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 I testimoni

 

 

 

 
  Brigida di Svezia Caterina da Siena Eddith Stein
 

  S. Teresina del Bambin Gesù

 

 

   
 EDITH STEIN

«MARIA, SEI TU CHE RENDERAI UTILE L'OTTUSO STRUMENTO»:

  Un pugnetto di cenere e di terra scura passata al fuoco dei forni crematori di Auschwitz: è ciò che oggi rimane di santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein; ma in maniera simbolica, perché di lei effettivamente non c'è più nulla. Un ricordo di tutti quegli innocenti sterminati, e furono milioni, nei lager nazisti.
Questo piccolo pugno di polvere si trova sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Michele, a nord di Breslavia, oggi Wroclaw, a pochi passi da quel grigio palazzetto anonimo, in ulica (via) San Michele 38, che fu per tanti anni la casa della famiglia Stein. I luoghi della tormentata giovinezza di Edith, del suo dolore e del suo distacco.

  Sulla parete chiara della chiesa, ricostruita dopo la guerra e affidata ai salesiani, c'è un arco in cui è inciso il suo nome. Nella cappella, all'inizio della navata sinistra, si alzano due blocchi di marmo bianco: uno ha la forma di un grande libro aperto, a simboleggiare i suoi studi di filosofia; l'altro riproduce un grosso numero di fogli ammucchiati l'uno sopra l'altro, a ricordare i suoi scritti, la sua produzione teologica.
Ma cosa resta veramente della religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell'agosto 1942? Certamente ben più di un pugnetto di polvere o di un ricordo inciso nel marmo.
Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all'attenzione della comunità internazionale rivelando la sua grande statura non solo filosofica, ma anche religiosa e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; «una personalità che - come ha detto Giovanni Paolo II - porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo».
Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, nella festa ebraica del Kippur. È un giorno sacro nel calendario liturgico israelita, quello del grande Perdono. I suoi genitori, ebrei di stretta osservanza, lo riterranno di ottimo auspicio per il suo avvenire.
La madre è il faro della sua infanzia, la persona che Edith ama di più al mondo. Una donna laboriosa e pia, dal cuore generoso e ricco di fede. Un'ebrea convinta, fiera delle proprie origini, che confessava la Torah, la Legge mosaica, trasmettendo la sua stessa fede ai figli.
Allevata nei valori profondi della religione ebraica, in una casa di israeliti ortodossi in cui si osservavano scrupolosamente i digiuni e le feste, a 14 anni Edith abbandona la fede «per potermi affermare - dirà più tardi - come un essere autonomo». Soltanto per filiale pietà continua ad accompagnare la madre alla sinagoga; da molto tempo, infatti, non crede più nella fede dei Padri.
JHWH per lei è il nome dell'assenza, dell'inesistenza. Non esiste - dirà lei in quei giorni - alcun Dio. Non esiste un Dio che sia Persona.
Dopo il liceo classico comincia gli studi universitari a Breslavia scegliendo i corsi di germanistica e storia. È l'unica allieva fra studenti maschi. Dotata di grandi capacità intellettuali, si accosta alla psicologia sperimentale, restandone però delusa. Presto si accorge di preferire la filosofia.
Durante l'estate del 1912 legge il secondo volume delle Ricerche logiche di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica, restandone folgorata. Decide così di lasciare Breslavia per passare a Gottinga, dove insegna il maestro.
Nel 1916, conseguita la laurea summa cum laude, a soli 25 anni diventa sua assistente trasferendosi con lui a Friburgo. Sono anni di studi intensi e di progetti. Il suo nome comincia a circolare negli ambienti culturali, ha fama già di brillante studiosa.
In questa vita così piena di idee e di progetti, ordinata al principio della «gioia pura del conoscere», non c'era posto per Dio. Allevata a un «sano umanesimo» dalla propria famiglia, in lei permane solo un forte idealismo etico: si interessa di questioni sociali, sostiene i diritti delle donne, quello degli scioperanti, s'impegna per la repubblica di Weimar. Crede nei valori etici quali il patriottismo, la giustizia sociale, l'onestà. Ma non in Dio.
Edith non accetta nulla che non si possa provare, vuole andare da sé al cuore delle cose. Vuole soprattutto contare solo su se stessa, essere del tutto autosufficiente. Crede che la filosofia possa aiutarla in questo, che essa abbia le chiavi in grado di aprirle tutte le serrature del mondo. Dio, invece, da sempre è Colui che tace. L'Oscuro. È JHWH. Un tetragramma impronunciabile.
Imbevuta dello spirito ateistico del tempo, che trovava un facile puntello nella superbia intellettuale di chi - quasi idolatrando la propria intelligenza - pensa di non dover dipendere da nessuno e da niente, tantomeno da un Essere superiore ed eterno (un modo di ragionare estremamente moderno, come vediamo), Edith ha un solo ideale: la libertà. Quella libertà in cui ravvisa l'essenza più autentica della verità e che le farà scrivere: «La mia ansia di verità era una continua preghiera...».
Decisiva per la sua conversione fu la vita di santa Teresa d'Avila letta in una notte d'estate. Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca. Era notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: «Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo Vita di santa Teresa narrata da lei stessa. Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità».
Aveva cercato a lungo la verità e l'aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un'idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica.
Iscritta nell'elenco dei beati nel 1987, quindi canonizzata nel 1998, la sua santità non può comprendersi se non alla luce di Maria, modello di ogni anima consacrata, suscitatrice e plasmatrice dei più grandi santi nella storia della Chiesa. Beatificata in maggio, dichiarata santa in ottobre, mesi tradizionalmente dedicati alla Madonna: si è trattato soltanto di una felice quanto fortuita coincidenza?
