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La filosofia politica di Karl Popper - 5
La società aperta ed i suoi nemici

a cura di Renzo Grassano
La società aperta ed i suoi nemici fu pubblicata nel 1945. Lo scritto maturò durante il lungo periodo di esilio di Popper in Nuova Zelanda ed è certamente il suo "capolavoro" di filosofia della politica.
Le radici del totalitarismo vengono individuate ancora una volta nello storicismo, soprattutto quello hegeliano, ma affondano nell'alba della filosofia, in autori quali Esiodo, Eraclìto, Platone, lo stesso Aristotele, ritenuto colpevole di essenzialismo. I grandi bersagli polemici sono comunque nazismo e comunismo, le teorie della razza ed il pensiero di Marx.
La manifestazione più evidente del totalitarismo è la società chiusa, di stampo tribale e collettivista, dominata dai tabu, dove la vita degli individui è regolata da norme rigide imposte d'autorità. «Una società chiusa assomiglia ad un gregge o a una tribù per il fatto che è un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme da vincoli.» Al contrario, la società aperta è quella nella quale gli uomini sono liberi di assumere il timone della loro vita, liberi di manifestare un atteggiamento critico, liberi di basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza.
La distinzione tra società chiusa e società aperta fu mutuata dal filosofo francese Bergson, il quale, comunque, lo aveva utilizzato in uno schema di pensiero diverso.

La questione che tutti si pongono è stata sempre: "chi deve governare?" Questa domanda ha provocato risposte definiti sterili, tipo: i migliori, i filosofi, un sovrano illuminato, il popolo, la razza superiore. Si tratta anche di una risposta falsa perché presuppone governanti buoni ed onesti. Per Popper occorre liberarsi di questa domanda, superandola con un'altra: «Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi ed incompetenti facciano troppo danno?»
Serve un controllo istituzionale dei governanti. Solo attuandolo risolveremo il paradosso delle democrazie, ovvero il paradosso di un popolo che sceglie la tirannide, come è accaduto in Germania con l'avvento di Hitler.

Popper tracciò una linea di demarcazione tra totalitarismo e libertà che si espresse in una netta distinzione tra dittatura e democrazia.
Scriveva in proposito:«1. La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, benché l'istituzione delle elezioni generali sia della massima importanza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica (la maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia di coloro che hanno una statura superiore a sei piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio della democrazia è questo: in una democrazia i governanti - cioè il governo - possono essere licenziati senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia.
2. Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo, cioè quello che possiede istituzioni di questo genere e tutti gli altri; vale a dire fra democrazia e tirannide.
3. Una costituzione democratica consistente deve escludere soltanto un tipo di cambiamento che mettere in pericolo il suo carattere democratico.
4. In una democrazia, l'integrale protezione delle minoranze non deve estendersi a coloro che violano la legge e specialmente a coloro che incitano gli altri al rovesciamento violento della democrazia.
5. Una linea politica volta all'instaurazione di istituzioni intese alla salvaguardia della democrazia deve sempre operare in base al presupposto che ci possano essere tendenze anti-democratiche latenti sia tra i governati che tra i governanti.
6. Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti saranno distrutti; anche se fossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governati, essi lo avrebbero solo sulla base della rassegnazione.
7. La democrazia offre un prezioso campo di battaglia per qualsiasi riforma ragionevole dato che essa permette l'attuazione di riforme senza violenza. Ma se la prevenzione della democrazia non diventa la preoccupazione preminente in ogni battaglia particolare condotta su questo campo di battaglia, le tendenze anti-democratiche latenti che sono sempre presenti ( e che fanno appello a coloro che soffrono sotto l'effetto stressante della società...) possono provocare il crollo della democrazia. Se la comprensione di questi principi non è ancora sufficientemente sviluppata, bisogna promuoverla. La linea politica opposta può riuscire fatale; essa può comportare la perdita della battaglia più importante, che è la battaglia per la stessa democrazia.»

