Natale con Maria

 

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  Celebrare il Natale con i Padri  
  Inni e preghiere della tradizione orientale e occidentale  
  Commento biblico  
  Antifonario mariano per l'Avvento  

 

 

 Commento biblico

 

Lc 2,6-7:

«Giunsero a compimento i giorni del parto e partorì il Figlio suo, il primogenito: e lo avvolse nelle fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c'era per loro posto nell'albergo dei pellegrini».

CONTENUTO DI Lc 2,7

Il verso 2,7 è preceduto da un riferimento alla storia mondiale ed è seguito dal racconto dei primi avvenimenti intorno a Gesù (2,8-20). Per Luca gli avvenimenti salvifici avvengono nel tempo e nello spazio. Già con l'annuncio a Zaccaria («Al tempo d'Erode, re della Giudea...» 1,5) egli aveva inserito il suo racconto nella storia. Con 1'annuncio a Maria («Nel sesto mese...» 1,26) e la visita ad Elisabetta («tre mesi» 1,56), non si era più staccato dal tempo.

Ora per la nascita di Gesù, riprende il riferimento alla storia. Tempo e spazio hanno un particolare andamento in Lc 2,1-7. Si parte dal tempo di Cesare Augusto con il suo potere su tutta la terra, si passa a Quirino governatore della Siria; quindi a Giuseppe che con Maria, dalla Galilea, da Nazaret, va in Giudea, a Betlemme. Si arriva infine alla sola Maria nel momento preciso del compiersi dei giorni della gravidanza e a un luogo ancor più preciso, una mangiatoia.

In 2,1-7 Maria e il piccolo sono inseriti nella storia mondiale e Cesare Augusto appare il dominatore della storia, il determinatore del tempo. Con 2,8-20 si ha una diversa comprensione dei fatti. Aperti alla dimensione di Dio, ai pastori viene data dal «cielo» la lettura profonda della realtà: nella «notte della storia dei grandi» si ha la luce che fa vedere chi è il Salvatore, chi è colui che porta la pace agli uomini. Cesare Augusto e la «pace augustea» scompaiono di fronte a Maria, Giuseppe e al bimbo nella mangiatoia, di fronte a Cristo Gesù «il quale pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6-7).

La semplice, silenziosa e sobria presentazione di Maria che mette al mondo suo figlio (Le 2,7), è dunque preceduta da un tranquillo ma importante riferimento storico ed è seguita dal movimento, dalla luce, dalla lode a Dio conservati però nel silenzio e nella meditazione di Maria.

MARIA MADRE

Vediamo ora da vicino come Maria adempie la sua vocazione ad essere la madre di Gesù, il figlio dell'Altissimo (cf. Le 1,31-32).

A Betlemme - specifica il vangelo - «giunsero a pienezza i giorni del suo partorire».

Per indicare questa pienezza dei giorni Luca usa il verbo pimplemi (che nel NT ricorre solo 2 volte in Mt, 13 in Luca e 9 in Atti). Questo verbo è presente ben 8 volte in Luca 1 - 2: 3 volte per lo Spirito santo che riempie della sua realtà Giovanni Battista (1,15), Elisabetta (1,41), Zaccaria (1,67); 3 volte per il compimento dei giorni di un'attività legata a Dio e alla sua legge (1,23: servizio liturgico di Zaccaria; 2,21: i giorni per la circoncisione; 2,22: i giorni della purificazione); 2 volte per il compiersi dei giorni della gravidanza di Elisabetta (1,57) e di Maria (2,6).

Le due gravidanze si compiono secondo un ritmo stabilito da Dio. Il tutto in un quadro suggestivo di liturgia. Sembrano anch'esse un atto liturgico.

Giunta al termine della gravidanza, Maria compie ciò che le era stato chiesto: mette al mondo suo figlio e ne prende cura.

Il mistero della maternità di Maria e, contemporaneamente, il mistero di Dio messo al mondo come uomo, si presenta a noi nella semplicità assoluta di tre azioni compiute da Maria.

«Maria da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (2,9).

PARTORÌ IL FIGLIO SUO IL PRIMOGENITO

Il testo ci mostra Maria, la serva del Signore (Le 1,38), che compie nel silenzio e nella preghiera la missione affidatale: questo è il suo culto a Dio entrato così intimamente nella sua vita .

Per Elisabetta, Luca aveva detto «e diede alla luce un figlio» (1,57); ora per Maria specifica: «partorì il figlio suo, il primogenito» (2,60).

Il bimbo che nasce è veramente figlio di Maria. Maria aveva accettato la missione che Dio le aveva chiesto (rendendola possibile con la sua presenza operante: «Il Signore è con te», come per le missioni profetiche). Maria aveva messo a disposizione di Dio tutta la propria persona nella sua realtà più profonda di donna, aveva disposto ogni fibra del proprio essere al compimento della missione ricevuta. Così Maria mette al mondo suo figlio.

Ma questo figlio è il primogenito e la legge chiede - nel vissuto ricordo della liberazione dall'Egitto e del risparmio dei primogeniti ebrei - che ogni maschio primogenito sia consacrato al Signore (cf. Es 13,12; 34,19; Lc 2,23). Per Maria questo suo figlio viene così doppiamente ad appartenere al Signore. L'angelo le aveva già detto che Gesù sarebbe stato figlio dell'Altissimo (1,31), figlio di Dio (1,35), ed ora, come donna ebrea che partecipa in pieno alla storia del suo popolo, Maria lo considera figlio da donare al Signore. Proprio perché suo per la vocazione ricevuta, lo può realmente donare a Dio.

Luca, usando il termine pròtótokos per primogenito (presente solo 8 volte nel NT), vuole forse non solo fare un riferimento alla storia passata, ma riferirsi anche alle intuizioni della chiesa primitiva e di Paolo che ritroviamo in Rm 8,29 e nell'inno ai colossesi, 1,15-18 (cf. Ap 1,5).

«Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche destinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,28s).

«Egli è l'immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creazione perché per mezzo di lui

sono state create tutte le cose... Egli è... il primogenito

di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1,15s.18).

Maria, per Luca, viene sotto un certo aspetto ad essere madre di «questo» primogenito. Dandogli la carne Maria, come serva del disegno del Signore, permette a Gesù di essere pienamente primogenito tra molti fratelli (e successivamente «primogenito dai morti») e primogenito di ogni creatura perché anch'egli attraverso di lei acquista in qualche modo carattere di creatura che lo accomuna a ciò che è creato in vista di lui.

