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Sciopero pro e contro |
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1.3 "Cosa è mai l'uomo?"
2.3 "Attraversare la città. Le nostre comunità, infine, possono far molto per servire la città dell'uomo. Basta che abbiano il coraggio di attraversare la città, di stare in mezzo ad essa anche nei momenti più difficili, di abitare la città. Tutto questo significa il riprendere con coraggio la formazione di laici che sappiano amare la città e sappiano dire, attraverso l'impegno sociale e politico, una forma alta d'amore, forse la più esigente, come amava esprimersi il papa Paolo VI.
Per un ulteriore
approfondimento inseriamo l'intervento del card. Martini al Convegno per la XXI giornata della solidarietà
Le scelte vanno compiute attraverso percorsi possibili. Sottolineo tre punti:
- Il primo riguarda la necessità di riferimenti un po' stabili per costruirsi una vita degna. Se c'è un avanzamento nella modernità del lavoro, questo si misura nella tutela che la società riesce ad offrire ad ogni lavoratore, ivi compresi quelli che sono costretti a prendere il lavoro che capita. Penso ai giovani, alle donne, alle persone che non hanno in sé sufficienti risorse o capacità per "stare sul mercato"; penso agli extracomunitari. Penso in particolare ai riflessi che i nuovi modi di lavorare hanno sulla vita di famiglia. Mentre la Comunità Cristiana si preoccupa di esortare i giovani a costituire una famiglia, superando le comodità troppo facili della vita in casa dei genitori, incoraggia una forte azione educativa e sostiene la fedeltà alle scelte compiute, la trasmissione di questi e di altri valori richiede di per sé prospettive, anche lavorative, in qualche modo di lunga durata.
Alle istituzioni chiediamo
un impegno particolare per il lavoro: nella flessibilità ormai dilagante,
sia accompagnato da attenzioni alle tutele, alle previdenze, in particolare,
di tutti i lavori atipici che si stanno moltiplicando, ad una legislazione
che valorizzi la flessibilità quando è di reciproco aiuto tra imprenditore e
lavoratore superando in tal modo la routine. Vanno previsti dispositivi di
reinserimento, forte impegno per la formazione professionale strumenti di
approfondimento che permettano itinerari con sbocchi aperti verso una
maggiore progettualità. Non dimentichiamo che il livello di alfabetizzazione
nel mondo italiano è molto basso rispetto alle richieste di specializzazione
richiesta e circa la metà dei lavoratori non ha superato la licenza
elementare o al massimo la terza media. Servono regole e non liberismo
selvaggio per trovare un equilibrio tra le diverse esigenze delle parti.
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L’Italia, in questa campagna, è in prima fila. «Vogliamo essere all’avanguardia nella lotta contro lo sfruttamento minorile per garantire ai giovani e all’infanzia un futuro giusto e decoroso», ha ribadito ieri il ministro del Welfare, Roberto Maroni, nel corso di una tavola rotonda sulle «azioni future per i prossimi dieci anni». In vista di questo obiettivo l’Italia pone la famiglia al centro di tutte le politiche sull’infanzia: «Diritto alla salute, all’istruzione, ad avere una tutela contro gli abusi significa per i bambini il diritto a una famiglia, il nucleo fondamentale della società - ha sottolineato Maroni - inteso come l’intende la Costituzione: famiglia naturale fondata sul matrimonio». Il dibattito su alcuni temi, comunque, si preannuncia arroventato: Stati Uniti, alleati in questo caso con cattolici e islamici, continuano a rinviare il varo del documento finale perché non condividono i riferimenti che riguardano l’educazione sessuale e il diritto alla contraccezione per gli adolescenti. Washington, d’altra parte, è spesso contro corrente: non ha mai ratificato, per esempio, la Convenzione del 1989 sui Diritti dell’Infanzia disconosciuta solo dalla Somalia. |
I Numeri
2,1 miliardo di bimbi nel mondo (il 36% dell'umanità) 132 milioni le nascite mondiali annuali 1 su 4 vive in estrema povertà 1 su 12 muore prima dei 5 anni 63 anni è la durata media della vita 78 anni è la durata media nei paesi industrializzati 43 anni è il traguardo di sopravvivenza in Africa 2 milioni di bambini uccisi negli ultimi 10 anni 4 milioni hanno subito mutilazioni 1 milione sono rimasti orfani ogni tre secondi muore un bambino di povertà 90 mila saranno i bambini morti al termine dei tre giorni del convegno
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Nel 1990, il vertice dell’Onu sui minori si concluse con un impegno delle nazioni ricche a devolvere lo 0,7% del Prodotto interno lordo al miglioramento delle condizioni sanitarie e dell’istruzione nei Paesi in via di sviluppo. Nell’ultimo decennio tuttavia questa promessa si è progressivamente arenata. E anche le nazioni del Terzo Mondo, che avrebbero dovuto investire il 20% dei loro bilanci nazionali sul welfare, non hanno brillato: nel migliore dei casi non sono andate oltre il 12-14%. (da Avvenire 9 maggio 2002, altri articoli cfr. www.avvenire.it ) |
