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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)
5. La filosofia della natura, l'antropologia, e la psicologia
di Renzo Grassano
A Heidelberg, dal 1816, dopo aver ultimato la seconda parte della Scienza della logica, Hegel si dedica alla stesura definitiva del suo sistema filosofico, componendo l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.
In quest'opera assume una grande importanza la parte dedicata alla filosofia della natura.
Pare esagerato dire che Hegel non amasse la natura, ma vi sono molte testimonianze, comprese parte dei suoi scritti che paiono confermarlo. Lo spettacolo delle cime innevate delle Alpi non lasciò tracce significative sulla sensibilità di Hegel. Il cielo stellato, che tanto aveva detto a Kant, suggeriva ad Hegel solo l'idea di un infinito vuoto, senza limiti e contenuti. Diventerebbe perciò arduo continuare a classificare Hegel come un romantico, secondo le linee scontate di tanta poesia, ma questo luogo comune ha un tale radicamento nella cultura delle università e dei libri di filosofia che sarebbe folle pensare di contestarlo con qualche speranza di successo.
Tanto più che, come botanico di complemento, egli amava certamente i fiori ed i giardini, cioè una natura, per così dire, coltivata ed addomesticata, decisamente contrapposta a quella delle tempeste, delle epidemie e dei terremoti.
La verità è forse questa: Hegel si interessò molto di problemi della natura, intendendoli come problemi di filosofia, e più precisamente, di filosofia della natura. Provava per le cose naturali un interesse culturale e non l'interesse immediato del bambino alla vista di un grande cane o di un elefante allo zoo. Certo, amava i fiori.
Da Schelling aveva, forse, imparato quello strano metodo per il quale le scoperte scientifiche devono adattarsi agli schemi concettuali della filosofia idealistica, e non viceversa. A conti fatti la filosofia della natura di Hegel non differisce in molto da quella di Schelling, ma pare un filo più umile: in questo Hegel fu davvero stupefacente!
Ma, nella storia del pensiero scientifico sviluppatosi nell'area tedesca nei primi decenni dell'ottocento è sorprendente notare quanto vasta fosse l'influenza di Schelling, insieme a quella, più comprensibile, di Goethe, e quanto fosse ignorato Hegel. Oken, ad esempio, che tra le altre cose condusse un interessantissimo studio sull'embrione di pollo, in campo filosofico era una schellinghiano convinto.
Nel 1844, cioè dopo la morte di Hegel, uscì un libro del botanico Matthias Jakob Schleiden intitolato Il rapporto di Schelling e Hegel con la scienza della natura. Schleiden colse il bersaglio quando scrisse: " La pretesa di sviluppare da un solo principio tutto il ricco e vivo contenuto della realtà è così assurda che nessuno può coerentemente mantenerla."
Però, l'assurdità operò per molto tempo, quantomeno nelle aule dove si insegnava filosofia. Il problema, qui come altrove, ma soprattutto qui, è che il concetto di natura è sottratto all'esperienza; diventa un'astrazione e, in questa veste diviene parte della totalità, seguendo il postulato che non esiste uno studio scientifico della natura, perchè l'oggettività è riservata al sapere assoluto, in quanto l'unico concreto. La stessa filosofia della natura, per Hegel, non può quindi pretendere alcuna rilevanza scientifica come sapere separato. In questo è la maggiore modestia di Hegel, presentata insieme ad un'arroganza senza limiti.
Ma, le cose rimangono comunque ad un punto morto: se secondo il sistema della filosofia della natura i giudizi ipotetici della fisica sono condannati a prevedere anche il momento in cui saranno superati da altri giudizi ipotetici, là dove ciò non accade il pericolo sta nell'irrigidimento in ricerche particolari, nei "puri dati di fatto" distaccati dalla totalità, come ad esempio che certe vibrazioni producano suoni, o la mescolanza dei raggi provochi sfumature di colori.