LO AVVOLSE NELLE FASCE

La vocazione ad essere madre non si compie con il parto, implica il prendersi cura del figlio. Questa cura ora, per Maria, si concretizza nell'avvolgere nelle fasce Gesù.

Questo particolare non ricordato da Luca per Elisabetta nei riguardi di Giovanni, è ricordato invece due volte per Gesù: lo si riprenderà infatti nelle parole dell'angelo ai pastori: «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoria» (2,12).

La doppia sottolineatura sembra dare un significato più profondo a questa che potrebbe essere altrimenti considerata una normale, amorosa premura materna.

Avvolgere il neonato - secondo l'uso orientale con due pezze, una per la testa e l'altra per il corpo - è importante per proteggere il bimbo nella sua fragilità e per permettere a chiunque di prenderlo e portarlo senza pericolo.

Fasciando suo figlio, Maria vuole solo proteggerlo o vuole renderlo aperto all'incontro?

Questa fasciatura è solo «temporanea» o è il segno che Maria dà a suo figlio quel tipo appropriato di sicurezza che lo farà vivere in pienezza, capace di essere libero di determinare la propria vita, senza paura di fronte agli altri?

Al di là di questo, Luca vuole forse già vedere- in questa fasciatura di Gesù alla nascita, l'altra fasciatura che il suo corpo riceverà dopo la morte.

Nell'ufficio della sera dal 25 dicembre al 4 gennaio, l’ inno  dà la lettura della nascita di Gesù e delle fasce:

 

«L'autore della vita è nato nella nostra carne dalla madre dei viventi.

Un bambino da lei è nato ed è il Figlio del Padre. Con le sue fasce scioglie i legami dei nostri peccati e asciuga per sempre le lacrime delle nostre madri. Danza e sussulta, creazione del Signore,

poiché il tuo Salvatore è nato!».

Ma in questo non-spazio della mangiatoia e della tomba è la povertà e la forza di Dio: da esso partirà il messaggio di Gesù risorto che raggiungerà gli estremi confini della terra e tutti i popoli (cf. Lc 24,47; At 1,8; 28,23-31).

Il gesto di Maria può richiedere che non ci si fermi a tutti questi tentativi di interpretazione. Senza negarli si può tornare anche a vedere in esso quella normale, banale premura materna che è l'amore più grande, luminoso e vitale che un bimbo possa ricevere: il gesto d'amore che suggella il dono della vita.

LO DEPOSE IN UNA MANGIATOIA

Maria non tiene per sé il suo piccolo; lo dona, ponendolo là dove può, in una mangiatoia, tra la paglia e il cibo per gli animali. In «tutta la terra» sembra che non ci sia uno spazio vero per loro se non questo non-spazio di una mangiatoia. Nel mondo non c'è posto per chi, come Maria, non entra nello schema di accaparramento delle cose e delle persone (cf. Lc 9,52s). Gesù, che aveva trovato il suo posto sulla terra solo in Maria, la piena di grazia, da ora - facendo partecipare al proprio destino i suoi genitori - col gesto di Maria inizia in modo nascosto la propria missione che non gli permetterà di avere un luogo dove poggiare il capo (cf. Lc 9,58; 19,41-44).

Infatti Maria che per amore dona la vita, depone suo figlio per lanciarlo nella sua stessa strada d'amore e di dono.

Colui che alla nascita era stato deposto in una mangiatoia, vorrà donare tutto se stesso (cf. Lc 12,50), vorrà donare in pieno la sua vita («Questo è il mio corpo offerto per voi»: 22,19) e, dopo la morte, sarà di nuovo avvolto nelle bende e deposto - col gesto amoroso di un amico - in una tomba che non gli appartiene.

CONCLUSIONE

Torniamo a guardare Maria, contempliamo in silenzio i suoi gesti: essa, la serva del Signore, compie la sua missione, mette al mondo un figlio e lo dona. Il mistero è di fronte a noi: il mistero di Dio fatto uomo, il mistero della povertà e semplicità, il mistero della vita, della vera ricchezza, del vero tesoro. «Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).

Maria stessa ci invita alla meditazione, lei che «conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore», e la liturgia orientale ci offre un suo inno per la nostra preghiera:

«Contemplo un mistero strano e inatteso: la grotta è il cielo;

la Vergine il trono dei cherubini; la mangiatoia,

un luogo dove riposa l'incomprensibile, il Cristo-Dio.

Cantiamolo ed esaltiamolo».

 inizio

(Cantore Stefania, Maria mette al mondo il primogenito, in La Madre del Signore, EDB, 1982)

 

 

La Maternità di Maria nell'antica tradizione bizantina

 

LA MADRE-VERGINE

L'annuncio che Dio si era «fatto uomo», era morto per noi e risorto, costituiva il cuore del kerygma primitivo lanciato come squillo su tutta la terra. L'eterno consiglio

del Padre questo aveva decretato ed attuato per noi: non però secondo le leggi comuni di natura, ma in un modo nuovo e divino.

I simboli «apostolici», i simboli cioè tradizionali delle chiese sparse nel mondo, hanno tutti professato, con mirabile consonanza, il concepimento e la nascita verginale di Cristo:

“Il ferro è nero e freddo; ma quando è arroventato prende la forma del fuoco; diventa lucente, ma non annerisce il fuoco; diventa incandescente, ma non raffredda la fiamma ...».

«Nato da Maria la vergine», «nato per opera di Spirito santo da Maria la vergine», «generato da Spirito santo e da Maria la vergine», «concepito da Spirito santo , nato da Maria la vergine», «disceso dai cieli ed incarnato da Spirito santo e da Maria la vergine e diventato uomo» ...

Origene nel III secolo non dubitava di affermare:

«A tutto il mondo è nota la predicazione cristiana, più degli assiomi dei filosofi. Chi infatti ignora la nascita di Gesù da una Vergine, la sua crocifissione, la sua risurrezione? ...».

