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Provo a spiegare le ragioni di questa ricerca
di Guido Marenco
Gli interessati alla psicoanalisi in Italia
dispongono all'inizio del loro percorso di
alcuni testi introduttivi.
Uno di questi è La storia della psicoanalisi di Silvia Vegetti Finzi, edita e riedita
negli Oscar Mondadori.
Si tratta indubbiamente del testo più completo
e documentato ed il suo unico difetto credo
sia quello di presentare qualche difficoltà
di lettura per i cosiddetti profani. Il linguaggio
è ipercolto, forbito, a volte superspecialistico.
Tuttavia possiede l'indubbio merito di essere
un libro nel quale molto di ciò che occorre
veramente sapere sulla psicoanalisi è condensato
in poche centinaia di pagine.
Su Freud in particolare esiste finalmente
la traduzione italiana della voluminosa biografia
di Peter Gay, edita nei tascabili Bompiani.
Costa solo 22.000 lire ed è quindi una vera
e ghiotta occasione.
Molto interessante, anche se non si tratta
propriamente di una storia completa bensì,
di uno schizzo approfondito di alcuni protagonisti,
è la Breve storia della psicoanalisi di Aldo Carotenuto, edito da Bompiani.
Non era dunque particolarmente urgente e
necessario colmare un vuoto, anche pensando
a scrivere per il web anzichè per il mondo
dell'editoria libraria.
Inizialmente infatti credevo di cavarmela
scrivendo solo alcune schede ottenute dal
riassunto delle pagine della storia della
Vegetti Finzi, integrate da alcuni miei studi
particolari su Bruno Bettelheim, Jung, Fromm,
Erikson e Matte Blanco.
Pensavo quindi al solito lavoro anonimo,
che non costa molta fatica, e che in genere
soddisfa chi, per motivi scolastici, o anche
solo per curiosità, è impegnato in qualche
ricerca non troppo approfondita.
Se oggi sono alle prese con qualcosa di più
articolato ed impegnativo è perchè sento
di aver girato l'angolo di una svolta significativa.
Per molti anni, diciamo, dal 1989 fino all'incirca
al 1995, ho conosciuto solo la versione junghiana
della psicoanalisi. In quel periodo ero infatti
molto interessato alla realizzazione di me
stesso e mi piacevano molto le idee di Aristotele
sull'entelechia, cioè lo sviluppo di ogni individualità
vivente dalla immaturità alla maturità, che
nell'uomo si configura come conquista dell'autonomia
di giudizio e quindi della facoltà di deliberare
con saggezza, in modo naturalmente conscio,
su ogni questione della vita. Il mio lavoro
su questo punto è sintetizzato nel file la pedagogia di Aristotele.
Vedevo in Jung una sorta di Aristotele della
psicoanalisi, ed ovviamente, in Freud, una
sorta di Platone.
In ciò, ovviamente, forzavo non poco la mano
a Jung. In realtà nella psicologia del profondo
junghiana sono presenti elementi di irrazionalità
che non quadrano affatto con l'induttivismo
ed il razionalismo aristotelici.
Inoltre, per quanto io stesso per primo riconosca
che il sesso non spiega tutto, sono altresì
convinto che spiega molto e molto di più
di quello che crediamo.
Di Freud mi aveva soprattutto colpito l'idea
del sacrificio delle pulsioni a vantaggio
della crescita civile e quindi, volenti o
nolenti, a vantaggio delle res publica platonica
governata dalla sapienza dei filosofi.
Ma anche questa era una forzatura. In Freud
non esiste una teoria del "sommo bene"
e della felicità. In genere la sua è una
"filosofia pessimistica", l'uomo
è condannato all'infelicità, anche se Freud
ha spesso rifiutato la necessità di una filosofia
della psiconalisi.
Il suo quadro concettuale rimase a lungo
quello di un medico neurologo dell'Ottocento
positivista e determinista. La psicoanalisi
doveva rimanere inscritta in questo quadro.