Hegel non può accettare causalità staccate dal sistema complessivo: esse originano fatti singoli, cioè fatti astratti dal processo. Tali fatti isolati sono già morti in partenza. Possono destare l'interesse della totalità solo tramite la negazione. Una posizione di questo tipo rappresenta la negazione di quasi tutte le procedure della scienza moderna da Galileo in poi.
Eppure, grande paradosso, Hegel era stato un cultore di botanica; aveva pure chiesto a Goethe il posto di direttore del giardino botanico di Weimar, che gli era stato negato. A Jena aveva frequentato le lezioni di fisiologia di Ackermann e Schelver, scienziato naturale, era stato per lungo tempo un suo amico.
Hegel fu membro della Associazione mineralogica di Jena e della Società di fisica di Heildelberg. Le osservazioni naturalistiche di Hegel si trovano un po' dovunque: nei manoscritti di Jena, nella Fenomenologia, nella Scienza della logica, nell'Enciclopedia.
Si occupò a lungo del fenomeno dell'affinità, sul quale Goethe aveva scritto un romanzo di scomposizione e riaggregazione degli amori e delle attrazioni fatali. Un romanzo nel quale chimismo ed elettricità spiegano i sentimenti più dei sentimenti stessi. Terreno di ricerca affine a quello di Hegel, cui premette di spiegare il rapporto, ovviamente astratto, dell'acido con la base.
Hegel si interessò soprattutto ai tentativi di Berthollet di trovare le leggi regolanti l'affinità degli elementi chimici. Inoltre, seguì Berzelius. Lo sforzo per scoprire " i rapporti semplici e determinati secondo i quali sono collegate tra di loro le parti costitutive della natura organica" costituisce un centro attorno al quale Hegel aggregherà alcune delle parti più significative della sua filosofia.
Hegel mostra in queste trattazioni una cautela insolita, persino rispetto a Berzelius. Di fronte all'illimitata tendenza romantica alla mescolanza, egli reagisce con l'insistere sulle differenze. Si mostra prudente sullo stesso terreno nel quale alcuni scienziati, o pseudo tali, si lanciavano in ardite speculazioni che traducevano l'elettricità in chimismo per concludere al magnetismo ed al galvanismo. Ironizza sul fatto che Schelling abbia chiamato l'elettricità un "magnetismo frantumato", ed indica nello stesso contesto, la sua "divergenza" dalla filosofia della natura di Schelling.
Nelle successive lezioni sulla storia della filosofia Hegel dirà chiaramente che Schelling commise un abuso applicando ad una sfera della natura forme prese da un'altra.
Ciò, non impedì allo stesso Hegel di nutrire la certezza che esista un nesso che collega tutti i fenomeni naturali. E' certo che Ritter abbia verificato un "influsso" dell'eclissi solare sul "processo chimico". Nelle lezioni berlinesi sull'Enciclopedia dirà che "tutti i processi chimici sono connessi al processo della terra in generale."
Non tutti lo sanno, ma Schelling visse autentiche sbandate magico-terapeutiche. Secondo taluni, avrebbe creduto in pratiche mediche alternative ed in particolare nel magnetismo guaritore, operante tramite la volontà con effetti ipnotici. Tutte pratiche e credenze che furono estranee ad Hegel. Il quale prese comunque in considerazione la forza guaritrice della natura, ma tese a chiarire che il campo della magia e dell'ipnotismo era esterno alla filosofia, la quale si limitava a prenderne atto.
Sia la magia che la religione sono per Hegel aree di non-pensiero, momenti della natura inconscia, anche se in qualche modo legati al passaggio dello Spirito, al suo primordiale uscir fuori dalla natura.
In Hegel è sempre chiaro che la natura non ha un lato conoscitivo: è conoscibile, ma non conoscente. La conoscenza è di esclusiva competenza dello Spirito. La filosofia di Hegel è in questo chiarissima: superiorità dello Spirito e dipendenza della natura.
Certo, egli aveva accettato di far scaturire lo spirito dalla natura: prima di incamminarsi verso l'assoluto era stato unito alla natura stessa. Ma, ora le distinzioni erano chiare. Il fondo naturale dell'esistenza non intralcia il cammino dello spirito.
