indice idealismo, romanticismo e marxismo

indice Hegel


Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)

Leggere Hegel non è una passeggiata

di Renzo Grassano


Leggere Hegel non è una passeggiata. Anzi, è un grosso impegno. Ma, anche leggere riassunti del pensiero di Hegel non è tanto facile. Anzi, si rischia spesso e volentieri di sbadigliare, capire poco o niente, od anche farsi portare in interpretazioni che poco hanno a che fare la vera filosofia hegeliana.
Non ho la pretesa di aver finalmente luce, ci mancherebbe.
Sono solo convinto di aver fatto del mio meglio. E, con mia figlia Elena ha funzionato. Crede di aver capito Hegel con un anno di anticipo sui suoi coetanei. Ed ha anche voluto scrivere qualcosa su Hegel, una microbiografia corretta ed utilissima.
Forte di questo risultato, consiglio di leggere i files nei quali ho cercato di condensare il pensiero hegeliano poco alla volta, curando, allo stesso tempo di aver sempre di mira l'insieme del quadro e non lo spezzatino.

Nella storia della filosofia moderna e contemporanea, Hegel rappresenta l'apice della corrente idealista, incarna gli ideali del movimento romantico, pur rinnegandoli in qualche punto (ed io non sono affatto convinto del romanticismo hegeliano) e, ciò potrebbe portare a vedere un Hegel antiilluminista, quindi un reazionario ed un fautore della restaurazione.
Lo schemino è stato proposto, ma non ha avuto grande fortuna.
Nel corso della sua vita riuscì ad essere tutto, quindi anche un progressista.
I suoi seguaci si divisero presto in più correnti, sia di destra che di sinistra, ed anche tra gli esponenti della destra non mancarono filosofi di orientamento liberale. L'esistenza di una sinistra hegeliana testimonia il lato innovativo delle idee di Hegel, e chi vuole davvero comprendere qualcosa del pensiero filosofico moderno e contemporaneo deve acconciarsi a leggerlo, o persino, studiarlo.
Non credo, come afferma uno dei suoi biografi, Horst Althaus, che senza Hegel la storia del mondo sarebbe stata diversa, o quantomeno, tanto diversa. Non si fa storia con i se, specie se di questo tipo. Tuttavia, più ragionevolmente, mi pare accettabile l'idea che la nostra comune coscienza di avere una coscienza dipenda in gran parte da Hegel, il quale, influenzando Gentile e Croce, ha finito con l'inluenzare anche noi, che siamo andati a scuola da professori imbevuti di idee crociane e gentiliane. Nemmeno chi ha fatto solo le elementari o le medie è sfuggito a questo destino, perchè anche i maestri e le maestrine venivano da quella scuola.

Hegel fu certamente il primo a realizzare in termini filosofici e non letterari, o narrativi, che la coscienza non si limita ad opporre il soggetto conoscente, l'io, ad un oggetto da conoscere, qualsivoglia sia. La coscienza realizza spesso, e per Hegel sempre, una unità con l'oggetto conosciuto, un'unica identità: io non solo quello che pensa il popolo afghano, io sono il popolo afghano, le sue sofferenze, le sue bambine alle quali era proibito andare a scuola, le sue donne con la testa infilata nella gabbia del burka, i suoi mutilati saltati in aria sulle mine. Mi immedesimo nelle varie situazioni. E come strillava Bertinotti a Blob: "io sono le prostitute, io sono i pederasti, io sono i malati di Aids, io sono negro ed ebreo... (io sono Hegel)
Questo, al di là di ogni altri luogo comune, e ce ne sono tanti, è il vero Hegel, quello al quale non bisogna erigere altari o monumenti, ma solo riservare un posto adeguato nei manuali di filosofia.
Certo, chiunque capisca qualcosa di come maturano le idee, avrà già compreso: Hegel ha solo trasposto in filosofia quello che altri, sotto molteplici punti di vista, avevano messo in prosa scorrevole. Herder, per primo.
Un salto al file intitolato romanticismo tedesco e filosofia può aiutare ad orientarsi.

