momento occupava, le minoranze, consce di non avere alcuna possibilità di diventare maggioranze, dovettero necessariamente richiedere a coloro che non potevano convertire il permesso di dissentire.» (idem)

Così va il mondo, sembra sospirare Mill, e non ci resta che insistere.

Il diritto alla protesta e all'azione politica
Nella difesa sistematica del diritto d'opinione Mill arriva a dire: « L'opinione che i mercanti di grano sono degli affamatori dei poveri, o che la proprietà privata è un furto, non dovrebbe essere molestata se viene semplicemente diffusa per mezzo della stampa, ma può incorrere in una giusta punizione se viene proferita di fronte ad una folla eccitata riunitasi davanti alla casa di un mercante di grano.»
Questa considerazione è notevole perchè in sostanza dice che una società matura, ovvero composta da una maggioranza di cittadini maturi, può permettersi non solo un dissenso maturo e fondato, ma anche manifestazioni di immaturità, purchè non degenerino in minaccia e violenza. Esprimere tolleranza per l'immaturità politica, quindi per azioni di propaganda politica aventi come oggetto il terrorismo o azioni di massa violente, è davvero il massimo delle aperture possibili. Neanch'io ne sono del tutto convinto, anche se mi ripugnano tutte le censure.

Contro tutte le censure
Un tipo di censura ricorrente consiste nello sminuire il contributo dato dai presunti avversari di una religione o di una dottrina politica o filosofica alla elaborazione della propria teoria o del proprio credo. Non è un mistero che il marxismo sia stato, ad esempio, il risultato di una commistione tra hegelismo tedesco, socialismo francese e economia politica inglese, che superò, o pretese di superare, i differenti punti di vista in una sintesi superiore.
Ma l'esempio più eclatante di eclettismo nella storia è lo stesso cristianesimo, il quale fu il prodotto di una commistione , tra l'ebraismo e la filosofia ellenistica, e la forma particolare che essa aveva assunto in Giudea ed in Galilea poco prima di Cristo, cioè il fariseismo.
Stuart Mill scrisse pagine memorabili contro la pretesa di una parte della verità a essere considerata la verità intera.
« Se i cristiani - scrisse Mill - vogliono insegnare ai pagani a essere giusti verso il Cristianesimo, devono essere giusti verso il paganesimo. Non giova alla verità il tentativo di occultare il fatto, noto a chiunque abbia una minima conoscenza della storia della letteratura, che una buona parte degli insegnamenti morali più nobili e validi è dovuta non solo a uomini che ignoravano la fede cristiana, ma a uomini che la conoscevano e la rifiutavano.
Non pretendo che l'esercizio più incondizionato della libertà di enunciare tutte le opinioni possibili possa por fine ai mali del settarismo religioso o filosofico. Ogni verità propugnata da uomini di mentalità ristretta sarà certamente asserita, inculcalta e persino applicata come se al mondo non ne esistesse un'altra, o comunque non ne esistesse alcuna che possa limitarla a precisarla. Riconosco che la più libera discussione non cura la tendenza di tutte le opinioni a diventare settarie, e anzi, spesso la acuisce e la esacerba; la verità che si sarebbe dovuta vedere ma non si è vista viene rifiutata tanto più violentemente perchè è asserita da persone considerate oppositori. Ma non è tanto sul sostenitore appassionato, quanto sul testimone più calmo e disinteressato che questo contrasto di opinioni opera un effetto salutare. Il male più temibile non è il violento contrasto tra parti diverse della verità, ma la silenziosa soppressione di una sua metà; finchè la gente è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c'è sempre speranza; è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in pregiudizi, e la stessa verità cessa di avere effetto perchè l'esagerazione la rende falsa.» (cap. II - Della libertà di pensiero e discussione)

