|
TIME
OF NO REPLY
Se a tutt'oggi attorno all'opera e alla vita di Nick Drake prolifera un
inesauribile dibattito interpretativo; se - con risultati molto disparati
- tributi (è di questi ultimissimi tempi un cd ad opera di gruppi
metal - è la verità -), dediche, o persino romanzi traggono
ispirazione da lui; se nel mondo sterminato del World Wide Web contributi,
citazioni, siti crescono di giorno in giorno come funghi dopo un acquazzone,
ebbene, occorre anche sapere datare il fenomeno. Perché fino al
1979 le vendite dei tre lavori rimasero modeste come lo furono ai tempi
della vita del loro autore, se non inferiori. I tre dischi non furono
comunque rimossi dal catalogo Island, "per il piacere di tutti quelli
che desiderano scoprirli" (così nel 1975 Richard Williams,
allora press officer dell'etichetta).
Ma è nel 1978 che il nuovo amministratore Rob Partridge, appena
insediato, propone un cofanetto/retrospettiva sull'opera del nostro. Esso
avrebbe dovuto contenere nelle intenzioni "gli album in studio e
altro materiale". Non vi era molto, invero, negli archivi della Island,
se non outtakes sparse e gli ultimi quattro pezzi registrati da Nick.
Si decise allora, per questioni di spazio, di raccogliere i tre dischi
meno gli ultimi quattro pezzi di Pink moon più i quattro pezzi
post-Pink moon. Scelta piuttosto bizzarra, per la nascita di un formato
discografico destinato in futuro ad avere così larga diffusione.
Prima di Fruit tree (questo il titolo voluto da Boyd e dalla famiglia
Drake, in piena intesa) nessuna etichetta aveva mai edito un cofanetto
che ripercorresse la vicenda artistica di un autore di musica non classica
o jazz. Così, fino al 1986, il cofanetto contenne tre vinili, l'ultimo
dei quali destinato ad ospitare una versione mutila di uno dei dischi
essenziali della storia della musica tout court. Il misfatto venne riparato
solo nel 1986, per iniziativa di Joe Boyd; Pink moon fu ripristinato,
e i "fantastici 4" finirono insieme ad altre gemme sepolte sulla
versione aggiornata dell'opera. Il Time of no reply che conosciamo oggi,
altro non è che quel quarto disco del box, riedito separatamente
l'anno successivo dalla Hannibal records (di Joe Boyd). La Island mantiene
i diritti per i tre album, Boyd quelli del box e del "quarto"
disco. Comunque la si metta, qualunque amante della musica di Nick ha
un grosso debito con questo personaggio; per tutto ciò che raccontiamo
nella monografia qui acclusa, e per aver curato l'edizione di questo che
non è difficile considerare uno dei più bei doni postumi
che la Dea Discografica abbia mai elargito al popolo degli ascoltatori,
per risollevarlo dalla sua sorte di acquirente ipnotizzato davanti a lussuosi
cofanetti contenenti scarti ignobili e versioni remixes, con cui le etichette
fanno da sempre il bello e il cattivo tempo. Ma con Nick non sarebbe stato
possibile, in primo luogo, come è facile da arguire, perché
non esiste nulla di scadente da riesumare, ed in secondo perché
sia i coniugi Drake (deceduti da pochi anni) sia Boyd hanno sempre posto
un rigido veto sulla possibilità di rilasciare qualcosa che potesse
minimamente offuscare l'immagine musicale di Nick. Non v'è dunque
da sorprendersi se la diffusione di alcuni bootlegs contenenti in varia
guisa i pezzi pre-Five leaves siano stati per loro motivo di amarezza.
Per quanto belli e importanti per seguire con maggiore scrupolo la (rapida)
crescita di Nick come songwriter e darci tangibili prove delle sue influenze,
Time of no reply e solo questo è quanto ancora Nick aveva da dirci.
Nella nostra umile opinione, si tratta di un disco imprescindibile, al
pari dei capolavori "contemporanei". E, in più, ci permette
di cogliere meglio di qualunque antologia posticcia (come la primeva Heaven
in a wild flower, o la recente Way to blue - pur buone -) il Nick "storico"
unito al Nick "atemporale" delle canzoni. Tutti le fasi della
creatività drakeana sono testimoniate ad alti livelli; la fase
ritirata e pre-contratto ("Been smoking too long" e "Strange
meeting II"), la fase Five leaves left/Bryter layter (assortita fra
pezzi inediti o versioni alternative), e i quattro pezzi "terminali".
Sorvolando sui primi di cui abbiam già detto altrove (si veda la
monografia), e liquidando come curiosità le versioni alternative
che non aggiungono nulla al discorso fatto in sede di recensione degli
lp, rimangono le nove fulgenti gemme che costituiscono il nocciolo vero
e proprio dell'operazione. Sono l'inizio e la fine dell'avventura discografica
di Nick, primo mattino e sera tarda, che qui trovano il loro sigillo definitivo.