C'è in realtà un "filo mariano" che si dipana in tutta l'esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. In Italia è l'anno della disfatta di Caporetto, in Russia della rivoluzione bolscevica. Per Edith è invece l'anno chiave del suo processo di conversione. L'anno del passo lento di Dio.
Sul fronte bellico la sua amata Germania perde colpi su colpi ed è ormai chiaro che non potrà uscire che sconfitta dalla guerra, il che è un boccone davvero amaro da mandar giù per un'accesa nazionalista come lei, che si era anche adoperata come crocerossina allo scopo di «fare qualcosa per la patria». Sprofonda nel buio della crisi. La filosofia era tutto per lei, ma poteva spiegare tutto? Poteva dare ragione delle cose che accadevano nel mondo? Chiamare per nome gli indecifrabili moti del cuore? Edith comincia a comprendere, sia pur in maniera confusa, che la fenomenologia non può dire l'ultima parola sull'Assoluto, e che la vita non è riducibile a una sfera di idee e di formule da risolvere "oggettivamente", in modo neutro, secondo i postulati husserliani.
E mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, a Friburgo brancola ancora nel buio, non risolvendo a «decidersi per Dio», a molti chilometri da lì, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli un giorno di metà ottobre fondava la Milizia dell'Immacolata, un movimento spirituale che nel suo forte impulso missionario, sotto il vessillo di Maria, avrebbe raggiunto il mondo intero per consacrare all'Immacolata il maggior numero possibile di anime.
E del resto - come dimenticarlo? - quello stesso 1917 è pure l'anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima. Un "filo mariano" intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua segreta trama sul mondo.
Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina. Il monte Carmelo è il luogo in cui, secondo il Primo Libro dei Re, Elia vinse la sfida con i profeti di Baal difendendo la purezza della fede di Israele, vedendo poi arrivare la nuvola portatrice della pioggia dopo la siccità (cf. 1 Re 18, 20-45).
La parola karmel significa «giardino»; e vero giardino di vita cristiana è l'ordine del Carmelo, tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Vita religiosa che santa Teresa di Gesù Bambino non esitava a definire «l'anticamera del Paradiso».
Edith desidera farsi suora carmelitana, ma il suo direttore spirituale la sconsiglia. Allora, nel 1923 entra come insegnante al liceo femminile delle suore domenicane di santa Maria Maddalena a Speyer, in Renania, dove resterà per circa otto anni, dedicandosi all'insegnamento, alla preghiera e all'apostolato nel mondo. Nel 1932 viene chiamata a insegnare all'Istituto pedagogico di Munster, in Westfalia, ma la sua attività sarà sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali.
Non era forse giunto il momento di entrare al Carmelo? Ormai ci pensava da dodici anni e i suoi direttori spirituali non avevano mai assecondato il suo desiderio, considerando forse il valore che poteva avere la sua attività nel mondo. Con umiltà e in spirito di obbedienza Edith aveva sempre acconsentito, ma ecco che adesso tutte le barriere cadevano da sole. «Il Signore sa che cosa vuole da me... Ora debbo percorrere quella strada che da lungo tempo ho considerata la mia».
Molti ostacoli però si frapponevano al suo desiderio di farsi monaca carmelitana: l'età, l'origine ebraica, la mancanza di dote. Dopo estenuanti attese, dinieghi, interrogatori, riscontri (la provano perfino nel canto ed Edith canta con voce timida, quasi un sussurro, «Benedici, o Maria...»), non le restava che attendere e sperare. «Avevo tutto subito senza battere ciglio...», ricorderà.
Finalmente, il sospirato telegramma: «Comunichiamo lieta accettazione - saluti Carmelo»; letto il quale Edith si recò subito in cappella per ringraziare («mi sentii circondata di pace, la pace di colei che giunge in porto...»).
Altro particolare non trascurabile - un'ulteriore coincidenza? - di quel singolare "filo mariano": quel giorno era il 16 luglio 1933, solennità della Regina del Carmelo. Così Edith Stein offrirà a lei, alla Mamma Celeste, quale omaggio al suo provvidenziale intervento, i grandi mazzi di rose che riceve dai colleghi insegnanti e dalle sue allieve del collegio Marianum il giorno della partenza per l'agognato Carmelo di Colonia.
San Bonaventura sosteneva che Dio può creare anche altri mondi, e cose ancora più belle di quelle che noi conosciamo, ma non potrà mai creare un'altra Maria. Maria è il capolavoro di Dio. E il Carmelo è fondato proprio sulla devozione alla Tuttasanta. Il Carmelo, si dice, esiste per Maria: Totus Marianus, viene definito. C'è, dunque, una lunga tradizione di "marianità" nel pensiero mistico dell'Ordine di Nostra Signora del Monte Carmelo.
Nel carisma carmelitano la sequela di Cristo si realizza con Maria, modello di cristiana liberata e preredenta per il suo speciale vincolo con Dio, modello in particolar modo di vero servizio apostolico in quanto colei che ascolta ed è resa feconda dalla Parola. Ogni carmelitana, per santa Teresa d'Avila, deve divenire un'immagine vivente di Maria. I monasteri che l'alacre riformatrice del Carmelo veniva via via creando li chiamava non a caso «le colombaie della Vergine».
Maria, dunque, è il modello di suor Teresa Benedetta della Croce, carmelitana scalza; modello di consacrazione a Dio nonché di apostolato, l'apostolato dell'amore divino, nutrito di preghiera, di silenzio e d'immolazione. «Se in Cristo - scriveva la Stein - abbiamo dinnanzi agli occhi, in maniera concreta, viva e personale, il fine di ogni pedagogia umana, in Maria abbiamo l'ideale a cui deve tendere tutta la formazione della donna».