La vera differenza rispetto agli altri scienziati
del suo tempo sta nel fatto che egli seppe
far tesoro degli stimoli di Franz Brentano e della sua teoria dell'autonomia dello
psichico.
Ne conseguiva un rovesciamento per il quale
non erano malformazioni fisiche a determinare
disturbi psichici, ma eventi psichici infantili
di origine sessuale a determinare malesseri
fisici inspiegabili altrimenti. Quindi non tutti i mali, ma una certa parte.
Questa riserva freudiana, peraltro molto
scrupolosa, è spesso stata dimenticata sia
dai critici della psicoanalisi che da psicoanalisti
di "tipo letterario", non sempre
adeguatamente preparati sotto il profilo
medico-neurologico.
Da molti anni giacevano nella mia notevole
libreria opere importanti come Totem e tabù, L'interpretazione dei sogni, Sul motto di spirito, Tre saggi sulla sessualità infantile, ma li avevo solo leggiucchiati per curiosità.
Quindi è non è da molto che ho riaperto l'archivio
freudiano, integrandolo nel frattempo con
nuovi acquisti anche di opere considerate
a torto minori.
Questa riscoperta di Freud è dovuta a due
motivi essenziali: il bisogno di un'autoanalisi
che andasse alla radice di alcune mie insicurezze
e delusioni; la profonda impressione ricavata
dalla lettura di La vita contro la morte di Norman O. Brown, ricercatore americano
che negli anni '50 scrisse un interessantissimo
saggio su Freud che pareva contenere, se
non la ricetta per la felicità, certamente
molte indicazioni utili a recuperarla.
In effetti il lavoro di Brown è spiazzante
e sorprendente, specie se pensiamo che egli
non era uno studioso laico, ma un uomo fortemente
impregnato di religiosità protestante nordamericana
(si pensi a William James), dunque fortemente
consapevole del macigno neotestamentario
che ostruisce la via ad una sessualità soddisfacente.
Jung non bastava e non portava affatto al
riconoscimento di tutto quello che avevo
rimosso dal mio orizzonte conscio, cioè il
bisogno di uno scambio erotico autentico
con una persona dell'altro sesso. Rapporto
nel quale la corrente affettiva e quella
sensuale fossero realmente una sola cosa.
Leggendo i saggi Una scelta di tipo oggettuale e Sulla devalorizzazione della vita amorosa, mi ero reso improvvisamente conto che valide
considerazioni sul mio disagio erano già
state messe a fuoco da Freud, anche se, per
alcuni aspetti, io e Freud non andavamo affatto
d'accordo.
Egli sostiene infatti che la ricomposizione
della corrente affettiva con quella sensuale
è presente in alcuni individui colti. Io
ero e sono del tutto certo del contrario.
Se, per miracolo, questa ricomposizione esiste,
la si trova soprattutto in individui non
colti, ma solo genericamente acculturati.
L'intellettuale vive questa scissione in
modo molto più precoce rispetto agli altri
individui e certo non la ricompone in teoria,
cosa che probabilmente vorrebbe fare, ed
ha tentato di fare, ma in pratica, cioè,
in primo luogo, tra le lenzuola della sua
camera matrimoniale. Ma come ben vide lo
scrittore Robert Musil, contemporaneo e viennese
di adozione come Freud, nel suo romanzo L'uomo senza qualità, tra il banchiere ebreo Leo Fischel e sua
moglie c'era di mezzo la filosofia, cioè un eccesso di educazione morale e
di speculazione metafisica. Da ambo le parti,
ovviamente. Entrambi portavano, per così
dire, i segni tangibili del peccato originale,
cioè il senso di vergogna per la propria
sessualità, che non è innato, ma trasmesso
ed imposto dai sistemi educativi più rigidi.