Stroncatura del calvinismo
Secondo Mill, Calvino operò un ulteriore peggioramento della dottrina cristiana, formatasi nei primi cinque secoli della storia della chiesa, e non diretta emanazione dello "schema del Maestro", in senso dogmatico e teocratico. Per Calvino, "la grande colpa è l'autonomia della volontà."
« Tutto il bene di cui è capace l'umanità si riassume nell'obbedienza. -scrisse Mill - Non c'è scelta; si deve agire in un certo modo, e non altrimenti: "Tutto ciò che non è dovere è peccato." Poichè la natura umana è radicalmente corrotta, nessuno è redento finchè la sua non viene uccisa. Per chi crede in questa teoria dell'esistenza, schiacciare ed eliminare tutte le facoltà, capacità e sensibilità umane non è un male: la sola capacità di cui l'uomo ha bisogno è quella di arrendersi alla volontà di Dio; e se usa qualunque sua facoltà per uno scopo che non sia l'attuazione più efficace di questa presunta volontà, meglio sarebbe che non l'avesse. Questa è la teoria del Calvinismo; essa è condivisa da molti in una formulazione più moderata, consistente in un'interpretazione meno ascetica del supposto volere divino, secondo cui gli uomini dovrebbero soddisfare alcune loro inclinazioni, naturalmente non nel modo che preferiscono ma nell'obbedienza, cioè in un modo prescritto dall'autorità e quindi, per necessità del caso, identico per tutti.
Attualmente esiste, sotto forme insidiose di questo genere, una forte tendenza favorevole a questa ristretta visione dell'esistenza, e al genere di personalità tormentata e piena di pregiudizi da essa favorita. Senza dubbio molti pensano in tutta sincerità che degli uomini così bloccati e rimpiccioliti siano ciò che il loro Creatore intendeva che fossero, esattamente come molti altri ritengono che gli alberi siano molto più belli potati, o modellati in forma di animali, che così come la natura li ha fatti. » (On Liberty - cap. III - Dell'individualità come elemento del bene comune)

A questo punto Mill ha uno scatto del pensiero davvero profondo. « Avendo detto che l'individualità coincide con il progresso, e che solo la sua coltivazione produce, o può produrre, esseri umani compiutamente sviluppati, potrei concludere qui; poichè la maggiore e più esplicita lode che si possa fare di uno stato di cose è dire che aiuta gli uomini a realizzarsi al meglio delle loro possibilità; e affermare che glielo impedisce o li ostacola è la peggiore condanna. Tuttavia non vi è dubbio che queste considerazioni non basteranno a convincere coloro che più hanno bisogno di esserlo; e quindi è necessario dimostrare che lo sviluppo di alcuni ha una certa utilità anche per chi non si sviluppa - mostrare cioè a coloro che non desiderano la libertà e non se ne servirebbero che possono essere ricompensati in modo a loro comprensibile se permettono ad altri di farne uso indisturbati. Innanzi tutto direi loro che avrebbero forse la possibilità di imparare qualcosa dagli altri. Nessuno negherà che nella vita l'originalità è preziosa. C'è sempre bisogno di gente che non solo scopra verità nuove e mostri che quelle di una volta erano delle verità non lo sono più, ma anche inizi attività nuove e dia esempio di comportamento più illuminato e di maggiore sensibilità e razionalità di vita.» (On Liberty - cap. III - Dell'individualità come elemento del bene comune).
Che, in fondo, è come dire: ripassatevi la parabola dei talenti. Cristo stesso insegnò a svilupparsi, ad investire le proprie facoltà, non a nasconderle sotto un mucchio di superstizioni religiose e di presunte impotenze a combinare qualcosa senza fare dei rotti. Ovvero: disobbedire ai teocrati per liberamente obbedire a Cristo.

