Mastro Lie si era messo in testa di andare
a Qi. A fare cosa non si sa. O per sfuggire
a cos'altro nemmeno. Vien però detto, in
altra parte del libro, che in gioventù gli
era piaciuto viaggiare. Potremmo allora ipotizzare
che non si era mosso solo per sgranchirsi
le gambe. Fatto sta che, giunto a metà strada,
decise di tornare indietro. Incontrò Bohun
Wuren che gli chiese conto del ritorno. .
Rispose che "aveva cominciato a preoccuparsi".
Perché? «Mi sono fermato a mangiare
in dieci locande e in ben cinque di queste
sono stato servito per primo.»
Potrebbe risultare strano ma, perché proccuparsi?
E' solo uno di quei periodi in cui si ha
il vento in poppa. Tra un periodo di jella
e un altro, ci sta che lo stellone sorrida.
Bohun Wuren chiese: "Perché ti sei preoccupato?"
Allora Lie spiegò: «Quando la sincerità
interiore non ha ancora abbandonato ogni
attaccamento, l'aspetto di una persona si
carica di una luce che rende visibile tale
stato all'esterno; ciò influenza i cuori
degli altri uomini facendo sì che trattino
tale persona meglio dei propri anziani genitori:
e in una situazione del genere non ci si
può che trovare a disagio. Quelli che servono
zuppa e carne in una locanda lo fanno solo
per guadagnare qualcosa di più; il loro profitto
è minimo, bassa la loro condizione; eppure
si sono comportati con me nel modo che ho
descritto. Figurarsi quello che potrebbe
fare il signore di un esercito di diecimila
carri che avesse esaurito le proprie energie
nel governare e avesse affaticato il proprio
intelletto nel condurre gli affari di stato:
pensa se decidesse di affidarmi qualche incarico,
pensa se si aspettasse che io ottenessi grandi
risultati. Ecco cosa mi ha fatto preoccupare.»
Ora, finalmente, si sa cosa avesse ancora
in fondo all'animo Mastro Lie, andando a
Qi. Cercava di spegnere la luce particolare
che ancora brilla quando si coltiva una qualsiasi
ambizione. Involontariamente, si dava ancora
delle arie.
La storia di Mastro Lie ebbe un epilogo.
La sua casa si affollò di discepoli che venivano
da lontano, dalle regioni oltre Qi. Era destino?
Che differenza c'è tra
servire un potente
con diecimila carri e qualche
fighetto con
diecimila ambizioni? Si
dovrebbe dire che
c'è una sola ambizione
degna di essere coltivata
ma, nel momento stesso
in cui viene nominata,
rischia di diventare un'ambizione
peggiore
delle altre. C'è sempre
qualcosa di sospetto nel vedere uno stuolo di discepoli che attorniano
un "Maestro", dal quale vorrebbero
imparare la "perfezione" e la "santità".
Sospetto è il maestro ma, sospetti sono soprattutto
gli allievi. Secondo Bohun Wuren, quando
si comincia ad attirare gli altri, si perde
il proprio essere originario. In definitiva,
sarebbe meglio rendersi invisibili! E' tesi
estrema. Non è il caso di discuterla sul
piano dottrinale. Si finirebbe in quella
morsa del "contendere" che astrae
dalla dinamica della vita solo qualche brandello
di fenomenologia.
Si può solo osservare che, in pratica, l'invisibilità
totale è impossibile. Se è destino che accada,
accadrà che un giorno qualcuno vada a cercare
qualcun altro, ritenendolo "maestro"
totalmente disinteressato.
Al giorno d'oggi, in un momento in cui la
visibilità è questione di vita o di morte,
di successo e insuccesso, i giovani non devono
confondere due cose assai diverse. Se facessi
il panettiere, sarebbe insensato nascondere
il mio negozio.e la mia abilità. Se facessi
il letterato, sarebbe insensato non partecipare
a concorsi letterari e se fossi un ingegnere,
perché mai non dovrei mostrare di cosa sono
capace? E finché rimango uno storico ed un
antropologo, perché mai dovrei nascondere
i miei scritti?
Bisogna rassegnarsi a diventare
ridicoli
maestri di stolti che aspirano
alla "santità"
prima ancora di aver imparato
un mestiere
e a guadagnarsi da vivere?
Probabilmente,
c'è un solo modo per comprendere
ed accettare
una simile destino. Vivere
da "perfetto"per
un paio di giorni, di settimane,
di mesi,
di anni. L'individuo si
svuota. Cessa di
nutrire ambizioni e spandere
gas attorno
a sé. Smette di usare belle
parole edificanti,
procede nel suo cammino.
Dopo essersi realmente
svuotato, potrebbe trovare
l'umiltà di imparare
anche da un "perfezionista"
come
Confucio. Questi, una volta,
non ebbe difficoltà
ad ammettere che c'erano
quattro allievi
che gli erano superiori
in qualche virtù
e capacità. Yen Hui lo
superava in benevolenza.
Quell'altro nell'argomentazione,
quell'altro
ancora nel far musica,
e l'ultimo non me
lo ricordo a memoria perché
la mia memoria
non è perfetta. Comunque
sia, il "perfezionista"
Confucio era pienamente
consapevole delle
sue imperfezioni e delle
sue incapacità.
Non le nascondeva, come
si è visto, nemmeno
davanti ai bambini.
Si è già avanti nel lavoro se si riconosce
spontaneamente la propria inferiorità nel
fare e nel comportarsi, rispetto a chiunque
altro. In questa dimensione la "spontaneità"
intesa come "sincerità" spinta
all'ennesima potenza sarebbe una virtù da
esaltare. Ma, è proprio da stolti "esaltare"
in sé, ed è ancora più stolto esaltare la
sincerità. A volte è necessario mentire.
Per non offendere. O, come nel caso di Dongguo
e Beigonzi, a fini terapeutici.
(continua)
gm - gennaio 2012 |
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