In altre parole, è evidente che in una società aperta le istituzioni non possono permettere ai prepotenti ed ai potenti di schiavizzare i mansueti: e questo è un limite alla libertà, che non può essere illimitata. Ma c'è un limite anche alla tolleranza: se noi la estendiamo agli intolleranti, se non siamo disposti a proteggere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti «allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.» Ma ciò non è valido sempre, e queste parole servono più come un orientamento nei momenti cruciali di un eventuale attacco alla democrazia. Infatti, dice ancora Popper, la soppressione è la meno saggia delle decisioni. «Ma si deve proclamare il diritto di sopprimere gli intolleranti, se necessario anche ricorrendo alla forza, qualora essi, ripudiando ogni argomento "ricorrano all'uso dei pugni e delle pistole".»

Tra le procedure democratiche e le regole metodologiche della scienza, secondo Popper, dovrebbe realizzarsi una specie di analogia fondata sulla evidente congruenza delle situazioni: sia nell'attività scientifica che nelle attività politiche si cerca il modo di risolvere problemi. Ed anche in politica occorre fantasia, creatività, occorrono nuove ipotesi da falsificare, cioè da sottoporre ad un controllo rigoroso. Anche in politica, come s'è visto la questione della controllabilità è cruciale. Ed anche in politica il dogmatico è colui che è illuso di avere una verità definitiva, e non si rende conto che nuovi fatti, nuove scoperte, l'affermarsi di nuove ipotesi possano smentirla.

In La società aperta ed i suoi nemici abbiamo un ulteriore attacco allo storicismo che questa volta si precisa, anche coraggiosamente (visto che Popper era di orgine ebraica ed era in esilio perché perseguitato dai nazisti), contro la teoria teologica del popolo eletto. Egli contesta apertamente l'idea che Dio scelga un popolo per attuare i suoi disegni. E' evidente che tale critica si estende anche a coloro che sostituiscono la natura o qualocos'altro, a Dio.
Le ragioni dello storicismo profetico vanno dunque cercate nell'antichità, nello stesso pensiero filosofico, in uomini che come Esiodo ed Eraclìto hanno forzato la mano della storia interpretandola in modo dogmatico e definitivo. Dopo aver definito Esiodo il poeta della decadenza dell'umanità ed Eraclìto il teorico dell'immutabile legge del mutamento, Popper si scaglia contro Platone, che è poi il contrario di Eraclìto, ovvero il teorico di un modo di pensare secondo cui «il cambiamento è male e la stasi è divina.» Secondo Popper Platone fu un reazionario collocato apertamente contro le novità della democrazia ateniese, su posizioni sostanzialmente ostili a quelle dei democratici eredi di Pericle.
Anche Aristotele non è risparmiato: l'accusa è quella di essenzialismo metodologico, ovvero un modo di pensare che ha seriamente compromesso la scienza e la filosofia per secoli. Compito della scienza è infatti non ripondere alla domanda che cos'è la materia? ma decrivere il comportamento dei fenomeni: «Così la concezione scientifica della definizione "un cucciolo è un cane giovane" sarebbe che essa è una risposta alla domanda " che cosa è che chiamiamo un cane giovane?" piuttosto che alla domanda "che cos'è un cucciolo?» In sostanza, dice Popper, la scienza non persegue una spiegazione ultima e quindi non è essenzialista.
Al contrario, nelle scienze sociali permane l'essenzialismo vecchia maniera, ed il marxismo ne è l'esempio più importante.
Prima di arrivare a Marx, Popper svolge una spietata critica di Hegel, il padre dello storicismo e del totalitarismi moderni.
Gli aspetti illiberali del pensiero di Hegel sono: il culto platonizzante dello stato; la mentalità tribale e collettivista; il rifiuto di un principio etico al di sopra dello stato e la risoluzione della morale nella politica; il concetto che il solo criterio possibile di giudizio nei confronti dello stato sia il successo storico-mondiale delle sue politiche. Infine la teoria che lo stato possa esistere solo mediante la guerra, con l'aggravante della tesi di una nazione eletta a fungere di volta in volta da guida. Infine la teoria del Grande Uomo e della Personalità storica mondiale. Tutto questo, secondo Popper, fu ereditato e realizzato dal nazismo.
Inoltre, Hegel fu intellettualmente e moralmente disonesto:« Hegel realizzò le cose più miracolose. Logico sommo, fu un gioco da bambini per i suoi efficacissimi metodi dialettici estrarre conigli fisici da cappelli puramente metafisici.»

