Roma, 12.5.2003
Caro amico,
mi scuso innanzi tutto
per il ritardo nella risposta, dovuto in parte a questioni tecniche e in
parte alla necessità di reperire materiale bibliografico idoneo
a coprire il periodo storico a cui la tua moneta si riferisce e, ovviamente,
a studiarlo. Di Massimino Daia mi ero già occupato in una precedente
corrispondenza, quando un lettore mi aveva chiesto consulenza su un follis
coniato nel periodo in cui questo sovrano svolgeva le funzioni di Cesare.
Nell'occasione avevo tratto dal
Montenegro
una breve nota biografica a cui ti rimando.
Vorrei invece ora trarre spunto da questa tua moneta per allargare un po'
il discorso al periodo della "Tetrarchia" in cui Massimino Daia operò.
Inquadramento
storico.
Il "fondatore" della tetrarchia
era stato Diocleziano. Egli era stato acclamato imperatore il 17 novembre
del 284 d.C. dalle truppe di stanza a Nicomedia, dopo l'assassinio dell'imperatore
Caro, seguito, ad appena un mese di distanza da quello del figlio Numeriano,
su istigazione del prefetto del pretorio Apro. Nell'occasione Diocleziano
aveva prima smascherato il mandante dei due delitti e poi lo aveva ucciso
con le proprie mani. Inevitabile lo scontro con Carino, figlio di Caro,
imperatore legittimo per successione e nomina paterna . Nella battaglia,
avvenuta nella Mesia (area danubiana), Carino rimase ucciso per mano di
un ufficiale della propria guardia personale e Diocleziano, rimase unico
sovrano dell'impero.
Memore delle esperienze
trascorse, egli si propose di dare un nuovo assetto allo stato romano che
garantisse maggiore sicurezza e tempestività di intervento nella
difesa dei traballanti confini, desse maggiore stabilità all'economia,
evitasse le lotte di successione. Perciò pensò bene
di dividere il potere con un generale fidato, Marco Valerio Massimiano,
che fece Cesare nel 285 e Augusto nel 286, conferendogli il governo dell'Occidente
e riservando invece a sé il controllo della parte più ricca
e progredita del mondo romano, l'Oriente. La neonata diarchia (governo
di due) fu innanzi tutto funzionale a contrastare la minaccia delle invasioni
dal nord e dalle regioni orientali. La capitale dell'Occidente fu spostata
a Milano, città più prossima alle zone di frontiera e quella
d'Oriente a Nicomedia (l'odierna Izmit, sul Mar di Marmara, nella Turchia
asiatica). Ogni diarca possedeva un proprio esercito, riorganizzato come
forza di intervento rapido in grado di spostarsi velocemente in tutte le
zone di crisi, se necessario anche in quelle di non diretta pertinenza.
Allo scopo di fornire una
base ideologico a questa nuova struttura dello stato, Diocleziano stabilì
una gerarchia di comando che traeva spunto dalla gerarchia celeste: Massimiano
diventava pari grado di Diocleziano e suo "frater" (fratello e quindi membro
della gens Valeriana cui Diocleziano apparteneva) ma la sua anzianità
era inferiore a quella di Diocleziano perché, mentre Diocleziano
assumeva il titolo di "Iovius", cioè figlio di Giove, Massimiano
quello di "Herculius", figlio di Ercole, quindi più lontano da Giove
per discendenza.
Nel 293, sotto la pressione
degli eventi militari alle frontiere, Diocleziano decise di estendere ulteriormente
il progetto di decentramento dell'impero, affiancando, ai due Augusti,
due Cesari, con l'incarico di presidiare rispettivamente i confini settentrionali
(Britannia e Gallia) e quelli danubiani. L'impero risultò così
diviso in quattro parti:
-
Diocleziano, Augusto
senior, ebbe il governo diretto della Tracia, Asia ed Egitto;
-
Caio Galerio Valerio
Massimiano fu nominato Cesare dei Balcani, Tracia esclusa e quindi subordinato
a Diocleziano;
-
Marco Valerio Massimiano,
in qualità di Augusto junior, ebbe il governo dell'Italia, Spagna
e Africa;
-
Caio Flavio Valerio Costanzo
Cloro, fu nominato Cesare della Gallia e della Britannia e quindi subordinato
a Massimiano.
Allo scopo di garantire una
linea naturale di successione, Diocleziano decise che ogni Augusto, dopo
20 anni di governo, avrebbe ceduto il potere al proprio Cesare, il
quale, divenuto Augusto, avrebbe a sua volta nominato un Cesare di fiducia.
