Bryter layter Brighter, più luminoso, negli intenti, nella percezione del tempo, commisurata sull'esteriorità d'un desiderio fisso sull'Albione tutto circoli e cerchie, charts e darts; la prima immagine fuori dalla stanza oscura, ben oltre le cinque cartine rimaste. Nick si affaccia al davanzale, intravede lo sforzo residuo: è una luce attingibile nella leggerezza (lighter) del medesimo proposito che appena un anno prima pressava folle alla soglia di appena tre ore, nella suadenza orchestrale di arrangiamenti che favoleggiano una metamorfosi che perderà l'attimo propizio, e si dissolverà nei vaghi antri dell'unico pianoforte sconsolato di Pink moon. Ma, prima di maledire l'oscurità s'accenda una luce, per quanto tenue, per quanto poco Nick Drake. E Bryter Layter, mi si perdoni l'acromatismo, è l'opera meno Nick Drake di Nick Drake. Il futuro travalica l'indicibile; lo dice sull'accordo di una forma esterna, la stessa che dovette costare a Nick lo smarrirsi in un folksy perfettamente compiuto, riconoscibile ma straziato ai confini. Per questo Bryter Layter rimane "il capolavoro"; non poter esserlo era dato più che sufficiente, e il muoversi fra i due estremi dell'alba e del tramonto non era il posto adatto. Il pomeriggio (che è allo stesso tempo primo pomeriggio e tardo pomeriggio) guarda al mattino, allo splendore di un nuovo giorno pavesato di aneliti troppo alti per contratto, e presagisce le ombre che la sera suppura in fallimenti. La parabola dell'astro Nick si compie perfettamente, non una parola in più, né una nota in meno. E più luminosa e più leggera sia la sua memoria; la cometa adesso è perfettamente adagiata sulla volta celeste, il movimento è già memoria, la fine è solo promessa. Ma
dirne musicalmente, questo preme. Il bisturi ritaglia una forma, non sincronica,
non arpeggiata, fallace. I testi si sono "aperti", le note spalancate.
E Nick dice defilato, con occhio pigro ad attendere le risposte. Non direbbe,
persino, nei tre strumentali: "Introduction", breve sbadiglio
di chitarra e molli archi, "Bryter layter" qui presente ad incarnare
programmaticamente il mood dell'intero album (e le parole non indispensabili)
e "Sunday", che bucolicamente introduce i rumori della sera
incipiente, guidato da flauto mellifluo, digradante nell'abbandono della
confessione. Tre pezzi incollati a tenere insieme, e dare coerenza di
album al lavoro più eterogeneo, più "raccolta"
della breve "carriera" del ragazzo "depresso" di Tanworth
in Arden.
|