Sulla madre di Dio Edith Stein ci ha lasciato pagine di grande bellezza spirituale, che meritano di essere conosciute e meditate. «Chiamare Maria nostra madre - scriveva -, non è una semplice immagine. Maria è nostra madre in un senso reale ed eminente, in un senso, cioè, che trascende la maternità terrena. Ella ci ha generato alla vita della grazia, quando ha donato tutta se stessa, tutto il suo essere, il suo corpo e la sua anima, alla maternità divina. È per questo che ci è tanto vicina. Ci ama e ci conosce, s'impegna a fare di ciascuno di noi ciò che dev'essere; soprattutto a portare ciascuno di noi alla più intima unità col Signore... Ma come la grazia non può compiere la propria azione nelle anime se esse non le si aprono con tutta libertà, così anche Maria non può realizzare in pieno la sua maternità, se gli uomini non si abbandonano a Lei...».
Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece - dopo l'incendio delle sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come «la notte dei cristalli» - occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via. In Germania era cominciata la caccia aperta al giudeo.
La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l'intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana suor Teresa Benedetta è registrata come «non ariana». Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane hanno un convento. Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa Maria della Pace, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell'avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt. «Ella - aveva detto - può formare a propria immagine coloro che le appartengono...E chi sta sotto la protezione di Maria - concludeva -, è ben custodito».
Per Lei, nei giorni concitati dopo la fuga in Olanda, in attesa di conoscere il corso degli eventi e nella più totale e angosciante precarietà di vita, aveva composto una poesia che le era sgorgata dal cuore:
Madre mia, amatissima,
a te il Signore ha affidato i misteri del Regno, sei madre del suo mistico corpo.
Il tuo sguardo abbraccia tutti i tempi, tu conosci ogni membro
e i suoi compiti mentre lo guidi. Ti ringrazio d'avermi chiamata ancor prima di sapere che da te viene la vocazione religiosa. Che cosa sarà di me? Non lo so.
Ma considero una grazia grande e non meritata d'avermi eletta a essere tuo strumento.
Vorrei abbandonarmi, docilmente, nelle tue mani,
come attrezzo obbediente. Confido in te.
Sei tu che renderai utile l'ottuso strumento.
Suor Teresa Benedetta della Croce si sente un «attrezzo» insignificante, buono a nulla, che però nelle mani della Vergine, a lei affidato docilmente, può divenire fruttuoso strumento di salvezza secondo i disegni imperscrutabili di Dio.
«La Redenzione - scriveva lei - fu decisa nell'eterno silenzio della vita divina e nel nascondimento della tranquilla dimora di Nazaret; la virtù dello Spirito Santo adombrò la Vergine mentre pregava, sola, e operò l'incarnazione del Redentore... La Vergine, che custodiva nel suo cuore ogni parola che Dio le rivolgeva, è il modello di quelle anime attente in cui rivive la preghiera di Gesù sommo Sacerdote; e quelle anime che, dietro il suo esempio, si danno alla contemplazione della vita e della passione di Cristo, vengono scelte di preferenza dal Signore per essere gli strumenti delle sue grandi opere nella Chiesa...».
La devozione alla Madonna, si dice, è un segno di predestinazione. Edith Stein parlava di Maria e tracciava l'itinerario della sua vita, allorché rifletteva sulla Passione: «La sera del venerdì santo, ai piedi della Croce. Il dolore della Madre di Dio è grande come il mare, lei vi sta immersa, ma è un dolore contenuto, ella trattiene con fermezza il cuore con la mano, perché non si spezzi, la morte vera appare in modo quasi spaventoso dalla bocca semiaperta del Salvatore. Ma la sua testa è rivolta verso la Madre, come per consolarla, e la Croce è tutta luce: il legno della Croce è divenuto luce del Cristo...».
Stare anche lei ai piedi della Croce per intercedere per tutti: il suo programma, il suo destino. Una giovane che negli anni precedenti al Carmelo, la vedeva spesso pregare a lungo davanti ad una immagine della Madonna dei Sette Dolori nell'abbazia benedettina di Beuron disse: «Non la capivo, perché trovavo quella immagine di un certo cattivo gusto e mi stupivo della devozione di Edith. Più tardi, quando appresi la sua morte, pensai invece che già da allora la Vergine della Compassione istruiva la sua bambina dei dolori che avrebbe dovuto anch'ella portare...».
L'anno 1942 segnò l'inizio delle deportazioni di massa verso l'est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita Endlósung, ovvero la «soluzione finale» del problema ebraico.
Neppure l'Olanda è più sicura per Edith. Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell'Olanda.
Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.
L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò tutta la vita di santa Teresa Benedetta della Croce, ma la sequela di Cristo non era possibile da realizzare se non con e per mezzo di Maria, che di Cristo rappresenta l'immagine più perfetta (cf. Lumen gentium, cap. VIII).
«La sequela di Maria - aveva scritto lei - include quella di Cristo, perché Maria è la prima seguace di Cristo e la sua immagine più perfetta. Pertanto la sequela di Maria è doverosa non solo per le donne, ma per tutti i cristiani. Anche se per le donne essa ha tuttavia un significato specifico: le conduce ad esprimere in modo a loro conforme, in modo femminile, l'immagine di Cristo».
La salita al monte Carmelo, o meglio ancora sul Golgota di Auschwitz, per santa Teresa Benedetta della Croce, non sarebbe stata possibile senza il cammino di fede e di santità, tracciato all'anima da Maria, lampada di eterna gloria. "Se proviamo a contemplare silenziosamente il cammino percorso dalla Madre Dio, dalla Purificazione al Venerdì Santo, sarà lei a  farci trovare le vie del silenzio...».
 (Maria Di Lorenzo, Sui passi di Maria, Città Nuova Editrice)