Idee sul pluralismo educativo
Nel capitolo finale di On Liberty, Stuart Mill si pronuncia apertamente per un sistema scolastico nel quale lo stato non dirige l'istruzione, ma l'asseconda.
Ciò non può piacere a chi creda che la scuola statale sia in grado di raggiungere di per sè una sorta di equilibrio e di perfezione imparziale grazie ai programmi ed alla scelta ultraselettiva degli insegnanti. L'idea stessa che possa esistere una scienza dell'educazione gioca come argomento sostanzioso in questa direzione.
Ma allo stato dei fatti il polverone polemico su scuola pubblica e scuola privata in Italia si gioca su altri motivi. In primo luogo il diritto dei cattolici di avere una scuola confessionale, ed in secondo luogo, il diritto di tutti gli altri cittadini di non volerne sapere di pagare con le proprie tasse, scuole confessionali o private di alcun tipo. Io stesso non sarei molto contento se sapessi che una parte del mio contributo fiscale andasse al finanziamento di scuole cattoliche, anche se sarei persino disposto a dare un contributo personale sostanzioso all'unica scuola cattolica che mi piacerebbe più di quella statale, ovvero una scuola elementare ispirata ai principi di Don Milani.
Di fronte ad uno scontro di interessi così evidente, temo che le argomentazioni di Mill a favore di un sistema di scuole private abbiano scarsa possibilità di essere prese in considerazione in modo obiettivo.
Mill, innanzi tutto, prende le mosse da un ragionamento inoppugnabile, ovvero che è diritto del padre di dare un'educazione al figlio, ma è anche suo dovere. Annota tuttavia che è molto improbabile che, al tempo in cui scriveva, "quasi nessuno", in Inghilterra, avrebbe tollerato che si dicesse che "il padre fosse obbligato a compierlo".
Scrive Mill: « Invece di essere tenuto a compiere qualsiasi sforzo o sacrificio per assicurare una educazione a suo figlio, può scegliere se accettarla o meno quando viene fornita gratis! Non si ammette ancora che far venire al mondo un bambino senza avere ragionevoli prospettive di potere non solo procurargli alimento per il corpo, ma istruzione e esercizio per la mente, è un crimine morale, sia contro la sfortunata prole che contro la società; nè che se non si adempie a quest'obbligo, dovrebbe adempiervi lo Stato nella misura del possibile a spese del genitore. (Requiem per il laissez -faire assoluto: il genitore non ha il diritto di tenere i propri figli nell'ignoranza.)
Se venisse finalmente riconosciuto il dovere di attuare l'istruzione universale, avrebbero fine le controversie su che cosa e come, lo Stato dovrebbe insegnare, che attualmente trasformano la questione in un semplice terreno di scontro tra sette e partiti, in cui il tempo e gli sforzi che dovrebbero essere impegnati nell'educazione sono sprecati a litigare su di essa. Se il governo si decidesse a esigere che ogni bambino riceva una buona educazione, potrebbe evitarsi il disturbo di fornirla: potrebbe lasciare ai genitori il compito di trovare l'educazione dove e come preferiscono, e limitarsi a pagare le tasse scolastiche di quelli che sono completamente privi di mezzi. Le obiezioni che vengono giustamente mosse all'educazione di Stato, non si applicano alla proposta che lo Stato renda obbligatoria l'istruzione, ma che si prenda carico di dirigerla; che è una questione del tutto diversa.» (idem)

« Un'educazione di Stato generalizzata non è altro che un sistema per modellare gli uomini tutti uguali; e poichè il modello è quello gradito al potere dominante - sia esso il monarca, il clero, l'aristocrazia, la maggioranza dei contemporanei - quanto più è efficace e ha successo, tanto maggiore è il dispotismo che instaura sulla mente, e che per tendenza naturale porta a quella del corpo. Un'educazione istituita e fondata dallo Stato dovrebbe essere, tutt'al più, un esperimento in competizione con molti altri, condotto come esempio e stimolo che contribuisca a mantenere un certo livello qualitativo generale.» (idem)
Devo dire che le argomentazioni di Mill paiono, col senno di poi, un pochetto fragili, visto che sembra una costante il verificarsi tra le generazioni di un atteggiamento anticonformista, qualsiasi sia lo spirito dominante. Tanto per fare un esempio, Stalin fu educato in un seminario!
In realtà è certo vero che l'ambiente e la cultura condizionano in modo decisivo la formazione delle idee di un individuo, ma non è affatto detto in quale direzione lo condizioneranno. Una scuola clericale produrrà inevitabilmente dei ribelli alla chiesa ed una scuola statalista produrrà sicuramente dei ribelli all'invasività dello stato, tanto più pericolosi degli altri, in quanto perfetti conoscitori del sistema che combattono. Sotto questo profilo, pertanto, solo chi crede, come i comportamentisti, che il maestro è in grado di clonarsi nel discepolo, e di fare di questo quello che vuole, può pensare che il tipo di scuola non ottenga, spesso, anche se non sempre, esattamente l'effetto contrario a quello voluto. In sostanza: si ha l'impressione che questa posizione di Stuart Mill sull'istruzione finisca col negare una delle tesi che stanno alla base della sua filosofia, ovvero che l'individuo aspiri in generale a maturare, a disporre completamente di sè stesso, e alla libertà. Se così fosse, qualunque sia il tipo di istruzione ricevuta, egli non avrebbe pace finchè non avesse letto i libri del "nemico" e scoperto i punti deboli delle proprie idee, o di quelle che è stato costretto ad accettare. Certo, non tutti gli individui sono così, ma i migliori sono così. Bisogna davvero avere una scarsissima considerazione dell'intelligenza umana per credere che una qualsiasi scuola, una qualsiasi dottrina conculcata, possa bloccare, per sempre, lo sviluppo di tutti gli individui e non solo di qualcuno.