Fare esperienza di Hegel non può che lasciare una traccia positiva, anche quando ne cogliamo tutta la negatività, il pessimismo, l'impotenza e vediamo come spesso, ma non sempre, la filosofia sia, alla luce dell'hegelismo, niente più che una vecchia nottola che si leva al tramonto di ogni epoca, per spiegarla ed interpretarla.
Ci fu un momento, nella gioventù di Hegel, nel quale la filosofia era lo strumento della contestazione dell'ordine esistente e delle sue ingiustizie. Col passare degli anni, l'imperativo di Hegel divenne quello della riconciliazione del filosofo con la realtà e la ricerca della sua spiegazione e giustificazione. Il mistero di questo trapasso non l'ho indagato e spiegato a sufficienza. E non voglio chiarire qui cose che non sono riuscito a chiarire altrove. Posso solo dire che, a mio avviso, questa esigenza di riconciliazione non interessò solo Hegel, in quel momento, ma ha qualcosa a che fare con tutti noi. Da giovani si è apocalittici facilmente, il che significa "rivoluzionari", desiderosi di un mondo nuovo; da maturi, guardando le cose da tutti i punti di vista, si è più disposti all'integrazione, a stare in società con meno pretese, qualche briciola di buona volontà in più e molta comprensione per gli altri.
Questo atteggiamento muove spesso da motivi di convenienza, perchè teniamo famiglia, ma non si spiega solo così. Scattano altre considerazioni, si comincia a vedere con più chiarezza e meno unilateralità dove conduce e dove potrebbe condurre una fedeltà estrema ai principi astratti dell'uguaglianza e della fraternità. E persino sull'esasperazione della libertà ci sarebbe molto da dire.
Così, Hegel capita spesso a fagiolo. In molti casi riesce spesso a mostrare l'altra faccia della luna, a far considerare come non vi sia un negativo che non abbia qualcosa di positivo e viceversa, a far comprendere quanto negativo porti con sè il positivo.

Un altro punto su cui dobbiamo qualcosa, questa volta prevalentemente in negativo, ad Hegel, è la concezione della vera filosofia, cioè la sua, come scienza dell'assoluto, come, cioè il punto di vista di Dio sulle vicende del mondo.
Messa in questi termini, la filosofia è scienza, e giustamente avanzerebbe pretese totalitarie, se la maggioranza dei filosofi la pensasse così. Fortunamente, la maggioranza dei filosofi non crede che la filosofia sia scienza, nemmeno quando fa filosofia della scienza, ma solo una continua ricerca, ed è in questa negazione ed autoriduzione d'importanza che siamo liberi di pensare e scrivere quello che ci pare più onesto e più vero, e non quello che dice la vera filosofia, cioè quella di Hegel.

Hegel derivò questa idea da Aristotele, indubbiamente. Ma, altrettanto indubbiamente lo travisò, perchè tutte le cose che Hegel dichiarò oggetto di filosofia, quindi di scienza incontrovertibile, per Aristotele erano oggetto di saggezza, cioè un sapere diverso, probabilistico ed empirico, altro che scienza!
Fu, dunque, Hegel, per quanto indirettamente, ad insegnare a Marx che esiste una scienza della storia, e che questa coincide con la filosofia. Ed è su questa scia che il marxismo ha preteso, per tanti decenni, di essere scienza della storia, invece che ragionevole e fondata opinione, perchè, ci mancherebbe, solo i grulli ed i disonesti intellettuali non vedono i conflitti d'interesse e la lotta di classe. Ma, anche quelli che vedono solo lotta di classe non possono che essere o grulli, o disonesti intellettualmente. C'è dell'altro, c'è l'individuo, c'è il mio diritto a vivere, a farmi strada, in una società che non è solidale se non a sprazzi, se non per moti di commozione o per convinzione ideologica. Ed è questa la realtà di oggi. Una realtà che non mi piace e che non mi pare affatto razionale, anche se è comprensibile razionalmente il movimento dell'Europa verso destra, visto che la sinistra non ha ormai più molto da dire al nuovo egoismo emergente.