Tuttavia molto starebbe nell'intendersi su
che significa corrente sensuale. Se nel fare
"quelle porcherie" che molte donne
rifiutano di fare, anche quelle non cattoliche
e super morigerate, per intenderci, e che
gli uomini non osano chiedere, oppure nella
semplice realizzazione di un rapporto in
cui l'uomo trovi corrispondenza e non frigidità,
e la donna trovi amore e non brutalità.
Si badi che fino a non molto tempo fa, parlo
solo di un trentennio, se non un ventennio,
molti uomini in Italia non avevano mai visto
la propria moglie nuda completamente.
Personalmente sono convinto che l'uomo diventi
un "porco", espressione usata da
Martha Bernays nei confronti di suo marito
Sigmund Freud almeno una volta, anche perchè incontra la frigidità.
Vi sono probabilmente altre ragioni, non
ultime quelle che in alcuni individui la
pulsione sensuale è più forte ed indomabile
che in altri, ma questa è la prima e la più
evidente di tutta la storia umana. Se così
non fosse non avremmo avuto in modo così
massiccio la riduzione della donna ad oggetto
e la sua contraffazione nella figura della
prostituta, la quale, non solo spesso è più
frigida delle donne normali, ma deve anche
sottostare controvoglia ad esibizioni di
mascolinità brutale che, più passa il tempo
e meno si risolve il problema della frigidità,
e più saranno brutali in ogni soggetto maschile
non perfettamente consapevole di quale sia
il problema.
Recentemente ho visto e rivisto molti film
nei quali compare la figura del "cattivo"
per partito preso e devo dire che ho apprezzato
gli sforzi dei registi e degli sceneggiatori
volti ad evidenziare le cause della crudeltà.
In uno di questi era rappresentata la figura
dell'imperatore Commodo, figlio di Marco
Aurelio, che, secondo le linee proposte dallo
sceneggiatore e dal regista, diviene "cattivo"
perchè non amato. Non amato dal padre, non
amato dalla sorella, verso la quale prova
un'attrazione incestuosa, non amato dal mondo.
Questa teoria potrebbe sembrare semplicistica,
ma in effetti viene a chiarire quanto l'isolamento
dell'individuo, il suo sentirsi privo di
valore affettivo, capace di suscitare sentimenti
autentici negli altri, possa incidere sulla
propensione alla crudeltà.
Il mio interesse alla crudeltà, sia quella
che riempie le pagine dei libri di storia,
sia quella che riempie le cronache quotidiane,
sia quella che riempie, purtroppo, anche
le nostre vite ed i nostri ricordi, è di
natura immediata, quindi non riportabile
ad altro che ad una domanda di tipo filosofico:
perchè la crudeltà?
Ma poichè la filosofia non è in grado di
rispondere in modo convincente, nè con Socrate
(gli uomini fanno il male perchè ignorano
il bene), nè con Hobbes (gli uomini sono
lupi di natura), nè con Rousseau (l'uomo
nasce buono, è la società a corromperlo),
è necessaria una riflessione storica, antropologica
e psicoanalitica.
E' dunque soprattutto su questi piani che
cercherò di dare una risposta.
Ma, se mi fermassi qui, darei un pessimo
esempio di falsa coscienza maschilista. Non
credo infatti che la frigidità femminile
nasca dal cervello di Zeus come Pallade Athena.
Essa è una forma di difesa dalla brutalità
maschile originaria e non è quindi un dato
innaturale, ma uno strumento che la stessa
natura ci ha fornito. Persino tra gli animali
vi sono simpatie ed antipatie e non è affatto
vero che la "cagna" si dia a tutti
i cani che incontra. Potrei fare numerosi
esempi ma, quello della femmina di pastore
tedesco che rifiuta le attenzioni di un suo
omologo maschile per unirsi ad un bastardino,
che ho visto coi miei occhi, la dice davvero
lunga.
Potremmo dunque accettare una origine fisiologica
della frigidità. Non è escluso che in molti
casi la si possa anche trovare.