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 BRIGIDA DI SVEZIA

«AMOR MEUS CRUCIFIXUS EST»

 
Passò la vita in preghiere e penitenze per ottenere da Dio la riconciliazione e la purificazione della Chiesa, che attraversava un momento molto difficile della sua storia. Adoperarsi per il ritorno del papa da Avignone fu il suo obiettivo, ma era destino che Brigida non vedesse realizzato il suo sogno, di cui passò idealmente il testimone a santa Caterina da Siena. Il suo destino era di seminare, non di raccogliere; di combattere, non di vincere; di camminare, non di arrivare. Troppo in anticipo, forse, rispetto ai suoi tempi, al punto che ancora oggi, all'inizio del terzo millennio, la sua figura si presenta ai nostri occhi in una luce di modernità davvero straordinaria, se pensiamo alla sua esistenza vissuta nel cuore del Medioevo

  Brigida Birgersdotter nacque nel 1303 a Finsta, in Svezia, quando la Scandinavia era ancora cattolica. I suoi genitori appartenevano alla più alta nobiltà. Si racconta che la madre, mentre era incinta di lei, durante un viaggio rischiò di annegare in un naufragio e riuscì a salvarsi a stento. La notte seguente avrebbe udito la voce della Madonna che le diceva: «Sei stata salvata per il frutto che porti in seno. Nutrilo dunque nell'amore di Dio».
A dieci anni Brigida ebbe la prima visione mistica di Cristo e desiderò prendere il velo, ma suo padre qualche anno dopo le impose per ragioni politiche di sposare il diciottenne Ulf Gudmarsson. Dal matrimonio nacquero otto figli, quattro maschi e quattro femmine, fra cui quella che poi divenne santa Caterina di Svezia.
Ulf era un giovane mite e ricco di fede. Insieme diventeranno terziari francescani, dedicandosi all'educazione cristiana dei figli e alle opere di carità. Brigida sarà per vent'anni una moglie e madre esemplare. Una laica felicemente sposata.
La vita di corte la mette in contatto con la travagliata vita sociale del suo tempo e accende in lei un vivo interesse per la politica europea, ma poiché non ha mai smesso di pensare alla vita religiosa, studia la letteratura mistica, legge molto, principalmente la Sacra Scrittura e le opere di san Bernardo di Chiaravalle, che portano a perfezione la sua educazione religiosa.
Sposa e madre, dama di corte. Questa fu la sua vita per oltre vent'anni, finché il marito mori. Era il 1344. Due anni prima, al ritorno da un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, Ulf era entrato fra i monaci cistercensi ad Alvastra. Per Brigida è il momento della svolta. Decide di indossare l'abito cinerino del crocifisso della Verna, simbolo di povertà e penitenza. Iniziano le rivelazioni celesti, rivelazioni che le giungevano in uno stato d'estasi e che al risveglio scriveva lei stessa oppure dettava al suo confessore, attraverso le quali divenne una messaggera di Cristo per comunicare, perorare ed esortare il Papa e i prelati.
Lettere, messaggi, anche invettive: contro il malcostume del tempo la sua voce ammonitrice si leva con insolita energia. Brigida ha una natura forte e volitiva, e nessuna intenzione di chiudere il proprio orizzonte fra due zolle. Per il Papa e per l'Europa si sentirà spinta a partire alla volta di Roma in occasione dell'anno santo del 1350 e da li non se ne andrà più.
Brigida era una grande mistica, ma anche una donna molto pratica, quindi non appena si stabilì a Roma, nella casa di piazza Farnese, la adattò per i pellegrini che fossero giunti dai paesi scandinavi, a cui si offrivano ospitalità e alta spiritualità. La sua vita era molto austera, totale la sua povertà. La nobile figlia di Svezia dovette mendicare spesso il pane quotidiano, mescolata agli altri poveri, sugli scalini delle chiese di Roma. Invisa a molti, non si lasciò mai scoraggiare dalle avversità. Una sera, si racconta, dei romani circondarono la sua casa a piazza Farnese con l'intenzione di bruciarla viva. Brigida stava  proclamando ad alta voce la biblica lode all'Immacolata Tutta bella sei, o Maria e il gruppo di oppositori le si scagliò contro, ma lei non si scompose e continuò a pregare.
Appena intonò l'Ave Maris Stella i facinorosi si dispersero: in ringraziamento alla Vergine stabilì allora che da quel giorno questo inno venisse cantato quotidianamente in comunità. Ed è ciò che si usa fare ancora oggi nelle case brigidine di tutto il mondo: ogni giorno, prima del Vespro, si intona l'inno latino Ave Maris Stella accompagnato dalla recita di un'Ave Maria.
Mossa dallo Spirito, la santa svedese fondò un ordine contemplativo femminile e maschile, l'Ordine del SS. Salvatore - la cui Regola venne approvata nel 1370 - che disgraziatamente fu spazzato via in seguito alla Riforma protestante in Europa. Il monastero di Vadstena, culla dell'ordine, fu saccheggiato e i religiosi dispersi, ma oggi esso è più vivo che mai, grazie all'opera riformatrice della beata M. Elisabetta Hesselblad che lo ha rifondato nel XX secolo.
Molte sono le rivelazioni sulla Madonna ricevute da santa Brigida e raccolte nei suoi scritti che ci rivelano la sua profonda dottrina mariana. In esse si affermano la verità dell'Immacolata Concezione, la maternità universale di Maria e la sua missione di Corredentrice del genere umano. Le rivelazioni della santa richiamano spesso i simboli biblici più suggestivi applicati alla Madonna: arca, roveto ardente, aurora, giglio, calamita che attrae dolcemente i cuori a Dio.
Le rivelazioni parlano pure della vera e falsa devozione a Maria. La vera devozione, dice Brigida, è quella che fa amare la Madonna specialmente con l'imitazione delle sue virtù predilette: umiltà, carità, purezza, obbedienza e povertà.
Al centro della sua spiritualità troviamo i misteri della Passione di Cristo e delle glorie e dolori di Maria. Brigida seppe cogliere ed evidenziare la centralità di Maria nella storia della salvezza, accanto a Cristo e unita a Cristo, secondo il piano salvifico di Dio. Il Redentore e la Corredentrice, inseparabili, hanno portato a compimento nel dolore e nell'immolazione la salvezza del genere umano.
La lode incessante a Dio e l'impegno per l'unità dei cristiani caratterizzano il carisma delle suore di santa Brigida, «assidue nell'orazione... praticando l'ospitalità» secondo il precetto paolino (cf. Rm 12, 12-13). La loro devozione è incentrata sul dramma del Calvario, su Cristo crocifisso e sulla Madre Addolorata sotto la croce. Per questo il motto delle brigidine è «Amor meus crocifssus est».
Un segno particolare di richiamo alla riparazione, caposaldo dell'ordine brigidino, è la corona portata sul capo con i simboli delle cinque piaghe del Signore, che fa parte dell'abito religioso.
La marianità dell'Ordine è così evidente che non appena si apre il libro delle Regole dettate da Gesù stesso alla santa vi si può leggere: «Io voglio istituire questo Ordine per la gloria della mia amatissima Madre».
Nelle orazioni di santa Brigida, una pia pratica molto diffusa a cui sono legate varie promesse dello stesso Gesù, si può leggere in particolare quella di soccorrere l'anima orante al momento della morte venendo a lei «con la mia amatissima e dilettissima Madre». Sono le parole di Cristo apparsole un giorno: «Metterò il segno della mia croce vittoriosa davanti a lei per soccorrerla e difenderla contro gli attacchi dei suoi nemici... E la persona otterrà tutto quello che domanderà a Dio e alla Vergine Maria».
Ecumenismo, unità, rinnovamento interiore: questo il testamento spirituale lasciato dalla «mistica venuta dal Nord». In quella che fu la sua casa a piazza Farnese, dove oggi è la curia generalizia dell'ordine, si possono ancora visitare le sue stanze. Brigida vi morì il 23 luglio 1373. Era di sabato, giorno della Madonna. Quando sentì vicina l'ora del trapasso, si fece distendere su un tavolo, desiderando morire - così disse - sul duro legno come il suo Salvatore.
Fu canonizzata il 7 ottobre 1391. Un data mariana anch'essa, come si può vedere. Nella Bolla di canonizzazione si afferma che la santa «per grazia dello Spirito Santo meritò di vedere visioni, di udire rivelazioni e di predire molte cose con spirito profetico», riconoscendole quindi il carisma della profezia, raramente evidenziato in una donna nella storia della Chiesa. Una donna tuttavia non comune, chiamata a una missione tutta particolare e per questo assistita e protetta in modo speciale da Maria. Per lei Brigida compose anche un Sermone e ben nove volumi di rivelazioni.
Profetessa dei tempi nuovi, questa grande santa scandinava che lavorò instancabilmente per la pace in Europa in un tempo contrassegnato da divisioni religiose, guerre e squilibri politici, è stata dichiarata da Giovanni Paolo II (con Motu proprio del 1° ottobre 1999) compatrona d'Europa, insieme a Edith Stein e a Caterina da Siena.
Tre sante per la «casa comune»: una svedese, una polacca e un'italiana; un'aristocratica, una borghese ebrea, la figlia di un mercante. Tre mistiche uguali e diverse che hanno osato scavalcare le convenzioni sociali e addirittura proporre, sotto l'impulso dello Spirito, un autentico risveglio nella Chiesa (i monasteri sognati da Brigida, con monache e monaci sotto una badessa che doveva rappresentare Maria, sono tutt'oggi un modello di altissima avanguardia), ascoltate da papi e potenti della terra per il loro essere canale della voce divina.
Pellegrine dell'assoluto, hanno viaggiato in un'epoca in cui le donne viaggiavano pochissimo e quelle poche lo facevano con grandi difficoltà. In epoche diverse e lontane sono state nel mondo le braccia materne di Dio e, guardando ogni volta a Maria hanno additato una strada, fra terra e cielo, per abitare da dentro, e concretamente, l'utopia che si avvicina.