Questa dunque sinteticamente
era, negli intenti di colui che l'aveva concepita, la tetrarchia (governo
di quattro), un'organizzazione fortemente decentrata dello stato, ma non
priva di unitá di comando, in cui l'Augusto senior, dettava il disegno
politico e gli altri, Augusto junior e Cesari, provvedevano all'esecuzione,
in autonomia di gestione.
Con il passaggio dalla
diarchia alla tetrarchia, l'ideologia del sistema si adeguò: come
Diocleziano e Massimiano Erculeo erano rispettivamente figli di Giove e
di Ercole, così Galerio, attraverso l'istituto dell'affiliazione,
lo divenne di Diocleziano con l'appellativo di "Giovio" e Costanzio
di Massimiano, con l'appellativo di "Erculeo". All'uno e all'altro fu conferito
il titolo di "nobilissimus Caesar", entrambi entrarono a far parte della
"gens Valeriana", tutti furono vicendevolmente vincolati dalla "pietas",
l'etica della gratitudine agli dei e dell'affetto per i consanguinei.
Era ovvio che in una tale
concezione teocratica del potere non vi fosse spazio per il cristianesimo
che fu infatti brutalmente represso.
Il 1 maggio del 305, Diocleziano,
giunto al ventesimo anno di potere, si ritirò dalla vita pubblica,
come precedentemente stabilito e altrettanto pretese da Massimiano. Con
l'uscita di scena, i due Augusti assunsero il titolo puramente onorifico
di "Seniores Augusti, felicissimi et beatissimi". Galerio e Costanzio furono
promossi Augusti, rispettivamente d'Oriente e d'Occidente. Ma a guadagnarci
fu sopra tutto Galerio. Infatti, anche se Costanzio, come Augusto senior,
possedeva il supremo potere legislativo, come era stato quello di Diocleziano
prima di lui, fu Galerio a scegliere, tra uomini certamente a lui fedeli.,
i due nuovi Cesari nelle persone di Flavio Valerio Severo (Cesare d'Occidente)
e Valerio Massimino Daia, suo nipote (Cesare d'Oriente). La cosa scontentò
gli occidentali: Massimiano, perché costretto a ritirarsi
anzitempo, suo figlio Massenzio e il figlio di Costanzo, Costantino, perché
tagliati fuori dalla linea di successione. Ma fu la morte, nel 306, di
Costanzio Cloro, l'Augusto senior d'Occidente, a riaprire il capitolo delle
lotte di successione da parte di quegli aspiranti tetrarchi che, pur disponendo
di una forza militare che li appoggiava e li voleva Cesari o Augusti, non
si vedevano riconosciuto il ruolo a cui aspiravano. Galerio, ormai Augusto
senior, cercò di scendere a compromessi con i vari pretendenti ma
la situazione arrivò al punto che, ad un dato momento, esistevano
nell'impero quattro Augusti legittimi, Galerio, Costantino, Licinio e Massimino
Daia, un Cesare illegale a Roma, Massenzio e un usurpatore in Africa, Lucio
Domizio Alessandro.
I riflessi sulla monetazione.
Le complicazioni sopra
descritte dell'assetto geopolitico trovarono riflesso anche nella monetazione.
Alle zecche tradizionali si aggiunsero quelle create nelle zone di guerra
per pagare i soldati. La più importante delle zecche, almeno nel
settore occidentale, fu quella di Treviri, nella Germania renana. Altre
furono quella di Sirmium, in prossimità del Danubio, di Nicomedia,
la nuova capitale d'Oriente, di Milano, di Eburacum ai confini con la Scozia
e poi ancora di Ravenna, Roma, Siscia e Sardica nell'area danubiana, Antiochia
nei pressi della Siria, di Cartagine in Africa.
In tempi normali le varie
zecche battevano moneta imparzialmente in nome di tutti e quattro i regnanti,
sia pure non in misura quantitativa uguale per ciascuno di essi. Ma con
la ripresa delle lotte di successione, ciò non accadde più,
per delegittimazione dell'una o dell'altra parte. Dal punto di vista numismatico
tutto ciò comporta un'importante novità, alcune monete sono
piuttosto comuni se prodotte da una zecca, più rare se prodotte
da un'altra. Anche l'identificazione delle monete diventa più complicata,
non basta più la tipologia (cioè le immagini del dritto e
del rovescio) e le leggende ad identificarle, ma occorre dedicare cura
e attenzione anche agli identificativi di zecca.
La tua moneta.
Veniamo alla tua moneta
di cui allego, oltre all'immagine di figura, una descrizione sintetica,
con l'intesa che ho colorato in rosso le lettere ricostruite, perché
usurate, della leggenda.