Anulus aeternitatis. I primi cinque pezzi, che non finirono sul primo
lp per ragioni diverse, colgono l'artista nel suo momento di massimo entusiasmo
e freschezza compositiva; ancora oggi rimaniamo stupiti di come tali canzoni
abbiano corso il serio rischio di rimanere per sempre nel dimenticatoio.
Il pezzo che da il titolo alla raccolta è quanto di più
soavemente classico Nick Drake, che sintomaticamente inaugura la sua carriera
di musicista con un'ode all'assurdo. L'arpeggio è solare, alla
"From the morning", la voce suadente, il testo recita: "Il
tempo senza replica mi chiama affinché io stia, non c'è
ciao non c'è arrivederci, non c'è modo di andarsene".
Vengono i brividi a pensare questo destino: non v'era alcuna possibilità
per lui di eluderlo. Al bivio fra la mutilazione e la dannazione Nick
scelse quest'ultima, affondando insieme alla barca che trasportava i suoi
sogni tutti. "I was made to love magic" è l'unico e sufficiente
esempio dell'importanza del ruolo giocato da Robert Kirby nell'economia
generale dei primi due capolavori. La canzone è una tenera e rassegnata
constatazione della necessità della solitudine, atta a rimarcare
quella differenza che costringeva Nick a "scomparire fluttuando su
una canzone lunga tutta la vita". Gli arrangiamenti sono "regolari"
ma, nel caso specifico di dover accompagnare una canzone di Nick Drake,
"scialbi". Difficile immaginare "Fruit tree" o "Northern
sky" arrangiati in modo da sembrare il lato b di Yellow submarine.
Oggi non potremmo più prendere un aereo. Il dolcissimo arpeggio
di "Joey" suona più che mai interessante per definire
la situazione "sentimentale". Joey, come Nick, "non sarebbe
qui, se capitasse che tu ci fossi", ovvero, e alla faccia di tutte
le psicanalisi da talk show, l'amore che Nick inseguiva, non era di questa
terra, e si lasciava intuire solo nell'assenza. Heidegger stesso approverebbe.
"Clothes of sand" è la maniera in cui un angelo si lamenterebbe,
in tonalità minore, conferendo poesia alle cose solo nominandole.
"Mayfair" è un delizioso bozzetto da festa di compleanno
della mamma, gaudioso e celebrativo, che Nick canta con piglio e fingerpicking
divertiti. Pezzo minore, per quanto minore possa essere uno slancio di
gioia improvvisa a cui la Musa conferisca ali. Poi le ali si sciolgono,
quando il sole di una nuova nascita si approssima. Quegli ultimi quattro
pezzi sconvolgono ancora. Nick confidava a Joe di non essere più
in grado di comporre pezzi lucidamente; e non era vero. La lucidità
di un pezzo come "Black eyed dog", sia nell'agghiacciante testo
sia nella maniacale precisione degli armonici testimoniano una discesa
agli inferi totalmente partecipe. Eviteremo le retoriche che da sempre
s'ispirano a questo pezzo, e rimarcheremo come sia pura illazione il fatto
che Nick qui abbia preannunciato il gesto fatale; allo stesso modo potrebbe
essere stato un errore o, più plausibilmente un gesto del momento
dettato da una fitta di sconforto. Se consideriamo che Nick ebbe a condannare
il suicidio in tempi di cupa depressione come gesto di estrema codardia,
ancora una volta troveremo quantomeno pretestuosa a fini speculativi tutta
la leggenda del Nick artista maledetto. Ancora e sempre, le parole non
rendono giustizia alla vita; nessuno come Nick seppe celebrare la vita
nei suoi aspetti "impossibili", descrivere i suoi "oltre"
con uguale (e totale) partecipazione. La scelta del suicidio, se scelta
fu, appartiene all'uomo Nick, e non a "Black eyed dog". La morte
appartiene alla vita, più della vita stessa. Qualunque gesto od
opera umana non può non rifletterlo. Chi, come l'enciclopedico
Scaruffi si sia procacciato la necessità di apporre un epitaffio
che sintetizzi, trova sia onesto liquidare una delle esistenze artistiche
più sintomatiche del rock tutto con definizioni di questo genere:
"Drake cantava come uno zombie buono (sic), privato di emozioni (sic),
che brancoli senza meta (sic) sul bordo dell'abisso". Di fronte ad
amenità di tal guisa, un inno alla vita come "From the morning"
potrebbe perfino diventare il suono indistinto di uno zombie. Queste quattro
canzoni sono invece atti d'amore, e di dedizione. La chitarra è,
se possibile, più spoglia che in Pink moon, le ossa sono nude,
l'anima trascende. E lo zombie buono canta:
Voice from the
mountain
and voice from the sea
Voice from in my neighbourhood
and a voice calling me
Tell me my friend my friend
Tell me with love
where can it end
|