Rispetto a Marx, va notata una posizione di maggiore rispetto, anche perché non va dimenticato che Popper fu inizialmente attratto dalle idee socialiste.
Ma anche con Marx la critica è spietata. L'attacco al comunismo avviene in prima battuta come un processo di tipo epistemologico. «Credo che sia assolutamente corretto sostenere che il marxismo è, fondamentalmente, un metodo. Ma è sbagliato credere che, in quanto metodo, debba essere al riparo di ogni attacco. La verità è, più semplicemente, che chiunque intenda giudicare il marxismo, deve metterlo alla prova e citarlo in quanto metodo, cioè deve valutarlo in base a criteri metodologici. Deve insomma chiedersi se è un metodo fecondo o sterile, cioè se è o non è capace di favorire il compito della scienza.»
Popper ritiene corretto, valido e persino giusto ritenere fondamentali le condizioni economiche per una valutazione dei processi storici. Ma, secondo lui, Marx ha preso troppo sul serio il termine fondamentale. E' essenzialismo, e come tale, non è migliore di tutti gli altri. La concezione dello stato di Marx, ad esempio, è essenzialistica, risponde cioè alla classica domanda: che cos'è 'stato'? E se la risposta classica è: la forma di organizzazione del dominio della classe borghese sulla società, nascono da questo atteggiamento gravi conseguenze quali la svalutazione della politica a vantaggio dell'economia ed anche il disprezzo per la democrazia formale.
Popper è convinto, in sostanza che, alla luce di quanto è andato maturando nello sviluppo sociale, il potere politico sia autonomo da quello economico, ed in qualche modo possa anche condizionarlo. La svalutazione del politico, nel marxismo, ha portato a concezioni dogmatiche che hanno ostacolato il riformismo.
In netta controtendenza rispetto al pensiero del suo amico F. A. von Hajek , Popper fu infatti un convinto assertore del ruolo dello stato e della politica nell'economia, per certi aspetti vicino alla sinistra moderata.
Secondo Popper infatti il potere politico ha il dovere di controllare il potere economico: «Ciò significa un'enorme estensione del campo delle attività politiche. Noi possiamo chiederci che cosa vogliamo conseguire e come possiamo conseguirlo. Possiamo, per esempio, attuare un razionale programma politico per la protezione degli economicamente deboli. Possiamo fare leggi atte a limitare lo sfruttamento. Possiamo limitare la giornata lavorativa, ma possiamo fare anche molto di più. Per legge, possiamo assicurare i lavoratori ( o meglio ancora, tutti i cittadini) contro l'invalidità, la disoccupazione, la vecchiaia. In questo modo possiamo rendere impossibili certe forme di sfruttamento come quelle fondate sulla debole posizione economica di un lavoratore che deve accettare qualunque cosa per non morire di fame... [...]
Il potere politico e il suo controllo è tutto. Al potere economico non si deve permettere di dominare il potere politico; se necessario, esso deve essere combattuto dal potere politico e ricondotto sotto il suo controllo.»
Sono posizioni condivisibili da una sinistra meno viziata dal pregiudizio ideologico. Il problema è che in Italia il pensiero politico di Popper ha faticato, non dico ad imporsi, ma semplicemente a proporsi data l'egemonia delle correnti storiciste-marxiste nella vita culturale.
Personalmente le condivido, anche se non le ritengo particolamente adatte alla situazione attuale del nostro paese, che ha bisogno di un patto tra i produttori in grado di purificare la politica ed arginare il potere della grande finanza, di meno stato e più mercato, di riforme che non distruggano la stato però, a vantaggio di pasticci come il senato federale.
Nel prossimo capitolo vedremo gli sviluppi della critica popperiana a Marx.

(continua)

RG -15 maggio 2004