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Societa' Esoterica Calabrese
Il Fedone di Platone - La Melencolia di Dürer - Matto tra i savi - Cattivi Compagni - Pirandello e il fu Mattia Pascal - La Libertà - Oltre la profezia di Giovanni
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Il Fedone di Platone - Dialogo massonico
La prima volta che lessi il Fedone di Platone ero un ragazzo. Mi ricordo che all’epoca fui affascinato, più che altro, dalla logica implacabile del filosofo che riusciva inevitabilmente a condurre il lettore dove più gli piacesse condurlo. Mi è capitato però, qualche tempo fa, di riprendere in mano il vecchio volume sul quale avevo annotato qualche ingenua osservazione sul dialogo e , ridendo tra me, ho immaginato quanto lontano fossi allora dalla mente del filosofo e quanto lo sono tuttora, nonostante molta acqua sia passata sotto i ponti. Per opere come il Fedone, che hanno due o più livelli di comprensione, bisogna essere dotati di un “equipaggiamento” adeguato per scalfirne la superficie e, anche così, rimarranno comunque delle zone d’ombra, perché la penetrazione completa di un’opera implica almeno un pari livello di conoscenza tra autore e lettore, cosa del tutto impossibile in questo caso. Se, come scrive E. Schuré, “ …vi è una dottrina, madre e sintesi delle religioni e della filosofia, che si svolge e si approfondisce nel corso dei secoli, pur conservando sempre lo stesso fondamento e il medesimo centro…” , in questo fiume principale che raccoglie i mille e mille rivoli nei quali è “disintegrato” l’uomo conoscitore di se stesso, Platone è di certo il letto principale. E allora, rileggendo con gli occhi di iniziato alla massoneria, il Fedone si rivela in tutta la sua ineguagliabile bellezza. Questo dialogo racconta le ultime ore di vita di Socrate ed è tutto impostato sul concetto di immortalità dell’anima ( è appena il caso di ricordare qui che i Landmarks - Mackay, Pound - impongono che il massone creda nell’immortalità dell’anima). Gli interlocutori sono Echecrate di Fliunte, presso il quale si ferma Fedone nel suo viaggio di ritorno in Elide subito dopo la morte di Socrate, Fedone stesso e altri personaggi. La nave sacra è tornata da Delo e il tempo di Socrate su questa terra è finito. Egli saluta il figlioletto e la moglie e, in ultimo, i suoi allievi. Poi comincia a parlare della morte e dell’anima finché, a un certo punto del dialogo (64 a), dice: “…tutti quelli che si occupano seriamente di filosofia corrono il rischio che si celi agli altri che essi a niente altro aspirano se non a morire e a essere morti…; e ancora (64b): “ …sfugge loro (a tutti gli uomini), infatti, per quale motivo siano come moribondi e perché siano degni di morte, e di quale morte, quelli che sono realmente filosofi”. Proviamo a sostituire la parola filosofi con massoni e vediamo che cosa succede. La morte , per il filosofo, è la liberazione dalle passioni del mondo e conoscenza completa della vera realtà, che è comunque e sempre soprasensibile. Ma perché Platone ritiene necessario sottolineare quale tipo di morte? Vi è forse un modo diverso di morire rispetto a quello puramente fisico? Sì, vi è un modo di morire ritualmente. E il morire ritualmente, più volte ricercato e praticato in vita dal filosofo, serve da un lato a esorcizzare la paura dell’ignoto e dall’altro risponde alla necessità di conoscere l’ignoto stesso. In massoneria si comincia morendo e il rito morte-rinascita si ripete ossessivamente nei gradi successivi, offrendoci ogni volta la sensibilità e la possibilità di avvicinarci di più alla verità. Nondimeno, al di là dell’idea che la morte rituale sia soltanto un espediente simbolico di rigenerazione, l’abbandono rituale della vita comporta anche, e soprattutto, un affrancamento dalla schiavitù delle sensazioni che ci mettono in contatto con l’esterno ma falliscono nel darci la vera conoscenza. La vita attiva deve, cioè, lasciare il passo a una più intima e completa ( che possiamo definire contemplativa) la quale, proiettandoci nella dimensione dell’anima, è quella vera e desiderabile. Ecco dunque perché Platone, distinguendo vari “tipi” di morte, ammonisce che non tutti possono penetrarne il significato recondito ma soltanto coloro che hanno compiuto un primo passo nell’Ade, ossia coloro che hanno subito un’iniziazione (69 c) …” e anche coloro che hanno posto le iniziazioni mistiche non corrono certo il pericolo di essere degli sciocchi, ma da parecchio tempo in realtà hanno fatto comprendere con enigmi che, chi giunge all’Ade senza aver avuto parte dei Misteri né compiuto la sua iniziazione, giacerà nel fango, mentre colui che vi giungerà purificato e iniziato vivrà insieme agli Dei. Ché, come dicono quelli che sono addetti alle iniziazioni, molti sono i portatori di ferule ma pochi i Bacchi. e questi sono, a mio parere, quelli