(Maria di Lorenzo, Sui passi di Maria, Città Nuova Editrice)

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 CATERINA DA    SIENA

«AL NOME DI GESÙ CRISTO CROCIFISSO E DI MARIA DOLCE»

 

 
Quando aveva dodici anni - allora si usava così - i genitori decisero di maritarla a qualche buon partito del luogo. Accasarla bene era la loro principale preoccupazione, ma lei disse no, assolutamente no, per sempre no. Caterina quando si metteva in testa una cosa non c'era verso di farle cambiare idea; sembrava fatta d'acciaio, dentro. A sette anni già pensava al voto di verginità come aveva fatto la Madonna, che era stata la prima a dedicarsi a Dio per sempre: lei voleva imitarla.
I familiari si oppongono strenuamente al suo progetto, ma senza esito. Caterina è destinata dal suo ceto e dal tempo in cui vive a diventare la custode del focolare domestico, moglie e madre. Sarà invece una libera donna di Dio, mistica e condottiera della pace, madre di una moltitudine di anime attraverso i secoli.

  «La storia della Chiesa in questi due millenni, nonostante tanti condizionamenti, ha conosciuto veramente il "genio della donna", avendo visto emergere nel suo seno donne di prima grandezza che hanno lasciato larga e benefica impronta di sé nel tempo. Penso alla lunga schiera di martiri, di sante, di mistiche insigni. Penso, in special modo, a santa Caterina da Siena...», ha scritto Giovanni Paolo II nella lettera alle donne (1995), esprimendo tutto il suo ammirato riconoscimento nei confronti di questa santa del Trecento che ha impresso un solco formidabile nella storia della Chiesa.
Canonizzata nel 1461 da Pio II e dichiarata patrona d'Italia (con Francesco d'Assisi) nel 1939 da Pio XII, sessant'anni dopo Caterina. è stata proclamata patrona d'Europa insieme a .Edith Stein e a Brigida di Svezia.
Il suo corpo riposa sotto l'altare maggiore della basilica domenicana di Santa Maria sopra Minerva, nel cuore di Roma, dove fu deposto dopo la morte. Il volto impresso sul sarcofago è dolce e affilato, un sorriso lieve lieve increspa gli angoli della bocca. Quasi la muta, segreta letizia di chi finalmente assapora la gioia lungamente promessa dopo una vita vissuta tutta di corsa, in prima linea per la causa del Vangelo.
Tale fu la breve esistenza terrena, appena trentatré anni, della santa senese che volle bruciare la sua vita in un'unica fiamma d'amore: per la Chiesa e per Maria.
Nata, quasi profeticamente, nel giorno della Annunciazione, il 25 marzo 1347, Caterina ha una gemella, Giovanna, che muore dopo soli pochi giorni di vita. I genitori, Jacopo e Lapa Benincasa, ebbero venticinque figli e di questi Caterina è la penultima. Piccolissima, impara 1'Ave Maria e la ripete spesso salendo e scendendo i gradini delle scale paterne, salutando ogni volta la Madonna con un inchino.
Caterina non va a scuola, non ha maestri. È Gesù il suo maestro. Una dolce calamita. Crescendo matura il proposito di darsi tutta a Lui: vuole solo una stanzetta per pregare e stare col suo Dio. A sedici anni riceve l'abito dell'ordine della Penitenza di San Domenico: tunica e velo bianco, mantello nero.
Vive ritirata nella sua cameretta, come una "monaca di casa", pregando e facendo penitenza, disturbata dai demoni, finché un giorno le appare Gesù che, passandole al dito l'anello nuziale, la sposa nella fede.
Il beato Raimondo da Capua, che scrisse la sua vita, racconta il mistico sposalizio di Caterina con Gesù alla presenza di Maria: «Mentre il profeta Davide suonava l'arpa, con tenerezza la Vergine Madre di Dio prese nella sua santa mano la mano di Caterina, e presentandola al Figlio, lo invitava dolcemente a sposarla», alla presenza di san Domenico e altri santi. Gesù allora le porse un anello d'oro in cui erano incastonate, attorno a un meraviglioso diamante, quattro margherite e lo mise al suo dito anulare.
La visione poi scomparve, ma l'anello le restò al dito, visibile a lei soltanto. il diamante posto sull'anello, simbolo di fortezza, ben riassumeva la virtù principale di santa Caterina da Siena.
Il tempo della prima giovinezza è assorbito dai dolci colloqui con Dio nella sua cameretta, poi Gesù stesso la farà andare in mezzo agli uomini. Amante della contemplazione, Caterina ne soffre un po', ma ubbidisce al comando divino: è giunto il momento di dedicarsi all'apostolato nel mondo.
«Il cuore è un cielo, perché vi si cela Dio», scriverà allora in una lettera. Nessuno potrà mai privarla di quella cella interiore: la contemplazione sarà tutta dentro l'azione, che diventa così la scala verso Dio.
Caterina assiste gli ammalati, dona ai poveri, conduce famiglie nemiche a fare pace. Intorno a lei comincia a radunarsi una "famiglia" di discepoli: uomini e donne, artisti, religiosi, quasi tutti più anziani di lei, ma la chiamano «mamma». E non ha che vent'anni.
Poco alla volta la sua azione travalica i confini cittadini grazie alle lettere che invia a ogni categoria di persone: uomini di governo e semplici artigiani, cardinali e papi, monaci e laici, regine e donne di casa. Sono anni molto turbolenti quelli in cui vive la santa senese. E lei non si risparmia, non si concede soste. Percorre le città della Toscana predicando la pace, richiama al dovere senza tanti preamboli re e governanti della terra.