Ma sarebbe errato arrestarsi al marxismo. Hegel è presente ovunque in tutto il pensiero contemporaneo, sia nel bene che nel male.
Persino Nietzsche, che interpretò Hegel come un salvatore dell'idea di Dio, contrapponendolo a Schopenhauer, primo ateo dichiarato, riconobbe ad Hegel il merito di aver introdotto l'idea di evoluzione in filosofia.
Se appare esagerata, persino assurda, l'idea che non ci sarebbe stato Darwin senza Hegel (ma Nietzsche esagera ogni cosa), qualcosa di vero balena nelle affermazioni di Nietzsche. Ma, prima bisogna dire che, come vedremo nella filosofia della natura, Hegel non concepì affatto la natura in termini evolutivi. Solo lo spirito umano diveniva, prendeva coscienza. La natura diveniva sì, ma in senso ciclico: nascita sviluppo e morte, sempre uguale a sé stessa. In Hegel, quindi, contrariamente a quanto pensava Nietzsche, mai ci fu una visione evolutiva della natura. Ci fu solo una storia dell'evoluzione umana intesa come progressiva salita alla visione dell'Assoluto nella coscienza.
E, tuttavia, scrive Nietzsche: "noi tedeschi saremmo hegeliani, anche se un Hegel non fosse mai esistito, in quanto noi (contrariamente a tutti i latini) attribuiamo per istinto al divenire, all'evoluzione un senso più profondo e un più ricco valore a tutto quanto è."
Ma Nietzsche interpreta Hegel soprattutto come un difensore dell'idea di Dio, in modo esattamente capovolto rispetto ai teologi luterani, a Schleiermacher ed allo stesso Schelling, in qualche modo scandalizzati dall'idea che l'uomo potesse raggiungere la visione dell'Assoluto se non per intuizione immediata di qualcosa di veramente grande, grandissimo, incommensurabile ad ogni finitezza umana.

Hegel, per Nietzsche, ha ancora ritardato "il tramonto della fede nel Dio cristiano, la vittoria dell'ateismo scientifico". Tutto questo, come sospetta Nietzsche, perchè dietro al filosofo che proclamava la superiorità della filosofia sulla religione, si nascondeva la teologia occulta del vero Hegel. Hegel non ha, in altre parole, affatto rinunciato a Dio; lo ha solo nascosto e travestito: è l'assoluto, la sostanza, l'idea, lo spirito, la "ragione" che governa il mondo.
Certo, un vero cristiano, dovrebbe dubitarne: il mondo è in potere del maligno - affermò Cristo. Ma l'appiglio di Hegel è nella teologia paolina: Dio costituisce le autorità - scriveva l'apostolo nella lettera ai Romani. Per menti ristrette come le nostre, questa rimane una contraddizione del cristianesimo. I profeti hanno denunciato i re malvagi, ma era Dio a volerli ed a costituirli? Era Dio ad aver posto Caifa, Pilato ed Erode sui rispettivi troni?
Hegel la supera d'un balzo scegliendo Paolo, e mostrando una chiesa che incorona imperatori, e realizza il regno di Dio sulla terra. Forse credeva che da quel momento in poi sarebbe spettato alla filosofia incoronare sovrani, certo in un senso diverso da quello praticato dalla chiesa. La filosofia doveva realizzare l'incontro tra la ragione umana e quella divina, sovrana del mondo, in un unico spirito. Rimane una follia, o più semplicemente un'utopica aspirazione? O solo un auspicio che ricorda Platone? Od una cosa fattibile quando saremo tutti più saggi, almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto negli USA ed in Europa? Boh!