Singolarmente, tuttavia, Hegel non ritiene che Dio sia in qualche modo responsabile dell'ordine naturale. Più lo spirito avanza, più si accorge che la natura è disordinata ed ostile. Hegel non esita a chiamarla Proteo, il leggendario indovino che abitava sul Delta del Nilo, e che si mimetizzava in molteplici forme, e faceva profezie solo se catturato e costretto.
Hegel non andò, dunque, oltre Kant, che aveva negato ogni sicurezza sugli inizi del mondo. Entrambi nutrirono dubbi invincibili sulla verità della creazione.
Ma, a leggere bene Hegel, il dubbio potrebbe dirsi risolto almeno in un punto: la natura è la madre, e lo Spirito il figlio. Il padre rimane ignoto, a meno che non si creda che lo stesso Spirito che è figlio, fu anche il padre. Inutile cercare di spiegare questo miracolosa nascita dello Spirito in qualcosa di diverso dalle profondità abissali della natura, madre buona e cattiva in molti sensi possibili. E' lo spirito che crea Dio, è lo Spirito che diventa Dio. Di questa scandalosa ambiguità fu accusato, più o meno ingiustamente, perchè in altri scritti, decisamente più importanti, per Hegel, la natura non è altro che l'oggettivazione dell'Idea che si trova definita alla fine della Scienza della logica.
Essa, quindi, è il risultato di una creazione, o quantomeno di un'emanazione, alla maniera di Plotino.
Se torniamo alla conclusione della Scienza della logica, troviamo che l'idea non è altro che Dio prima della crezione del mondo, un Dio che non si sa ancora quanto vale, chi è, che non ha uno specchio per vedersi ed un'anima viva con cui scambiare quattro battute e prendere un caffè.
Ma nelle interpretazioni teologiche più profonde che muovono dalla Bibbia, la crezione fu un atto libero, non necessario. Dio non aveva bisogno né della natura, né della cattiva compagnia dell'uomo.
Per Hegel, al contrario, l'Idea si trova nella necessità di conoscersi, di vedersi oggettivata.
Quindi, fiat lux. E luce fu, nel senso che se la natura è oggettivazione dell'Idea, non vi può esser dubbio circa il fatto che essa contenga una razionalità immanente.
Rispetto ai romantici, in primis a Schelling, Hegel non pone però la natura allo stesso livello dello spirito.
Esso è superiore alla natura, si pone come compito il sapere, cosa che la natura non fa.
Essendo questa una manifestazione puramente esteriore dell'Idea, essa è caratterizzata dalla dispersione e dall'accidentalità, non è processuale, non evolve ma, si ripete. Nella natura non c'è evoluzione, ma solo gradualità e gerarchie consolidate. Come in Aristotele, contro Cartesio che vedeva nella natura solo una grande macchina.
Secondo Hegel, il modello newtoniano serve solo a spiegare il primo livello, il più basso ed ovvio delle realtà naturali, roba da meccanici. E lo spazio ed il tempo sono solo le forme ideali di cui si serve la meccanica.
Questa meccanica studia i movimenti della materia e ne scopre le leggi in base ad una visione puramente quantitativa. Superiore alla meccanica è la fisica propriamente detta, che studia le qualità della natura, gli elementi, la coesione, il suono, il calore, i processi chimici.
Come si è già visto, questi momenti specialistici sono irriducibili l'uno all'altro e guai a considerarli solo quantità, essi sono momenti successivi, ordinati gerarchicamente.
Il grado più alto della natura, come in Aristotele, dal regno della vita.
Fin qui, come si vede, Hegel non si discosta nemmeno dal modello platonico del demiurgo; concilia tutto in una visione ecumenica della natura, afferma solo con grande forza che ciò che spiega l'esistenza del mondo della natura non è la meccanica ed il numero, ma la teleologia delle cose animate, ognuna delle quali mira, consciamente od inconsciamente, a realizzarsi, a raggiungere il proprio fine.
