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La filosofia politica di Karl Popper - 6
La critica al marxismo
a cura di Renzo Grassano
L'unico modo per controllare il potere economico, secondo Popper, è la democrazia, cioè un potere politico del tutto diverso da quello dei passati regimi. La democrazia è innanzitutto il diritto del popolo di giudicare i propri governanti, offre la possibiltà di licenziare un governo non gradito, "è anche il solo mezzo di controllo del potere economico da parte dei governanti".
I marxisti, al contrario, hanno sempre considerato lo stato democratico come una creatura borghese, uno strumento legale di oppressione, e quindi hanno disprezzato la democrazia formale e rappresentativa. Hanno quindi sottovalutato la necessità del controllo dei controllori della pericolosa accumulazione di potere rappresentata dallo stato. I marxisti (quelli di cui parla Popper sono i marxisti ed i comunisti degli anni '40) non hanno quindi sentito l'esigenza di impedire che il potere delle articolazioni statali fosse sufficientemente controllabile dal basso. E quando sono andati al potere, hanno distrutto la democrazia formale, non preoccupandosi delle conseguenze: dopo Lenin, uno Stalin, con tutto quel che ne segue.
Ovviamente il giudizio di Popper non tiene sufficientemente conto delle esperienze nazionali, in particolare dei marxisti occidentali. Per alcuni aspetti, un marxista italiano degli anni '70, ad esempio, avrebbe potuto ampiamente riconoscersi nelle critiche di Popper. A partire da Gramsci, dalle elaborazioni di Eugenio Curiel sulla democrazia progressiva, il problema del controllo e della partecipazione popolare non era stato affatto trascurato. L'impegno per la democrazia, culminò, com'è noto, nella Resistenza e nella partecipazione attiva alla scrittura della Costituzione repubblicana.
Un certo fastidio per le idee di Popper, specie tra i quadri intermedi del partito comunista degli anni '70 ed '80, quando il suo pensiero fu assimilato dai socialisti craxiani che ne fecero degli slogans, si può così spiegare con il fatto che sulla strada indicata da Popper molto cammino era stato compiuto proprio dai comunisti: quelle idee non solo non erano nuove, ma nemmeno particolarmente originali. Dal grave dissenso nei confronti dell'intervento sovietico a Praga, fino allo strappo definitivo con Mosca, le posizioni dei comunisti erano evolute non solo sul piano teorico (forse meno velocemente del necessario, come del resto aveva denunciato con giusto rammarico Norberto Bobbio) ma sul piano dei comportamenti politici concreti.
Di fatto essi furono costretti a difendere la democrazia contro attacchi concentrici di complotti di destra ed attacchi della sinistra estrema, persino terroristica. E nel fuoco di quella battaglia per nulla scontata, le lezioni di Popper, non fatte da lui stesso, ma ripetute da personaggi di dubbia qualità legati al carro al malaffare e della corruzione craxiana, suonavano non solo fastidiose, ma persino "oscene".
Spiegato meglio questo punto, occorre dire che Popper non fece a sua volta una buona impressione quando nei confronti del marxismo precisò una serie di critiche che a molti parvero esagerate.
Sul profetismo di Marx, ad esempio, egli non fece molte concessioni: parlò esplicitamente di povertà del metodo storicistico e di una equivoca confusione di leggi e tendenze. Le profezie marxiste "parevano più simili a quelle dell'Antico Testamento che a quelle della fisica moderna". (1)
Queste critiche andavano a sbattere contro lo storicismo gramsciano e crociano che invece era parte integrante della cultura comunista. Del resto, lo stesso Popper, scusandosi per la sua ignoranza del pensiero crociano, riconobbe che egli aveva criticato un altro tipo di storicismo.
L'attacco di Popper al marxismo si specifica in termini epistemologici in La scienza, congetture e confutazioni. A partire da una domanda apparentemente semplice (che cosa non va nel marxismo, nella psicoanalis, nella psicologia individuale di Adler?) Popper si chiede ancora: «Perché queste dottrine sono così diverse dalle teorie fisiche, dalla teoria newtoniana, e soprattutto dalla teoria della relatività?» (1) La risposta stava nel fatto che marxismo e psicoanalisi sembravano avere un fortissimo potere esplicativo. Ovvero erano sempre in grado di spiegare tutto.
«Lo studio di una qualunque di esse sembrava avere l'effetto di una conversione o rivelazione intellettuale, che consentiva di levare gli occhi su una nuova verità, preclusa ai non iniziati. Una volta dischiusi gli occhi, si scorgevano ovunque delle conferme: il mondo pullulava di verifiche della teoria. Qualunque cosa accadesse, la confermava sempre. La sua verità appariva perciò manifesta; e, quanto agli increduli, si trattava chiaramente di persone che non volevano vedere la verità manifesta, che si rifiutavano di vederla,o perchè era contraria ai loro interessi di classe, o causa delle loro repressioni tuttora "non-analizzate" e reclamanti ad alta voce un trattamento clinico.» (1)
Ecco dove stava, per Popper, la mostruosità di marxismo e psicoanalisi.
Al contrario, le teorie fisiche, realmente scientifiche, presentavano un potere esplicativo limitato, aperto a smentite, cioè alla falsificazione.
Ma gli adepti a marxismo e psicoanalisi consideravano le rispettive dottrine omni-esplicative, quindi non falsificabili, o falsificabili solo in parte, come il marxismo.
Lasciando da parte psicoanalisi e psicologia individuale adleriana, temi che esulano dal seminato di questo scritto, vediamo più in dettaglio il rapporto tra Popper e marxismo. Osserviamo subito che il giudizio è costretto a farsi più complesso. Da un lato la dottrina marxista è scientifica perché falsificabile: alcune profezie sbagliate sono state smentite dalla storia. Ma dall'altro non lo è, perché il suo potere esplicativo rimane enorme.
