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Da LA STAMPA 3 marzo 2002

Il contributo alla politica degli intellettuali di destra e di sinistra

Destra senza Moretti

di Barbara Spinelli

Da molte settimane si torna a parlare, in Italia, del compito cui sono chiamati gli intellettuali, sia che scendano in piazza sia che non scendano: se debbano impegnarsi civilmente oppure no, se debbano spronare i propri partiti oppure lasciare ai politici quel che spetta ai politici. Se debbano essere possibilisti o apocalittici.

Se debbano ispirarsi all'etica della convinzione, che impone il massimo di coerenza morale, oppure all'etica delle responsabilità, più attenta alle conseguenze del pensare, dell'agire. Spesso la realtà è occultata dai sarcasmi, o dall'irrequietudine. Si ironizza sulle collere di Nanni Moretti, e ancor più su quello che viene chiamato, non senza sprezzo, girotondismo. Ci si inquieta per la bomba scoppiata dopo l’ampia manifestazione del Palavobis sullo Stato di diritto, e si tiene a ricordare come sia sottile la linea che separa il resistente dal retore: ciascuno di noi può cadere di qua o di là, alla bisogna (Adriano Sofri su La Repubblica del 28-2).

Quel che colpisce, nelle narrazioni come nelle invettive, è il ritratto univoco che vien fatto dell'intellettuale. Invariabilmente questi è di sinistra, e in quanto tale è elogiato, o criticato, o deriso. Appartiene a una comunità di credenti, lui solo. Non esiste intellighenzia se non di sinistra, così come non esiste sinistra senza intellighenzia. Applicate agli intellettuali che ragionano nell'ambito del centro-destra, queste tribolazioni e sfide non emergono ancora, e in questo essi sono in ritardo.
I dilemmi vissuti dall'altra parte sembrano per essi non esistere, e in questo sono in ritardo. Anch'essi sono parte di una comunità di devoti, ma fingono una completa libertà dall'obbligo di rivedere dogmatismi, fedeltà incondizionate. L'intelligenza è forse universale, ma la figura dell'intellettuale, quando erra o si estremizza, è sempre rappresentata come di sinistra.
Le cose non paiono tuttavia stare in questo modo. Ambedue le intellighenzie danno infatti l'impressione di essere prigioniere delle rispettive chiese, confessioni; ambedue sono messe di fronte alla più difficile delle prove, che in realtà le accomuna.

Dopo un secolo di compromissioni, di errori, di dimissioni mentali, i pensatori di un campo come dell'altro sono chiamati a riesaminare il rapporto con la politica, con le chiese di appartenenza, talora con antichi residui dogmatici. La vera prova, a ben vedere, non è quella dell'etica della responsabilità o del realismo. E' quella della laicità, dell'indipendenza dal proprio schieramento, della rinuncia a divenire il Sant'Uffizio di un campo. Già abbiamo avuto nella storia europea una separazione tra Stato e Chiesa. Quello di cui si sente bisogno, almeno in Italia, è una separazione netta tra attività del pensiero civile e militanza negli accampamenti partitici. Il clericale del pensiero non è utile né a sé, né alla società, né allo schieramento che pure intende favorire.
Si sentirà meno solo, ma il gruppo che forma tenderà non di rado a divenire gregge. De-confessionalizzare l'intellighenzia è missione principe, senza la quale è irrilevante la scelta fra responsabilità e convinzione. In Italia l'apprendimento dello sguardo laico è specialmente urgente, perché solo esso è in grado di disvelare la complessità dello scontro attorno a Berlusconi e al suo governo.