È la prima e basilare professione cristologico-mariana, il protodogma da cui tutto dirama e fiorisce: include e congiunge l'iniziativa libera e gratuita di Dio e la persona

umana di Maria, nel suo più alto atteggiamento di accoglienza e di donazione di sé: la sua verginità. Nessuno infatti poteva costringere Dio a chinarsi su di noi peccatori e disgregati dal male, nessuno meritava che egli intervenisse a nostro favore: soltanto la sua tenerezza e pietà infinita lo indusse a mandarci come salvatore l'unico Figlio. Questa iniziativa misericordiosa e gratuita di Dio si rivela e si compie con l'azione fecondante dello Spirito santo su una carne vergine ed una persona vergine, Maria: ne sono interamente esclusi l'iniziativa e l'apporto biofisico dell'uomo. «Non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo (maschio), ma da Dio egli è stato generato» (Gv 1,13). Il testo giovanneo, commentato in tal senso dai primi Padri, pone Cristo in una sfera di singolarità, fuori dal nostro modo di nascere: la sua generazione umana secondo la carne ha come primo principio l'intervento divino: egli è «generato da Dio».

Conseguentemente la verginità di Maria viene innanzitutto contemplata nel momento dell'annunciazione, nell'istante in cui diviene divinamente feconda, ma di una fecondità libera ed umana, cosciente e responsabile. Essa tuttavia comporta, come preparazione che i Padri antichi vedono indispensabile, la verginità di cuore e di vita, e include la susseguente perpetua consacrazione verginale al -,piano di Dio in Cristo. «Nato da Maria, la vergine»:

l'articolo determinativo, che tutti i simboli prepongono all'appellativo «vergine», mostra in qual senso la chiesa delle origini riguardasse la persona di Maria: nella sua qualità unica ed irrepetibile di «vergine»: la vergine per antonomasia, la vergine predetta nei testi profetici, compendio della spiritualità di Israele, preludio della verginechiesa.

Per questo Ignazio di Antiochia cataloga la «verginità» di Maria (nel contesto si intende il verginale concepimento di Cristo) fra i maggiori portenti di Dio:

«Il nostro Dio Gesù Cristo fu portato in seno da Maria, secondo l'economia di Dio, (generato) da seme di David e da Spirito santo; e nacque e fu battezzato, per purificare l'acqua con la sua passione. E rimase occulta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre clamorosi misteri, che si compirono nel silenzio di Dio».

Giustino martire fa della maternità verginale uno dei punti centrali della sua apologia ai pagani e del suo dialogo interlocutorio coi giudei, ricorrendo abbondantemente alle «profezie» veterotestamentarie per documentare che un evento così inaudito, quale una madre-vergine, non è racconto mitologico, ma verità storica lungamente predetta ed infine realizzata dal Dio onnipotente. Ireneo dal canto suo, continuando Giustino ed aprendo la via al futuro cammino di approfondimento dogmatico, subordina all'umana salvezza la maternità verginale: il «segno» infatti che Dio predisse e promise ad Acaz e alla casa di Davide - l'Emmanuele da Vergine - è il signum salutis nostrae: Maria ne è piedistallo e premessa, con la sua verginità divinamente feconda: da vergine infatti egli nasce, perché è Dio; ma ha una madre, perché s'è fatto uomo per salvarci. «Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio, e sarà chiamato Emmanuel, Dio-con-noi» (Is 7,14; Mt 1,22-23).

Questa la linea primordiale dei Padri e dei simboli, che anche l'iconografia e l'epigrafia testimoniano, che la stessa letteratura apocrifa immaginosamente parafrasa e descrive. Ma i Padri tentarono inoltre di cogliere, nel tessuto del disegno divino che include la Vergine, il motivo profondo inteso da Dio. Lo trovarono e l'espressero col principio della ricapitolazione e della ricircolazione: bisognava infatti scrive Giustino, che «per quella via per la quale, originata dal serpente, ebbe principio la disobbedienza, ''per la medesima via venisse ugualmente distrutta»; l'uomo cioè doveva riavere la vita per mezzo di colei che gli diede la morte. La donna-vergine delle origini, Eva, viene sostituita e riabilitata dalla donna-vergine dei tempi nuovi, Maria. Due vergini: una all'inizio della storia, l'altra nella pienezza dei tempi; due «economie», una di rovina per tutti, aperta dalla disobbedienza verginale di Eva, l'altra di salvezza per tutti, tracciata dall'obbedienza verginale di Maria:

«Quello infatti che la vergine Eva con la sua incredulità aveva annodato, lo sciolse la vergine Maria con la sua fede».

LA MADRE VERA

Costretti dalle polemiche contro gli gnostici e i doceti, i Padri dei primi secoli ribadiscono, a volte con crudo realismo, la verità concreta della maternità di Maria. Il docetismo gnostico riduceva infatti la carne di Cristo a pura parvenza come di fantasma, cancellando ogni rapporto fisico tra madre e figlio; e la corrente gnostica valentiniana, d'ispirazione platonica, riduceva l'azione materna di Maria a una mera strumentalità passiva: «Cristo è passato attraverso Maria, come passa l'acqua attraverso un tubo», affermava Valentino." Maria dunque non avrebbe dato nulla al Figlio, o null'altro che una ricezione strumentale, senz'alcun apporto fisico.

La risposta dei Padri è chiara e decisa: tutta la realtà umana del Cristo viene solo da Maria! Ignazio di Antiochia, nelle splendide lettere vergate durante il viaggio al martirio, martella gli eretici coi capisaldi della fede:

«Tappatevi le orecchie se alcuno vi parla altrimenti di Gesù Cristo: che è dalla stirpe di David, che è da Maria, che veramente nacque, mangiò e bevve, veramente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, veramente fu crocifisso e morì... veramente risuscitò dai morti»; «Egli è veramente dalla stirpe di David secondo la carne, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, nato veramente da Vergine...».

Questa carne umana, vera, Cristo l'ha presa da Maria: egli è tutto «da Maria» in quanto uomo. Anzi Ignazio, in un testo unico nella letteratura patristica, compendia in poche frasi antitetiche, quasi in un inno liturgico, la dipendenza di tutto l'arco storico di Cristo dalla matrice materna:

«Uno solo è il medico, umano e divino, genito ed ingenito, in carne fatto Dio, in morte vita vera, e da Maria e da Dio, prima passibile poi impassibile, Gesù Cristo Signore nostro».

Maria è così all'inizio del mistero di Cristo, come fonte che gli trasmette l'umano: carne vera che sempre dipende da lei, quando è concepita e partorita, quando - assunta dal Verbo - viene in lui divinizzata, quando - dopo la risurrezione - non è più soggetta alla passibilità e alla mortalità. Per questo in s. Ignazio tutto il processo generativo ha la sua estrema importanza: il concepimento, la gravidanza, e soprattutto il parto: «nato veramente da vergine», «veramente nacque». Anzi il parto di Maria costituisce per Ignazio uno dei tre grandiosi misteri, accanto al concepimento e al mistero pasquale. A noi sfugge oggi il peso e il valore che gli antichi documenti della tradizione attribuivano alla «nascita» di Cristo e al «parto» di Maria; ma lo si capisce, se si pensa che gli gnostici consideravano la venuta di Cristo come «epifania» o semplice comparsa, priva di realtà e di concretezza umana. La vera «epifania» di Cristo per i Padri è il suo nascere da Maria, che lo ha reso visibile, palpabile da tutti.