Le vengono attribuiti numerosi miracoli: guarigioni, conversioni, riappacificazioni. Amata e odiata allo stesso modo, circondata di diffidenza e incredulità, nel 1375 riceve le stimmate. Le rivelazioni divine scandiscono il suo cammino interiore, visioni estatiche di Gesù sanguinante sulla croce e di sua Madre. Come succede a tanti santi che toccano le vette della mistica, intorno a lei c'era chi non credeva ai suoi miracoli, alle sue estasi. Privilégi e grazie soprannaturali messe in dubbio al principio anche dal suo stesso confessore. Un giorno a questi accadde di vedere con i propri occhi il volto di Caterina trasformarsi a poco a poco in quello di Cristo. Raimondo domandò esterrefatto: «Chi sei?», sentendosi rispondere con accento severo: «Colui che è». Immediatamente dopo il volto riprese le sembianze della Santa.
Tentazioni, tribolazioni e profondissimi dolori sono il pane quotidiano di Caterina. Lei soffre in silenzio e prega. La preghiera, come insegna la Madonna, è la madre di tutte le virtù.
Tutto parte dalla preghiera per tornare circolarmente ad essa: a tanta azione corrispondeva in lei altrettanta contemplazione. Vedendo i molti mali che affliggevano la Chiesa, la santa si adoperò infaticabilmente per riportare pace tra le città ribelli e il pontefice. La Chiesa era il grande amore di Caterina, che definiva il papa «il dolce Cristo in terra». Lottò tutta la vita per la sua unità, allora minacciata dalla ribellione di molti ecclesiastici nei confronti di Urbano VI, e contribuì al ritorno della sede papale a Roma, dopo i settant'anni di «cattività avignonese». In quell'occasione pensò di fondare un monastero nel castello di Belcaro, donatole da un suo convertito, intitolandolo «Santa Maria degli Angeli». Il segreto della vergine di Siena era tutto qui: nel nome di Maria.
«Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce»: in questo modo cominciava tutte le sue lettere. Ne scrisse moltissime. Forti e tenere, accorate e severe. Erano esortazioni, richiami, ammonimenti, richieste appassionate dettate per lo più ai discepoli, giacché solo sul finire della sua vita a fatica imparò a leggere e a scrivere.
Maria è il modello della vita interiore della santa senese. Nel «dì di Maria», come lei chiamava il sabato, era solita digiunare in suo onore, e di sabato volle iniziare il famoso Dialogo della Divina Provvidenza. Recitava l'Ufficio della Madonna e aveva una grande devozione per il rosario, sulle orme del padre san Domenico.
O Maria, Maria, tempio della Trinità...», comincia la grande preghiera pronunciata dalla santa nella festa dell'Annunciazione, «Maria che porti il fuoco della carità! Maria che porgi la misericordia, Maria che hai fatto germogliare il frutto, Maria che hai ricomprato l'umana generazione, perché hai portato in te il Verbo per mezzo del quale è stato ricomprato il mondo: Cristo lo ha ricomprato con la sua passione e tu con il dolore del corpo e della mente. Maria mare pacifico, Maria donatrice di pace, Maria terra fruttifera. Tu, Maria, sei quella nuova pianta dalla quale abbiamo ricevuto il fiore profumato del Verbo unigenito Figlio di Dio, perché in te, terra fruttifera, questo Verbo fu seminato. Tu sei la terra e la pianta. Maria carro di fuoco, tu hai portato il fuoco nascosto e velato sotto la cenere della tua umanità...».
Maria è per Caterina un'esca posta da Dio per salvare le anime, giacché il Signore non permette che siano perduti quelli che in vita l'hanno amata. In lei vede la perfetta incarnazione della misericordia divina, e la supplica perciò per la salvezza di un perugino condannato al patibolo che assistette al momento dell'esecuzione. «Maria, sii tu benedetta fra tutte le donne, per i secoli dei secoli, perché oggi ci hai dato della tua farina. Oggi la divinità è unita e impastata con la nostra umanità sì fortemente che non se ne è mai potuta separare né per la morte, né per la nostra ingratitudine».
Sul modello di Maria, la sua presenza si fa esempio e preghiera, saggezza di madre, correzione forte e fraterna. Nel 1378 la santa viene invitata dal papa a Firenze per trattare la pace. Urbano VI, per il suo zelo riformatore, si era fatto molti nemici, sicché quell'anno a Fondi alcuni cardinali, francesi in maggioranza, eleggono un antipapa, Clemente VII, e inizia il grande scisma d'Occidente, che avrà termine solo nel 1417.
Caterina in quel frangente si fa in quattro per arginare lo scisma. Parla ai cardinali riuniti in concistoro, esorta a voce e per lettera. È una diplomatica nata. Sa ricucire con straordinario talento le relazioni politico-religiose più difficili e controverse. Caterina ha carisma. È una donna, un'illetterata per giunta, ma non fa fatica a imporsi su una moltitudine di uomini. E' accesa dal fuoco dello Spirito. In lei parla la voce di Dio.
Caterina abbatte le convenzioni sociali e i pregiudizi del suo tempo, la mentalità corrente riguardo al ruolo delle donne. È uno spirito libero. Presente accanto agli uomini dove si lotta per la pace e la verità, senza complessi d'inferiorità, nemmeno quello della sua mancata istruzione. Altro che sesso debole! Caterina da Siena è una donna eccezionalmente aperta e partecipe delle vicende del suo tempo. Scegliendo la verginità vissuta nel mondo ha dischiuso la via a un nuovo tipo di vita religiosa che oggi è molto diffusa nella Chiesa: la secolarità consacrata.
La fragile vergine di Siena, «serva dei servi di Gesù Cristo», è una figura abbagliante, un gigante della fede e della carità. Paolo VI l'ha proclamata Dottore della Chiesa nel 1970: il più alto riconoscimento conferito ai maestri del sapere spirituale. La figlia semianalfabeta del tintore Jacopo Benincasa accanto ai giganti della teologia; con lei solo Teresa d'Avila e Teresa di Lisieux.
Tanta era la sua scienza divina che ancora oggi, a distanza di sette secoli, fa di lei una grande maestra di vita spirituale. Con Caterina il mistero della femminilità si fa dono da spendere per gli altri, per tutti quei fratelli sul cui volto è impressa la traccia rovente dell'amore di Dio.