D. Busto laureato corazzato
a destra dell'imperatore Massimino. IMP MAXIMINVS P F AVG(1)
R. Il Genio del Popolo
Romano, con copricapo turrito e lombi drappeggiati, in piedi a sinistra,
sorregge una patera con la mano destra e una cornucopia con la sinistra.
GENIO
POP ROM(2).
Il contrassegno di zecca
è da leggere, a mio avviso:
, ove i'identificativo di zecca è il PTR(3)
in esergo mentre T e F,
nel campo, costituiscono l'indicativo di emissione(4).
Per questa tipologia monetale e per l'arco temporale a cui la moneta appartiene
gli assi di conio possono indifferentemente essere a 0° o a 180°.
Per concludere siamo di
fronte ad una moneta bronzea (aes) molto comune, specificamente un follis,
classificabile come RIC 845a, coniato a Treviri nel nome dell'Augusto orientale
Massimino d'Aia, tra il 310 e il 313 d.C., quindi nell'ultimo periodo della
tetrarchia {Augusti: Galerio Massimiano, sino alla morte intervenuta il
5 maggio del 311, Licinio, Costantino (Augusto senior dalla fine del 312)
e appunto Massimino}. Come tutti i folles del periodo, presenta un peso
ormai ridotto a circa 4÷5 g a fronte di un diametro di c. 23÷24
mm.(5)
Significato della moneta.
La tipologia monetale del
Genio del Popolo Romano, per l'ampia diffusione in tutto l'impero, fu utilizzata
da Diocleziano per sottolineare la visione ecumenica della romanità.(5)
Successivamente, con l'inizio delle lotte di successione e quindi in particolare
nel periodo in cui questa tua moneta fu coniata, la tipologia monetale
del Genio del Popolo Romano, costituì di fatto l'elemento discriminante
tra il potere degli Augusti "legittimi" che si davano reciproco riconoscimento
e gli altri non riconosciuti (vedi Massenzio che non coniò
follis con la tipologia del Genio del Popolo Romano).
Valore venale della moneta.
Molti folles della tetrarchia
sono visionabili nel sito internet:
http://www.wildwinds.com/coins/ric/maximinus_II/i.html,
dove, ricercando sotto
la voce "RIC 845a" o semplicemente "845", é possibile vedere riprodotti
un paio di esemplari molto ben conservati della moneta in esame, venduti
all'asta per 25-35$. Dunque la tua moneta, per lo stato di conservazione
in cui si trova, non dovrebbe valere più di 5-10 Euro.
Ancora sul valore della
moneta.
Quel tondello metallico
che il tuo tombarolo ha sottratto alla terra in cui riposava è semplicemente
la testimonianza di un pezzo di storia passata al cui studio ho dedicato,
con infinito godimento, due mesi del mio tempo, il che, in termini puramente
venali equivalgono ad alcune migliaia di Euro. Che te ne pare? Dunque apprezzo
e condivido l'idea da te espressa (.. un pezzo di me!).
Ti saluto cordialmente.
Giulio De Florio
P.S. Visto che possiedi
altre monete romane e vorresti saperne di più perché non
provi a imparare a classificarle? Io sarei disposto a darti supporto e
qualche consiglio pratico.
Note:
(1) Per
una breve nota biografica su Caius Galerius Valerius Maximinus Daia vedere
una corrispondenza precedente, cliccando qui.
La leggenda per esteso va interpretata così: IMPerator MAXIMINVS
Pius Felix AVGustus
(2) La
leggenda del rovescio va interpretata così: "GENIO POPuli ROMani",
ossia "al Genio del Popolo Romano".
(3) L'identificativo
di zecca identifica l'officina monetale responsabile della coniazione della
moneta, in questo caso la prima officina (di qui la "P") della città
di Treviri-Germania, in latino Trier.
(4) Lo
scopo finale degli identificativi di emissione era quello di poter risalire
dalla singola moneta alla sorgente di emissione per la necessaria azione
di controllo sull'aderenza agli standard prestabiliti di peso e contenuto
metallico. Tuttavia non si conosce l'esatto criterio con cui lettere come
T,
F
venivano assegnate.
(5)
Agli occhi della gente comune, civili e militari, il follis, la moneta
di tutti i giorni della prima Tetrarchia (in contrasto con gli antoniniani
coniati precedentemente con tipologia continuamente mutevole) era associata
all'idea della singolarità dell'essere romani e della solidità
della valuta (un po' come é il dollaro ai giorni nostri). |