Nel secolo II, Giustino martire, pur imbevuto di filosofie, compie nell'intuizione del mistero un passo in avanti molto importante: egli innesta la reale origine del Verbo incarnato dal seno di una donna - la vergine Maria - nell'albero genealogico non solo di Davide e dei patriarchi, ma dello stesso Adamo, il primo uomo, da cui anche Cristo, tramite Maria, riceve trasmessa come noi la natura e la denominazione di uomo.

Ireneo porta a compimento la dottrina cristologico-mariana delle origini sulla vera natura umana di Cristo e sulla verità delle azioni materne di Maria: il Redentore degli uomini infatti - egli argomenta contro gli eretici - doveva avere l'identica natura dei redenti: vera carne e vero sangue, dell'antica pasta di Adamo: fondamento insostituibile al suo agire e al suo patire: poiché altrimenti non avrebbe potuto sentir fame e sete, soffrire stanchezza e sudar sangue, morire e risorgere; né avrebbe potuto redimerci.

Nel IV secolo i Padri di tutte le scuole - alessandrina, antiochena, sira, romana ed africana - insorsero contro l'errore di Apollinare, che privava la natura umana del Verbo della parte razionale dell'anima. Scrive Gregorio di Nazianzo nei suoi Poemi:

«Per amor mio l'Immortale uscì mortale, da Madre vergine, integro uomo per salvarmi tutto: poiché tutto Adamo era caduto a causa del cibo funesto».

Nel V secolo l'Inno Akathistos, prolungando l'intuizione di Ireneo e dei Padri di Efeso, scorgeva nel grembo verginale non solo la fonte della carne di Cristo, ma anche dei sacramenti della chiesa che in Cristo rigenera gli uomini a Dio:

«Ave, per noi sei la fonte dei sacri misteri; ave, tu sei la sorgente dell'acque abbondanti. Ave, o fonte che l'anime mondi; ave, o coppa che versi letizia. Ave, fragranza del crisma di Cristo; ave, tu vita del sacro banchetto».

Dall'VIII sec. e per tutta la successiva tradizione bizantina la visione s'allarga al cosmo: non solo a nome degli uomini, ma a nome di ogni creatura, terrestre e celeste, la vergine madre offre al Figlio di Dio, la sua carne, affinché, assumendola, egli porti all'apice della perfezione, alla piena comunione personale con Dio tutto il creato.

LA MADRE UMANA

La Vergine non è madre del Verbo soltanto per la sua funzione generativa, ma perché con tutta se stessa l'ha accolto e gli ha dato tutto di sé: consenso, amore, compartecipazione, dolore.

Già il secolo II, con Giustino ed Ireneo, fissava la sua attenzione sulle disposizioni di fede e di ubbidienza con le quali Maria, contrapponendosi ad Eva, cancellava gli effetti funesti del peccato.

Dal IV secolo, prima con Efrem siro, poi con gli omileti ed innografi bizantini, la contemplazione si incentrò su due momenti-chiave della vita di Maria: la sua tenerezza di madre nell'infanzia del Signore e il suo tremendo dolore nella passione di Cristo. Al tempo del concilio di Efeso, Basilio di Seleucia nella sua celebre omelia sulla madre di Dio, dava voce ai sentimenti della Vergine sulla culla del Figlio:

«Quale nome adatto potrò trovare per te, o Figlio? Quello di uomo? Ma la tua concezione è divina! Quello di Dio? Ma assumesti carne umana! Che farò dunque per te? Ti nutrirò col latte, o ti celebrerò con inni? Avrò cura di te come madre, o ti adorerò come serva? Quale prodigio ineffabile e sublime! Il cielo è tuo trono, e il mio grembo ti porta».

Il secondo momento, mai ignorato dai grandi autori bizantini, presenta la madre ai piedi del Figlio crocifisso. La «spada» di Simeone, che Origene interpretò come prova suprema di fede della Madre-discepola davanti alla realtà misteriosa e al soffrire inaudito del Figlio-Dio, fu in seguito commentata come predizione di straziante dolore materno nella passione di Cristo. Nell'Inno di Romano il Melode (sec. VI), Maria alla Croce, la Madre implora che il Signore le conceda di capire e di partecipare al mistero del suo soffrire: «Io son vinta, o Figlio; dall'amore son vinta, e non accetto davvero di restare nel talamo, mentre tu sei sulla croce; io in una casa e tu in un sepolcro. Lasciami venire con te!».

Innumerevoli «staurotheotokia» (tropari alla Vergine ai piedi della croce) dal secolo VII ad oggi costellano la liturgia bizantina di ogni settimana, non solo del tempo di passione, dipingendo con tratti toccanti la Madre davanti al suo Dio crocifisso: dolore e fede si fondono in uno nel suo cuore. Dalla croce, con Germano di Costantinopoli (sec. VIII), la contemplazione si prolunga al sepolcro, dove Maria effonde il suo lungo lamento («threnoi») sul Figlio ucciso: dolore e speranza si compenetrano: in lei tutta la chiesa piange il Trafitto e attende il Risorto.

Così nella tradizione bizantina a poco a poco maturò la convinzione, che la Madre fu tanto unita al Figlio in tutto l'arco della vita terrena, e con tale profondità, da avere quasi in comune con lui il pensare, l'agire, il gioire, il soffrire. Giovanni Geometra (sec. X) scrive:

«Come l'ombra è unita al corpo; ancor più, come il Verbo, dal momento che assunse da Maria la natura umana non se n'è più separato; allo stesso modo, o quasi, la Vergine dopo averlo generato non fu mai separata dal suo Figlio in tutte le sue attività, nelle sue disposizioni, nella sua volontà, anche se ne fu separata secondo la persona. Quando egli pativa, con lui pativa; quando egli operava miracoli, era come se lei stessa li avesse operati. Quando era tradito, arrestato, giudicato, e quando soffriva, non solo era presente ovunque al suo fianco, ma soffriva con lui e -se non è temerario dirlo - soffriva più ancora di lui; atrocemente dilaniata, sospirava di subire mille volte i dolori che vedeva soffrire al suo Figlio».