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Sciopero senza terrore orna lo sciopero. Quello generale, "tosto". Ed anche unitario. Non se ne parlava da tempo immemorabile. Di scioperi è costellata la vita sociale. Ma in Italia per ritrovare tracce di sciopero generale bisogna andare indietro di almeno un decennio. Gli interpreti più diffidenti so-stengono che il centrosinistra aveva cloroformizzato il sindacato, con la concertazione, con le concessioni, con il richiamo... patriottico. Un'intera generazione di lavoratori non aveva mai partecipato a uno sciopero generale, per di più sotto l'attacco del terrorismo. Può essere quindi utile parlare di sciopero, al di là delle ragioni specifiche del conflitto sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Qualche confusione c'è infatti a proposito dello sciopero, del suo uso ed abuso, dei suoi valori positivi e dei suoi caratteri negativi. Di qui l'esigenza di mettere a fuoco alcuni aspetti del problema, corrispondenti ad altrettanti pregiudizi o luoghi comuni, di antica data o indotti dalle polemiche più recenti. Opinioni a confronto Prima opinione: lo sciopero è un esercizio demagogico di cui si farebbe volentieri a meno, nell'interesse della produzione e della serenità generale. Altra opinione: lo sciopero è un sacrificio che i lavoratori compiono astenendosi dal lavoro e quindi privandosi del salario, perciò non viene mai praticato a cuor leggero. Seconda opinione: lo sciopero è accettabile quando ha carattere economico, non quando diventa politico. Altra opinione: a chi spetta fissare il confine? In realtà uno sciopero propriamente contrattuale diventa automaticamente politico quando le parti, non mettendosi d'accordo direttamente, chiamano in causa il governo; o questo è costretto a intervenire per risolvere il conflitto. Si osserva: ma stavolta il governo è investito direttamente dalla protesta sindacale e questo accentua il carattere politico dello sciopero. Si replica: il dato è innegabile, ma dipende in larga misura dal ruolo che il governo ha inte so svolgere. In effetti nella vicenda dell'art. 18 l'esecutivo, anziché fare il "terzo" tra padronato e lavoratori, ha sovrapposto la propria posizione a quella di una parte, in qualche modo funzionando da trincea di prima linea. Anche i più disponibili alla trattativa hanno dovuto abbandonare il tavolo per deficit di offerte plausibili. Nuovo argomento: il sindacato con lo sciopero generale punta a rovesciare il governo. Replica storica: vi sono stati governi che si sono dimessi addirittura al momento della proclamazione di uno sciopero generale (Rumor 1970); e altri che hanno riaperto il dialogo e "mediato". E' anche accaduto, nell'Inghilterra della signora Tatcher, che lo sciopero generale ad oltranza dei minatori si sia concluso il rovesciamento del sindacato. Osservazioni e spunti Osservazione: ma questo ricorso allo sciopero non è un ritorno a una modalità arcaica, ottocentesca, della lotta di classe? E non sbarra la strada ad una pratica sindacale più disposta alla trattativa? Messa a punto: esatto, ma la disponibilità sindacale non può essere data per acquisita e va invece verificata sul "merito", come ha ripetuto fino all'estenuazione il segretario della Cisl, Pezzotta. Ulteriore spunto: lo sciopero funzionava nel sistema del lavoro di massa, non può funzionare in un contesto in cui i lavoratori "flessibili" sono la maggioranza. Chiosa: le conclusioni non si possono tirare prima dello svolgimento del tema. Stoccata finale: in ogni caso, data la materia in discussione, sono i lavoratori "garantiti", i padri, a scioperare contro i figli "non garantiti". Ultima replica: i padri vorrebbero assicurare ai figli le stesse garanzie di cui essi stessi hanno goduto e godono. Come? Assicurare a chiunque svolga un lavoro, per quanto flessibile, un insieme di garanzie essenziali che ne salvaguardino la dignità e l'aspettativa di un ragionevole miglioramento di posizione sociale? Oppure rendere flessibile al massimo grado il sistema delle garanzie che circondano la prestazione delle persone che lavorano? Può darsi che alla fine le due piste si incrocino. Ma non è affatto certo. Certo è, invece, che ci vorranno pazienza e coraggio. (Domenico Rosati, in Italia Caritas, aprile 2002) torna inizio |
Emergenza Palestina |
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Intervista sulla Globalízzazíone
Globalizzazione, questa sconosciuta... «La parola globalizzazione è caratterizzata nel dibattito pubblico con una valenza fortemente ideologica, caratterizzazione ideologica che già altre parole nel ventesimo secolo hanno avuto. E c'è in questo come in altri casi quel velo che non consente di vedere la realtà perché in realtà questa caratterizzazione dà già tutte le risposte. Quali risposte dà? La parola globalizzazione sembra già dire come andrà a finire la storia governata dal mercato globale. Questa è una lettura eccessiva e ideologica. Credo sia meglio per tutti, anche per gli attori sociali, guardare alla globalizzazione non tanto come a un destino predefinito ma piuttosto come a un processo. Ci siamo lasciati alle spalle gli assetti che si erano costituiti dopo la Seconda guerra mondiale e che avevano garantito una situazione di relativa stabilità. Esistevano e sono esistite per cinquant'anni le società nazionali che facevano coincidere economia, politica e cultura. Quel che la globalizzazione genera è un insieme complesso di cui conosciamo poco, di processi in cui l'economia, la politica e la cultura tendono a non avere più un unico riferimento spaziale, istituzionale e dal punto di vista soggettivo tendono a non creare dei mondi vagamente ordinati dentro cui vivere».