Le attuali linee divisorie sono in effetti tre ­ lo spartiacque fra stato di diritto e arbitrio, messo in risalto dalla manifestazione del Palavobis a Milano; lo spartiacque fra sovversione e cambiamento riformista; lo spartiacque ordinario, infine, fra programmi di destra e di sinistra (riforma dell'Istruzione, della Sanità, abbandono o no della concertazione con i sindacati, anche articolo 18). Il metodo più riconfortante è di ridurre i tre crinali a uno solo ­ con un procedimento tipico dell'integralismo ideologico o religioso ­ e di far risalire ogni divisione allo scontro primordiale fra destra e sinistra.
Il metodo più complicato ma più veritiero consiste nel riconoscere come i tre spartiacque siano diversi e si incrocino tra loro. Solo il terzo (concernente la contrapposizione fra programmi) è riconducibile al classico combattimento destra-sinistra. Il primo e il secondo, incentrati sull'etica, la legge, il diritto, oppure il monopolio della violenza e il terrorismo, sono radicalmente differenti e hanno poco a vedere con l'usuale dialettica maggioranza-opposizione.Quando quarantamila cittadini si muovono spontaneamente verso il Palavobis, non chiamati da partiti o sindacati, per difendere un principio cardine del convivere civile quale il principio della legalità, non è la destra nella sua essenza che viene contestata, ma un disprezzo delle legge che come tale non è né di destra né di sinistra.
E' pernicioso e basta. Quando il ministro Castelli vuol bloccare la nascita di uno spazio giudiziario europeo, quando interviene per rallentare i tempi del processo per corruzione di magistrati, non è nelle vesti di notabile della destra che egli rischia la delegittimazione e che in Europa viene sospettato di curare affari privati, ma nelle vesti di governante che mostra di non avere le nozioni elementari dello stato di diritto. Lo stesso vale per il secondo spartiacque: non è precipuamente di destra la difesa di ordine e sicurezza. Le forze civili dei due campi sono unite nel sostenere che il terrorismo sia da bandire. Riunire in un sol grumo queste diverse linee divisorie è la tentazione clericale che affligge non solo la sinistra, ma anche la destra.

Agli occhi di buona parte della maggioranza non puoi denunciare l'anomalia di un conflitto di interessi mal regolato, o lamentare le pressioni politiche sui processi, o preoccuparti di debellare in Europa la nuova alleanza mondiale fra terrorismo e malavita finanziaria, senza esser tacciato di sinistrismo massimalista. Non puoi rivendicare la legge eguale per tutti, non puoi rifiutarti di demonizzare Mani Pulite, anche quando critichi disfunzioni della magistratura, senza esser assegnato al fronte di chi disdegna il responso delle urne e delegittima la maggioranza.

I nemici della società pensante indipendente e dell’intellettuale laico sono rintracciabili a destra come a sinistra, ed è significativo che ambedue siano preda dell'idea del grumo: idea che fa di tutte le linee divisorie un fascio. Ci sono i nemici confessionisti nel campo del centro destra, che non mancano di ridicolizzare la sinistra girotondista e vedono all’opera, al Palavobis, solo gogna e giustizialismo. Per simili nemici della società aperta, la difesa del principio di legalità è perfettamente equiparabile allo sciopero generale di Cofferati sull’articolo 18; e mira a delegittimare la maggioranza esattamente come le tante proteste spontanee, o la manifestazione organizzata dall’Ulivo a San Giovanni, ieri a Roma.

Il fondamentalista religioso ragiona così: manifesti questa o quella preoccupazione, e subito si presume che rifiuti in blocco tutto: il risultato delle urne, la possibilità di un'opposizione parlamentare normale, lo stesso bipolarismo affermatosi in Italia dopo il 1994. Ma anche a sinistra ci sono i nemici della laica società pensante: nemici sedotti dal grumo, convinti che vi sia un'ampia collusione cospiratoria fra Letizia Moratti e Previti, Sirchia e Castelli o Bossi. Poi vi sono i militanti esplicitamente anticapitalistici, anti-imperialisti, o certi anti-globalizzatori che fantasticano l'eredità di Marx.