Possiamo dunque affermare che la tradizione d'oriente sempre vide Maria come madre nel senso più umano e più pieno: madre perché ha dato al Cristo la carne, sapendo, credendo e volendo; e perché, dal giorno in cui fu nel suo seno fino a quando risorse glorioso, visse totalmente per lui, partecipe della sua missione, della sua vita, della sua morte, della sua gloria.

LA THEOTOKOS

All'indomani della controversia ariana, che attirò l'attenzione sul mistero della Trinità e sull'eterna generazione del Verbo dal Padre, nacque nella seconda metà del secolo IV un'altra importantissima discussione, che riguardava la persona e le nature di Cristo. Si trattava cioè di precisare come le due nature si trovassero unite, in che senso si potesse affermare che il «Verbo si era fatto carne», come intendere soprattutto la compenetrazione nell'unico Cristo delle diverse «azioni e passioni».

Servì non poco a chiarire la questione l'errore di Apollinare, prontamente rigettato da tutte le chiese: egli, per salvaguardare la strettissima unione divino-umana nell'unico Cristo, era giunto ad asserire che il Logos increato aveva sostituito la parte razionale dell'anima umana, in modo tale che chi pensava, decideva, amava, era lo stesso Verbo di Dio, attraverso la carne assunta da Maria a strumento della divinità.

Alla chiarificazione della dottrina cristologica diede motivo anche il titolo «Theotokos», che nella scuola di Alessandria era in uso fin dal secolo III. Poteva infatti, come avvenne, suscitare dubbi e reazioni, proprio perché congiungeva e rapportava a Dio una funzione generatrice umana. Come si può accettare che Dio sia generato ed abbia origine da Maria, una creatura?

L'appellativo «Madre di Dio - Maynouti» era attribuito nella lingua dei faraoni a Iside, la dea-madre del dio Oros; ma le comunità cristiane d'Egitto non dubitarono di accettarne la traslitterazione greca «Theotokos» per applicarla a Maria, la vergine-madre di Cristo, certo con altra prospettiva di fede ed altro contenuto teologico. Qui infatti non si trattava di una «dea», né si poteva parlare di «generazione del dio», quasi che egli cominciasse ad esistere a partire da questa maternità: poiché il Verbo esiste da sempre, eternamente generato dal Padre; si trattava invece di precisarne la generazione umana «secondo la carne» da una nostra sorella, Maria, nel tempo, secondo la natura che egli volle far propria, venendo tra noi a compiere il progetto del Padre suo a nostro favore: madre vera certamente, non della divinità, ma di Colui che si compiacque di unire a sé una natura umana perfetta, diventando uomo fra gli uomini, partecipe del loro essere e del loro destino. In questa linea, a detta dello storico Sozomeno, Origene difese la liceità del titolo Theotokos nel suo commento alla Lettera ai Romani.

I contenuti dogmatici della divina maternità hanno il loro fondamento nella Bibbia e la loro prima embrionale espressione nelle opere degli antichi Padri. Ignazio di Antiochia non dubitò di professare che «Dio s'è manifestato in forma umana»; che i fedeli «sono stati rianimati nel sangue di Dio»; e, parlando direttamente di Maria, dice che «il nostro Dio Gesù Cristo fu portato da Maria nel suo seno secondo l'economia di Dio, concepito da seme di David e da Spirito santo.

Identica, ma ancor più sviluppata teologia in Ireneo, il quale in più luoghi afferma che proprio l'unigenito Figlio del Padre si fece uomo, assumendo con la carne le proprietà della carne, in modo però che restassero distinte anche dopo l'unione le nature e le azioni. Così scrive:

«Imparate dunque, o insensati, che Gesù il quale patì per noi ed abitò fra noi, proprio lui è il Verbo di Dio»; «Paolo sottolinea che lo stesso Cristo, che patì, è il Figlio di Dio che per noi morì e anche Ippolito, nel secolo III, conferma questa dottrina, mentre con tenera apostrofe così si rivolge a Maria: la vera controversia nei termini e nei contenuti sorse nella seconda metà del secolo IV, con il confronto tra le due maggiori scuole d'oriente, l'alessandrina e l'antiochena. 50 anni prima del concilio di Efeso, con parole concise quasi di definizione dommatica, Gregorio di Nazianzo, il più celebre teologo, difendeva il termine «Theotokos», derivandolo da una chiara dottrina cristologica:

«Noi non separiamo l'uomo dalla divinità, ma un solo e identico lo professiamo, prima non uomo, ma Dio e unico Figlio e più antico dei secoli; alla fine però anche uomo: uomo assunto per la nostra salvezza: passibile nella carne, impassibile nella divinità, terrestre ed insieme celeste. E ciò affinché per mezzo di quest'unico integro uomo e insieme Dio fosse rifatto integralmente l'uomo caduto in peccato. Se dunque uno non accetta che la santa Maria sia Theotokos, è escluso dalla divinità. Se uno introduce due figli, il primo da Dio Padre, l'altro dalla Madre, e non unico e medesimo Figlio, precipiti anche costui dall'adozione filiale promessa a chi tiene la retta fede».

La controversia divampò quando Nestorio, monaco antiocheno, fu elevato al seggio episcopale di Costantinopoli il 10 aprile 428. Dal pulpito impugnò immediatamente il titolo «Theotokos», perché equivoco e sospetto d'errore: «Continuano ad interrogarci: "Maria è theotokos o anthropotokos?". Ma può Dio avere una madre? sarebbe scusabile il paganesimo, che assegna madri agli dèi! No, mio caro, Maria non partorì Dio: la creatura non partorì 1'Increato, ma un uomo strumento della divinità»ci redense col suo sangue nel tempo stabilito»;" e parlando della maternità di Maria: «Simeone... il bambino che teneva in braccio Gesù nato da Maria, lo confessava Cristo Figlio di Dio, luce degli uomini»; e altrove: «Colui che la legge per mezzo di Mosè e i profeti del Dio altissimo e onnipotente hanno annunciato, il Figlio del Padre dell'universo, per mezzo del quale ogni cosa esiste, colui che s'intrattenne con Mosè, costui venne in Giudea, generato da Dio per opera dello Spirito santo e nato dalla vergine Maria, figlia di David e di Abramo».