Ma in questo caso io non desidero affatto
parlare di frigidità in generale, bensì di
quella particolare frigidità che la donna
dimostra nei confronti del suo partner abituale,
cioè dell'uomo che ama e con cui avrebbe
desiderio di un'unione appagante.
In queste situazioni la pista psicoanalitica,
la quale prevede una ricostruzione della
storia del soggetto, mi pare molto più feconda.
Può essere che alla fine noi non riusciamo
a far emergere il trauma che l'ha prodotta.
Tuttavia, perchè non provarci?
Dunque è solo scavando in questa chiave,
trovando le origini sessuali del mio disagio
esistenziale, che ho visto realmente me stesso
e mi sono finalmente "amato", accettato
per quello che sono anche negli aspetti moralmente
più spiacevoli.
Che poi non erano molti, giacchè gli unici,
in fondo, realmente deprecabili erano quelli
relativi al desiderio di vendicarmi delle
umiliazioni ricevute. Non è che sia diventato
un entusiasta del perdono, per giunta in
un paese dove gli inviti a perdonare proliferano
a tutto spiano, ma a volte c'è davvero da
chiedersi cui prodest una semplicistica teoria
della vendetta come abreazione, cioè come
scarica emotiva appagante. Fare giustizia
è tutt'altro, ovviamente.
Ma all'entusiasmo per la riscoperta di Freud,
come spesso accade, è seguita ben presto
una vera delusione determinata dalle vicende
del movimento psicoanalitico, dal suo trasformarsi
in senso dogmatico, dalla nascita di un comitato
segreto vigilante sull'ortodossia, seguito
da scomuniche, espulsioni, rotture del tipo
"preferisco andarmene da solo, prima
di venire espulso da voi."
Un film già visto, basti pensare alla storia
della chiesa od a quella dei partiti comunisti,
che peraltro, cominciarono a risentire della
svolta dogmatica persino dopo la vicenda del movimento psicoanalitico.
Freud stesso fu in parte responsabile di
questa degenerazione ed io non fatico ad
interpretare questo lato della storia alla
luce soprattutto di una paura per il cattivo
uso della psicoanalisi che non si è tradotta
in indicazioni, riserve e precauzioni del
tutto coerenti con lo spirito originario.
Il lato inquietante della storia della psicoanalisi
è che tutti i suoi protagonisti furono pessimi
psicologi della politica e dell'organizzazione,
convinti oltretutto che fosse necessaria
una "politica" della psicoanalisi,
invece che un codice come quello che, ad esempio, si diedero
gli antropologi.
Ma per capire di che si tratta, facciamo
alcuni esempi.
Adler, uno dei primi eretici, raccontò di
aver manipolato due donne frigide nel suo
studio, facendo loro raggiungere l'orgasmo.
Tuttavia non fu criticato per questo episodio,
ma per le sue idee in generale.
Da un altro punto di vista potremmo persino considerare che Adler guarì queste due donne.
Ma ne siamo certi?
E può esser vero che per curare qualcuno
ci si debba spingere fino a questo punto?
Sono interrogativi inquietanti cui varrebbe
la pena di cominciare a rispondere.
Tuttavia è certo che non potrebbe rispondere
in modo nuovo senza una profonda revisione
dei nostri schemi mentali.
Ciò che fece Adler, oggi, sarebbe ancora
legalmente perseguibile, anche se non del
tutto moralmente riprovevole.
Lo stesso Jung ebbe un rapporto ambiguo con
una giovane aristocratica russa, Sabine Spielrein,
sua paziente, prima ancora che psicoanalista
a sua volta. Tuttavia non abbiamo notizia
di un esplicito richiamo alla serietà deontologica.
Anche qui si tratta di notare come il confine
tra serietà professionale, scopo della terapia,
mezzi atti ad attuarla, sia nuovamente e
radicalmente in gioco. Rispetto al caso Adler
il caso Jung-Spielrein presenta un particolare
ancora più significativo: il terapeuta è
coinvolto in un rapporto dove anche i sentimenti
hanno la loro importanza.
