Da sempre circolano voci
di varia natura circa il nostro misterioso laghetto. Si diceva
fosse profondissimo e avesse vortici così forti da trascinare
sott’acqua ogni cosa vi si gettasse dentro, che ribollisse
aumentando il volume delle sue acque.
Ancora Orfeo Marchese
scrive nel suo poema:
Normalmente appare
tranquillo tanto che le sue onde sembrano dire pace; per questo
nessuno vi entra a nuotare. L’acqua chiara come cristallo ha
sapore di zolfo e pare amara.
Sempre il poeta testimonia
di averne misurato la profondità, ma di non voler dire nulla
poiché sott’acqua non si vede, e che alcune volte il livello
delle acque sale improvvisamente per via di eruzioni di acqua
tinta da cenere o rosseggiante come se quella fosse la bocca
dell’inferno.
Per via di queste “voci”
la gente si è sempre tenuta ben lontana dal lago, temendo
qualche disgrazia. Tuttavia durante la seconda guerra mondiale,
alcuni soldati delle truppe tedesche, probabilmente ignari delle
leggende, misurarono il lago riportando un diametro di 75 m. e
una profondità di 17 m.
Negli anni novanta la sede
di Orte dell’Archeoclub Italiano, con la collaborazione del
Gruppo G.E.N.Te (Gruppo Ecologico Natura e Territorio), ha
effettuato nuove ricerche e uno studio più approfondito del lago
stesso.
E’ stata effettuata
un’analisi biologica del lago, prendendo campioni in superficie
e sul fondo, un’indagine barometrica con rilevamento del fondale
con ecoscandaglio grafico.
Le ricerche hanno
stabilito una profondità che va da 1,50 a 3,50 metri e solo in
un punto il fondo più solido si trova a 34 m. di profondità.
Il lago, che presenta
tutt’oggi una forma quasi perfettamente circolare, può essere
diviso in corone:
1)
una corona più esterna con profondità massima di due
metri;
2)
una seconda con vegetazione sommersa e una profondità di
circa tre metri:
3)
una parte centrale senza vegetazione, completamente
fangosa, costellata di crateri da cui sgorga acqua a circa 20°C.
Lo scandaglio del fondo ha
poi permesso rilevato la presenza di frammenti di legno forse
carbonizzato e ciottoli di pietra pomice.
Non stupisce, il lago è di
origine vulcanica come tutto il territorio circostante, che di
tanto in tanto esso gorgogli per i gas che risalgono in
superficie, la vicinanza del Monte Cimino, che in età assai
antiche fu un vulcano molto attivo, basta a spiegarne il
fenomeno.
Le fonti testimoniano
persino delle eruzioni, alcune addirittura in età contemporanea,
durante le quali il lago ha allagato i campi intorno e rigettato
tronchi d’albero carbonizzati e lapilli. Una di queste eruzioni
ci è testimoniata dal Leoncini: «…l’8 aprile 1590 di domenica
dopo il vespro fece il lago un grandissimo scoppio e rumoroso e
nell’istante l’acqua salì alta più di una picca (4 metri
circa) ed è quasi ritornato alla forma di prima col lasciar
bagnate quelle terre vicine al lago come cenere e sopra abbonda
l’acqua per il cajo che impediva di potervi passare a piedi
asciutti e le mole che vi sono sarebbero atte a macinare se le
forme delle medesime col decorrere del tempo non si fossero
riempite di terra…» e ancora: «…l’11 aprile 1591
domenica delle Palme, circa le ore 22 il Tevere si intorbidò
essendo chiaro di cenere per l’inondazione di detto lago le cui
acque sovrabbondarono. Il 28 aprile venerdì, di nuovo il lago
risorse e fece uno scoppio grande e andò alto più di una picca,
dilatò più che non era».
Le ultime eruzioni sono
quelle avvenute nel 1907 e nel 1917, e anche i giornali
dell’epoca ne fecero menzione. Venturino Sabatini venne inviato
ad Orte dal Regio Comitato Geologico per fare delle relazioni di
questi fenomeni.
Risulta da queste
relazioni che ad intervalli di mesi, a volte di anni, il fondo
si sollevava fino a formare un conetto di fango alto 2 o 3
metri, a questa altezza si crepava sul vertice creando un getto
fangoso e nerastro di un paio di metri di altezza. Dopo alcune
ore il fenomeno si interrompe ed il tutto ritorna sott’acqua. Ma
mentre alcuni coni tornano nell’acqua, altri se ne formano ed
eruttano.
Altre volte il fenomeno
era più intenso. Nel 1884 durò due giorni, avendo inizio con un
boato che venne udito fino alla città di Giove, il getto
raggiunse i tre metri e mezzo, solo il terzo giorno il fenomeno
si attenuò ma l’acqua continuò a sgorgare per tre mesi.
Nelle relazioni sono
raccolte anche alcune testimonianze, come quella di un contadino
che, incuriosito, tento di conficcare un palo in una di queste
polle, ma ogni volta dovette allontanarsi poiché l’oggetto
veniva respinto con forza, quando non addirittura lanciato via,
oppure di un esperimento compiuto con un sasso legato ad una
cordicella che riuscì a raggiungere una profondità di 50 metri
senza toccare fondo.
In particolare
incuriosiscono delle strane coincidenze: due giorni dopo il
terremoto di Arezzo, cioè il 28 aprile 1917, lo stagno si estese
oltre le sue rive e dalla superficie presero a salire colonne di
acqua fangosa, due delle quali raggiunsero l’altezza di un uomo
adulto e 40 centimetri di diametro circa. Da questi getti più
alti venivano lanciate in aria pietre e ligniti carbonizzate,
molto pesanti (alcune raggiunsero i 50 kg), che ricadevano a
molti metri dalla riva mentre l’acqua limacciosa allagava i
campi.
Il fenomeno, che si era
attenuato nei giorni successivi, riprese con violenza due giorni
prima del terremoto di Terni, a 16 giorni da quello di Arezzo.
E’ noto da studi geologici
che l’attività tettonica è legata al regime delle sorgenti della
zona colpita e di quelle adiacenti, ma la natura dei fenomeni
del Vadimone sono di natura prettamente vulcanica.