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L'UNICEF denuncia una serie impressionante di violenze subite dalle donne in casa e fuori. " Si va dall'aborto selettivo per sesso, alla malnutrizione, alla mancanza di cure mediche e di istruzione, alla prostituzione e alla riduzione in schiavitù.
Per ricevere consigli o aiutare le donne impiegate come schiave: Centro prima accoglienza Regina Pacis, tel 0832/88.10.94 Comitato contro la schiavitù moderna, tel. 02/58.10.05.02 250 milioni di bambini lavorano e sono sfruttati nelle industrie o sono impiegati in lavori pesanti. Fonte Unicef
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Discriminazione contro le bambine: |
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Non stiamo parlando di una "minoranza": in molte parti del
mondo essere femmine significa, alla lettera, rischiare la vita. Fra Asia
meridionale, Nord Africa, Medio Oriente e Cina sono 100 milioni le bambine
che "mancano all'appello": in base all'andamento demografico normale,
infatti, il numero delle persone di sesso femminile dovrebbe essere molto
superiore a quello che si riscontra in realtà. Cosa succede, allora?
sostanzialmente, nei primissimi anni di vita muoiono più femmine che maschi.
E questo nonostante il tasso naturale di sopravvivenza sia a favore delle
femmine, più robuste e resistenti alla nascita. Di fatto, la discriminazione
di cui soffre la metà femminile dell'umanità si traduce, per le bambine, in
meno cibo, meno cure mediche, talvolta addirittura eliminazione fisica.
Qualche dato:
Ma questo è solo l'inizio. Per le bambine che sopravvivono inizia una vita di disuguaglianza. La discriminazione più evidente, che ha conseguenze anche sulle generazioni future, è quella relativa all'istruzione. Ma anche matrimoni e gravidanze precoci, insieme al maggior carico di lavoro, contribuiscono a distruggere le potenzialità di sviluppo di bambine e ragazze. Qualche dato:
L'UNICEF interviene a tutela dei diritti delle bambine con vari programmi sanitari, alimentari e soprattutto educativi. Garantire alle ragazzine la scuola di base significa anche porre le basi per uno sviluppo diverso, dare loro gli strumenti per cambiare non solo la propria vita, ma anche quella delle generazioni future. Gli esempi positivi non mancano: dalle scuole rurali che, in Bangladesh, garantiscono l'istruzione a 100.000 bambini l'anno, 70% dei quali femmine, alle campagne capillari d'informazione alimentare e sanitaria in Medio oriente, Asia meridionale, Nord Africa e Caraibi, sino alla mobilitazione internazionale che ha già indotto 40 stati asiatici e africani a dare priorità alla tutela delle bambine nelle politiche scolastiche. Fonte Unicef http://www.unicef.it/
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Il prezzo di un bambino |
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Fongkam Panya ha un viso largo e sorride, seduta accanto ai
figli (due bellissime ragazzine e un maschio più piccolo) sulla soglia della
sua casa fatta di legno e stuoie di canna. Siamo a Dok Kaam Tai,
nell'interno della Thailandia; zona di contadini poveri, pochi campi e un
po' di artigianato tradizionale come unica fonte di reddito. "Quelli vengono ogni due-tre mesi - dice Fongkam con voce ferma e tranquilla, mentre il marito annuisce - con i loro fuoristrada e gli orologi d'oro al polso, sempre facce diverse, sempre lo stesso discorso. Mi chiedono se voglio vendergli le mie figlie, dicono che le porteranno in città a lavorare, che guadagneranno bene. Offrono molti soldi in anticipo, centinaia di migliaia di baht - e farebbero comodo, per aggiustare il tetto e fare qualche lavoro. Ma io gli ho sempre detto di no - quei soldi non ci cambierebbero la vita. Vedi i vicini, la casa qui di fronte? ne hanno vendute tre, di figlie, a 30.000 baht l'una. Ma loro continuano a essere poveri, i soldi sono finiti subito. E le ragazze, non si sono più viste. Una aveva 11 anni appena. Io lo so che lavoro vanno a fare in città, è disgustoso. No, non c'è prezzo per questo, preferisco avere tutta la famiglia qui con me, vedere le bambine crescere. Ho mandato la più