Ma è possibile dedicarsi alla psicoterapia
senza provare amore ed empatia per le sofferenze
psichiche altrui?
Di Freud sappiamo poco, anche perchè, probabilmente
c'è poco da sapere. Ebbe una relazione extraconiugale
con la cognata Minna, estranea alla psicoanalisi,
sorella della moglie Martha e molto più portata,
tuttavia, rispetto alla sorella, a raccogliere
tutte le confidenze di Freud.
Lo strano di questa vicenda è che fu lo stesso
Jung a diffondere questa voce su Freud in
un modo quantomeno discutibile.
Peter Gay nella sua biografia denuncia Jung
come testimone poco attendibile, ma non spiega
perchè.
Questo elemento introduce tuttavia qualche
ombra nella vita familiare di Freud non di
poco conto. La cognata Minna visse in casa
Freud per moltissimo tempo, a partire dalla
morte del suo fidanzato. In almeno un'occasione
Freud e Minna trascorsero insieme e da soli
una vacanza di quindici giorni.
Se è vero che la storia non si fa con i pettegolezzi
da rotocalco, è anche vero che a volte questi
sono indispensabili per ricostruire uno scenario
realistico.
Con molta sicurezza, potrei dire, infine,
che Freud non rimase insensibile al fascino
di Lou Andreas Salomè, già amica intima di
Nietzsche ed amante di Paul Klee, nonchè
psicoanalista a sua volta.
Del resto Lou era veramente una bellissima
donna a confronto di Martha, ed ancor più
di Minna, di aspetto fisico davvero insignificante;
per di più era anche di una intelligenza
straordinaria.
Dunque in ogni caso tradimento ci fu, anche
se non attuato nei fatti.
Tuttavia il rapporto tra Freud e le sue innumerevoli
pazienti fu sempre contrassegnato da una
correttezza al di sopra di ogni sospetto
ed anche le sue pazienti furono corrette
con lui, nel senso che nessuna lamentò "molestie
sessuali" da parte di Freud.
Il problema è che Freud non comprese fino
in fondo e dall'inizio, quanto fosse minato il percorso della psicoanalisi, e quanto
fosse evidente nel rapporto a pagamento tra
donne nevrotiche e psicoanalista maschio
il rischio di una sorta di prostitutuzione
maschile.
Ciarlatani ed approfittatori, disposti a
sfruttare ogni opportunità, erano pronti
a saltare sul carro ancor prima che il carro
si mettesse realmente in moto proprio per
questo motivo.
Elogiatori sperticati erano pronti a divinizzarlo.
Critici altrettanto rognosamente sperticati
erano e sono disposti a tutto per di demonizzarlo,
senza tuttavia cogliere che la differenza
non stava tra una psicoanalisi perversa ed
una scienza psicologica sana, ma tra i singoli
soggetti. Freud non era affatto "un
porco". Molti altri, compresi molti
psicologi dediti alla sana psicologia, come
Watson che provocò un'erezione in un bambino
con lo stimolo delle zone erogene, lo furono
sistematicamente.
La fama conquistata fu anche la sua crisi.
La degenerazione della psicoanalisi in dogmatismo
fu dunque dovuta anche a Freud e credo sia
necessaria a tale proposito una riflessione,
che del resto accompagnerà tutto il lavoro
declinandosi in molteplici direzioni.
Di fronte ai fatti, se i fatti ci stanno
dinnanzi con chiarezza, è difficile mentire.
C'è un cadavere di fronte a noi, sdraiato
a pancia in giù con un lungo ed affilato
coltello affondato nella schiena.
Il problema sta nell'interpretazione di questo
fatto, non nel fatto stesso.
La posizione stessa del cadavere conduce
ad escludere l'ipotesi del suicidio. Piantarsi
un coltello nella schiena, con quella profondità,
non è nè facile, nè naturale. Inoltre, per
fare harakiri, occorre una concezione del
suicidio un filo sanguinaria e psicotica,
eroica.