Sulla scia di Nietzsche potremmo ritrovare Freud e Jung. Certo è che solo avendo ben chiaro ciò che significa coscienza, abbiamo altrettanto ben chiaro che significa inconscio.
Gira e rigira, per Freud, un paziente è guarito dalle sue nevrosi quando si riconcilia con la realtà ed abbandona il principio di piacere negato dal conscio, ma vivo e vegeto nell'inconscio. Con Jung, che ebbe una concezione meno sobria e più romantica dell'uomo, non si va poi molto distanti: l'idea dello sviluppo individuale corrisponde in toto a questa marcia dello Spirito verso la conoscenza di sé illustrata da Hegel.
Heidegger, un altro pilastro della filosofia del novecento, durante le lezioni di Friburgo del 1930-31, trovò nella Fenomenologia dello spirito la conferma della sua certezza dell'essere. E ben sappiamo come, di fronte al divenire, il problema della filosofia occidentale, fosse stato e fosse, per Heidegger, la "questione dell'essere".
Ora, l'elenco delle influenze hegeliane potrebbe continuare davvero all'infinito, invadere il campo della letteratura, dell'arte, della critica (si pensi solo alla teoria del romanzo in Lukàcs) ma interessa qui chiudere il discorso, perchè ormai dovrebbe essere chiara l'importanza di Hegel nella storia del pensiero moderno.

La sua prosa non fu mai un modello di concisione e chiarezza. Senza un commento ed una guida, capita anche a me, il significato di alcuni passi potrebbe venire frainteso, o non compreso. Quel poco di fascino che Hegel riesce spesso ad esercitare sui più giovani sta tutto nel suo carattere enigmatico, una vera sfinge filosofica che sfida alla soluzione dei più ardui problemi posti dalla riflessione umana sulle vicende del mondo, su che significa assoluto, sul perchè la logica tradizionale, basata sulla distinzione e sulla non-contraddizione, è inadeguata quando si parla della vera filosofia.

La più grande difficoltà che ho incontrato, di fronte all'evidente ambivalenza, quando non polivalenza, del suo pensiero, è quella di capire dove abbiamo di fronte un Hegel sincero e genuino e dove cominci la finzione della diplomazia e la necessità di servire un padrone e venerare un'autorità con qualche salamelecco di troppo. Tanta parte della filosofia hegeliana appare reazionaria ed illiberale ma, forse, Hegel non lo fu mai nel suo intimo.
Da professore a Berlino, rischiando di suo, mentre nelle aule celebrava la realizzazione dello Spirito nello stato prussiano, in privato aiutò tanti progressisti in difficoltà con la polizia segreta. Egli stesso, nonostante le reiterate dichiaraziani di fedeltà, fu sorvegliato e spiato per le sue strane frequentazioni.
Senza congetturare su una doppia vita, una doppiezza di tipo togliattiano, va solo colto che anche all'epoca della maturità e della necessità, Hegel non cessò di avere e mostrare una grande umanità.
Come Cartesio, preoccupato di non finire come Galileo, si preoccupò di non terminare anzitempo la propria parabola, come vittima di una tradizione reazionaria.
Eppoi, come ho cercato di mostrare nel trattatello sul rapporto tra Hegel e la rivoluzione francese, anche a tarda età, sebbene da un punto di vista conservatore, il nostro non cessò di affermare che indietro non si torna. E che la restaurazione era una pia illusione di menti mediocri.

Condizionato dalla necessità di salire in alto, godere di protezioni, farsi strada, accumulare denaro sufficiente per una vita, se non agiata, quantomeno non disastrata, Hegel fu costretto ad un grande numero di compromessi reali e verbali. Però, al di sotto di tante frasi involute, di tanti rigiri di parole inutili e superflue, mi pare sia possibile dire che brilli ancora una filosofia attiva, se non energica, cattiva quanto basta per far tremare gli spiriti più boriosi e falsi, e buona quanto basta per capire che lo spirito dell'umanità è un progressista che guarda avanti e non un reazionario che guarda indietro, anche se, il progressista accumula residui di negativo e se li trascina dietro come un fardello sempre più pesante e con cumuli di cadaveri sulla coscienza.