Perchè lo stato minimo
A differenza di Marx, che sognò l'estinzione dello stato dopo un improbabile percorso di ritorno alla solidarietà tra gli uomini contraddistinto da una mai ben precisata "dittatura del proletariato", Mill si limitò a considerare tutti i vantaggi che sarebbero venuti ai singoli ed alla società, se lo stato fosse diventato meno invasivo.
E su questo presentò una serie di argomentazioni che ancor oggi conservano una intatta validità. Mill sostenne che se una determinata azione può essere condotta sia da singoli privati che da agenti o funzionari statali, sarebbe meglio ricorrere a privati, in quanto l'interesse personale mette efficienza a tutto il meccanismo.
Non accennò alle controindicazioni, quali la possibilità di speculazioni e l'instaurarsi di monopoli, o di accordi tra diversi operatori che portano di fatto ad un regime monopolistico, come nel campo delle assicurazioni o del petrolio attualmente; ma noi lo dobbiamo considerare. Se non si smonta il cartello assicurativo, se non si torna alla concorrenza, sarebbe davvero suicida consegnare ai privati l'assistenza e la previdenza, anche se io sono dell'idea che bisogna sottrarre allo stato quantomeno la previdenza sociale dei lavoratori, e che occorrebbe uno sforzo diretto di questi per gestire autonomamente i propri fondi pensione. Lo stato non può usare i fondi pensione dei lavoratori per fare assistenza ai poveri. Questa è un'attività che deve andare a carico di tutti i cittadini.

La seconda obiezione di Mill all'ingerenza statale è semplicemente geniale: se ci troviamo sempre la pappa fatta dallo stato, non cresceremo mai sul piano della responsabilità civile. Quindi, anche se è vero che in un primo tempo un funzionario statale può essere più efficiente di un privato cittadino, alla lunga questa specializzazione reca con se il danno fondamentale di cittadini disinteressati, o che sanno solo lamentarsi, ma che sono incapaci o impossibilitati a prendere iniziative.
Mill scrive che "questo specifico addestramento, aspetto pratico della loro educazione politica di uomini liberi, che li fa uscire dalla ristretta cerchia dell'individualismo individuale e familiare e li abitua a comprendere gli interessi comuni e a organizzare iniziative comuni", ... li porterà ad "ispirare la propria condotta a fini che li unificano invece di isolarli l'uno dall'altro."
Qui c'è un po' troppo ottimismo, ma la direzione è quella giusta. Il sistema della protezione civile inaugurato in Italia dopo le catastrofi è solo un esempio delle moltissime applicazioni delle idee di Mill. Io non sarei affatto contrario ad estendere il servizio civile a limitate funzioni di polizia urbana e di quartiere.

« La terza e più valida ragione per limitare l'interferenza dello Stato è la grande sciagura costituita da un'inutile estensione del suo potere. » (idem)
Ciò impedisce agli individui di essere attivi, li rende parassiti del governo. Si verificherebbe una tendenza dei migliori talenti e delle migliori intelligenze ad entrare nei ranghi della burocrazia statale, e questo comporterebbe, come nella Russia zarista, il costituirsi di una burocrazia elefantiaca e paralizzante, definitivamente totalitaria, espressione di quel motto che riassume l'essenza stessa di tutte le burocrazie: tutto quello che non è espressamente autorizzato, è vietato; l'esatto contrario di quel che dovrebbe essere: potete fare tutto quello che non è vietato, e che è stato vietato per motivi ovvi a chi sa ragionare.
Mill ha solo in parte colto la verità, perchè in realtà il regime delle burocrazie esclude che i migliori possano salire di grado, a meno che non siano i migliori tra i raccomandati, o tra i portaborse.
Ma, di per se l'analisi è ugualmente corretta.
Di qui le memorabili parole che chiudono On Liberty: «...uno Stato che rimpicciolisce i suoi uomini perchè possano essere strumenti più docili nelle sue mani, anche se a fini benefici, scoprirà che con dei piccoli uomini non si possono compiere cose veramente grandi, e che la perfezione meccanica cui ha tutto sacrificato alla fine non gli servirà a nulla, perchè mancherà la forza vitale che, per far funzionare meglio la macchina, ha preferito bandire. » (idem)

continua Mill contro Comte e Spencer