Nel suicidio esibizionista c'è una volontà
di riscatto dal disonore ed insieme un preciso
richiamo d'attenzione.
Molti elementi concorrono quindi ad escludere
il suicidio.
Ma proseguendo le indagini veniamo a sapere
che l'individuo assassinato soffriva di un
male incurabile, e che egli aveva manifestato
più volte il progetto di darsi la morte perchè
soffriva molto.
Ecco che l'ipotesi del suicidio ritorna,
anche se, continua ad apparire strano e singolare,
nonchè misterioso, il modo nel quale si è
realizzato.
Dai e dai, scavando nella vita del soggetto,
veniamo infine a sapere che egli era stato
testimone di accusa in un processo per omicidio
risalente a diversi anni prima. Negli ultimissimi
tempi aveva scritto una lettera ad un amico
nella quale confessava di voler ritrattare
quella testimonianza prima di morire, perchè
estorta sotto ricatto.
Infine scopriamo che l'amico è il vero assassino
nel delitto precedente, anche se non ne abbiamo
le prove.
La conclusione quasi inevitabile, per un
buon detective, è che l'amico sia anche l'assassino
del nostro caro defunto.
Tuttavia non abbiamo prove. Dovendo procuracele
ci ingegnamo a far cadere l'assassino in
qualche tranello. Al fine di riuscirci dobbiamo
usare tutta la nostra abilità, la nostra
pazienza. Ma dovremmo avere anche l'umiltà
di lasciare aperta una via d'uscita, coltivare
quindi una riserva mentale sul fatto che
le cose potrebbero essere andate altrimenti
e che tutto ciò che abbiamo sospettato potrebbe
rivelarsi un castello di carte.
Un buon giallo trova sempre la via di arrivare
alla verità perchè il detective non trascura
nulla, nemmeno il contrario di quello che
pensa.
Nella storia della psicoanalisi non sempre
questo è accaduto. L'interpretazione di una
particolare vicenda è spesso diventata, proprio
a partire da Freud, una teoria generale con
pretesa di spiegazione totalizzante ed omnicomprensiva.
In ciò quindi allontanandosi dalla verità
e dallo spirito stesso della verità.
Sono queste le critiche che il filosofo Karl
R. Popper cominciò a muovere alla psicoanalisi,
negandole lo statuto della scientificità.
Non mi passa nemmeno per la testa di provare
a restituirglielo integralmente. Tuttavia sono molto interessato ad un revisione
di tutti i giudizi liquidatori.
Sono convinto che l'errore iniziale stia
in questa pretesa di estensività e di generalizzazione.
Questa pretesa spetta giustamente solo alla
scienza e solo in ambiti ristretti, che hanno
poco a che fare con i problemi vitali ed
esistenziali di ognuno.
Tuttavia, a beneficio del lettore, vorrei
solo aggiungere che a mio modo di vedere,
pur criticando giustamente in questo senso
la psicoanalisi, Popper non è esente da errore.
Fino alla fine egli fu convinto di quanto
aveva scritto in Scienza e filosofia, Einaudi 1991, ovvero che quando noi osserviamo
un fatto, lo osserviamo sempre alla luce
di una teoria.
Popper è molto convinto della non esistenza,
e della non-possibilità dell'osservazione
pura. Non solo: pare anche che, qualora esistesse,
per Popper, sarebbe sostanzialmente sterile ed inutile.
Egli motiva questa posizione che sfida molto
in profondità il nostro senso comune con
argomenti intelligenti, ma per nulla persuasivi.
Tra questi egli insiste su quello che potremmo
chiamare il categoriale, ovvero l'insieme linguistico che è il supporto
della ragione. Tutto ciò che è nominato nell'osservazione
stessa, i termini che utilizziamo, per Popper,
sono già teoria, quindi non termini osservativi,
ma termini teorici.
Io dico di no: di fronte ai fatti noi possiamo
osservare sia alla luce di una teoria, sia
senz'altra teoria che quella derivante dall'intenzione
di rivedere il fatto obiettivamente.