(Maria Di Lorenzo, Sui passi di Maria, Città Nuova Editrice)

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S. Teresina del Bambin Gesù

Maria, io la sento così.

 

Un sermone sulla Santa Vergine mi piace e mi fa del bene, quando vedo la sua vita reale, non la sua vita supposta; sono sicura che la sua vita fosse assolutamente semplice. La si mostra inavvicinabile, bisognerebbe, invece, mostrarla imitabile, tirar fuori le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, citando il vangelo dove si legge: "Ma essi non compresero le sue parole". E in un altro passo non meno misterioso:" I suoi genitori erano ammirati per quello che si diceva di lui".

 

Questa ammirazione suppone un certo stupore, non trovate,  mia piccola Madre? Si sa bene che la Madonna è la Regina del Cielo e della terra, ma è più Madre che regina, e non occorre dire che a causa delle sue prerogative  eclissa la gloria di tutti i santi, come il sole al suo levare fa sparire le stelle. Mio Dio! come ciò è strano! Una Madre che fa sparire la gloria dei suoi figli! Io penso tutto il contrario, credo che  ella aumenterà di molto lo splendore degli eletti. E' bene  parlare delle sue prerogative, ma non solo di quelle. Altrimenti, se ascolti una predica, e si è obbligati, dal principio alla fine,  ad esclamare e  fare Ah! ah! uno ne ha abbastanza! C'è il rischio che qualche persona provi un certo distacco nei confronti di una creatura tanto superiore da dire a se stessa: se è così, tanto vale andare a brillare come si può in un angoletto! La Santa Vergine ha in più, rispetto a noi, l'impossibilità  di peccare, l'essere esente dalla macchia originale;  d' altra parte, ha avuto  meno  di noi, poiché non ha avuto una Vergine Santa da  amare; ciò è per noi una tale dolcezza in più; per lei  una tale dolcezza in meno! Infine ho detto nel mio Cantico: "Perché ti amo, o Maria" tutto ciò che vorrei direi di lei." 