Per costoro, i quarantamila radunati in difesa del principio della legalità hanno qualcosa che ricorda sciaguratamente i piccoli borghesi vituperati dal marxismo. Borghesi attratti dalla sovrastruttura che sono le leggi civili, l'autonomia dei magistrati, lo stato di diritto. Per Bertinotti il terreno scelto da questi ceti medi professionali è politicamente ambiguo, e si rinsecchirà se non si collega alle grandi lotte sociali, in particolare ai temi dei no-global e dell'articolo 18. Per i firmatari dell'appello redatto da Oreste Scalzone, la legalità è un ennesimo oppio dei popoli. La manifestazione legalitaria di Milano e la rinascita dell'Ulivo prodiano a San Giovanni non hanno disturbato solo Berlusconi.

Assieme all'attentato dell'11 settembre, ha scompaginato parecchi massimalismi no-global. Ostili al Palavobis come alla manifestazione romana a San Giovanni, Bertinotti e no-global ideologici si sentono d'un tratto minati.Esaminare con maggiore precisione i tre spartiacque, e scoprire per quali vie essi si incrocino, e si differenzino. Evitare il grumo, e dunque ridurre drasticamente la materia del contendere classico fra destra e sinistra: questo è probabilmente il compito dell'intellettuale che rifiuti di assurgere a Sant'Uffizio d'una chiesa o un'altra.

Anche perché non aiuterà né il proprio campo né la società, se farà quadrato attorno ai propri schieramenti e non si disporrà a trasgredirli individuandone di nuovi, non verticali ma trasversali. L'intellettuale laico può sperare di dire qualcosa che pesi ­ e non semplicemente di dire qualcosa di sinistra, o di destra ­ a condizione che il suo pensare e agire diventino paradossali. E' la verità che egli deve servire, prima ancora dell'amico: amicus Cato sed magis amica veritas ­ amo Catone ma amo ancor più la verità. La sua critica è utile se inaspettata: se dà sicurezza dove c'è dubbio, dubbio dove c'è sicurezza. Se parla biasimando innanzitutto la propria parte, giacché la critica è feconda quando si volge alla propria chiesa, e l'elogio è fruttuoso quando si rivolge agli elementi rispettabili della parte opposta. Questo vale anche per l'intellighenzia di centro destra, e non solo per la sinistra.

Si è fatta molta ironia, ultimamente, su Moretti che smaschera i peccati di omissione della sinistra o sui girotondi moltiplicatisi dopo l'intervento del regista, ma è difficile non accorgersi che le sue parole hanno scosso la sinistra, svegliando dal torpore buona parte della società civile e dei pensieri arrugginiti ai vertici dell'Ulivo. Può darsi che tutto questo sfocerà in velleitarismi, ma il processo è appena cominciato: è davvero troppo presto per dirlo. L'unica cosa certa è che qualcosa di diverso e inedito è cominciato, qualcosa che questa maggioranza, così com'è governata, non sa ancora affrontare.
Essa guarda arroccandosi, replicando con lo sgomento o la rabbia, lo spavento o la derisione: sempre confondendo i tre crinali che andrebbero distinti. Sarebbe più benefico per tutti se anche nella Casa delle Libertà si alzasse un Moretti, o un qualche illustre cittadino (e perché non anche un ministro, un parlamentare?) per dire che nel 2001 ha firmato un assegno per la maggioranza, ma non un assegno in bianco valevole in ogni circostanza, compreso lo sprezzo della legge e il boicottaggio dell'Europa giudiziaria, il monopolio su tutte le televisioni e l'ancora torbido conflitto di interessi.

Un primo avvertimento è venuto dall'articolo di Ernesto Galli della Loggia su nomine Rai e conflitto di interessi, nel Corriere della Sera del 20 febbraio. E' il segnale di cui si sente maggiormente la mancanza: nella società che pensa in solitudine, all'opposizione, e nella stessa destra che aspira al normale, rispettabile, alternante conflitto tra uomini politici e programmi.




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