Ogni oggetto realmente esistente ha un nome,
ma non esiste perchè ha un nome, esiste perchè sta lì, sotto i nostri occhi. Il nome non ci
serve a conoscerlo, ma a nominarlo in modo
distinto (io Tarzan, tu Jane) ed a farlo
ri-conoscere.
Quando osserviamo alla moviola un episodio
di una partita di calcio, possiamo quindi
provare due atteggiamenti diversi.
Nel primo, essendo tifosi e partigiani, guardiamo
solo per difendere o per accusare. Nel secondo,
non essendo partigiani, guardiamo solo per
capire cosa è realmente accaduto.
Solo successivamente, interpretando il regolamento,
possiamo anche concludere si tratti o meno
di fallo.
Separare il fatto dalla sua interpretazione
è dunque possibile. Ed è semplicemente ideologico
affermare che non è possibile.
Anche altri epistemologi hanno insistito
su questo punto, parlando ironicamente di
dogma dell'immacolata osservazione.
Ma gratta gratta emerge solo un fatto, ovvero
che questi non sanno distinguere tra un'osservazione
mirata, ovvero un monitoraggio di tipo statistico
orientato a cogliere solo alcuni aspetti
determinati in anticipo come rilevanti, ed
un'osservazione non mirata ad altro che all'osservazione
dei fatti nella loro nuda concatenazione.
Non solo: nemmeno è stato evidenziato con
la sufficiente chiarezza la distinzione che
intercorre tra conoscenza preesistente e
teoria particolare. In altre parole: è evidente
anche ai merluzzi che quando osservo qualcosa,
non sono un ignorante puro ed immacolato,
ma ho con me una cultura, un bagaglio di
esperienze. Ad esempio, per tornare alla
moviola, io conosco le regole e lo scopo
del gioco del calcio, conosco la storia di
questo sport e così via. Ma rimane che un
conto è osservare senza altra intenzione
che rivedere, ricostruire, esaminare, un
conto è osservare in modo mirato, per contare
quante volte un difensore ha sbagliato il
passaggio, quante volte ha colpito di testa,
quante si è fatto sfuggire l'uomo e così
via.
Il problema, allora, è che Popper non ritiene
che il metodo induttivo, cioè il risalire
da una serie di osservazioni particolari
pure, che si ripetono con frequenza, e per
lo più danno gli stessi risultati, ad una
asserzione di carattere generale, sia un
metodo scientifico.
Rispetto alla psicoanalisi in generale potremmo
dire che invece il metodo induttivo è l'unico
veramente utile e che essa si rivelò dogmatica,
non perchè passò ad altro metodo, ma perchè,
alcuni psicoanalisti pretesero di passare
ad una teoria generale basandosi su una sola,
o su troppo poche osservazioni particolari.
Se accettiamo che si può osservare in modo
puro e distaccato il fatto, diviene evidente
che è nell'interpretazione di esso che comincia
il possibile conflitto di opinioni. In sostanza
è possibile un conflitto di opinioni, ma
non sui fatti nudi e crudi. Perchè altrimenti
si passa dal conflitto tra opinioni a quello
tra verità e menzogna.
I carri armati sovietici sono entrati a Praga
nell'agosto del 1968. Non si può negare.
Si può tutt'al più provare a giustificare,
anche se lo trovo molto difficile. In realtà
quello fu il principio della fine del comunismo
cosiddetto "scientifico" e la liquidazione
della possibilità di un socialismo "dal
volto umano". Nessun avversario del
comunismo avrebbe potuto fare di meglio.
Giordano Bruno fu arrostito in seguito ad
un verdetto della Santa Inquisizione condotta
dallo stesso cardinale Bellarmino che poi
inquisì anche Galileo Galilei.