Dopo essersi oggettivata nella natura, l'Idea può finalmente tornare in sé, prendendo coscienza di sé ed essere anche per sé. Ed a questo punto, il circolo si chiude, l'Idea e lo Spirito coincidono.
I teologi fiutarono la pericolosità di questo pensiero. Schleiermacher lanciò il primo grido d'allarme. Hengstenberg sollevò contro di lui l'ortodossia luterana e von Kottwitz riuscì ad unire la Prussia più reazionaria con i Fratelli Moravi.
Si incomincia a veder chiaro che la filosofia della natura di Hegel poteva suonare come una smentita alla fede nella Rivelazione.
A partire dal 1828, crebbero attorno ad Hegel sospetti ed accuse di ateismo. Savigny, il più reazionario dei suoi colleghi di università, ebbe buon gioco a muoversi politicamente e denunciare Hegel come un sovversivo.
L'antropologia
Impossibile disgiungere lo Spirito da quelle scienze che ancora non si chiamavano scienze dello spirito, ma che già rivendicavano il loro statuto necessario. Per Hegel, la prima manifestazione dello Spirito soggettivo è l'anima, intesa come principio di vita, che all'inizio è ancora avvolta nell'involucro dell'inconscio, ma che via via diviene senziente ed intelligente.
Essa diviene l'oggetto specifico dello studio dell'antropologia, che secondo Hegel sarebbe lo studio dell'uomo negli aspetti che questo ha in comune con gli animali. (definizione scandalosa, ma, signori antropologi, cos'è l'antropologia?)
Hegel giustifica questa definizione muovendo dal De Anima di Aristotele. Esso era innanzitutto un'opera di biologia, e poi di psicologia. Anzi, secondo Hegel, fu l'opera migliore mai scritta in materia, nel senso che fu l'unica ad avere un taglio filosofico. Evidente qui la polemica con il meccanicismo di tipo cartesiano, che nega l'anima agli animali per l'ovvio motivo che anima corrisponde, per Cartesio, come del resto in Platone, a "ragione" e non a vita, a pensiero e non a movimento.
Certo, su fraintendimenti di questo tipo si potranno poi riempire tonnellate di carta, ma il succo della questione rimane quello della differenza tra "uomo" e gli altri viventi, su quale diritto abbia l'uomo nei confronti della natura. E poichè, vi sono diversi tipi e diversi livelli di umanità, probabilmente si giustifica anche una scienza come l'antropologia, la quale, però, muove dalla diversità tra umanità ed animalità, fatto salvo che lo spirito è qualcosa che attiene all'umanità e non all'animalità.
Hegel, sotto questo profilo, taglia corto: ciò che differenzia l'uomo dagli altri viventi è la coscienza, e lo studio della coscienza appartiene alla fenomenologia, come a dire che si deve muovere da quello che lui stesso aveva già scritto, cioè la Fenomenologia dello Spirito.
E' per questo che essa ricompare sotto la veste di una parte dell'Enciclopedia, ovvero del sistema filosofico compiuto. La fenomenologia non rappresentapiù l'introduzione al sistema, ovvero la ricapitolazione delle varie forme della coscienza secondo il loro susseguirsi nella storia, ma si presenta come parte della realtà viva ed attuale, e quindi come oggetto costituente della scienza della realtà, della consapevolezza dello spirito attuale.
La psicologia
Di qui viene la terza scienza, che segue antropologia e fenomenologia, ovvero una psicologia intesa in senso filosofico, alla maniera di Aristotele. Ciò significa che oggetto della psicologia, la coscienza del singolo uomo, è sussunto in una nuova identità con il soggetto che conosce. Quando lo spirito conosce è spirito teoretico, quando l'oggetto determina il suo contenuto, lo spirito diviene spirito pratico, ovvero volontà. Dall'opposizione sintetica ma non astratta dei due momenti nasce la volontà razionale, che corrisponde alla libertà. Da questa nuova condizione dello spirito individuale, viene la disposizione ad entrare in rapporto con altri spiriti, a farsi dunque spirito oggettivo.
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RG - 9 gennaio 2002