«Dimmi, o beata Maria, chi avevi tu concepito nel seno? chi portavi nel tuo grembo verginale? Era il Verbo primogenito di Dio, che in te disceso veniva plasmato nel tuo seno - uomo primogenito - al fine di mostrare il primogenito Verbo di Dio unito al primogenito uomo».

La reazione della scuola alessandrina, capeggiata da Cirillo, s'allargò all'impero, e condusse alla convocazione del concilio di Efeso per la pentecoste dell'anno 431. Ad Efeso, i padri conciliari (assente volontariamente Nestorio, ancora in viaggio il gruppo dei vescovi antiocheni e i legati del papa) lessero pubblicamente il simbolo di Nicea, come punto di riferimento comune, e dichiararono vera la linea tradizionale alessandrina attestata da Cirillo, falsa quella di Nestorio; e dissero non solo lecito, ma doveroso, secondo la tradizione dei padri, il titolo «Theotokos». 20 anni dopo, nel 451, quando ancora gli animi non si erano pacificati, un altro concilio ecumenico, quello di Calcedonia, definì in maniera inequivocabile come intendere l'unione delle due nature in Cristo e la divina maternità di Maria: «Seguendo i santi padri, tutti ad una sola voce insegniamo che si deve confessare un solo e identico Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo: lui stesso perfetto nella divinità, lui stesso perfetto nell'umanità; veramente Dio e - egli medesimo - veramente uomo composto di anima razionale e di corpo; consostanziale al Padre secondo la divinità, consostanziale egli stesso a noi secondo l'umanità, in tutto a noi simile fuorché nel peccato; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, generato egli stesso negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza secondo l'umanità da Maria la vergine, la Theotokos: un solo ed identico Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, confessato in due nature, ma senza confusione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione...» .

Questa è la definizione più solenne, che rimane fino ad oggi, per tutte le chiese, la pietra angolare della nostra professione di fede nella divinità ed umanità di Cristo, ipostaticamente unite nell'unica persona del Signore e nostro Dio Gesù Cristo, nato nel tempo da Maria la vergine, la santa «madre di Dio».

La controversia dogmatica, che durò oltre un secolo ed infranse purtroppo in maniera duratura l'unità della chiesa, servi non solo a giustificare un titolo cultuale, attestato già dalla prima antifona mariana finora conosciuta, il Sub tuum praesidium, ma ricondusse l'attenzione sulla persona di Maria e sulla sua presenza ecclesiale, proprio in grazia della divina maternità che la colloca al di sopra degli apostoli e dei martiri, anzi al di sopra degli angeli e di tutto il creato, costituendola la più vicina a Dio. Scrive Proclo di Costantinopoli, uno dei padri di Efeso:

«Nulla al mondo è tale, quale la madre di Dio Maria. Percorri pure col pensiero l'universo, o uomo, e vedi se v'è qualcosa maggiore o uguale della santa Vergine Madre di Dio. Perlustra la terra, esplora i mari, esamina l'aria, investiga i cieli, considera tutte le potenze celesti, e vedi se sia possibile trovare un tale prodigio in tutta la creazione...: lei sola infatti in modo ineffabile accolse nel suo talamo colui che tutto l'universo con timore e tremore inneggia».

Dalla divina maternità scaturisce inoltre la «consacrazione» personale di Maria al mistero di Dio, per quella quasi-simbiosi che intercorse tra lei e il Verbo mentre dimorava nel suo seno: così affermano padri e scrittori bizantini, dal V secolo in poi; dalla divina maternità promana quel potere materno, che tutta la tradizione le riconobbe; dall'esser la «vera madre di Dio» s'irradia il mistero che l'avvolge e la colloca al vertice del cammino umano, quasi permanente icona e segno di ciò che tutta la chiesa ed ogni uomo è chiamato a diventare, in Cristo.

Desidero chiudere questa succinta esposizione patristica sulla maternità di Maria con l'antifona che il coro canta, in ogni messa di rito bizantino, dopo la consacrazione, in risposta all'anamnesi del celebrante, quando ad alta voce nomina la madre di Dio:

«È veramente giusto dire beata te, la beatissima ed immacolata Theotokos e madre del nostro Dio. Te, che sei più degna d'onore dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini, te, che in modo incorrotto hai generato il Dio Verbo e sei veramente madre di Dio, te noi magnifichiamo».

(Ermanno Toniolo, La maternità di Maria nell'antica tradizione bizantina in La Madre del Signore, EDB 1982)

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Inni, preghiere e cantici

 

 

Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e più gloriosa delle schiere celesti.

Magnifica, anima mia, il Dio nato

nella carne dalla Vergine.

Magnifica, anima mia, il Sovrano che nasce in una grotta.

Magnifica, anima mia, il Dio adorato dai Magi.

Magnifica, anima mia, colui che si è rivelato tramite un astro ai Magi.

Magnifica, anima mia, la casta Vergine che ha generato il Re Cristo.

Magi e pastori vennero ad adorare Cristo nato nella città di Betlemme.

Oggi la Vergine partorisce il Maestro dentro ad una grotta.

Oggi il Maestro è partorito bambino da una Madre Vergine.

Oggi i pastori vedono il Salvatore fasciato e adagiato in un presepe.

Oggi il Maestro è avvolto in fasce, l'Impalpabile quale un bambino.

Oggi tutto il creato si rallegra e gioisce

perché Cristo è nato da una fanciulla Vergine.

Le potenze celesti annunciano al mondo

il nato Signore, Salvatore e Maestro.

Magnifica, anima mia, la potenza della divinità triipostatica e indivisibile.

Magnifica, anima mia, colei che ci ha liberati dalla maledizione.