Questi fatti non si possono negare. Poi potremmo
anche accettare di discutere se nel pensiero
di Giordano Bruno vi sia persino qualche
traccia demoniaca. Ma il misfatto della chiesa
rimane. Perchè bisogna bruciare streghe ed
eretici? Non basta chiudere in galera solo
chi ha commesso realmente un crimine, non
chi ha immaginato di compierlo con rituali
magici?
Oppure davvero crediamo che i rituali satanici
abbiano effetto?
Nel Milione di Marco Polo viene raccontato per filo
e per segno l'unico rituale satanico che
ha sempre efficacia: procurare una tossicodipendenza
da sostanze e pratiche che danno piacere
e quindi provocano una necessità cieca ed
assoluta di queste sostanze e di queste pratiche.
Così l'individuo diviene schiavo, ed è disposto
a tutto per rimanerlo, vendendo l'anima al
diavolo nel vero senso della parola.
Ma a distanza di quasi ottocento anni questa
semplice lezione di un mercante veneziano
con acuto senso dell'osservazione continua
a rimanere incompresa o rimossa, nonostante
sia evidente che, per induzione, oggi noi
disponiamo di una casistica senza fine sul
rapporto stretto che esiste tra dipendenza
dal piacere e crimine organizzato.
Dunque la storia della psicoanalisi è anche
la storia di rotture dovute a conflitti di
interpretazioni, ed alla pretesa di alcuni,
di avere interpretazioni generalizzanti ed
omnicomprensive, valide in ogni caso.
Nel tempo questo vizio originario è venuto
attenuandosi, ma non è detto che sia scomparso
del tutto se per molti praticanti la psicoanalisi
le parole di Jung, di Freud o di Bion hanno
un valore religioso di rivelazione di verità
nascoste fin dalla creazione del mondo e
non di risultanza induttiva.
Ma detto di questi limiti, quello che mi
propongo di dimostrare è che il merito fondamentale della psicoanalisi fu di aprirci alla storia individuale del soggetto raccontata da lui
stesso come unica chiave di comprensione
dei suoi problemi.
Sono convinto che far "scienza"
sia anche rinunciare a teorie, non solo a
cercarle.
O meglio: nel formularle solo quando siamo
relativamente certi che le nostre osservazioni
abbiano davvero una base molto estesa.
Rispetto all'induttivismo in generale Popper
sbaglia di grosso nel sostenere che esso
cerca solo giustificazioni e verifiche, ma
non espone mai in anticipo tutti gli eventi
che potrebbero smentire la teoria, e quindi
non si presta ad essere falsificato.
Il fatto stesso che l'induzione si basi sul
"per lo più", implica una riserva
iniziale che lo rende probabilistico. Infatti,
se dopo aver visto dieci cigni bianchi, concludessimo
che tutti i cigni esistenti e quelli che
esisteranno sono e saranno bianchi, avremmo
forzato certamente la mano all'interpretazione.
Potremmo solo concludere che tutti i cigni
osservati sono bianchi ed è quindi molto
probabile che moltissimi cigni siano bianchi,
ma non escludere che vi siano, o vi saranno,
cigni arancioni o blu:-))) ( O molto più
naturalmente cigni grigi e neri)
Ma vi sono esempi di sillogismo scientifico
non facilmente confutabili: tutti gli uomini
hanno un cuore anatomico, due polmoni, un
fegato e così via. Capitasse che un individuo
disponesse di un solo polmone o due fegati,
avremmo non una smentita alla teoria, ma
un'eccezione alla regola.
Si capisce allora che il vero problema non
è quello di considerare l'induttivismo fondato
sull'osservazione come non scientifico, ma
solo di delimitare fortemente e severamente
l'area di applicazione.
In ciò vedo anche la possibilità di una riabilitazione
scientifica della psicoanalisi. A condizione
che ci si intenda su che significa "scienza".
Cosa che dopo le confusioni provocate da
Popper, da Feyerabend e da altri illustri
critici del dogma dell'immacolata osservazione e del metodo induttivo pare assai problematica.
12 gennaio 2001