La vita di Hegel fu la vita di un accademico in carriera, un professore convinto dei propri mezzi e delle proprie sovraumane qualità, in primis la profondità intellettuale e speculativa, ma anche cosciente di non essere un oratore formidabile e di non avere grande attrattiva sugli studenti. Non ebbe tutti i torti a coltivare una così grande autostima, ma ebbe certamente torto nel farla valere con fastidiosa arroganza in molte occasioni. Riuscì come nessun altro a rendersi antipatico, a farsi nemici ed oppositori che non avevano ragione di esistere solo in ragione delle idee professate.

Non riuscì mai a spiegarsi con concisione e chiarezza. In gioventù non divenne predicatore protestante perchè incapace di tenere orazioni limpide e trascinanti. Litigava con i suoi limiti di esposizione, più che con i limiti oggettivi del linguaggio.
Eppure godeva, come si dice, di numeri certamente fuori del comune. Riuscì a pensare cose che nessuno di noi umani ha davvero mai visto, sia rispetto alla sua eccelsa preparazione filosofica, sia rispetto, occorre dirlo, alla frammentaria ignoranza di comuni acquisizioni scientifiche e culturali del proprio tempo, unita ad un grande interesse per la chimica e la fisica. La sua contestazione della teoria di Gall può apparire, a chi conosce i metodi della scienza, come scorretta sul piano della metodologia, ma giusta sotto un profilo generale.

Oggi si tende a sottovalutare Hegel, e perfino ad ignorarlo, ma è un errore imperdonabile.
Cercare di comprendere Hegel è utile, stimola la nostra intelligenza, ci pone faccia a faccia con problemi e situazioni intellettuali di grande profondità e difficoltà. Poi, una volta conosciuto e meditato, possiamo anche accantonarlo, tornare ad una filosofia laica più sobria ed urgente, più vicina ai veri problemi del nostro tempo, posto che noi si intenda la pratica filosofica come un utile contributo alla società e non una sorta di masturbazione mentale.

La filosofia di Hegel fu soprattutto un modo per capire la storia alla luce di una categoria fondamentale: lo spirito. Un vecchio maestro di filosofia, Leo Lugarini, avanzò una prima importante spiegazione: lo spirito corrisponde, grosso modo, a quella che noi tutti chiamiamo "mentalità", ma in senso attivo, non qualcosa che frena, ma qualcosa che fa agire. Ed in questo senso, esso va piuttosto inteso nel senso di consapevolezza, la quale è tale solo se si unisce all'oggetto, se realizza in sé e per sé questa identificazione.
Il primo passo per comprendere il pensiero di Hegel è dunque il seguente: la "coscienza" è il protagonista della storia, e l'uomo uno strumento della coscienza universale che sovrasta quella individuale e particolare, e che solo nel vero filosofo può riscattarsi dalla sua particolarità.
Che ne è allora dell'uomo come essere razionale, padrone del proprio destino? Cercheremo di capirlo strada facendo, vedendo come per Hegel il concetto di contraddizione sfumi in qualcosa di completamente diverso da quello professato con grande chiarezza nell'antichità da Aristotele: se per questo non si poteva essere seduti ed allo stesso tempo in piedi, per Hegel si poteva, invece, essere ad un tempo padroni del proprio destino, ed allo stesso tempo in balia di piani nei quali il nostro destino era già stato segnato dallo Spirito.
Questione di punti di vista, appunto. Il vero filosofo, per Hegel, li assume tutti: sa assumerli tutti.

prosegui

RG - 17 gennaio 2003