A quarant'anni esatti dalla sua prima
poesia, dedicata al suo paese natio, San Benedetto dei Marsi, Duilio De
Vincentis si è deciso finalmente a raccogliere gran parte della
sua produzione in dialetto, finora conosciuta solo da pochi intimi. Ne
è venuto fuori un volume abbastanza corposo, importante non solo
perchè si si aggiunge un altro, documento alla mappa linguistica
della regione, per un'area poco indagata come quella marsicana, ma anche
perchè con esso si rivendicano in qualche modo i dirilti della
poesia "spontanea", "ingenua", "popolare",
in un momento in cui la crilica sembra tutta schierata dalla parte della
cosiddetta poesia "colta".
Noi stessi, per la verila, in un lontano pomeriggio degli anni ' 70, a
seguilo di un incontro col poeta, cortesemente sollecilato dal compianto
Nello Di Domenico, lo esortammo ad aver maggior cura di quel che si dice
ancora, orazianamente, "labor limae". E nel dedicargli una pagina
del nostro Parnaso d'Abruzzo (Edizione dell' Urbe, 1980) gli riconoscemmo
"tutta la verve incontrollabile a incandescente del cantastorie",
il quale, se da un lato mancava di "rifinilura tecnica", dall'altro
però abbondava "di colore a di calore, sia che trattasse di
motivi ironico-giocosi, sia polilico-sociali". E conludevamo nel
rilevare che, se egli fosse riuscilo ad "affinare un po gli strumenti
espressivi,", avrebbe indubbiamente ottenuto "risultati piu
apprezzabili".
Duilio De Vincentis, dobbiamo dirlo con molta franchezza, non fece gran
conto dei suggerimenti del crilico amico, nella ferma convinzione che
il dialetto debba essere riprodotto rigorosamente sul modello del "parlato".
In fondo, e la stessa tesi di certi dialettologi "puristi",
che si rifiutano di credere che la poesia dialettale possa essere "inquinata"
da operazioni letterarie. Una precisa eco di questa convinzione si trova
in una pagina della raccolta, dal tilolo esplicativo I prufessore i dijalette
chi i scrive, in cui De Vincentis polemizza garbatamente con chi gli richiede
di scrivere "più élégante, frase ricércate,
parole più vicine all'ilagliane, concette piu `ntricate, cumplicate"
e riassume il suo pensiero al riguardo in termini motto semplici:
" J' sò ngnurante, care prufessore,/ però te sacce
dice sole queste:
/ J' scrive quacche ccòse che i core, / to pòzze assicura
ca sò', oneste. / Ne nsacce fa' le còse contro vòjje,
/ le sente i lle rescrive sòpre i fòjje.l Pe mmi `n uccelle
è `ne passarilte, / sente parla la ggente cumma parle; / n' npòzze
dice: quijje e `nne cellilte, / ne a chi parle, guarde ca tu sparle! /
Nisciune la sintasse la chenosce, / sole i ciavajje te' la erre mosce."
Come si vede vi si rilrovano gli estremi di una vera a propria dichiarazione
di poetica, i cui fondamenii sono di antica a nobile ascendenza: la sincerilà
d'ispirazione (` j' scrive che i core" ricorda l'ei dilta dentro
di Dante), l'aderenza al sentire comune (rimanda al culto romantico della
popularpoesie) e la immediatezza della parola (si pensi a Saba che, ai
primi del `900, postula la necessila di una poesia onesta).
Ne deriva che Duilio De Vincentis, pur sprovvisto di conoscenze specialistiche
in materia (autodidatta, non ha seguilo dei corsi regolari di studio),
ha tuttavia degnamente risolto, a modo suo, il difficile problema del
far poesia.
E che la sua sia poesia, francamente, non si può negare: una poesia,
certo, in linea con la tradizione ottocentesca e primo-novecentesca, che
non ama quindi rotture col passato per inseguire delle novila nei contenuti
a nello stile. Le motivazioni piu ricorrenti in lui, infati, sono di tipo
ironico-bozzettistico: la stessa poesia d'apertura. I paese nòstre,
che è del dicembre '51, contiene gia tutti gli spunti dei futuri
sviluppi in tale direzione. Molte sono, complessivamente, le pagine che
vi si agganciano in un modo o nell'altro: ad es. Mamme i jj', Ne mm'i
recorde bbòne, I ricòrde de za Antunielle, A zà Seccurze,
E' Ile pane, SanBenedilte, La Bbefane de `nna vote a tante altre, fino
all'ultima I ggiòche de `nna vote, che è del giugno 1991.
Ineludibile, ovviamente, il contrasto tra il mondo evocato in queste poesie
a la realtà presente: I munne d' ògge, La radie, I , tempe
moderne, Iere i ògge, I tempe nòstre, I vecchie de `sti
tempe a altre ancora, nascono da riflessioni malinconiche sulla fugacila
degli anni e sui piccoli, ma autentici beni perduti.
Legato al passato, con modi inestricabili, a anche il ricordo dei sacrifici
a degli stenti patili, come appare da I fòche di puverejje, J'
emigrante i j paese si, 'Ste munne putesse esse mejje. Sono pagine in
cui il sociale, sia pure intravisto a filtrato attraverso l'esperiznza
ristretta del mondo paesano, assume dimensioni e significati non marginali
nella visione generale della vila, della natura, della storia.
Una visione alimentata da saggezza realistica (cfr. "alla mamme dacce
retta), ispirata prevalentemente dalla fede e dal rispetto del prossimo
(c/r. L'amecizie, La libbertà esiste?), e intesa ad esaltare il
bene senza nascondersi il male (cfr. La vile, La mala sorte, Séme
nù che jeme contre i munne), e che non si affida ciecamente alle
"verità" della scienza (cfr. La Creazione, L' esperienze
a mejje della scenze), si arrende cristianamente alla fatalità
delle sciagure (c/r. I tridece de ggennare, Dentre i 'spidale, A j 'spidale),
trova insostiluibili i valori dell'amore e della famiglia (cfr. Dope venticinqu'anne,
J'anziane, A mojjema, A `nna famijja gnove, `Na storie fantasteche pe
ddu spuse), si dispone al godimento delle bellezze naturali, da difendere
ad ogni costo (cfr. A primavere, L' istate, L' autunne, L' immerne).
Pur sulla base di queste indicazioni molto schematiche (poche rispetto
al gran numero, un centinaio, di poesie contenute nella raccolta), si
puo dire che la struttura d'insieme sia abbastanza solida in quanto sostanziata
di temi e problemi che riguardano l'uomo, visto nella intera parabola
tra il nascere e il morire. Degne di apprezzamento sono anche le strutture
formali che, pur nella osservanza costante dei principi sopraccennati,
acquistano via via sempre più in scioltezza ritmica la padronanza
espressiva. Talchè si puo concludere tranquillamente col dire che
Duilio De Vincentis, dopo quarant'anni d'impegno rigoroso con se stesso,
ha ragioni orrnai più che sufficienti per meritare il suo posto
nel Parnaso abruzzese.
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