che hanno esercitato la filosofia in modo serio…” E’ notevole notare che, secondo il filosofo, chi non abbia avuto parte dei Misteri e subito una iniziazione giacerà nel fango, dunque solo la via iniziatica può avvicinarci agli Dei e non semplicemente una vita virtuosa ( o religiosa) per quanto giusta e corretta essa sia. Totalmente diverso è il piano di estensione della vita iniziatica rispetto alla vita “civile”, essendo la seconda del tutto inadatta ad elevarci alla Luce in assenza della prima. Le due vite possono scorrere parallele, come su due binari, ma una è destinata a rimanere sempre legata alle cose terrene mentre l’altra punta diritta verso Dio. I due binari restano sempre e comunque separati sebbene, come in ogni ferrovia, vi siano delle traversine di collegamento. La vita iniziatica, se facciamo nostro il pensiero del filosofo, non ha necessariamente bisogno di un binario sociale “istituzionalizzato” dove svolgersi, perché è impossibile riversare totalmente nel mondo profano quella che è un’intima e personale aspirazione al GADU e, d’altronde, non si può pretendere o pensare di “iniziare” tutta la società. La commistione dei due mondi è un’operazione che spesso dà luogo a un’aggressione del profano nei confronti del sacro, e non viceversa. E se un tale atteggiamento può sembrare dettato dall’orgoglio, si pensi quanto meno umile sia arrogarsi una funzione paternalistica di guida . Platone, nella sua EpistolaVII, parlando del soprasensibile, chiarisce anche questo punto : <<… Su ciò non esiste, né mai ci sarà, alcun mio trattato; perché questa disciplina non è assolutamente, come le altre, comunicabile, ma dopo molte discussioni su questi problemi e dopo una lunga convivenza, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla, essa nasce dall’anima e nutre ormai se stessa… Ma io ritengo che una disquisizione su questi argomenti possa essere un bene per gli uomini, se non per quei pochi che sono capaci, dopo poche indicazioni, di trovare da soli la verità>>. Tornando al Fedone, Platone dice esplicitamente come ai Misteri fosse adepto: “… se poi io mi sia impegnato rettamente e se qualcosa abbiamo realizzato io e gli altri, lo sapremo, se Dio vuole, tra poco, con sicurezza, una volta giunti là ( quando la cicuta avrà fatto effetto)…”. Interessante è a questo punto del dialogo l’introduzione del concetto della generazione dai contrarii ( principio che in Massoneria abbiamo bene in evidenza), per dimostrare, a chi dubita che con la morte oltre al corpo si dissolva anche l’anima, che è proprio la morte a generare la vita e viceversa, come un serpente che si morde la coda. E’ noto come l’idea che la natura del mondo derivi dalla contrastante e continua attività di un principio del bene e del male, sia una caratteristica della filosofia pitagorica e anche zoroastriana. Aristotele, nella Metafisica, riassume la Tavola Pitagorica dei Valori, che è una tavola degli opposti estremi : Uno-Molteplice, Pari-Dispari, Maschile-Femminile. Buio-Luce e così via. Scrive Platone: “ E dunque ci pare prova sufficiente che tutti gli esseri si generano in questo modo, i contrari dai loro contrari?” “ Certo”. “ Ebbene? In essi esiste anche qualcosa di mezzo fra tutte queste coppie di contrari, vale a dire due generi, da uno all’altro e poi da questo secondo di nuovo al primo. Allo stesso modo , fra l’essere grande e quello piccolo si trova l’aumento e la diminuzione e noi chiamiamo così l’uno aumentare e l’altro diminuire” Orbene, nel ciclo morte-rinascita iniziatica, cosa c’è in mezzo per noi massoni? Il lavoro. C’è lo sgrossamento della pietra, perché se l’iniziazione è una Luce concessa dall’alto verso basso essa opera tuttavia dal basso verso l’alto, e si procede più faticosamente quanto più si lavora. La conoscenza porta sete di conoscenza piuttosto che toglierla. Può giungere alla natura degli Dei, dunque, solo colui che ha praticato la filosofia e che ha amato la conoscenza, solo colui che ha lavorato incessantemente la propria pietra. Nulla ci è concesso gratuitamente grazie a un semplice e facile atto di fede. Ne consegue che lo scopo del massone dovrebbe essere quello di tendere alla reintegrazione col GADU attraverso la propria personalissima via e tramite continue sublimazioni della materia pesante. “ Per questo, cari Simmia e Cebete, i veri filosofi…. ritenendo invece che non bisogna fare cose contrarie alla filosofia e alla purificazione e liberazione che vengono da essa, si volgono appunto per quella via e la seguono ove quella li conduce”. Termino questa prima parte del commento al Fedone con le ultime parole di Socrate: << O Critone, siamo ancora in debito di un gallo ad Asclepio. Dateglielo e non dimenticatevene>>. Nulla di quanto è nelle nostre possibilità deve essere lasciato incompiuto in questa vita.
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