 

 

1. Immacolata Madre di Cristo, vanto degli ortodossi, te magnifichiamo.

2. Soccorrimi, o Casta, rifugio e riparo, te magnifichiamo.

3. Siimi baluardo, o Casta, rifugio e riparo, te magnifichiamo.

4. Glorificata sei, o Casta, che hai partorito il Creatore, te magnifichiamo.

5. Benedetta sei, o Casta, Madre Vergine Maria, te magnifichiamo.

6. Vita sei, o Casta, avendo dato la vita a coloro che ti magnificano.

7. Tu che hai portato il Cristo Salvatore tra le braccia, te magnifichiamo.

8. Genitrice di Dio, Casta, che sei beatissima, te magnifichiamo.

9. Perché ci hai divinizzati, o Vergine Madre Maria, te magnifichiamo.

10. Genitrice santa di Dio, non cessare di intercedere per i tuoi servi.

11. Tu hai partorito il Verbo, il Creatore di tutti, te magnifichiamo.

12. Non trascurare, o Casta, nelle tue preghiere coloro che ti magnificano.

13. Tu fai scorrere, o Casta, le acque che dissetano coloro che ti magnificano.

14. Paradossale è anche l'impeto dei tuoi grandiosi prodigi, te magnifichiamo.

15. Tu sola ti sei dimostrata, o casta Vergine, ricca di prodigi, te magnifichiamo.

16. Vergine Madre casta, Genitrice di Dio Maria, te magnifichiamo.

17. Libera, o Madre di Dio, dal fuoco che non si estingue, te magnifichiamo.

18. Salva, o Genitrice di Dio, me che spero in te, te magnifichiamo.

19. O gioia dei profeti e gloria degli Apostoli, te magnifichiamo.

20. A te inneggia ogni credente, in te gioisce e te glorifica con inni, te magnifichiamo.

21. Fai splendere per me la luce, tu che hai partorito la luce del mondo, te magnifichiamo.

22. Gioisci, o Casta, che sola hai generato la gioia di tutti, te magnifichiamo.

23. Con salmi ora ti cantiamo come Madre del Signore, te magnifichiamo.

24. O Regina, che sei apparsa più eccelsa di tutti, te magnifichiamo.

Apolitikion del 24 dicembre

Maria, incinta in modo inseminato, si era in quei giorni fatta registrare a Betlemme con il vegliardo Giuseppe, discendendo dal seme di Davide. Sopravvenne il tempo della nascita e non vi fu luogo nell'albergo. Ma la grotta si rivelò alla Regina come un degno palazzo. Cristo nasce, risollevando l'immagine decaduta.

Sticberà Idiomela dei vespri del 24 dicembre

La Vergine, alla vista della concezione indicibile e della natività incomprensibile, era attonita e, tra lacrime e gioia, sospirava: «Darò il seno a te che nutri l'universo o inneggerò a te come al Figlio e Dio mio? Quale nome ti darò, o Signore ineffabile?».

Grotta, tripudia: ecco difatti che 1'Agnella si avvicina, portando nel grembo Cristo. Mangiatoia, accogli colui che scioglie con la sua parola l'agire irrazionale di noi mortali. Pastori che vigilate, siate testimoni del terribile prodigio. E voi, Magi della Persia, offrite al Sovrano oro, incenso e mirra. Il Signore infatti si è reso visibile per mezzo di una Madre Vergine. China davanti a lui, la madre lo adora come ancella, dicendo: «Come sei stato seminato in me, o come sei stato generato, mio Redentore e mio Dio?».

Katbismata della Stichologia del mattutino del 25 dicembre

Venite a vedere, o fedeli, dove nacque Cristo. Procediamo sulla rotta dell'astro con i Magi, re dell'Oriente. Gli angeli inneggiano senza pausa e con i pastori che vigilano cantano una degna lode, dicendo: «Gloria in alto a colui che oggi è nato in una grotta dalla Vergine e Madre di Dio a Betlemme della Giudea».

Perché stupirti, Maria? Perché meravigliarti per ciò che ti succede? «Perché ho generato - ella disse - nel tempo un Figlio che è fuori del tempo, non essendo stato dato a me di capire il modo del concepimento. Non sono maritata, come allora posso partorire un Figlio? Chi ha mai visto un frutto senza semina? Ma dove Dio vuole viene superato l'ordine della natura, come è scritto». Cristo è nato dalla Vergine a Betlemme della Giudea.

Colui che non può per niente essere contenuto, come mai è stato contenuto in un grembo? Colui che sta nel grembo del Padre, come mai può essere retto dalle braccia della Madre? Tutto però avviene come Egli sa, come volle e come gradi! Essendo infatti senza carne, Egli volontariamente si incarnò, e il Sussistente divenne per noi ciò che Egli non era e senza rinunciare alla propria natura Egli partecipa al nostro impasto. Cristo è nato in due nature, volendo completare il mondo superno.

Troparion delle Letture dei vespri del 25 dicembre

Sei spuntato dalla Vergine, o Cristo, tu che sei il Sole spirituale della giustizia; e l'astro ti ha indicato contenuto in una grotta, tu l'Incontenibile! Tu hai condotto i Magi ad adorarti. Con loro, noi ti magnifichiamo, o Datore della vita, gloria a te!

(Testi mariani del Primo Millennio, vol. I, ed. Città Nuova)

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Inni del Natale

Oggi la Vergine dà alla luce il Sovraessenziale e la terra offre una grotta all'Inaccessibile. Gli angeli con i pastori cantano gloria,

i Magi camminano guidati dalla stella:

per noi è nato, nuovo Bambino (cf. Is 9, 4), il Dio di prima dei secoli (cf. Sal 73, 12).

1. Betlemme ha riaperto l'Eden, andiamo a vedere. Vi troveremo le delizie in un luogo nascosto. Andiamo a cogliere i beni del paradiso in una grotta. Ivi è apparsa la radice non irrorata, che germinò il perdono. Ivi si è trovato il pozzo, non scavato, al quale Davide desiderò bere (cf. 1 Cr 11, 17). Ivi una Vergine, mettendo alla luce un bambino, estinse subito la sete di Adamo e di Davide. Affrettiamoci perciò ad andare dove è nato, nuovo Bambino, il Dio di prima dei secoli.

Preghiera di Maria al Figlio

2. Il Padre della madre volle divenire di lei il figlio. Il Salvatore dei bambini è adagiato bambino, in un presepio. La madre lo contempla e dice: «Dimmi, o Figlio, come sei stato seminato in me e come sei nato? Ti vedo, o mie viscere, e stupisco: il mio seno è gonfio di latte e non sono sposa. Ti vedo avvolto nelle fasce, e scorgo ancora intatto il sigillo della mia verginità. Perché sei tu che l'hai serbato tale, quando ti sei degnato nascere, nuovo Bambino, Dio di prima dei secoli.

3. O Re eccelso, che cosa v'è di comune fra te e le nostre miserie? O Creatore del cielo, perché vieni fra i terrestri? Ti sei lasciato incantare da una grotta e ti diletti di un presepio? Ecco, non v'è posto per la tua serva nell'albergo. Ma che dico posto! Non v'è nemmeno una grotta, perché appartiene ad altri…

 ***

Gesù svela il suo disegno d'amore

14. Ti ho scelta per Madre, io, il Creatore dell'universo e, come neonato, cresco benché fossi perfetto, derivante da perfetto. Sono stretto nelle fasce, per causa di quanti avevano rivestito allora le tuniche di pelle (cf. Gn 3, 21). Mi allieta una grotta per causa di quanti avevano contravvenuto al mio comandamento di vita, ed io sono disceso sulla terra affinché essi possano avere la vita (cf. Gn 10, 10). Ma se vuoi sapere, o Santa, quanto ancora devo compiere per loro, con tutti gli elementi resterai colta da turbamento (cf. Mt 27, 51ss.), o Piena di grazia».