E qui, a titolo del tutto personale, osservo che Popper prosegue imperterrito, forse troppo. Anziché chiedersi se non vi fosse qualcosa di sbagliato nei criteri da lui elaborati per la demarcazione di ciò che è scienza e ciò che è solo chiacchiera, approssimazione, accumulo di pratiche e saperi fondati su specializzazioni, Popper non considera nemmeno che il marxismo è falsificabile proprio laddove è meno scientifico, dove manca cioè di esattezza e senso della misura, dove da fatti puramente congiunturali e contingenti, ha tratto conclusioni profetiche spropositate. Il problema era ed è, quindi, che non tutto quello che è falsificabile è anche scientifico. Anzi, a me pare vero il contrario.
Ma, egli tira dritto e perviene così ad un giudizio alquanto singolare: «... il marxismo fu una volta scienza, ma una scienza che fu confutata da alcuni fatti che entrarono in conflitto con le sue predicazioni... tuttavia il marxismo, oggi, non è più scienza; e non lo è perché ha infranto la regola metodologica per la quale noi dobbiamo accertare la falsificazione, ed ha immunizzato se stesso contro le più clamorose confutazioni delle sue predizioni. Da allora esso può venire descritto solo come non-scienza, come un sogno metafisico, se volete, congiunto con una realtà crudele.» (2)
Queste secche prese di posizione portarono ad un confronto-scontro con una parte del composito universo marxista, in particolare con la scuola di Francoforte ed Ernst Bloch.
Al congresso di Tubinga del 1961, organizzato dalla Società Tedesca di Sociologia, vertente sul tema "La logica delle scienze sociali", si realizzò una polemica tra Popper ed Adorno, poi ripresa in Dialettica e Positivismo in sociologia, Torino 1972.
Fu uno scontro filosoficamente titanico, perché Popper, da un lato, difese come meglio non poteva il Methoden Streit della sociologia empirica e positivista, e dall'altro attaccò ulteriormente il marxismo come parzialità: «L'esame logico dei metodi dell'economia politica - disse Popper nella circostanza - porta ad un risultato che può essere applicato a tutte le scienze sociali. Questo risultato mostra che nelle scienze sociali c'è un metodo pienamente obiettivo che si può ben definire come metodo della comprensione oggettiva, o come logica della situazione.» (3)
Vale la pena di vedere anche cosa disse Adorno. A fronte dello "spezzatino" epistemologico delle scienze sociali positive, incapaci di una visione globale dello sviluppo storico-sociale, Adorno attaccò direttamente Popper, asserendo: «Quando il positivismo fa passare questo concetto (di visione globale, nda) per un residuo mitologico, prescientifico, esso mitologizza, nella sua instancabile lotta contro la mitologia, la scienza.» (4)
La posizione di Adorno era interessante perché, lungi dal ripresentarsi come una resurrezione della totalità hegeliana, dava della stessa pretesa di visione globale una definizione inedita: "non è una realtà prima esistente in sé" ma ciò che immanente nel sistema globale; non è al di là dei fatti, "è invece immanente ad essi, in quanto ne è la mediazione". In definitiva, chiudeva Adorno, il limite dell'approccio positivistico è spacciare l'organizzazione attuale della scienza la vera scienza: «Che i positivisti, con un circolo vizioso gigantesco, estrapolino dalla scienza le regole che devono fondarla, è un fatto che ha fatali conseguenze anche per la scienza, il progresso effettivo della quale comprende tipi di esperienza che non sono a loro volta prescritti e approvati dalla scienza.» (3)
Come si vede facilmente, si trattò di uno scontro tra due linguaggi e due mentalità difficilmente riducibili l'uno all'altra. La visione popperiana della scienza, in sostanza, la sua epistemolgia, cerca, a volte affannosamente, altre con estrema lucidità, di trasferire il canone dell'esattezza al settore delle scienze sociali.
Adorno, dal canto suo, nega che questo metodo sia in grado di mordere profondamente nella realtà, perché essa non è fatta di segmenti, non è "fotografabile", ma è costituita da connessioni ed interdipendenze che vanno considerate nella loro complessità.
Consapevole della posta in gioco in una partita ancora aperta, Popper non evita dichiarazioni polemiche persino eccessive, dichiarando "morto" il marxismo scientifico, rivolgendo inoltre ripetute accuse di immodestia ai marxisti.
Molto più convincente Popper si rivela, quando abbandona temporaneamente il terreno impervio dell'epistemologia delle scienze umane per attaccare il radicalismo in generale, da intendersi come una forma di estremismo. Il marxismo è radicalismo, e ciò lo avvicina a Platone ed a tutti gli utopisti: «la convinzione che bisogna andare fino alla radice del male sociale, che bisogna procedere ad un completo sradicamento del sistema sociale che ci offende se vogliamo veramente "riportare un po' di decoro nel mondo".» (1)
In sostanza, al radicalismo Popper oppone il riformismo ed il gradualismo.
Ed in questa onesta e condivisibile opposizione tra moderati ed estremisti che lo ritroveremo nel prossimo capitolo, scoprendolo così molto più a sinistra di quanto si potrebbe suppore da quanto considerato finora.
(continua)
note:
(1) Congetture e confutazioni - Bologna, 1972.
(2) in Reply to my critics -cit in Giovanni Fornero, Storia della filosofia di Nicola Abbagnano, vol. VIII TEA, 1996
(3) AA.VV. - Dialettica e Positivismo in sociologia, Torino 1972.
RG - 21 maggio 2004