"Oh! vorrei cantare, Maria, perché ti amo! 

Perché il tuo nome così dolce fa trasalire il mio cuore  

E perché il pensiero della tua grandezza immensa 

Non ispira alla mia anima timore. 

Se ti contemplassi nella tua sublime gloria 

che supera il fulgore di tutti i beati 

Che io sia tua figlia non potrei crederlo 

O Maria davanti a te, abbasserei gli occhi!... 

Perché un figlio possa amare sua madre 

occorre che pianga con lui, condivida i suoi dolori 

O Madre mia cara, sulla riva straniera, 

Per attirarmi a te, quante lacrime versasti !...." 

Meditando la tua vita nel santo Vangelo 

Oso guardarti ed avvicinarmi a te 

Credermi  tua figlia non mi è difficile 

Perché ti vedo mortale e sofferente come me: 

Oh! ti amo, Maria, perché sei la serva  

Del Signore che incanti con la tua umiltà 

Questa virtù nascosta ti rende onnipotente 

Attira nel tuo cuore la Santa Trinità 

Allora lo Spirito d' Amore coprendoti con la sua ombra 

Il Figlio uguale al Padre in te si è incarnato 

Molto grande sarà il numero dei suoi fratelli peccatori 

Poiché si deve chiamarlo: Gesù, il tuo primogenito! 

O Madre benamata, malgrado la mia piccolezza, 

Come te possiedo in me L'Onnipotente  

Ma non tremo vedendo la mia debolezza: 

Il tesoro della madre appartiene al figlio 

Ed io sono la tua bambina, o Madre mia cara 

Le tue virtù, il tuo amore, non sono per me? 

Perciò quando nel mio cuore scende la bianca Ostia 

Gesù, il tuo Dolce Agnello, crede riposare in te!... 

Me lo fai sentire, non è impossibile 

Camminare sui tuoi passi, oh Regina degli eletti, 

La stretta strada del Cielo, tu l'hai resa visibile 

Praticando sempre le più umili virtù. 

Vicino a te, Maria, amo  restare piccola, 

Delle grandezze di quaggiù vedo la vanità, 

Da Santa Elisabetta, che riceve la tua visita,  

Imparo a praticare l'ardente carità. 

So che a Nazareth, Madre piena di grazie 

Vivi molto poveramente, non volendo altro 

Non ci sono rapimenti, miracoli e  estasi, 

ad abbellire la tua vita o Regina degli Eletti! 

Il numero dei piccoli è molto grande sulla terra 

Possono senza tremare verso di te sollevare gli occhi 

È per la via comune, incomparabile Madre 

Che ti piace  camminare per guidarli al Cielo. 

Ci ami, Maria, come Gesù ci ama  

Ed acconsenti per noi di allontanarti da Lui. 

Amare, è tutto dare e dare sé stessi 

Volesti provarlo restando il nostro appoggio. 

Il Salvatore conosceva la tua immensa tenerezza 

Sapeva i segreti del tuo cuore materno, 

Rifugio dei peccatori è a te che ci affida 

Quando lascia la Croce per aspettarci al Cielo 

La casa di San Giovanni diventa il tuo solo rifugio 

Il figlio di Zebedeo deve sostituire Gesù 

È l'ultimo particolare che dà il vangelo 

Della Regina dei Cieli non mi parla più. 

Ma il suo profondo silenzio, o  Madre mia cara 

dice che il Verbo eterno 

Vuole egli stesso cantare i segreti della tua vita 

Per affascinare i tuoi figli, tutti gli Eletti del Cielo? 

Presto  sentirò questa dolce armonia 

Presto nel bel Cielo, verrò a vederti 

Tu che venisti a sorridermi al mattino della mia vita 

Vieni a sorridermi ancora.... Madre.... ecco la sera!... 

Non temo più lo splendore della tua gloria suprema 

Con te ho sofferto e voglio adesso 

Cantare sulle tue ginocchia, Maria, perché ti amo 

E ridire per sempre che sono  tua figlia!...... (PN 54) 

    Amo molto le preghiere in comunità perché Gesù ha promesso di trovarsi in mezzo a quelli che si riuniscono nel suo nome; sento allora che  il fervore delle mie sorelle supplisce al mio; la sola recita della corona, ho vergogna di confessarlo, mi costa più di uno strumento di penitenza.... sento che la dico così male! Ho un bel sforzarmi nel  meditare i misteri del rosario, non arrivo a fissare il mio spirito.... Molto tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perché amo tanto la Madonna che dovrebbe essermi facile dire, nel suo onore, le preghiere che le sono piacevoli. Adesso mi affliggo  meno; la Regina dei Cieli, essendo mia Madre,  vede la mia buona volontà e  si accontenta di ciò. Talvolta, quando il mio spirito è in  tale aridità da non trovar niente per  unirsi al Buono Dio, recito molto lentamente il "Padre Nostro" e poi il saluto angelico; allora queste preghiere mi incantano, nutrono la mia anima  più che se le avessi recitate precipitosamente un centinaio di volte.... La Madonna mi mostra che non è irritata con me, mai  manca di proteggermi appena l'invoco. Se sopraggiunge  un'inquietudine, un imbarazzo, subito mi giro verso di lei e sempre, come la più tenera delle Madri, si prende cura dei miei interessi. Quante volte, parlando alle novizie, mi è capitata di invocarla e di sperimentare i benefici della sua materna protezione!. 

(dagli scritti di S. Teresina del Bambin Gesù, nostra traduzione dal francese) 

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