15. Quando il Creatore ebbe così parlato e fu subito accolta la preghiera della Madre, Maria disse ancora: «Se parlo, non ti indignare contro il fango che sono (cf. Is 64, 8), mio Creatore. Parlo liberamente a te come a Figlio, ho la confidenza di una madre, perché tu hai dato a me, con la tua nascita, ogni gioia. Ciò che ti accingi a compiere, che mai sarà? Vorrei saperlo subito: non mi nascondere il disegno da te stabilito dall'eternità. Ti ho messo al mondo, svela la tua intenzione a nostro riguardo, per poter così misurare l'immensità della grazia da me ricevuta, la Piena di grazia».

16. «Sono sopraffatto dall'amore che sento per l'uomo - rispose il Creatore. Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la sua stirpe. Colui che tu nutrì, altri l'abbevereranno di fiele; colui che stringi fra le braccia altri lo copriranno di sputi; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, di lui piangerai la morte . Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia!

(Romano il Melode dal I e II inno del Natale in Testi Mariani del Primo Millennio, vol. I, ed Città Nuova)

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Antifonario romano per l'Avvento

 

 

Beata sei tu, Maria, che hai creduto: si compiranno in te le cose che ti sono state dette dal Signore, alleluia

Tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché Dio ha guardato la sua umile ancella

Spunterà un rampollo dalla radice di lesse e tutta la terra sarà piena della gloria del Signore: ed ogni uomo vedrà la salvezza di Dio

O celeste pudica sposa, tu sei la porta del Signore: egli la trovò chiusa e intatta la lasciò; in braccio tu porti colui che i popoli attendono

 

Fedeli tutti, rallegriamoci! È nato nel mondo il nostro Salvatore. Oggi è spuntato il frutto di un magnifico germoglio e intatto rimane il pudore verginale

La Puerpera ha generato il Re, che ha un nome eterno, unendo insieme le gioie della maternità col pudore della verginità: non vi fu alcuna donna simile a lei prima, né vi sarà mai, alleluia

Germogliò la radice di lesse, spuntò la stella di Giacobbe: la Vergine ha partorito il Salvatore. O nostro Dio, lode a te!  Ti glorifichiamo, Genitrice di Dio, perché da te è nato il Cristo. Salva tutti coloro che ti glorificano

Oggi le genti adorano un Bimbo che vagisce, infante in una cuna, giacente in un presepio: lo allatta una Vergine-Maria, piena il seno dal cielo

Oggi la Puerpera generò al mondo il Dio del cielo: i Magi l'adorano, gli offrono doni. Pieghiamo tutti il ginocchio davanti a lui che ci ha redenti

Oggi una Vergine intatta ci ha generato Dio, vestito di tener membra, e meritò di allattarlo. Adoriamolo tutti perché è venuto salvarci

Grande mistero di amore! Un grembo ignaro di uomo è diventato tempio di Dio; né si è macchiato il Signore assumendo da lei la carne. Tutte le genti accorrano e dicano: Gloria a te, Signore!

La Madre-Vergine ignara di uomo partorì senza dolore il Salvatore dei secoli, lo stesso Re degli angeli: una Vergine lo allattava, piena il seno dal cielo

O scambio mirabile! Il Creatore del genere umano si è degnato nascere da una Vergine, assumendo un corpo con anima umana: e nascendo uomo senza seme di uomo, ci ha donato in cambio la sua divinità

O beata puerizia, per mezzo della quale è stata restaurata la vita della nostra stirpe, perché - come sposo dal talamo - Cristo è uscito dal grembo di Maria

O beata infanzia, per la quale è stata restaurata la vita del genere umano. O piacevoli soavi vagiti, per mezzo dei quali sfuggiamo gli eterni lamenti. O panni felici, coi quali abbiamo asterso le brutture dei peccati. O splendido presepe, nel quale non soltanto fu posto fieno per gli animali, ma fu trovato il cibo degli angeli! O ventre beato di Maria, che germogliò alla terra (un frutto) così nobile! I cori celesti cantavano: Gloria a Dio nell'alto dei cieli pace sulla terra

O Maria, germoglio di Iesse, Regina del cielo, Stella del mare Ecco, è giunta ormai la pienezza del tempo, già hai prodotto il fior dal frutto eterno. Ti preghiamo dunque, Signora, di mostrarti pia a noi, che abbiamo la grazia di professarti Madre di Cristo, e per tuo merito singolare rendilo a noi propizio, sì ch'egli stesso per amor tuo o benignissima, disponga in bene questi giorni consacrati al tuo santo parto verginale, e la solennità celebrata nel tempo ci prepari all'eterna letizia

Madre casta e Vergine feconda è Maria - oh, quanto! Senza contaminazione concepì e senza dolore generò il Salvatore .

Si sono compiute le Scritture quando in modo ineffabile sei nato dalla Vergine: scendesti come rugiada sul vello, per salvare il genere umano: o Dio nostro, lode a te!

Nel roveto, che Mosè vide ardere intatto, abbiamo riconosciuta integra la tua verginità degna di lode: Madre di Dio, intercedi per noi!

Vergine santa e immacolata, non so come cantare le tue lodi: perché colui che i cieli non possono contenere, tu l'hai portato in grembo

Vergine Madre di Dio, colui che l'universo non può contenere, si chiuse entro le tue viscere, diventando uomo. La vera fede nel Figlio tuo deterse i peccati del mondo; e in te integra rimane la verginità

Oggi la Vergine fedele, generando il Verbo fatto carne, vergine rimase anche dopo il parto. Noi tutti la lodiamo e l'acclamiamo: Benedetta tu fra le donne!

Una Vergine sacra, ignara di uomo, gravida da Spirito Santo, in modo ineffabile ha generato al mondo il suo Autore

Per mezzo della Parola la Vergine concepì, e vergine rimase, e verginalmente generò il Re di tutti i re

 (Testi Mariani, vol. III, Padri e autori latini, ed. Città Nuova)

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