grande a lavorare alla pompa di benzina qui vicino, guadagna solo 1.500 baht al mese, ma può continuare ad andare a scuola." "Quelli" - i mezzani, i mercanti di carne umana - da anni battono le campagne thailandesi alla ricerca di bambine da avviare alla prostituzione nei locali a luci rosse di Bangkok, di Pattaya e delle altre località turistiche della Thailandia. Perché c'è un turismo speciale, che viene da queste parti a cercare proprio loro, le bambine e i bambini schiavi dei trafficanti del sesso. Sono 800.000, secondo alcune stime recenti, i minori vittime della prostituzione in Thailandia, e fra i loro clienti sono molti gli europei (anche italiani). E il prezzo che i bambini pagano è altissimo: devastati nel corpo e nell'anima dalle violenze subite, quasi mai riescono a tornare a casa. I centri di recupero creati dall'UNICEF e da vari organismi per salvare le piccole vittime della prostituzione devono accogliere un numero crescente di bambini, sottratti allo sfruttamento ma privi di alternative di vita. Oltre al problema del recupero psicologico, e del reinserimento nella vita sociale, insegnando un lavoro a questi ragazzi e ragazze, facendoli tornare a scuola, l'UNICEF deve affrontare un'emergenza sanitaria gravissima, quella dell'AIDS. Nell'anno 2000 quattro thailandesi su cento saranno sieropositivi. E fra loro, moltissimi sono bambini, vittime dirette della prostituzione ma anche piccoli figli di giovanissime prostitute, condannati a una breve vita: da qui al 2000 si stima che saranno 40.000 l'anno i nuovi casi di infezione nei bambini, e che ogni anno moriranno di AIDS 20.000 bambini. Accogliere questi piccoli, dare loro un tetto, garantire serenità e affetto per la breve vita che li attende è un compito straziante ma fondamentale, per l'UNICEF e per i medici thailandesi che li assistono. Il problema non riguarda solo la Thailandia: in India si stimano in mezzo milione le piccole prostitute, in Brasile, in Sri Lanka e in molti altri paesi la situazione è gravissima. Ogni anno, nel mondo, sono milioni i bambini costretti a prostituirsi o ad alimentare l'industria pornografica. Tra questi anche bambini e bambine di città come New York, Sidney, Parigi o Amsterdam. E questi abusi sono ''in allarmante e rapida progressione in tutto il mondo'', secondo il rapporto della Commissione ONU per i diritti umani sulla "vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia infantile". Il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, promosso dall'UNICEF con la partecipazione di organizzazioni di tutto il mondo a Stoccolma nel 1997, ha denunciato con violenza l'industria del sesso infantile, che coinvolge bambini di ogni età. Per eliminare questa vergogna, l'UNICEF sottolinea la necessità di lottare contro quell'erosione dei valori che è tra le cause del crescente sfruttamento sessuale e commerciale dei bambini, ma anche e soprattutto di combattere la povertà e le discriminazioni che spesso sono alla radice del problema. Servono campagne d'informazione, serve un'azione di polizia e magistratura per punire duramente col carcere ogni abuso sui bambini, dovunque commesso, ma più di ogni altra cosa - ricorda l'UNICEF - serve un aiuto concreto alle famiglie più povere della Terra: perché nessuno sia più tentato di vendere i suoi figli, perché tutte le madri possano rispondere, come Fongkam Panya, un chiaro e secco "NO" a "quelli" che tentano di comprare la vita dei bambini. Fonte Unicef. http://www.unicef.it/ Inizio |
Sempre più poveri nel mondo 307 milioni i dannati della Terra. In Africa tragedia inarrestabile, migliora l'Asia |
ROMA - Di qui al 2015 altre 110 milioni di persone rischiano di precipitare
nel girone dei dannati della Terra, quelli che vivono con meno di un dollaro
al giorno. A pochi giorni dalla conclusione del vertice Fao, la Conferenza
dell'Onu per il commercio e lo sviluppo (1'Unctad) rilancia l'allarme
povertà. Oggi vivono con meno di un dollaro al giorno 307 milioni di
persone, il doppio rispetto a 30 anni fa, ma - secondo 1'Unctad -se
continueranno gli attuali andamenti economici fra 13 anni i più poveri tra i
poveri |